venerdì 23 marzo 2018

Domenica delle Palme: liturgia di passione


Rito Romano – Domenica delle Palme e della Passione del Signore - Anno B – 25 marzo 2018

Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47



Rito Ambrosiano

Is 52, 13-53,12; Sal 87; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11

Settimana Autentica  - Domenica delle Palme nella Passione del Signore
1) Dal legno delle palme a quello della Croce.
Oggi inizia la passione d’amore di Gesù Cristo, nostro Salvatore. I riti della Domenica delle Palme ci invitano a partecipare alla gioia del popolo ebreo, che assiste all’entrata solenne e festosa di Gesù in Gerusalemme:
  • le palme che la gente agita in segno di vittoria,
  • i mantelli stesi a terra per onorare il Messia che entra sul dorso di un asino,
  • i festosi osanna dei bambini e del popolo,
  • la trionfale processione che acclama Cristo Gesù, Re dei re e Signore dei signori.
Viene spontaneo immedesimarsi in quella folla festosa, unirsi a quei canti, partecipare a quel trionfo.
L’esaltazione della festa, purtroppo, dura pochissimo e si trasforma rapidissimamente in umiliazione e morte. Per passare dalla gioia di questo trionfo delle palme a quella della resurrezione, Cristo deve passare attraverso la dura esperienza della passione, della croce e della morte. E’ un percorso difficilissimo da comprendere umanamente e nella seconda lettura della Messa di oggi parla così di questo misterioso percorso: “Cristo Gesù,  pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio  l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo,  umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2, 6-8)
Nell’austera liturgia del Venerdì Santo riascolteremo queste parole, che così proseguono: “Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (ivi 2, 9-11). 
L’abbassamento e l’esaltazione: ecco la chiave per comprendere il mistero pasquale; ecco la chiave per penetrare lo stupefacente disegno di Dio, che si compie negli eventi della Pasqua.
La regalità di Cristo si esprime in questo abbassamento, in questa totale spogliazione, nel farsi servo e schiavo in una profondissima e completa umiliazione.
In effetti la lettura della Passione di Cristo mette davanti ai nostri occhi le scene terribili della passione di Gesù: la sua sofferenza fisica e morale, il bacio di Giuda, l'abbandono da parte dei discepoli, il processo davanti a Pilato, gli insulti e gli scherni, la condanna, la via dolorosa, la crocifissione. Infine, la sofferenza più misteriosa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Un forte grido, e poi la morte.
Perché tutto questo? L’inizio della preghiera eucaristica ci dà la risposta: “Egli, che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi a un'ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci acquistò la salvezza” (Prefazio).
Ecco perché la nostra celebrazione eucaristica (=riconoscente) dice riconoscenza e amore a Colui che si è sacrificato per noi, al Servo di Dio che, come aveva detto il profeta, non ha opposto resistenza, non si è tirato indietro, ha presentato il dorso ai flagellatori, non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi (cfr Is 50, 4-7).
Da una parte tutta la storia (quella dell’umanità, quella della Chiesa e quella di ognuno di noi) è segnata definitivamente dalla passione di amore che il Figlio di Dio ha patito ed offerto per noi. Dall’altra, siamo chiamati a proclamare anche la gloria di Dio Padre e la sua infinita misericordia. Immersi nella morte e nella croce, attratti dal Crocifisso, possiamo essere veramente partecipi
  • della sua gloriosa risurrezione, che ha sconfitto il potere della morte e ci dona la vita per sempre;
  • della sua regalità, che usa il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, e accendere la speranza nel buio più fitto; e
  • del suo sacerdozio, che lo fa stare davanti al Padre a braccia aperte per servirlo nella lode e servire il suo amore agli uomini.

