venerdì 17 agosto 2012

XX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B - 19 agosto 2012

Rito Romano
Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58


Rito Ambrosiano
XII Domenica dopo Pentecoste
Ger 25, 1-13; Sal 136; Rm 11, 25-32; Mt 10, 5b-15


1) Amore di amicizia.
La liturgia “romana” di oggi, prima del Vangelo fa dire: Alleluia, Alleluia. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,dice il Signore, rimane in me e io in lui”.(Gv 6, 56) Alleluia.
Questo versetto mi pare sintetizzi bene il significato del capitolo 6 di Giovanni, che stiamo ascoltando brano dopo brano da tre domeniche.
Prima di tutto con queste parole Cristo ci insegna che facendo la comunione non solo Lui vive in noi, ma noi viviamo in Lui. C’è una reciprocità in questo amore: Dio si impegna con noi e noi ci impegniamo con lui, ogni giorno nelle piccole e grandi vicende della vita. Gesù, l’Amico, ci ricorda che non c’è amicizia senza reciprocità. Il fatto che ci sia reciprocità non vuol dire che ci sia del calcolo, dell’egoismo, vuol dire che non c’è estraneità e che ogni essere umano, non solo il padre, la madre, i figli, ecc., ci è prossimo in Cristo. L’amicizia con Cristo e per Cristo è un darsi reciproco, gratuito, disinteressato. Amici con Cristo e con gli altri, non perché sono utili ma perché ci sono, amando il loro destino sopra ogni altra cosa e collaborando alla loro gioia, gratuitamente.
In questo amore d’amicizia cristiana, quindi fraterna, non siamo chiamati solamente a fare il bene dell’amico ma come Cristo a essere il Bene. In questa amicizia abbiamo non solo e non tanto un cuore buono, ma una cuore nuovo che pulsa al ritmo di quello di Cristo, Pane vivo.

2) Un Pane da condividere.
L’Amore, che ci precede, prende in mano il pane, lo benedice, lo spezza… Gesti quotidiani, comuni a ogni mensa: l’Eucaristia è il pane quotidiano, consacrato sull’altare della Croce, che diventa mensa per spartire il Pane di Vita.
Questo Pane si spezza da sé, senza bisogno di ingiunzioni o di forza, di lotte o di rivoluzioni per condividerlo. Don Primo Mazzolari scrisse: “Io sogno una rivoluzione che faccia del gesto eucaristico del dare il segno della gioia. Per distribuire le terre e spezzare il pane basta l’amore, un po’ d’amore. Ma se togliete il lievito della carità, per forza bisogna usare l’ascia o la bomba. La guerra è una fractio panis paurosa e demoniaca” (Tempo di Credere, Brescia 1964, pp. 209 -210)
Se un cristiano tiene per certo che il Pane di Vita è un vero alimento non può mai volerlo ricevere solo per sé. Pensa subito di condividerlo, eucaristicamente. Quando un cristiano pensa al cibo, subito si preoccupa o dovrebbe preoccuparsi di nutrire gli altri.
La Beata Madre Teresa di Calcutta ripeteva spesso alle sue suore: “Quando andiamo a Messa, ricordiamoci di rispettare la vita per la quale Gesù è morto. Gesù nell'Eucaristia è la vita che dobbiamo vivere, Gesù è il cammino che dobbiamo seguire, Gesù è la vita che dobbiamo dare. Preghiamo affinché possiamo vivere la vita che Dio ci ha dato perché siamo creati a vivere la vita di Dio. Per poter fare questo lavoro per i più poveri dei poveri abbiamo bisogno dell’Eucaristia, abbiamo bisogno del pane di vita. Non siamo assistenti sociali, siamo nel cuore del mondo, contemplative”.
Tutti i giorni Madre Teresa trascorreva quattro ore in preghiera, di cui una in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento. Poi. finita l'adorazione, si immergeva nella contemplazione di quel Dio che si è fatto piccolissimo a Betlemme, che si è annientato sulla croce, che si è fatto pane per lasciarsi mangiare; quel Dio che si è fatto corpo in ogni essere umano.

