venerdì 7 settembre 2012

XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 9 settembre 2012

Rito Romano
Is. 35, 4-7a; Gc. 2, 1-5; Mc 7, 31-37
Miracolo del sordomuto.

Rito Ambrosiano
Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
Is 63,7-17; Sal 79; Eb 3,1-6; Gv 5,37-47
 Fa’ splendere il tuo volto, Signore, e noi saremo salvi.



            1) I fatti parlano.
            Nel Vangelo di oggi ci viene proposto un fatto miracoloso così eloquente che la folla presente al miracolo reagisce con immenso stupore.
            Una meraviglia che nasce da questo episodio particolare: un sordomuto guarito, ma che si fonda sullo stupore suscitato dall’intera attività di insegnamento e di miracoli di Cristo. E’ per tutto ciò che la gente esclama: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti». In queste parole riecheggiano quelle del profeta Isaia (35,3-6) (la prima lettura della messa di oggi): «Dite agli scoraggiati: coraggio, non abbiate paura, ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarvi; si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi, lo zoppo salterà come un cervo e la lingua di muto griderà di gioia».
            Dunque la folla scorge nel miracolo anche il segno che le profezie riguardo al Messia si sono compiute. Gesù è il salvatore atteso. Ma le parole della folla alludono pure al racconto della creazione (cfr Gn 1,31): «Iddio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono». Il miracolo compiuto da Gesù è il segno che sta iniziando una nuova creazione e che l’uomo guarito, rinnovato può di nuovo ascoltare Dio e parlargli. Il Vangelo anche in questo caso ci rivela il cuore di Dio e ci introduce nella sua amicizia.


            2) Guardare per parlare.
            Il racconto della creazione, che si legge nella Genesi, dice che Dio con le sue “mani” creatrici fece l’uomo plasmandolo con dell’argilla e alitando in lui lo spirito. Nel racconto evangelico di oggi ci viene mostrato che Gesù Cristo con le sue “mani” redentrici prende il capo del malato e lo riplasma, donando la vera libertà a quest’uomo prigioniero del silenzio.
            Il brano evangelico di oggi non ci offre semplicemente la cronaca di una guarigione sorprendente. Questo miracolo ci insegna che Gesù in ogni persona, che lo segue, opera il prodigio di sciogliere il groviglio non solo della lingua e dell’udito, ma del cuore e della mente, cosi che l’umanità può uscire dalla prigionia del silenzio, dalla reclusione di una vita chiusa su se stessa, accartocciata come la lingua e le orecchie tappate di un sordomuto.
             Tuttavia non vanno dimenticati i due antefatti di questo fatto miracoloso. Il primo è che dei parenti o amici conducono questo malato da Cristo. Vale a dire la carità o, almeno, la solidarietà umana porta il “materiale” su cui la carità divina può operare. Il secondo è che Gesù porta il sordomuto in disparte e i due dialogano solamente con lo sguardo. Lo sguardo dell’uomo esprime una supplica, quello dell’Uomo-Dio esprime la risposta, che non può essere fraintesa perché è accompagnata dal calore delle mani sante che toccano il viso dell’uomo, con una carezza alle orecchie e alla lingua.
            Ed ecco il fatto prodigioso, Gesù (=Dio salva) pronuncia la parola di redenzione: «Effata», «Apriti», che è finalmente compresa, udita dall’uomo. L’uomo, avendo contemplato la Parola, ne è sanato. Lui può di nuovo dire di sì alla Parola, che lo apre al Creatore ed alle creature. La vita intera è di nuovo percepita nella sua armonia, nella sua sinfonia di gioia, che nasce dall’incontro con la Parola contemplata, udita e condivisa.


            3) Tutti siamo dei sordomuti guariti.
            Il giorno del nostro battesimo, siamo stati portati in Chiesa e Cristo, mediante il prete, ci ha battezzati e messo il dito sulle nostre orecchie e sulle nostre labbra per guarirci, avendoci rigenerati e purificati con l’acqua.
            Da sempre la Chiesa vede nei fatti narrati nel Vangelo di oggi l'immagine del sacramento del Battesimo, che ridona la vita a chi ha perso perfino la percezione di ogni valore. In effetti, il rituale vuole che il sacerdote ripeta nella cerimonia del battesimo quello che Cristo fece nella guarigione del sordomuto: il sacerdote fa un segno di croce sulle labbra e le orecchie del battezzando e dice: "Effata!" (="Apriti!") come lo disse più di duemila anni fa a quel malato impossibilitato a udire ed a parlare.
            Nel Battesimo l'uomo riceve l'udito e la parola dello Spirito, poiché, senza questo sacramento, non può parlare nella preghiera e non può nemmeno ascoltare la divina parola. E’ lo Spirito Santo che passa attraverso quell’“Effata”, allora come oggi.
            La sordità ed il mutismo spirituali sono ben più gravi di quelli materiali. Da queste “malattie spirituali” ci libera il Signore toccandoci («gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua») mediante i santi sacramenti della Chiesa offrendo se stesso, donando se stesso completamente.

4) La vita eterna è già cominciata.
In effetti «la prima cosa dunque che dobbiamo cercare di comprendere è questo magnifico dono che Dio ci ha fatto di se stesso. Se Dio è in noi, e noi siamo in lui, siamo già in Paradiso. Importa poco che siamo nella luce o nelle tenebre, non cambia nulla essenzialmente. Siamo gli stessi sia che viviamo nella fede e sia che viviamo nella visione, perché Dio è con noi e noi siamo con lui» (Divo Barsotti).
Al centro del Vangelo di oggi si profila il messaggio di un Dio che è tutto amore, di una creazione dell’uomo redento che non è il risultato di un atto di magia, ma di una storia di amore tra Dio e l’uomo.
         Il problema della nostra risposta non sta solamente nella coerenza morale, ma nel testimoniare che Cristo è grazia inevitabile, che però non si impone con la forza, si propone con delicatezza. Il Redentore arriva a noi con un tocco di tenerezza che non ferisce né le orecchie, né le labbra, né il cuore: molto semplicemente compie un miracolo, con una carezza.
            A noi non resta che metterci – con il corpo e con il cuore- in ginocchio davanti a Cristo, con la stessa umiltà di Giovanni il Precursore, che non si riteneva degno di legargli neppure i calzari, ma che accettò il martirio violento per testimoniare che l’Amore fa miracoli senza violenza.           Pensavano di uccidere Amore e iniziarono con il decapitarne il testimone, ma l’Amore, che aveva scelto il martirio in croce, ha crocifisso la violenza e, da allora in poi fa splendere su di noi la luce amorosa del suo Volto, salvandoci (cfr antifona ambrosiana di oggi).
            Niente è impossibile al Dio-Amore neppure l’amore per i nemici. Amare i nemici non significa lasciarsi schiacciare e incoraggiare la violenza. Chi prende il Vangelo sul serio non è meno combattivo degli altri. Lo è in modo diverso. Il martire non dimentica che l’altro, per odioso e violento che sia, è costato il sangue di Cristo, martire dell’Amore, che con la sua morte fa sì che le mie, le nostre labbra -non più mute- possano dire Lui, Parola d’amore.

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