venerdì 30 marzo 2018

Pasqua: giorno in cui una tomba diventa una culla.


Rito Romano – Domenica di Pasqua – Anno B – 1° aprile 2018

At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9



Rito Ambrosiano
At 1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore




1) La Risurrezione di Cristo è un fatto storico e un dato (dogma) di fede.
La risurrezione è un dogma della fede cristiana, che si innesta in un fatto storicamente avvenuto e costatato. Oggi, giorno di Pasqua, siamo chiamati riflettere “con le ginocchia della mente inchinate” il mistero enunciato dal dogma, racchiuso nel fatto storico e celebrato nella liturgia.
La verità della resurrezione è documentata dal Nuovo Testamento, è creduta e vissuta come centrale dalle prime comunità cristiane, è trasmessa come fondamentale dalla Tradizione e continua ad essere approfondita, studiata e predicata come parte essenziale del mistero pasquale.
Le mie riflessioni si mettono su questo solco che ci offre la Chiesa, ma mi limiterò al brano del vangelo odierno, in cui San Giovanni racconta: “Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti” (Gv 20,1-9).
Come si può notare, questo racconto si sviluppa attorno al “sepolcro vuoto”. La tomba senza il corpo di Cristo non è sufficiente a “dimostrare” la sua resurrezione. Il sepolcro vuoto con pietra d’ingresso tolta e i teli che hanno avvolto Gesù, disposti in modo ordinato se non sono una “prova” della resurrezione, sono però “segni” per chi sa leggerli correttamente, mettendosi in ginocchio con il cuore.
In questa “lettura” orante del testo evangelico di oggi ci è utile esaminare le reazioni delle persone che per prime andarono a vedere la tomba vuota: Maria Maddalena, Pietro e l’ “altro discepolo”, che è poi lo stesso Giovanni, il “Discepolo che Gesù amava”.
Quando Giovanni dopo Pietro entrò nella tomba “vide e credette” che il sepolcro scavato per la morte era diventato la nostra culla per una Vita nuova, poiché colui che ha trionfato sulla morte è il primogenito tra i morti (Ap 1,5). Ed oggi è la Pasqua, il passaggio, la liberazione, per Gesù e per tutti i suoi fratelli. Seguendo la strada che Lui ci ha tracciata, verrà il giorno in cui anche per noi la morte, che distrugge ogni cosa, che è la nostra nemica per eccellenza, sarà annientata dal regno dell'immortalità (cfr. 1Cor 15,26).