3) Rimanere, dimorare: verbi di moto.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,dice il Signore, rimane in me e io in lui” (Gv 6, 57)
Assumendo questi due alimenti consacrati, non solo Cristo vive in noi, ma noi viviamo in Lui. Non solo lui si mette a disposizione nostra, per nutrirci e farci crescere nella Sua vita, per curarci delle nostre malattie spirituali e fisiche, per rafforzarci nel nostro esodo verso Casa, ma anche noi ci mettiamo a sua disposizione.
Lui vuole arrivare agli altri attraverso di noi. Lui vive la Sua vita eucaristica in noi e attraverso di noi. Noi abitiamo in Lui e Lui abita in noi, nella nostra vita quotidiana, nella gioia e nel dolore, nell’angoscia dei nostri smarrimenti giornalieri e nella letizia di essere accolti nella dimore del Padre.
Quando Gesù usa il verbo “dimorare”, “rimanere” non lo intende come un “fermarsi”, un “vivere staticamente”. Non designa uno stato passivo. “Dimorare” è un “restare in movimento”, è un continuo avere fame ed essere nutriti, avere sete ed essere dissetati, sentire le esigenze dello spirito e gustare il fatto che Lui le soddisfa. E tutto ciò come una crescente intensità, così che ogni sazietà suscita una fame più grande, perché dilata l’anima, il cuore e l’amore diventa più pressante, più esigente: affamati di eternità.

4) Come sfamarsi
Uno scrittore spirituale francese, P. Marie-Eugène de l’Enfant-Jesus, distingue tre tipi di comunioni che ci permettono di “mangiare” Cristo, per rimanere in Lui: l’Eucaristia, la contemplazione e l’obbedienza.
Prima di tutto la comunione eucaristica. Saziati dal Pane della Risurrezione, scopriamo che il Pane, che è Cristo, fa l’unità della Chiesa, lui solo costruisce la Casa dell’unità poiché non c’è che un solo Pane e noi tutti siamo un solo Corpo (1 Cor 10, 17). E’ l’Eucaristia che ci dona l’Autore della Vita e della Grazia. E’ l’Eucaristia che fa i santi e costruisce la Chiesa.
In secondo luogo, la contemplazione, che stabilisce il contatto con Dio. E’ una comunione nella luce gustosa dell’amore. Come quella di un bambino che appena ricevuta la particola consacrata sul palmo della mano, stava pochi secondi a fissarla. Alla mamma che gli diceva: “Caro, devi mettere subito la particola in bocca, così rischi di farla cadere mentre ritorni nei banchi”, questo bambino rispose: “Mamma, prima di mangiarLo vogli parlarGli e guardarLo almeno un po’”.
Infine, terzo: l’obbedienza. Obbedire a Dio è “realizzare” Dio. La Madonna con il suo “sì” ha fatto Gesù. Il suo fiat ha dato carne alla Parola di Dio. Con il mio “sì” al comando di Cristo: “Fate questo in memoria di me”, faccio Lui. Quando nella Messa dico: “Questo è il mio Corpo”, faccio Lui, dò carne al Verbo di Dio.
L’obbedienza affettuosa a Dio è liberante, è libertà, perché il suo comando non è un’imposizione di un Dio arbitrario e capriccioso, ma una parola (logos) con la quale amorosamente rivela il suo cuore ed il nostro futuro. Per esempio dire: “Non uccidere”, vuol dire che Dio è Vita e che il nostro futuro è vita, vita eterna. “Non dire falsa testimonianza”, vuol dire che Dio è Verità e non siamo destinati alla Vera Vita. “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”. Vuol dire che Lui è Amore e che il nostro amore nasce dal suo. Il Vangelo è annuncio di libertà e noi siamo chiamati all’Amore che libera, “purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siamo a servizio degli altri” (Gal. 5,13).
Come ricorda il Vangelo ambrosiano di oggi: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8): una concezione e prassi di rapporti dominata dalla gratuità: questo è il cristianesimo. Nella gratuità di Dio non c’è dominio, c’è miracolo e grazia: è amore puro, disinteressato, senza limiti. Se ti getti in questo amore infinito, gli stessi tuoi peccati divengono la condizione perché tu possa sperimentare e conoscere, tu possa vedere chiaramente l'infinità di questo amore, la gratuità di questo amore, la pienezza di questo amore immenso in cui chiaramente si manifesta Dio. Non ci resta che condividere questo immenso amore ricevuto.

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