2) L’appassionata offerta di Cristo.
Credo che sia corretto affermare che, per l’evangelista Marco, il filo conduttore (fil rouge) del racconto della passione, che si legge oggi, è la preghiera di Gesù al Padre. E’ una preghiera che esprime una sorta di lacerazione interiore, ma, al di là di tutto, c’è un punto fermo: la consapevolezza del proprio rapporto filiale con Dio: “Abbà”, papà. È una consapevolezza che non viene mai meno neppure nella prova. Ed è proprio qui che nasce l'implorazione: “Tutto è possibile a te. Allontana da me questo calice”. Se Dio è Padre e può tutto, perché non sottrae alla prova? È questa la domanda spontanea dell'uomo, anche dell’uomo-Gesù. Ma dopo l'implorazione, ecco la fiducia rinnovata, l'abbandono senza riserve: “Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”. E se all’inizio dell’episodio di Gesù nell’orto degli ulivi ci viene descritto un Gesù angosciato e impaurito, alla fine - dopo la preghiera - ci viene descritto un Gesù che ha ritrovato la serenità e la fermezza: “Alzatevi, andiamo, colui che mi tradisce è vicino”. Il Padre non ha sottratto Gesù alla Croce, ma lo ha aiutato a stendervisi sopra e portare frutti di vita eterna.
E’ l’amore del Padre che manda il Figlio in Croce. Lui offre suo Figlio per la salvezza del mondo. Nello stesso tempo è l’amore del Figlio il quale non “giudica” il mondo, ma sacrifica se stesso per l’amore verso il Padre e per la salvezza del mondo. Dando se stesso al Padre per mezzo del sacrificio della croce, Gesù offre - allo stesso tempo - se stesso al mondo: ad ogni singola persona e all’umanità intera, bisognosa di misericordia.
Termino queste riflessioni sulla domenica delle Palme, invitando a viverla nella lode, come hanno fatto coloro che hanno accolto Gesù a Gerusalemme con i loro “osanna”, e nel ringraziamento, perché nella Settimana Santa e grande, il nostro Signore e fratello Gesù rinnoverà il dono più grande che si possa immaginare: ci donerà la sua vita, il suo corpo e il suo sangue, il suo amore.
Rispondiamo a questo dono così grande prendendo esempio dalla Vergini Consacrate, cioè donando noi stessi, il nostro tempo, la nostra preghiera, il nostro stare in comunione profonda d’amore con Cristo che soffre, muore e risorge per noi. Davanti a Cristo stendiamo la la nostra vita, le nostre persone, in atteggiamento di gratitudine e di adorazione come le vergini nel giorno della loro consacrazione. In questo modo imiteremo anche la gente di Gerusalemme che stese i suoi mantelli al Messia che passava in mezzo a loro, accogliendo l’invito sant’Andrea, Vescovo di Creta: “Stendiamo umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso ... e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese ... per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele”(PG 97, 994).



Lettura patristica
Santa Caterina di Siena (1347 – 1380)
Lettera 260
Ai prigionieri, il giorno del Giovedì Santo, 1377



Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi bagnati per santo desiderio nel sangue di Cristo crocifisso.

Ponetevelo per obbietto dinanzi all'occhio de lo 'ntelletto vostro, e facendo così acquistarete una pazienzia vera, però che 'l sangue di Cristo ci rapresenta le nostre iniquità, e rapresentaci la infinita misericordia e carità di Dio: la quale ripresentazione ci fa venire in odio e in dispiacimento e' difetti e peccati nostri, e facci venire in amore le virtù.

E se voi mi domandaste, carissimi figliuoli, perché nel sangue si vegono più e' nostri difetti, e la misericordia sua, rispondovi: perché la morte del Figliuolo di Dio fu data a lui per li peccati nostri. El peccato fu cagione della morte di Cristo, ché 'l Figliuolo di Dio non avea bisogno per via di croce intrare nella gloria sua, ché in lui non era veleno di peccato, e vita eterna era sua. Ma noi miserabili avendola perduta per li peccati nostri, era caduta grandissima guerra fra noi e Dio. L'uomo era infermo ed era indebilito, ribellando al suo Creatore, e non potea pigliare l'amara medicina che seguitava la colpa comessa; fu di bisogno dunque che Dio ci donasse el Verbo de l'unigenito suo Figliuolo. E così per la sua inestimabile carità fece unire la natura divina con la natura umana; lo infinito si unì colla nostra miserabile carne finita.

Egli viene come medico infermo, e cavaliere nostro. Medico, dico, ché col sangue suo à sanato le nostre iniquità, e àcci dato la carne in cibo, e 'l sangue in beveragio (Jn 6,55). Questo sangue è di tanta dolcezza e soavità, e di sì grande fortezza, che ogni infermità sana - e dalla morte viene a la vita -; egli tolle la tenebre, e dona la luce. Perché 'l peccato mortale fa cadere l'anima in tutti questi inconvenienti: el peccato ci tolle la grazia, tolleci la vita e dacci la morte; egli offusca el lume de lo 'ntelletto, e fallo servo e schiavo del dimonio; tollegli la vera sicurtà, e dagli el disordinato timore, perché 'l peccato sempre teme. Egli à perduta la signoria, colui che si lassa signoregiare al peccato.

