lunedì 2 luglio 2012

Domenica – 1° luglio 2012

Rito Romano
XIII domenica del Tempo Ordinario
Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43

Rito Ambrosiano
V Domenica dopo Pentecoste 
Gen 17,1b-16; Sal 104; Rm 4,3-12; Gv 12,35-50



1) La domanda è più forte della morte.
            Nel vangelo “romano” di oggi ci viene spiegato che la domanda, la preghiera di domanda è più forte della morte. Di fatto la bambina Cristo la risuscita perché il papà Giairo, in ginocchio, glielo chiede con insistenza. La preghiera di supplica, che come permette il ritorno alla vita di questa bambina, così ottiene anche che la donna adulta sia guarita da una malattia che le impediva di dare la vita. Questa donna non era morta ma impossibilitata a dare la vita.
            Non è importante che la domanda sia espressa con delle parole o solamente con dei gesti, come è il caso della donna che soffriva di emorragie da 12 anni. L’importante è che i due “oranti” si siano messi in ginocchio davanti a Cristo ed abbiano manifestato la loro apertura di cuore. In effetti servire l’uomo, curare la creatura umana, redimerla è la missione di Cristo, e della Chiesa, perché è, innanzitutto, l’opera, il lavoro del Padre. Dio è un Padre così attento che si fa nostro servitore. Il suo amore onnipotente di Padre e creatore lo conduce a prendersi cura di noi, in tutti gli ambiti, ma anche il vangelo di oggi ci mostra che non lo fa … senza di noi, senza che glielo domandiamo.
            La fede operosa nella domanda salva, libera, vivifica e ci fa dire con convinzione: “Dio mio, tu mi hai creato perché io viva”, e doni la vita che tu mi ha di nuovo donato: “Ti esalterò Signore perché mi hai risollevato” (Ant. Salmo Resp,).
            Il salvatore nostro Cristo Gesù ha vinto la morte
e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo (Cf 2Tm 1,10), cioè la presenza di Cristo che si lascia avvicinare da chi ha un cuore che mendica, che domanda di vivere e di dare la vita.
            Con modalità differenti il centurione e la donna malata pregano. Sono la testimonianza del potere accordato alla preghiera personale. La preghiera è esaudita, sempre. Lo è perché in ogni atteggiamento di vita dell’orante, è percettibile la sua fede, come pure il suo attaccamento al vero Dio, il cui potere infinito è per lui o per lei una certezza. Nel vangelo di oggi, come nella nostra vita di mendicanti di Dio, abbiamo la prova che la preghiera del credente ha il potere di fare accadere nel mondo i miracoli di Dio, in una pienezza che supera ogni aspettativa, ogni umana speranza.

2) Da un mendicante all’Altro.
            E’ vero che la preghiera di noi poveri esseri fragili è potente (San Tommaso d’Aquino la chiamava “Omnipotentia supplex”, l’onnipotenza mendicante), ma non dobbiamo dimenticare che anche Dio si fa mendicante di ciascuno di noi e persino in Croce dice: “Ho sete” di te, di ciascuno di noi. Il Figlio di Dio, il Verbo eterno, che conduceva una vita meravigliosa nel Cielo della S. Trinità ha mendicato una casa creata. E come se non gli bastasse il Cielo e che avesse “bisogno” di uscire da se, di chiamare le sue creature dal nulla, appoggiarsi su di loro, “schiacciarle” con il suo amore e trovare in esse il suo riposo: noi siamo l’acqua che disseta il Cristo, noi siamo la sua dimora, restaurata e, quindi, splendente di amore e di pace.
            Una santa dimora composta da noi, pietre vive, a cui è chiesto di avere  «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5), di vivere la struttura di domanda che siamo, mendicando la Sua presenza, di praticare il nostro essere  dono, mediante la condivisione. Dio è primo riferimento del nostro essere dono. Dio è amore e dono, Dio mendica il nostro amore, con umiltà stupefacente e si manifesta come alleato della nostra libertà.  Gesù manifesta l’amore umile di Dio, che è libero e liberatore e che guarisce il nostro amore.
            Madre Teresa di Calcutta parlava della libertà della povertà, che non è non possedere persone o cose ma rapportarsi ad esse come fa Dio, che è libertà e dono e colma il nostro desiderio di infinito. Questa santa donna era libera, liberata dall’Amore, del quale si è fatta missionaria. Aveva capito bene che Dio mendicava l’amore suo e degli uomini ed ha speso la sua vita per dissetare l’amore di Cristo, che sulla Croce mendica: “Ho sete”.
            Durante gli anni del catechismo, ai bambini spesso si insegnano delle formule astratte o li si intrattiene con “dialoghi” sull’amore, la pace, la natura, Ai grandi si danno insegnamenti teologici astratti, E’ una religione morta. Dio è il Signore del fiore vivo non dei morti pensieri. Come una moneta la cui effigie è consumata a forza di farla circolare, le parole hanno perso il loro valore. Si conosce l’insegnamento religioso su Dio senza coglierne la bellezza indicibile, senza che diventi incontro e riflessione sull’esperienza di tale incontro liberante.
            La vera religione è un grido del cuore, sgorga da un’anima in raccoglimento stupito, che ha saputo ascoltare il Dio vivente che parla al profondo del cuore. San Paolo scriveva ai Corinti: “Vi ho fidanzati a Cristo come una vergine pura” (2 Cor 11,2).
            Se il matrimonio è presentato ai futuri sposi sotto la mera forma del codice canonico e civile, nessuno vorrà abbracciare questo stato di vita. Ebbene, la Religione cristiana, che non è altro che un matrimonio d’Amore, è l’incontro di Dio e dell’anima. La creatura umana entusiasmata d’amore per il suo Creatore, pronuncia il Sì alla preghiera medicante di Dio Onnipotente e questo Sì le apre  le porte della vita, ora e per l’eternità.

3) Occhi del cuore per vedere la realtà.
Il vangelo “ambrosiano” ci aiuta a capire che la fede e l’amore, che Dio mendica da noi, non nascono sì dall’ascolto ma crescono grazia all’incontro con una Realtà vista, vista con gli occhi del cuore.
            Chi guarisce non è un fantasma soggettivo, ma il Dio vivente in persona riconosciuto presente e capace di usare con amore la sua potenza.
            Il cristiano non vive più fondandosi su se stesso, vive interamente della Parola di Dio pronunciata su di lui,
            Nessuno è propriamente un credente cristiano, finché non trova in Gesù di Nazareth, crocifisso e risorto, la ragione e il contenuto del suo credere; finché non accetta di misurare la propria mentalità su quella di Gesù, chiamato il Cristo; finché non ha imparato da Lui a conoscere chi è Dio e chi è l’uomo; finché non ha trovato “logico” costruire la propria vita come “memoria” della sua.
            Nella nostra preghiera, fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, sostiamo in adorazione più spesso davanti all’Eucaristia, per far entrare la nostra vita nell’amore di Dio, che si è abbassato con umiltà per elevarci fino a Lui. Come san Francesco davanti al crocifisso, diciamo anche noi: “Altissimo, glorioso Dio, illumina le tenebre del mio cuore. Dammi una fede retta, speranza certa e carità perfetta, senno e discernimento per compiere la tua vera e santa volontà. Amen” (cfr Preghiera davanti al Crocifisso: FF [276]).

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