2) Un tomba che diventa una culla
Va notato che Pietro entra nella tomba e “osserva” tele e sudario piegati accuratamente. Il testo greco del Vangelo usa il verbo “theoréin”, che dice più del semplice vedere fisico: significa infatti “scrutare attentamente” ed implica uno sguardo attento, riflessivo, interrogante. Infatti dal passo parallelo di Luca (24,12) veniamo a sapere che Pietro era "pieno di stupore" per l'accaduto, di cui è il testimone più autorevole. Per il suo “vedere” Giovanni usa il verbo greco “eidein”, il perfetto di “horào”, che significa guardare, percepire, prendere conoscenza; nel linguaggio biblico del N.T. il verbo indica anche la visione spirituale.
Giovanni dice che “vide e credette”. Perché? Che cosa “vide” e che cosa “credette”?
A differenza di Pietro, Giovanni era rimasto con Gesù fino alla fine, aveva assistito alla sua sepoltura e ora, chinatosi sul sepolcro, vede che bende e sudario sono esattamente nella posizione in cui si trovava il cadavere e collocate in modo che escludeva qualsiasi manomissione.
Ricordiamo che per l'evangelista Giovanni “vedere” (“horào”) è anche un prendere coscienza di un evento della rivelazione. Il discepolo prediletto dunque “vide”, in modo più profondo di Pietro. In questo “vedere” gli fu di aiuto - come ho poco sopra accennato - la sua precedente esperienza di essere stato fra quelli che avevano portato Cristo al sepolcro.
Ma soprattutto fu l’amore per Gesù di cui il “discepolo amato” era penetrato, che lasciò passare in lui la luce: le fasce, afflosciate su se stesse ma ancora avvolte, e il sudario in quella strana posizione, erano il segno, che Gesù era uscito vivo dal sepolcro, sottraendosi in maniera misteriosa ai panni che Lo avvolgevano. Giovanni coglie dunque nella disposizione delle bende e del sudario un rinvio. Non vide il Risorto, ma le sue tracce. Ma il guardare con amore fece sì che queste tracce gli bastassero per credere.
Anche Maria Maddalena grazie all’amore andò al sepolcro, lo vide scoperchiato e vuoto, andò a dirlo a Pietro ma poi vi torno e nel giardino incontrò il Signore risorto.
Ma procediamo con ordine. Giunta al sepolcro per imbalsamare il corpo del Maestro, Maria vede (in greco “blépei”) la pietra tolta, ribaltata via. Il suo vedere è espresso con “blépo”, un verbo greco che indica il vedere fisico, il semplice scorgere con gli occhi, la percezione materiale. Da questa percezione deriva alla donna una conclusione puramente umana: il cadavere non c'è più, quindi è stato rubato, portato via. Di qui il suo dolore, anzi la sua angoscia, perché le è stata sottratta - forse per sempre - l'unica reliquia che le era rimasta del suo amato Maestro.
Ella avverte di ciò Pietro e Giovanni, i due maggiori esponenti della comunità cristiana primitiva e anch'essi vanno subito, e di corsa, al sepolcro.
Dopo il ritorno dei due Apostoli, la Maddalena non ha potuto resistere al desiderio di visitare nuovamente la tomba del Maestro. Il pensiero che quel corpo sparito possa giacere senza onore e senza sepoltura, tormenta la sua anima ardente e sconvolta. Da sola ritorna al sepolcro. Là, nel suo inconsolabile dolore, piange.
Improvvisamente si trova di fronte ad un uomo, e quest'uomo è Gesù. Maddalena non lo riconosce: sta cercando il corpo morto del suo Maestro e vuole seppellirlo di nuovo. L'amore la guida, ma la fede non rischiara ancora quell'amore; non si accorge che colui del quale cerca le spoglie inanimate è là, vivente, presso di lei.
Gesù, nella sua ineffabile condiscendenza, si degna di farle sentire la sua voce: “Donna - le dice - perché piangi? Cosa cerchi?”. Maddalena non riconosce neppure questa voce. Il suo cuore è come intormentito da una eccessiva e cieca sensibilità. Il suo spirito non riconosce ancora Gesù, che finalmente la chiama per nome: “Maria!”. “Maestro”, risponde lei che vuole baciargli i piedi come quando, lavandoli con prezioso profumo e lacrime, ricevette il perdono delle sue colpe. Ma Gesù la ferma; non è ancora venuto il momento di abbandonarsi alle espansioni di gioia. Prima deve andare ad annunciare agli Apostoli ciò che ella ha visto e ciò che ha udito in quel giardino: Chi ha incontrato, il Cristo risorto. È lei che sarà, come dicono i Santi Dottori, l'Apostola degli Apostoli. Gesù le dice: “Va' dai miei fratelli e di' loro che io ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Facciamo anche noi così.
“Un seno vergine trovato pieno e una tomba piena trovata vuota costituiscono uno stesso segno” (K. Barth). L'ingresso come l'uscita del Figlio di Dio dalla vita e dal mondo restano avvolte nel mistero. Ma è un mistero d’Amore. Se con la Pasqua ci convertiremo a questo Amore la nostra vita quotidiana ne sarà un riflesso che darà luce e calore a tutti.
La gioia della Pasqua ci spinga a portare a tutti l’annuncio che Cristo è risorto per la salvezza del mondo intero. Nel Suo nome rechiamo a tutti l’annuncio della conversione e del perdono dei peccati, soprattutto mediante la testimonianza di una vita convertita e perdonata.
Dobbiamo essere testimoni della misericordia di Dio. Non c’è Pasqua nel nostro cuore e nella nostra vita se non siamo in pace con Dio, con noi stessi, con gli altri, con il mondo intero.
La Pasqua inizia da questa conversione del cuore alla misericordia. Nell’anno santo della misericordia Papa Francesco ci ha invitato a sforzarci nel vivere concretamente questa dimensione della risurrezione di Cristo che è la misericordia, avere, cioè, un cuore aperto al perdono.
Questa testimonianza di Cristo risorto e misericordioso possiamo darla se siamo “rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24, 49), cioè della forza interiore dello Spirito del Risorto. “Per riceverla occorre, come disse Gesù ai discepoli, non allontanarsi da Gerusalemme, rimanere nella ‘città’ dove si è consumato il mistero della salvezza, il supremo Atto d’amore di Dio per l’umanità. Per i cristiani, cittadini del mondo, restare in Gerusalemme può vuol dire rimanere nella Chiesa, la ‘città di Dio per gli uomini’” (Benedetto XVI).


