Rito
Romano
Pr
9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58
Rito
Ambrosiano
XII
Domenica dopo Pentecoste
Ger
25, 1-13; Sal 136; Rm 11, 25-32; Mt 10, 5b-15
1)
Amore di amicizia.
La
liturgia “romana” di oggi, prima del Vangelo fa dire:
Alleluia, Alleluia. “Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue,
dice
il Signore, rimane in me e io in lui”.(Gv
6, 56) Alleluia.
Questo
versetto mi pare sintetizzi bene il significato del capitolo 6 di
Giovanni, che stiamo ascoltando brano dopo brano da tre domeniche.
Prima
di tutto con queste parole Cristo ci insegna che facendo la comunione
non solo Lui vive in noi, ma noi viviamo in Lui. C’è una
reciprocità in questo amore: Dio si impegna con noi e noi ci
impegniamo con lui, ogni giorno nelle piccole e grandi vicende della
vita. Gesù, l’Amico, ci ricorda che non c’è amicizia senza
reciprocità. Il fatto che ci sia reciprocità non vuol dire che ci
sia del calcolo, dell’egoismo, vuol dire che non c’è estraneità
e che ogni essere umano, non solo il padre, la madre, i figli, ecc.,
ci è prossimo in Cristo. L’amicizia con Cristo e per Cristo è un
darsi reciproco, gratuito, disinteressato. Amici con Cristo e con gli
altri, non perché sono utili ma perché ci sono, amando il loro
destino sopra ogni altra cosa e collaborando alla loro gioia,
gratuitamente.
In
questo amore d’amicizia cristiana, quindi fraterna, non siamo
chiamati solamente a fare il bene dell’amico ma come Cristo a
essere il Bene. In questa amicizia abbiamo non solo e non tanto un
cuore buono, ma una cuore nuovo che pulsa al ritmo di quello di
Cristo, Pane vivo.
2)
Un Pane da condividere.
L’Amore,
che ci precede, prende in mano il pane, lo benedice, lo spezza…
Gesti quotidiani, comuni a ogni mensa: l’Eucaristia è il pane
quotidiano, consacrato sull’altare della Croce, che diventa mensa
per spartire il Pane di Vita.
Questo
Pane si spezza da sé, senza bisogno di ingiunzioni o di forza, di
lotte o di rivoluzioni per condividerlo. Don Primo Mazzolari scrisse:
“Io sogno una rivoluzione che
faccia del gesto eucaristico del dare il segno della gioia. Per
distribuire le terre e spezzare il pane basta l’amore, un po’
d’amore. Ma se togliete il lievito della carità, per forza bisogna
usare l’ascia o la bomba. La guerra è una fractio panis paurosa e
demoniaca” (Tempo
di Credere, Brescia 1964, pp. 209
-210)
Se
un cristiano tiene per certo che il Pane di Vita è un vero alimento
non può mai volerlo ricevere solo per sé. Pensa subito di
condividerlo, eucaristicamente. Quando un cristiano pensa al cibo,
subito si preoccupa o dovrebbe preoccuparsi di nutrire gli altri.
La
Beata Madre Teresa di Calcutta ripeteva spesso alle sue suore:
“Quando andiamo a Messa,
ricordiamoci di rispettare la vita per la quale Gesù è morto. Gesù
nell'Eucaristia è la vita che dobbiamo vivere, Gesù è il cammino
che dobbiamo seguire, Gesù è la vita che dobbiamo dare. Preghiamo
affinché possiamo vivere la vita che Dio ci ha dato perché siamo
creati a vivere la vita di Dio. Per poter fare questo lavoro per i
più poveri dei poveri abbiamo bisogno dell’Eucaristia, abbiamo
bisogno del pane di vita. Non siamo assistenti sociali, siamo nel
cuore del mondo, contemplative”.
Tutti
i giorni Madre Teresa trascorreva quattro ore in preghiera, di cui
una in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento. Poi. finita
l'adorazione, si immergeva nella contemplazione di quel Dio che si è
fatto piccolissimo a Betlemme, che si è annientato sulla croce, che
si è fatto pane per lasciarsi mangiare; quel Dio che si è fatto
corpo in ogni essere umano.
3)
Rimanere, dimorare: verbi di moto.
“Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue,
dice
il Signore, rimane in me e io in lui”
(Gv 6, 57)
Assumendo
questi due alimenti consacrati, non solo Cristo vive in noi, ma noi
viviamo in Lui. Non solo lui si mette a disposizione nostra, per
nutrirci e farci crescere nella Sua vita, per curarci delle nostre
malattie spirituali e fisiche, per rafforzarci nel nostro esodo verso
Casa, ma anche noi ci mettiamo a sua disposizione.
Lui
vuole arrivare agli altri attraverso di noi. Lui vive la Sua vita
eucaristica in noi e attraverso di noi. Noi abitiamo in Lui e Lui
abita in noi, nella nostra vita quotidiana, nella gioia e nel dolore,
nell’angoscia dei nostri smarrimenti giornalieri e nella letizia di
essere accolti nella dimore del Padre.
Quando
Gesù usa il verbo “dimorare”, “rimanere” non lo intende come
un “fermarsi”, un “vivere staticamente”. Non designa uno
stato passivo. “Dimorare” è un “restare in movimento”, è un
continuo avere fame ed essere nutriti, avere sete ed essere
dissetati, sentire le esigenze dello spirito e gustare il fatto che
Lui le soddisfa. E tutto ciò come una crescente intensità, così
che ogni sazietà suscita una fame più grande, perché dilata
l’anima, il cuore e l’amore diventa più pressante, più
esigente: affamati di eternità.
4)
Come sfamarsi
Uno
scrittore spirituale francese, P. Marie-Eugène de l’Enfant-Jesus,
distingue tre tipi di comunioni che ci permettono di “mangiare”
Cristo, per rimanere in Lui: l’Eucaristia, la contemplazione e
l’obbedienza.
Prima
di tutto la comunione eucaristica. Saziati dal Pane della
Risurrezione, scopriamo che il Pane, che è Cristo, fa l’unità
della Chiesa, lui solo costruisce la Casa dell’unità poiché non
c’è che un solo Pane e noi tutti siamo un solo Corpo (1 Cor 10,
17). E’ l’Eucaristia che ci dona l’Autore della Vita e della
Grazia. E’ l’Eucaristia che fa i santi e costruisce la Chiesa.
In
secondo luogo, la contemplazione, che stabilisce il contatto con Dio.
E’ una comunione nella luce gustosa dell’amore. Come quella di un
bambino che appena ricevuta la particola consacrata sul palmo della
mano, stava pochi secondi a fissarla. Alla mamma che gli diceva:
“Caro, devi mettere subito la particola in bocca, così rischi di
farla cadere mentre ritorni nei banchi”, questo bambino rispose:
“Mamma, prima di mangiarLo vogli parlarGli e guardarLo almeno un
po’”.
Infine,
terzo: l’obbedienza. Obbedire a Dio è “realizzare” Dio. La
Madonna con il suo “sì” ha fatto Gesù. Il suo fiat ha dato
carne alla Parola di Dio. Con il mio “sì” al comando di Cristo:
“Fate questo in memoria di me”, faccio Lui. Quando nella Messa
dico: “Questo è il mio Corpo”, faccio Lui, dò carne al Verbo di
Dio.
L’obbedienza
affettuosa a Dio è liberante, è libertà, perché il suo comando
non è un’imposizione di un Dio arbitrario e capriccioso, ma una
parola (logos) con la quale amorosamente rivela il suo cuore ed il
nostro futuro. Per esempio dire: “Non uccidere”, vuol dire che
Dio è Vita e che il nostro futuro è vita, vita eterna. “Non dire
falsa testimonianza”, vuol dire che Dio è Verità e non siamo
destinati alla Vera Vita. “Amatevi gli uni gli altri, come io ho
amato voi”. Vuol dire che Lui è Amore e che il nostro amore nasce
dal suo. Il Vangelo è annuncio di libertà e noi siamo chiamati
all’Amore che libera, “purché
questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne,
ma mediante la carità siamo a servizio degli altri”
(Gal. 5,13).
Come
ricorda il Vangelo ambrosiano di oggi: “Gratuitamente avete
ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8): una concezione e prassi
di rapporti dominata dalla gratuità: questo è il cristianesimo.
Nella gratuità di Dio non c’è dominio, c’è miracolo e grazia:
è amore puro, disinteressato, senza limiti. Se ti getti in
questo amore infinito, gli stessi tuoi peccati divengono la
condizione perché tu possa sperimentare e conoscere, tu possa vedere
chiaramente l'infinità di questo amore, la gratuità di questo
amore, la pienezza di questo amore immenso in cui chiaramente si
manifesta Dio. Non ci resta che condividere questo immenso amore
ricevuto.
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