Rito
Romano
Ger
23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34
Rito
Ambrosiano
VIII
Domenica dopo Pentecoste
Gdc
2, 6-17 ; Sal 105; 1Ts 2, 1-2. 4-12; Mc 10, 35-45
1)
Il cristiano vuole stare vicino a Cristo, sempre.
Il
Vangelo di San Marco proposto dal rito ambrosiano parla di Giacomo e
Giovanni, che chiedono di sedere alla destra ed alla sinistra di
Cristo nel Suo Regno e della reazione seccata degli altri apostoli. A
commento di questo episodio si dice sempre che occorre essere umili,
che l’autorità è un servizio, che non si deve cercare di far
carriere nella Chiesa, e così via.
Difficile dire su cosa i
due “oranti” fondassero la loro richiesta: forse sul loro essere
cugini o parenti di Gesù, come tramanda una tradizione antica. Ma è
più facile che facessero valere la loro anzianità di chiamati,
essendo con Gesù fin dall'inizio, oppure la fedeltà e lo zelo
[motivo del loro soprannome “Boanerges= figli del tuono)]. In ogni
caso la loro è la frequente, umana pretesa, che emerge in ogni vita
comunitaria circa i primi posti o almeno i secondi nella presidenza,
quale privilegio acquisito con qualche atteggiamento buono e di
pratico servizio.
Ma
se leggiamo questo brano del vangelo di due che vogliono stare il più
vicino possibile a Gesù, alla luce del vangelo, sempre di Marco,
proposto dalla liturgia romana, io proporrei questa sintesi: “Non
accontentiamoci di un angolino in Paradiso!”
Gesù purifica la domanda di Giacomo e Giovanni e il disagio degli
altri apostoli. Tutti erano stati da Lui chiamati a regnare con Lui.
Coglie l’occasione per purificare la loro intenzione di sedere
accanto al Re dei re, indicando che la strada per stargli accanto era
quella della Croce, come il buon ladrone, che riscattò la sua vita
chiedendo di essere con Cristo in Paradiso. Il trono di Cristo è la
Croce d’Amore. La sua Croce si innalza come la chiamata più alta
ed irresistibile dell’Amore. Stare alla sua destra ed alla sua
sinistra, significa condividere con Lui e con il prossimo l’Amore
crocifisso, dono di sé commosso. Se non sia scossi dalla Croce non
c’è più speranza.
Certo l’umana
avventura di Cristo non finisce lì. Guardiamolo sulle ginocchia di
Sua madre. L’eterno amore crocifisso ci chiama perché con Mario lo
stacchiamo dalla Croce, dopo la morte e lo prendiamo sulle nostre
ginocchia, pietosamente. “La nostra vocazione di cristiani è di
staccare Gesù dalla Croce affinché sia il Dio Vivente, il
Risuscitato” (Maurice Zundel), della cui comunione noi viviamo.
2) Dalla prossimità
alla comunione.
E’ quasi banale dirlo,
ma non basta la prossimità per avere la comunione, altrimenti
basterebbe salire su un autobus o una metropolitana. Non basta
neppure essere nella comunità familiare o religiosa che sia. Non
basta neppure essere sulla Croce accanto a Cristo. Non dimentichiamo
che, oltre al buon ladrone, accanto a Cristo ce n’era un altro che
imprecava.
Occorre stare accanto a
Cristo come la Madonna, San Giovanni e la Maddalena, che vivevano in
comunione tra loro perché Cristo era il loro centro affettivo, anche
e soprattutto nel momento della Passione, perché era una vera
passione d’amore vero.
La prossimità di cui
parla il vangelo “romano” di oggi è meno drammatica di quella
che c’era sul Calvario, ma non meno autentica ed istruttiva.
Ai discepoli, che
tornano dal loro lavoro apostolico, Gesù rivolge l’invito ad
andargli vicino, per potersi riposare, in comunione di mente e di
cuore, in un luogo solitario (in greco: eremo) lontano dal brusio del
mondo per poter ascoltare la Parola di Dio e in essa trovare
conforto.
Infatti le nostre ansie
ed affanni non vengono tanto dai problemi spirituali o fisici della
vita, ma dall’assenza di Cristo.
Gesù ci chiama a sé,
come fece con i suoi apostoli, il nostro abbandonarci a Lui, come
fecero gli apostoli, è scegliere definitivamente Lui come dimora.
3) La Comunione:
un’unità umana investita dalla Presenza.
Un bellissimo inno della
Liturgia della Ore ci fa cantare: “In questo raduno concorde un
ospite nuovo s’aggiunga, conforti la debole fede mostrando le
piaghe gloriose”.
I discepoli nel Cenacolo
era umanamente concordi, erano una umana famiglia, ma quando Cristo
risorto entra nel loro rifugio, la loro “famiglia” diventa santa,
perché investita dalla presenza del Risorto. Quanto avevano
sperimentato in un luogo solitario un po’ di tempo prima, per
riposarsi, diventa stabile dimora di unità feconda. L’essere umano
non è fatto per ripiegarsi in un cenacolo composto da tanti uomini
soli, timorosi della propria notte. La Luce è in lui. E’ capace
non di lasciarsi condurre, guidato solamente da punti di riferimento
esteriori, come i fari, di notte, in mar, ma di camminare in Cristo e
con Cristo, donandosi. In lui la Parola, il Verbo di Vita è
presente; anche lui, quindi, è capace di donarsi, di amare.
La dimora-Cristo è un
luogo dove riposarsi, perché a Lui ci si può abbandonare (Nelle tue
mani affido, Signore, il mio spirito, preghiamo ogni sera a compieta)
come un bambino nelle braccia di sua madre, ogni sera.
I discepoli seguendo
Gesù nel luogo solitario (eremo) si abbandonarono a Lui, capirono
che il modo più alto e vero di stare con Cristo era quello di
appartenerGli, “con amorosa fiducia e totale abbandono, e gioia”
(M. Teresa di Calcutta).
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