domenica 22 luglio 2012

XVI Domenica – Anno B – 22 luglio 2012


Rito Romano
Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34

Rito Ambrosiano
VIII Domenica dopo Pentecoste
Gdc 2, 6-17 ; Sal 105; 1Ts 2, 1-2. 4-12; Mc 10, 35-45


1) Il cristiano vuole stare vicino a Cristo, sempre.
Il Vangelo di San Marco proposto dal rito ambrosiano parla di Giacomo e Giovanni, che chiedono di sedere alla destra ed alla sinistra di Cristo nel Suo Regno e della reazione seccata degli altri apostoli. A commento di questo episodio si dice sempre che occorre essere umili, che l’autorità è un servizio, che non si deve cercare di far carriere nella Chiesa, e così via.
Difficile dire su cosa i due “oranti” fondassero la loro richiesta: forse sul loro essere cugini o parenti di Gesù, come tramanda una tradizione antica. Ma è più facile che facessero valere la loro anzianità di chiamati, essendo con Gesù fin dall'inizio, oppure la fedeltà e lo zelo [motivo del loro soprannome “Boanerges= figli del tuono)]. In ogni caso la loro è la frequente, umana pretesa, che emerge in ogni vita comunitaria circa i primi posti o almeno i secondi nella presidenza, quale privilegio acquisito con qualche atteggiamento buono e di pratico servizio.
Ma se leggiamo questo brano del vangelo di due che vogliono stare il più vicino possibile a Gesù, alla luce del vangelo, sempre di Marco, proposto dalla liturgia romana, io proporrei questa sintesi: “Non accontentiamoci di un angolino in Paradiso!”
Gesù purifica la domanda di Giacomo e Giovanni e il disagio degli altri apostoli. Tutti erano stati da Lui chiamati a regnare con Lui. Coglie l’occasione per purificare la loro intenzione di sedere accanto al Re dei re, indicando che la strada per stargli accanto era quella della Croce, come il buon ladrone, che riscattò la sua vita chiedendo di essere con Cristo in Paradiso. Il trono di Cristo è la Croce d’Amore. La sua Croce si innalza come la chiamata più alta ed irresistibile dell’Amore. Stare alla sua destra ed alla sua sinistra, significa condividere con Lui e con il prossimo l’Amore crocifisso, dono di sé commosso. Se non sia scossi dalla Croce non c’è più speranza.
Certo l’umana avventura di Cristo non finisce lì. Guardiamolo sulle ginocchia di Sua madre. L’eterno amore crocifisso ci chiama perché con Mario lo stacchiamo dalla Croce, dopo la morte e lo prendiamo sulle nostre ginocchia, pietosamente. “La nostra vocazione di cristiani è di staccare Gesù dalla Croce affinché sia il Dio Vivente, il Risuscitato” (Maurice Zundel), della cui comunione noi viviamo.

2) Dalla prossimità alla comunione.
E’ quasi banale dirlo, ma non basta la prossimità per avere la comunione, altrimenti basterebbe salire su un autobus o una metropolitana. Non basta neppure essere nella comunità familiare o religiosa che sia. Non basta neppure essere sulla Croce accanto a Cristo. Non dimentichiamo che, oltre al buon ladrone, accanto a Cristo ce n’era un altro che imprecava.
Occorre stare accanto a Cristo come la Madonna, San Giovanni e la Maddalena, che vivevano in comunione tra loro perché Cristo era il loro centro affettivo, anche e soprattutto nel momento della Passione, perché era una vera passione d’amore vero.
La prossimità di cui parla il vangelo “romano” di oggi è meno drammatica di quella che c’era sul Calvario, ma non meno autentica ed istruttiva.
Ai discepoli, che tornano dal loro lavoro apostolico, Gesù rivolge l’invito ad andargli vicino, per potersi riposare, in comunione di mente e di cuore, in un luogo solitario (in greco: eremo) lontano dal brusio del mondo per poter ascoltare la Parola di Dio e in essa trovare conforto.
Infatti le nostre ansie ed affanni non vengono tanto dai problemi spirituali o fisici della vita, ma dall’assenza di Cristo.
Gesù ci chiama a sé, come fece con i suoi apostoli, il nostro abbandonarci a Lui, come fecero gli apostoli, è scegliere definitivamente Lui come dimora.

3) La Comunione: un’unità umana investita dalla Presenza.
Un bellissimo inno della Liturgia della Ore ci fa cantare: “In questo raduno concorde un ospite nuovo s’aggiunga, conforti la debole fede mostrando le piaghe gloriose”.
I discepoli nel Cenacolo era umanamente concordi, erano una umana famiglia, ma quando Cristo risorto entra nel loro rifugio, la loro “famiglia” diventa santa, perché investita dalla presenza del Risorto. Quanto avevano sperimentato in un luogo solitario un po’ di tempo prima, per riposarsi, diventa stabile dimora di unità feconda. L’essere umano non è fatto per ripiegarsi in un cenacolo composto da tanti uomini soli, timorosi della propria notte. La Luce è in lui. E’ capace non di lasciarsi condurre, guidato solamente da punti di riferimento esteriori, come i fari, di notte, in mar, ma di camminare in Cristo e con Cristo, donandosi. In lui la Parola, il Verbo di Vita è presente; anche lui, quindi, è capace di donarsi, di amare.
La dimora-Cristo è un luogo dove riposarsi, perché a Lui ci si può abbandonare (Nelle tue mani affido, Signore, il mio spirito, preghiamo ogni sera a compieta) come un bambino nelle braccia di sua madre, ogni sera.
I discepoli seguendo Gesù nel luogo solitario (eremo) si abbandonarono a Lui, capirono che il modo più alto e vero di stare con Cristo era quello di appartenerGli, “con amorosa fiducia e totale abbandono, e gioia” (M. Teresa di Calcutta).

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