lunedì 6 agosto 2012

XVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 5 agosto 2012


Rito Romano
Es 16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35

Rito Ambrosiano
Domenica X dopo Pentecoste
1Re 7,51-8,14; Sal 28; 2Cor 6,14-7,1; Mt 21,12-16

1)Il lavoro: dalla carne allo spirito.
Nel vangelo di domenica scorsa abbiamo visto che la gente seguiva Gesù non per amore, ma per curiosità di ascoltare cose interessanti e di vedere dei miracoli. Il Cristo “usa” questa curiosità della gente, per condurla alla fede. Dunque moltiplica i pani non solo per sfamare migliaia di persone, ma per farle passare dalle esigenze istintive del corpo a quelle dello spirito, tracciando il cammino della fede.
E cosi nel vangelo di oggi, ascoltiamo il Salvatore che parla per “saziare con le sue parole le intelligenze di coloro dei quali ha saziato lo stomaco con i pani” (Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni n. 25): per saziare la fame di orientamento, di senso, di significato, di pienezza: la fame di Dio.
Non dimentichiamo infatti che la comunione eucaristica non è solo comunione con il Corpo di Cristo, ma a tutta la Sua vita divina.
Ma per avere questa comunione occorre lavorare.
Al versetto 27, Gesù dice: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. Se dovessimo tradurre alla lettera dal testo greco invece di “datevi da fare” dovremmo scrivere “lavorate”.
“Lavorate”, ci chiede Cristo con chiarezza, ma non per il pane terrestre. Questa esigenza del corpo è un’evidenza, non c’è bisogno insistervi. Lui chiede, oggi come allora, di lavorare per il cibo che dura; vale a dire: Lui attende da noi che, in tutto quello che facciamo, abbiamo una sola cosa in testa: quella di arrivare alla vita eterna: “Prima di tutto cercate il Regno di Dio ed il resto vi sarà dato in sovrappiù” (Mt 6, 33). Il resto lo fa Lui. E’ lui che si dona tutto a noi.

2) Istruzioni per il lavoro?
Quello a cui il Redentore invita, ieri come oggi, è un lavoro da fare, l’opera di Dio da compiere. Infatti alla gente che gli chiedeva: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6, 28).
A questo punto sembrerebbe lecito, per non dire doveroso chiedere le istruzioni per questo lavoro.
Ma Cristo non risponde, alla domanda sul che fare con un elenco di regole, di istruzioni per lavorare come Dio comanda. Sarebbe caduto in quel modo di fare di molti cristiani, che, per essere moderni, correggono lo stupore dell’incontro con l’evento di Cristo con delle regole.
La fede non è un puro e semplice rapporto con le Verità, ma un inserimento di tutto me stesso nel “fatto di Gesù” il Vivente (D. Primo Mazzolari, Tempo di credere, Brescia 1964, p. 117). Fede non in un fatto di un passato lontano di duemila anni e più, ma nell’avvenimento di un Presente a cui aderire con energia e stupore, in cui credere oggi e ogni giorno. Non si tratta di fermare la storia o di guardarla nel passato: Gesù Cristo è oggi, è in noi quale “cuore del nostro cuore” (Maurice Zundel).
Avere fede in Gesù Cristo cioè amarLo credendo, unire la fede all’amore, unirsi a Lui con la fede” (S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, col 25). Cristo chiede una fede che opera mediante la carità (Gal 5). Una fede forte e semplice che cresce nella domanda: “Signore, io credo, ma tu aumenta la mia fede” e nell’incontro, dal quale tutto deriva come una sorgente d’amore, e nessuno ha obiezioni ad essere dissetato, vinto dall’intelligenza dell’amore.
Alla domanda di credere, allora come oggi, la gente replica a Cristo: “Che segno ci dai, perché vedendolo noi crediamo?”. Il Redentore rispose loro: “Vi do il Pane del Cielo, il pane vero che da la vita vera, eterna”. E all’immediata richiesta; “Dacci questo pane”, Gesù affermò: “Io sono questo Pane!”. Non solo “Io sono (Yahwé)”, ma “Io sono il Pane vivente, che dà la vita”. Dio non solo è, ma è amore che dà la vita.
E’ alla nostra fede che Cristo-Eucaristia si consegna. Facendosi pane per noi, non solo resta accanto a noi, ma vive in noi. Noi possiamo e dobbiamo mangiare il suo Corpo, per partecipare al suo Spirito, incorporati a Lui, per sempre. Ma non dimentichiamo quello che dice San Agostino: “Non ci si comunica mai alla Testa se non comunicando anche a tutto il Corpo che è la Chiesa”.
Che il Signore ci faccia una cosa sola.