Lettura Patristica
San Gregorio Magno (540 – 604)
Hom. 26, 10-11


La festa degli uomini e la festa eterna

       Ecco, noi stiamo celebrando le feste pasquali; ma dobbiamo vivere in modo tale da meritare di giungere alla festa eterna. Passano tutte le feste che si celebrano nel tempo. Cercate, voi che siete presenti a queste solennità, di non essere esclusi dalla solennità eterna. Cosa giova partecipare alle feste degli uomini, se poi si è costretti ad essere assenti dalle feste degli angeli? La presente solennità è solo un’ombra di quella futura. Noi celebriamo questa una volta l’anno per giungere a quella che non è d’una volta l’anno, ma perpetua. Quando, al tempo stabilito, noi celebriamo questa, la nostra memoria si risveglia al desiderio dell’altra. Con la partecipazione, dunque, alle gioie temporali, l’anima si scaldi e si accenda verso le gioie eterne, affinché goda in patria quella vera letizia che, nel cammino terreno, considera nell’ombra del gaudio. Perciò, fratelli, riordinate la vostra vita e i vostri costumi. Pensate come verrà severo, al giudizio, colui che mite risuscitò da morte. Certamente nel terribile giorno dell’esame finale egli apparirà con gli angeli, gli arcangeli, i troni, le dominazioni, i principati e le potestà, allorché i cieli e la terra andranno in fiamme e tutti gli elementi saranno sconvolti dal terrore in ossequio a lui. Abbiate davanti agli occhi questo giudice così tremendo; temete questo giudice che sta per venire, affinché, quando giungerà, lo possiate guardare non tremanti ma sicuri. Egli infatti dev’essere temuto per non suscitare paura. Il terrore che ispira ci eserciti nelle buone opere, il timore di lui freni la nostra vita dall’iniquità. Credetemi, fratelli: più ci affannerà ora la vista delle nostre colpe, più saremo sicuri un giorno alla sua presenza.

       Certamente, se qualcuno di voi dovesse comparire in giudizio dinanzi a me domani insieme al suo avversario, passerebbe tutta la notte insonne, pensando con animo inquieto a cosa gli potrebbe essere detto, a come controbattere, verrebbe assalito da un forte timore di trovarmi severo, avrebbe paura di apparirmi colpevole. Ma chi sono io? o cosa sono io? Io, tra non molto, dopo essere stato un uomo, diventerò un verme, e dopo ancora, polvere. Se dunque con tanta ansia si teme il giudizio della polvere, con quale attenzione si dovrà pensare, e con quale timore si dovrà prevedere il giudizio di una così grande maestà?

Nessun commento:

Posta un commento