Rito
Romano
Sap
2,12.17-20;Sal 53;Gc 3,16-4,3;Mc 9,30-37
La
Croce a servizio dei piccoli
Rito
Ambrosiano
IV
Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
1Re
19,4-8; Sal 33; 1Cor 11,23-26; Gv 6,41-51
Il
pane del Cielo sostiene i piccoli in cammino per servire.
1)
Un dia-logo (parola che va verso l’altro) esigente fra amici.
Per
i suoi discepoli e quindi per noi, Gesù non è solamente un maestro,
è anche un amico. E come amico -nel Vangelo di oggi- il Salvatore si
confida alla sua comunità. In primo luogo rinnova l’annuncio della
sua Passione e l’invito a percorrere il suo stesso cammino verso la
Croce. In secondo luogo dice ai suoi amici che la modalità concreta
per rispondere a questo invito è quella di farsi servitori
dell’uomo, soprattutto dei piccoli da accogliere perché per Dio
sono più importanti dei “grandi” uomini.
I
discepoli allora e noi oggi abbiamo difficoltà a capire queste
parole dell’Amico: «Se
uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di
tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e,
abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini
nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma
colui che mi ha mandato».
Farsi
servo e accogliere i piccoli nel suo nome – i due comportamenti che
Gesù suggerisce alla sua comunità – sono due modi concreti, due
esempi di imitazione del Signore Crocifisso; due modi concreti per
convertire la mente ed il cuore dei discepoli, che non capiscono
queste parole dell’Amico, perché il loro cuore e la loro mente
sono lontani dal cuore e dalla mente del Maestro.
Come
avvicinare il nostro cuore e la nostra mente al cuore e alla mente di
Cristo?
Continuando
il dialogo che Lui ha iniziato con noi e che raggiunse il suo vertice
sulla Croce. Il Figlio di Dio dona la sua vita per l’uomo, per
ristabilire il dialogo tra Lui e l’uomo. “Ciò
prova che il desiderio di Dio era ed è di fare l’uomo un essere di
dialogo, un essere uguale a lui. Per questo Dio sceglie gesti
indelebili: sulla Croce Dio dona da uomo tutta la sua vita di Dio”
(Maurice Zundel)
Il
gesto di mettere i piccoli al centro della comunità, come anche
quello del Figlio di Dio che lava i piedi dell’uomo, sono un
annuncio del gesto finale sulla Croce, per insegnare all’uomo che
può raggiungere la sua vera grandezza solamente nello spossessamento
di sé, cioè nel dono di sé all’altro e all’Altro.
Il
dialogo con Cristo non è un discorso su Dio, è un “vissuto”
nell’amore. Il Verbo di Dio non è un suono che percuote l’aria,
è una Presenza che è e dà la vita vera e duratura: eterna.
2)
Chi mettere al centro?
Nell’episodio
evangelico di oggi Gesù mette al centro un bambino. Dio Padre mette
al centro del cosmo e della storia Cristo, il suo sì all’uomo, noi
dobbiamo fare altrettanto.
Per
mettere veramente Cristo al centro della nostra vita personale e
comunitaria, occorre mettere al centro il bambino Gesù e
accompagnarlo dalla culla di Betlemme alla “culla” del Calvario.
Se non
diventeremo come il Bambino Gesù, non entreremo nel Regno dei Cieli,
se non diventeremo come il “piccolo” uomo messo in Croce, non
avremo parte al suo Regno.
Se saremo
come bambini, rimarremo sorpresi di un Dio che si fa bambino, di un
Dio che, in Cristo, vede e si fa vedere, sente e si fa sentire, tocca
e si fa toccare; che si abbassa alla condizione umana e si serve dei
sensi per farci capire la chiamata all’intimità del suo amore,
alla santità.
Lo stupore
di fronte all’Incarnazione del Verbo spinge a contemplare con
venerazione le azioni, i gesti e le parole di Gesù. Quando lo si fa,
si scopre che nella vita di Cristo tutto, dalla nascita fino alla
morte in Croce, è impregnato di umiltà, perché “pur
essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione
di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e morte di
croce”
(Fil 2, 6-8).
Secondo me
anche il buon ladrone sulla croce è stato sorpreso da quel “piccolo”
uomo che era in croce accanto a lui ma che non subiva la Croce, non
scendeva da essa e la trasformava in uno strumento di salvezza, di
speranza. Per quel criminale fu ovvio allora rivolgersi a Cristo,
dicendo: “Signore, ricordati di me nel tuo regno!”. Che un
crocifisso faccia ad un altro Crocifisso una richiesta del genere e
ne riceva questa risposta: “Oggi sarai con me in Paradiso”, è
una prova stupefacente e sublime dell’efficacia dell’umiltà
divina.
Se Gesù
fosse oggi nella nostra comunità familiare, parrocchiale, monastica,
associativa, chi metterebbe al centro? Un bambino, un piccolo, un
povero, risponderemmo noi.
No,
metterebbe se stesso, o meglio il suo Corpo Eucaristico, chiedendoci
di adorarlo e di prenderlo come cibo per il nostro cammino di
piccoli, di mendicanti che chiedono la vita corporale e spirituale (A
questo riguardo si veda la liturgia ambrosiana di oggi)
3)
Come mettere al centro Cristo?
Vivendo
ciascuno di noi l’umiltà di Betlemme e della morte in Croce. In
effetti, Gesù non vive solo a Betlemme e non solo a Gerusalemme, ma
anche nelle case di ciascuno di noi quando umilmente viviamo come Lui
ha vissuto in Terra Santa con una umiltà tale da accettare la culla
di Betlemme e la "culla" (=la Croce) di Gerusalemme.
Una umiltà
che diventa carità. Cristo la Parola di carità vera che umilmente
si è fatto carne ci chiede di metterci in ginocchio davanti a Lui,
presente nell’Ostia consacrata, umiliandoci per amore servendo il
prossimo per rendere gloria a Dio. “Riconoscimento
della propria miseria che si apre alla ricca Presenza di un Altro e
lo riconosce e ne gode, cioè diventa amore”
(Luigi Giussani).
Mi piace
infine ricordare la vocazione di umiltà come è vissuta nell’Ordo
Virginum, in cui l’umiltà verginale diventa missione nella vita di
ogni giorno, al lavoro come in casa. La
maternità
spirituale a cui queste donne sono chiamate si identifica con l’umile
ed obbediente assunzione della maternità della Chiesa.
Il Rito
dell’Ordo Virginum indica bene che la donna, che si consacra in
questa strada, è invitata ad un’obbedienza che nasce dalla fede,
ad una speranza che nasce dalla vita vissuta poveramente, ad un
permanere nell’umiltà. Mediante tale permanere queste consacrate
sono chiamate a testimoniare come l’umiltà verginale diventa
missione nella vita di ogni giorno, al lavoro come nella preghiera
nascosta nella casa dove vivono con semplicità.
Questo
ideale deve essere l’ideale pregato, domandato, richiesto,
mendicato ogni giorno non solo da chi ha fatto i voti religiosi, ma
da tutti i fedeli laici.
Infatti
anche chi vive una vita “secolare” in famiglia può e deve avere
come regola la familiarità con la presenza di Cristo. Presenza che
costituì la regola di vita della Santa Famiglia e, quindi, può e
deve essere la regola di ogni famiglia cristiana. Non dimentichiamo
che la Famiglia di Nazareth era composta da un falegname, una
casalinga ed un bambino, segno che sin dall’inizio il cristianesimo
è umiltà e dolcezza.
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