Rito
Romano
Es
16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35
Rito
Ambrosiano
Domenica
X dopo Pentecoste
1Re
7,51-8,14; Sal 28; 2Cor 6,14-7,1; Mt 21,12-16
1)Il
lavoro: dalla carne allo spirito.
Nel
vangelo di domenica scorsa abbiamo visto che la gente seguiva Gesù
non per amore, ma per curiosità di ascoltare cose interessanti e di
vedere dei miracoli. Il Cristo “usa” questa curiosità della
gente, per condurla alla fede. Dunque moltiplica i pani non solo per
sfamare migliaia di persone, ma per farle passare dalle esigenze
istintive del corpo a quelle dello spirito, tracciando il cammino
della fede.
E
cosi nel vangelo di oggi, ascoltiamo il Salvatore che parla per
“saziare con le sue parole le intelligenze di coloro dei
quali ha saziato lo stomaco con i pani” (Agostino, Commento al
Vangelo di Giovanni n. 25): per saziare la fame di orientamento, di
senso, di significato, di pienezza: la fame di Dio.
Non
dimentichiamo infatti che la comunione eucaristica non è solo
comunione con il Corpo di Cristo, ma a tutta la Sua vita divina.
Ma
per avere questa comunione occorre lavorare.
Al
versetto 27, Gesù dice: “Datevi da
fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la
vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il
Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”.
Se dovessimo tradurre alla lettera dal testo greco invece di “datevi
da fare” dovremmo scrivere
“lavorate”.
“Lavorate”,
ci chiede Cristo con chiarezza, ma non per il pane terrestre. Questa
esigenza del corpo è un’evidenza, non c’è bisogno insistervi.
Lui chiede, oggi come allora, di lavorare per il cibo che dura; vale
a dire: Lui attende da noi che, in tutto quello che facciamo, abbiamo
una sola cosa in testa: quella di arrivare alla vita eterna: “Prima
di tutto cercate il Regno di Dio ed il resto vi sarà dato in
sovrappiù” (Mt
6, 33). Il resto lo fa Lui. E’ lui
che si dona tutto a noi.
2)
Istruzioni per il lavoro?
Quello
a cui il Redentore invita, ieri come oggi, è un lavoro da fare,
l’opera di Dio da compiere. Infatti alla gente che gli chiedeva:
«Che
cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose
loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha
mandato» (Gv
6, 28).
A
questo punto sembrerebbe lecito, per non dire doveroso chiedere le
istruzioni per questo lavoro.
Ma
Cristo non risponde, alla domanda sul che fare con un elenco di
regole, di istruzioni per lavorare come Dio comanda. Sarebbe caduto
in quel modo di fare di molti cristiani, che, per essere moderni,
correggono lo stupore dell’incontro con l’evento di Cristo con
delle regole.
La
fede non è un puro e semplice rapporto con le Verità, ma un
inserimento di tutto me stesso nel “fatto di Gesù” il Vivente
(D. Primo Mazzolari, Tempo di
credere, Brescia 1964, p. 117). Fede
non in un fatto di un passato lontano di duemila anni e più, ma
nell’avvenimento di un Presente a cui aderire con energia e
stupore, in cui credere oggi e ogni giorno. Non si tratta di fermare
la storia o di guardarla nel passato: Gesù Cristo è oggi, è in noi
quale “cuore del nostro cuore”
(Maurice Zundel).
“Avere
fede in Gesù Cristo cioè amarLo credendo, unire la fede all’amore,
unirsi a Lui con la fede” (S.
Agostino, Commento al Vangelo di
Giovanni, col 25). Cristo chiede una
fede che opera mediante la carità (Gal
5). Una fede forte e semplice che cresce nella domanda: “Signore,
io credo, ma tu aumenta la mia fede” e nell’incontro, dal quale
tutto deriva come una sorgente d’amore, e nessuno
ha obiezioni ad essere dissetato, vinto dall’intelligenza
dell’amore.
Alla
domanda di credere, allora come oggi, la gente replica a Cristo: “Che
segno ci dai, perché vedendolo noi crediamo?”. Il Redentore
rispose loro: “Vi do il Pane del Cielo, il pane vero che da la vita
vera, eterna”. E all’immediata richiesta; “Dacci questo pane”,
Gesù affermò: “Io sono questo Pane!”. Non solo “Io sono
(Yahwé)”, ma “Io sono il Pane vivente, che dà la vita”. Dio
non solo è, ma è amore che dà la vita.
E’
alla nostra fede che Cristo-Eucaristia si consegna. Facendosi pane
per noi, non solo resta accanto a noi, ma vive in noi. Noi possiamo e
dobbiamo mangiare il suo Corpo, per partecipare al suo Spirito,
incorporati a Lui, per sempre. Ma non dimentichiamo quello che dice
San Agostino: “Non ci si comunica
mai alla Testa se non comunicando anche a tutto il Corpo che è la
Chiesa”.
Che
il Signore ci faccia una cosa sola.
