venerdì 27 luglio 2012

XVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 29 luglio 2012


Rito Romano
2Re 4,42-44; Sal 144; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15

Rito Ambrosiano
IX Domenica dopo Pentecoste
2Sam 6,12b-22; Sal 131; 1Cor 1,25-31; Mt 8,247-38


1) Il poco dell’uomo ed il tanto di Dio
Nel vangelo della liturgia romana di oggi siamo invitati a contemplare il miracolo per cui Cristo con 5 pani e due pesci sfama la moltitudine di persone, che l’aveva seguito non tanto per i profondi insegnamenti ma soprattutto per i suoi miracoli.
Lui, che quale nuovo e vero Mosé sale sulla montagna e si siede in cattedra, alza gli occhi dagli apostoli verso la folla e la vede affamata di vita. Quindi non c’è che da sfamarli nel corpo e nella mente. Questa gente, e noi pure, vogliamo vivere e Lui dona il pane per vivere ora e per l’eternità, il pane per amare ora e per l’eternità.
Ma per fare il miracolo di saziare la duplice fame, quella corporale e quella spirituale, vuole il contributo dell’uomo.
Con il poco che un giovane uomo gli mette a disposizione, Lui fa tanto, con abbondanza inimmaginabile. Gli basta il poco dell'uomo per dare il tanto del Suo.
Ma che cosa anima il cuore di Gesù quando offre questo pranzo? Nel suo commento al Vangelo di Giovanni, S. Tommaso d’Aquino, offre questa risposta: “Da una parte l’umiltà, dall’altra l’azione di grazie” (Commento a Giovanni, 40).
“L’umiltà –continua l’Aquinate- perché sono pani ricevuti quelli che distribuì”. Certo, al momento di fare il miracolo, Gesù avrebbe potuto nutrire la folla con pane creato da nulla. Ma Lui, che voleva avere bisogno dell’uomo per rifare le forze dell’uomo, moltiplicò pani già esistenti.
Ma, continua S. Tommaso d’Aquino, “l’anima di Cristo è anche nell’azione di grazie: rese grazie per mostrare che tutto quello che condivide lo riceve da un altro, dal Padre”. Così ci insegna che, cominciando un pasto ma anche all’inizio di altri momenti della nostra giornata, dobbiamo ringraziare Dio. Se la nostra vita, la vita nostra quotidiana si fa umile ringraziamento e condivisione, diventeremo santi.
Par fare ciò basta vivere l’offerta come insegna questo racconto circa un bambino: “In una chiesa africana, durante la raccolta dei doni all’Offertorio, gli incaricati passavano con un largo vassoio di vimini, uno di quelli che servono per la raccolta della manioca.
Nell’ultima fila di banchi della chiesa era seduto un ragazzino che guardava con aria pensosa il paniere che passava di fila in fila. Sospirò al pensiero di non avere assolutamente niente da offrire al Signore. Il paniere arrivò davanti a lui. Allora, in mezzo allo stupore di tutti i fedeli, il ragazzino si sedette nel paniere dicendo: ‘La sola cosa che possiedo, la dono in offerta al Signore’”.
2) Il pane non basta, la parola neppure.
Non è una mia provocazione, Gesù stesso ha detto: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Lc 4,4).
Andiamo un po’ più in profondità.
Ci deve stare a cuore la verità di Dio e della nostra vita. Spesso si sente dire: “Non c’è la verità” che è un modo ambiguo per dire; “A noi non importa la verità”. A chi con “certezza” parla così, rispondiamo: “Non lo dite, perché neppur voi riuscite a vivere di solo pane. Del pane ce n'è: qui in Europa, nel cosiddetto Occidente ce n’è fin troppo”. Solgenitsin, dopo la sua liberazione dal gulag (campo di concentramento in russo), fu portato in Occidente e, fra le altre cose, gli fecero visitare un Supermercato. Alla vista di un numero incredibile di prodotti da consumare, lui che per anni era vissuto con pezzi di pane di un solo tipo, esclamò: “Al desiderio di infinito hanno risposto con una infinità di cose”. E’ solo l’infinito di Dio che può saziare il nostro cuore. Come non ricordare la nota frase di S. Agostino: “Il mio cuore è inquieto fin che non riposa in te”. E’ perché c’è poca verità che il pane è come se non ci fosse.
Abbiamo moltiplicato il pane e non moltiplicato la gioia. Abbiamo troppi maestri di menzogna e troppi idoli, nel nome dei quali giuriamo sicut in verbo magistri. «Essi hanno occhi e non vedono: orecchi e non intendono: piedi e non camminano... E tali ci siam fatti ancor noi che confidiamo in essi...». Ma tu, Signore, avrai pietà di noi e ci farai «vedere» la tua Parola” (Don Primo Mazzolari).
Però la parola non ci basta. «Né a noi né a Dio è bastata la Parola. Troppa fame ha l'uomo e Dio ha dovuto dare la sua carne e il suo sangue» (Divo Barsotti). «Ecco il mio corpo», ha detto Gesù, e non, come ci saremmo aspettati: «ecco la mia anima, il mio pensiero, la mia divinità, ecco il meglio di me», semplicemente, poveramente: «ecco il corpo».
Cristo dà il suo corpo, perché vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su di una Persona, assorbendone storia, sentimenti, piaghe, gioie, luce; dà, perché il dare è la legge della vita, unica strada per una felicità che sia di tutti.

3) A scuola del silenzio.
Se la parola e il pane non bastano, occorre mettersi alla scuola del silenzio dell’ostensorio.
Il monaco eremita Laurentius: “Mi fu detto: tutto deve essere accolto senza parole e trattenuto nel silenzio. Allora mi accorsi che forse tutta la mia esistenza sarebbe trascorsa nel rendermi conto di ciò che mi era accaduto. E il Tuo ricordo mi riempie di silenzio”.
Come imitare Cristo? Come seguirlo? Prendendo sul serio l’invito del Redentore: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.” (Mc 8. 34-36 – Vangelo della liturgia ambrosiana di oggi).
La Croce fu il primo ostensorio del Corpo di Cristo. Nel silenzio contempliamolo e saliamo prendiamo questo ostensorio.
La Parola eterna si è incarnata e si è lasciata mettere in Croce, che l’ha spinta al silenzio. Non al silenzio della morte, ma a quello del dono di sé, commosso, umile, misericordioso, totale.
Il silenzio del cuore è ciò che ci permette di essere lucidi, vigilanti ed accoglienti verso noi stessi, verso gli altri e verso Dio.
Nell’Ostia, Dio tace, ma è presente. Quando la nostra preghiera diventa sguardo, quando taciamo, non ci resta che stampare i nostri occhi su questa Presenza immacolata. Questa attenzione d’amore all’amore crocifisso, questo tendere alla Presenza infinita, che dopo essere entrata attraverso le orecchi, attraverso le bocca, entra tramite gli occhi, gli occhi del cuore, fa sì che non ricadiamo su noi stessi.
Il silenzio non è un comando o una disciplina che si impone, il silenzio è Qualcuno che guardiamo, in cui viviamo, Qualcuno che respiriamo e la cui presenza suscita stupore e rispetto” (Maurice Zundel). Cristo è la Verità messa in Croce. Impariamola contemplando il Crocifisso nel silenzio. Conoscendo questa Verità saremo liberi, liberi davvero. In Cristo-Verità la nostra vita diventa una storia di verità e di amore: di gioia condivisa.

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