3) Pane di Vita
Dio non conosce che un solo modo di offrirsi, di donarsi: lo fa completamente e senza riserve. Se c’è qualcuno che merita il nome di “prodigo (che di per sé vuol dire generoso e non sprecone)” non è chi butta via le ricchezze del padre, sprecando la propria vita. Dio è il Padre prodigo di misericordia, generossimo datore della vita e di ogni altro bene.
La vita che Dio ci dona è la Sua Vita, completamente e per l’eternità. Non ci resta che vivere eucaristicamente, con riconoscenza questo dono grandioso, unendo la carità di Dio al nostro lavoro quotidiano nella lode a Lui e nel perdono tra di noi.
Il Dio che si è fatto carne, si è fatto solidale con la nostra miseria. Facendosi pane ci fa solidali con sua Vita. Il Figlio di Dio, che ha preso un cuore come il nostro, trasforma noi nella sua carne. “A tutti quelli che lo hanno ricevuto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12). Vivere da figli di Dio, vivere nella fede, vivere del Pane di Vita è un cammino di libertà. E’ vivere riconciliati con se stessi, riconciliati con gli altri.
Cristo, Pane di Vita, è un Mistero che continua. La memoria aiuta la fede, ma più che la memoria è l’incontro con Chi si ferma da noi, nel nostro cuore, nelle nostre case, nella nostra povertà ed accetta la poverissima ospitalità del nostro cuore, dilatato dal suo.
Purifichiamo con la confessione il nostro cuore che Cristo vuole come Chiesa dove irraggiare la sua presenza di gloria. L’Eucaristia è il Pane di Vita che trasforma il quotidiano. “L’azione del mangiare, che facilmente degenera nella banalità se non nella volgarità, con il Pane eucaristico viene riportata verso il Mistero … Cristo ferma nel Sacramento il momento religioso della famiglia e dell’amicizia” (Primo Mazzolari, Tempo di credere, Brescia 1964, p. 203).
4) Pane di comunione.
La comunione, questo atto del "mangiare", è realmente un incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare dalla vita di colui che è il Signore, di colui che è il nostro Creatore e Redentore. “Scopo della comunione è l'assimilazione della nostra vita alla sua, la trasformazione e conformazione a colui che è Amore vivo” (Benedetto XVI). Come Jacopone da Todi piangiamo “perché l’Amore non è amato”, e riceviamoLo nell’Eucaristia, il più frequentemente possibile.
Occorre per questo essere affamati di Cristo, anche se si parte da una pura e semplice fame corporale come lo esemplifica questo piccolo aneddoto: “In una povera parrocchia di un Paese dove c’era la carestia un sacerdote nota che un bambino si è accostato all'eucaristia per la terza volta nello stesso giorno. Egli chiama il bambino in disparte e con amore lo esorta: "Gesù si riceve una sola volta al giorno". Il bambino alza gli occhi un po' colpevoli e un po' supplicanti verso il prete e dice: "Ma io ho fame".
Il pane è alimento e medicina e strumento d’amicizia, così Gesù, Pane di Vita è cibo per la nostra fragilità e medicina di misericordia e conversazione d’amico. Con S Bernardo di Chiaravalle riconosciamo e che l’uomo cerca meglio e trova più facilmente Dio “con la preghiera che con la discussione”. Alla fine, la figura più vera del teologo e di ogni evangelizzatore rimane quella dell’apostolo Giovanni, che ha poggiato il suo capo sul cuore del Maestro. Da uomo a Uomo.
Occorre che il nostro cuore sia Casa di preghiera purificata da Cristo (si veda il vangelo ambrosiano di oggi) e diventiamo come i bambini che riconoscono Cristo, lo lodano e, lodandolo, gli stanno il più vicino possibile. Cosi comprendiamo che “la vocazione di ciascuno di noi consiste nell’essere con Gesù, pane spezzato per la vita del mondo” (Benedetto XVI, Esortazione Ap. Post-Sinod., Sacramentum Caritatis, n 88, 22 febbraio 2007).
Gesù, il Pane di Vita, quando nacque a Betlemme (che vuol dire “La casa del Pane”) di Giuda (che vuol dire “testimonianza”), si lasciò mettere sul legno di una mangiatoia. Al termine della sua vita terrena, si lasciò mettere su legno della Croce a Gerusalemme (che vuol dire “La città della Pace), dove celebrò nel Cenacolo e sul Calvario la prima Eucaristia, che fu fin dall’inizio chiamata anche “frazione del pane”.
Di conseguenza la frazione del pane eucaristico deve proseguire nello «spezzare il pane» della vita quotidiana, nella disponibilità a condividere quanto si possiede, a donare e così unire.
Nella condivisione del Pane di comunione diventeremo santi, cioè veri e ricolmi di amore.

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