3)
Pane di Vita
Dio
non conosce che un solo modo di offrirsi, di donarsi: lo fa
completamente e senza riserve. Se c’è qualcuno che merita il nome
di “prodigo (che di per sé vuol dire generoso e non sprecone)”
non è chi butta via le ricchezze del padre, sprecando la propria
vita. Dio è il Padre prodigo di misericordia, generossimo datore
della vita e di ogni altro bene.
La
vita che Dio ci dona è la Sua Vita, completamente e per l’eternità.
Non ci resta che vivere eucaristicamente, con riconoscenza questo
dono grandioso, unendo la carità di Dio al nostro lavoro quotidiano
nella lode a Lui e nel perdono tra di noi.
Il
Dio che si è fatto carne, si è fatto solidale con la nostra
miseria. Facendosi pane ci fa solidali con sua Vita. Il Figlio di
Dio, che ha preso un cuore come il nostro, trasforma noi nella sua
carne. “A tutti quelli che lo hanno ricevuto ha dato il potere di
diventare figli di Dio” (Gv
1, 12). Vivere da figli di Dio, vivere nella fede, vivere del Pane di
Vita è un cammino di libertà. E’ vivere riconciliati con se
stessi, riconciliati con gli altri.
Cristo,
Pane di Vita, è un Mistero che continua. La memoria aiuta la fede,
ma più che la memoria è l’incontro con Chi si ferma da noi, nel
nostro cuore, nelle nostre case, nella nostra povertà ed accetta la
poverissima ospitalità del nostro cuore, dilatato dal suo.
Purifichiamo
con la confessione il nostro cuore che Cristo vuole come Chiesa dove
irraggiare la sua presenza di gloria. L’Eucaristia è il Pane di
Vita che trasforma il quotidiano. “L’azione
del mangiare, che facilmente degenera nella banalità se non nella
volgarità, con il Pane eucaristico viene riportata verso il Mistero
… Cristo ferma nel Sacramento il momento religioso della famiglia e
dell’amicizia” (Primo Mazzolari,
Tempo di credere,
Brescia 1964, p. 203).
4)
Pane di comunione.
La
comunione, questo atto del "mangiare", è realmente un
incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare dalla vita di
colui che è il Signore, di colui che è il nostro Creatore e
Redentore. “Scopo della comunione è l'assimilazione della
nostra vita alla sua, la trasformazione e conformazione a colui che è
Amore vivo” (Benedetto XVI). Come Jacopone da Todi
piangiamo “perché l’Amore non è amato”, e riceviamoLo
nell’Eucaristia, il più frequentemente possibile.
Occorre
per questo essere affamati di Cristo, anche se si parte da una pura e
semplice fame corporale come lo esemplifica questo piccolo aneddoto:
“In una povera parrocchia di un Paese dove c’era la carestia
un sacerdote nota che un bambino si è accostato all'eucaristia per
la terza volta nello stesso giorno. Egli chiama il bambino in
disparte e con amore lo esorta: "Gesù si riceve una sola volta
al giorno". Il bambino alza gli occhi un po' colpevoli e un po'
supplicanti verso il prete e dice: "Ma io ho fame".
Il
pane è alimento e medicina e strumento d’amicizia, così Gesù,
Pane di Vita è cibo per la nostra fragilità e medicina di
misericordia e conversazione d’amico. Con S Bernardo di Chiaravalle
riconosciamo e che l’uomo cerca meglio e trova più facilmente Dio
“con la preghiera che con la discussione”. Alla fine, la
figura più vera del teologo e di ogni evangelizzatore rimane quella
dell’apostolo Giovanni, che ha poggiato il suo capo sul cuore del
Maestro. Da uomo a Uomo.
Occorre che il nostro
cuore sia Casa di preghiera purificata da Cristo (si veda il vangelo
ambrosiano di oggi) e diventiamo come i bambini che riconoscono
Cristo, lo lodano e, lodandolo, gli stanno il più vicino possibile.
Cosi comprendiamo che “la vocazione di ciascuno di noi consiste
nell’essere con Gesù, pane spezzato per la vita del mondo”
(Benedetto XVI, Esortazione Ap. Post-Sinod., Sacramentum
Caritatis, n 88, 22 febbraio 2007).
Gesù, il Pane di Vita,
quando nacque a Betlemme (che vuol dire “La casa del Pane”) di
Giuda (che vuol dire “testimonianza”), si lasciò mettere sul
legno di una mangiatoia. Al termine della sua vita terrena, si lasciò
mettere su legno della Croce a Gerusalemme (che vuol dire “La città
della Pace), dove celebrò nel Cenacolo e sul Calvario la prima
Eucaristia, che fu fin dall’inizio chiamata anche “frazione del
pane”.
Di conseguenza la
frazione del pane eucaristico deve proseguire nello «spezzare il
pane» della vita quotidiana, nella disponibilità a condividere
quanto si possiede, a donare e così unire.
Nella condivisione del
Pane di comunione diventeremo santi, cioè veri e ricolmi di amore.
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