Oimé, oimé, quanti sonno e' mali che ne seguitano! Quante sonno le tribulazioni, l'angosce e le fadighe che ci son permesse da Dio solo per lo peccato! Tutti questi difetti e questi mali sonno spenti nel sangue di Cristo crocifisso, perché nel sangue si lava l'anima delle immondizie sue, riducendosi alla santa confessione. Nel sangue s'acquista la pazienzia, ché, considerando l'offese che abiamo fatte a Dio, e il rimedio ch'egli à posto per darci la vita de la grazia, veniamo a vera pazienzia. Sì che bene è vero ch'egli è medico, ché ci à donato el sangue per medicina.

Dico ch'egli è infermo, cioè ch'egli à presa la nostra infermità, prendendo la nostra mortalità e carne mortale; e sopra essa carne del dolcissimo corpo suo à puniti e' difetti nostri. Egli à fatto come fa la balia che notrica el fanciullo, che, quando egli è infermo, piglia la medicina per lui; perché 'l fanciullo è piccolo e debile, non potrebbe pigliare l'amaritudine, perché non si notrica altro che di latte. O dolcissimo amore Gesù, tu se' balia che ài presa l'amara medicina, sostenendo pene, obrobi, strazii, villanie; legato (Mt 27,2 Mc 15,1 Jn 18,12), battuto (Mt 26,67 Mc 14,65 Lc 22,63) e fragellato (Mt 27,26 Mc 15,15 Jn 19,1) alla colonna, confitto e chiavellato in croce (Mt 27,35 Mc 15,24 Lc 23,33 Jn 19,18); satollato di scherni e d'obrobi (Mt 27,39-41 Mc 15,29-31 Lc 23,35-36); afflitto e consumato di sete (Jn 19,28) senza veruno refrigerio - e gli è dato aceto (Mt 27,48 Mc 15,36 Lc 23,36 Jn 19,29) mescolato con fèle, con grandissimo rimproverio -: ed egli con pazienzia porta, pregando per coloro che 'l crocifigono.

O amore inestimabile, non tanto che tu preghi per quelli che ti crocifigono, ma tu gli scusi dicendo: «Padre, perdona a costoro che non sanno che si fanno» (Lc 23,34). O pazienzia che eccedi ogni pazienzia! Or chi fu mai colui che, essendo percosso, battuto, e schernito e morto, egli perdoni e prieghi per coloro che l'offendono? Tu solo se' colui, Signore mio. Bene è vero dunque che tu ài presa l'amara medicina per noi fanciulli debili e infermi; e con la tua morte ci dai la vita, e con l'amaritudine ci dai la dolcezza. Tu ci tieni al petto come balia, e ài dato a noi el latte della divina grazia, e per te ài tolto l'amaritudine; e così riceviamo perfetta sanità. Sì che vedete ch'egli è infermato per noi.

Dico ch'egl'è cavaliere: venuto in questo campo della bataglia à combatuto e vénto le dimonia. Dice santo Agustino: «Con la mano disarmata questo nostro cavaliere à sconfitti e' nimici nostri, salendo a cavallo in sul legno della santissima croce». La corona delle spine gli fu l'elmo; la carne fragellata l'osbergo; le mani chiavellate e' guanti della piastra; la lancia per lo costato fu quello coltello che tagliò e ricise la morte da l'uomo; e' piei confitti sonno li speroni. Vedete come dolcemente è armato questo nostro cavaliere! Bene el dobiamo seguitare, e confortarci in ogni nostra aversità e tribulazione. E però vi dissi io che 'l sangue di Cristo ci manifesta e' peccati nostri, e mostraci el rimedio e l'abondanzia della divina misericordia, la quale abiamo ricevuta nel sangue suo.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, ché in altro modo non potremo participare la grazia sua, né avere il fine per lo quale fumo creati; né portareste pazientemente le vostre tribulazioni, però che nella memoria del sangue ogni amara cosa diventa dolce, e ogni gran peso legiero. Altro non vi dico, per lo poco tempo che ò.

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