Rito
Romano – V Domenica di Quaresima - Anno B – 18 marzo 2018
Ger
31,31-34; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33
Rito
Ambrosiano
Dt 6,4a;26,5-11; Sal 104; Ef 5,15-20; Gv 11,1-53
Domenica
di Lazzaro – V di Quaresima
1)
Vedere Cristo, chicco di grano.
Nei
pochi giorni che ci separano dalla Pasqua, in cui “vedremo” il
Risorto, continuiamo nei gesti che la Chiesa consiglia per la
Quaresima, vale a dire la preghiera, il digiuno e l’elemosina
(=misericordia). “Il digiuno è l’anima della preghiera e la
misericordia è la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non
riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha
tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi
digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere
esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto
verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica”
(San Pietro Crisologo).
In
questo modo anche noi saremo capaci di essere umilmente e veramente
“chicchi di grano”. Questo dono di sé permette di vedere il
Messia, perché Lui manifesta Dio sulla Croce. Infatti alla domanda
dei Greci (cioè dei non Ebrei) che vogliono vedere Gesù, Lui
risponde indirettamente, dicendo dov’è che Lo si vede. Lo si vede
nella sua gloria. E la sua gloria consiste nell’essere innalzato
sulla Croce, lì è il luogo dove si vede il Signore. L'accento
non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma
il molto frutto buono.
Cristo
mostra Dio in Croce, dove è salito a causa del Suo amore per noi. Il
Figlio di Dio si stacca dalla sua vita terrena, perché noi riceviamo
la Vita celeste. Gesù non solo dice di essere come un chicco di
grano che muore per dare la vita, Lui distende le Sue braccia sulla
croce. Con le mani inchiodate e, quindi, aperte per sempre in un
eterno abbraccio Cristo accoglie tutti noi, poveri peccatori pentiti,
e ci dà la vera vita piena di una gioia che non finisce mai. Questa
gioia nasce dal sapere di essere amati da un Dio
che
si è fatto uomo,
che
ha dato la sua vita per noi e
che
ha sconfitto il male e la morte.
Questa
gioia è vivere di amore per lui. Santa Teresa di Gesù Bambino
scriveva: “Gesù, è amarti la mia gioia!” (P 45, 21 gennaio
1897, Op. Compl., pag. 708). E Santa M. Teresa di Calcutta, facendo
eco alle parole di Gesù: “Si è più beati nel dare che nel
ricevere!” (At 20,35), diceva: “La gioia è una rete d’amore
per catturare le anime. Dio ama chi dona con gioia. E chi dona con
gioia dona di più” e produce molto frutto.
Questo
frutto è il risultato del sì di Cristo al“l’ora” in cui Lui,
il Figlio dell’uomo, viene glorificato. Per l’evangelista San
Giovanni “l’ora” è il tempo stabilito dal Padre per darci la
salvezza. Poiché questa salvezza ci è donata da Cristo con
l’offerta totale della Sua vita sulla croce, dopo aver parlato
della sua “ora” che è venuta, il Messia aggiunge: “Se il
chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece
muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi
odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita
eterna” (Gv 12,24-25).
L’“ora” della glorificazione di Cristo, cioè del suo
innalzamento sulla croce, è il momento in cui Lui si offre come
chicco di grano per essere “seminato nel cielo” per portare
frutti celesti.
Il
chicco “seminato per terra” produce frutti terrestri. Questa
seminagione capovolge davvero tutto il senso del nostro vivere: “Chi
ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo
mondo, la conserverà per la vita eterna” (ibid.). Cristo è
venuto, perché abbiamo la vita, ma per avere la vita – al
contrario di quanto noi pensiamo e facciamo ogni giorno – è
necessario metterla a disposizione di Dio, farne dono a Dio perché
Lui la doni agli altri. La croce è questo donarci. Come Dio che si
dona interamente a noi, in Cristo, sulla Croce e dalla Croce.
2)
La Croce è il luogo dove Cristo fa vedere Dio.
Se
come i greci, di cui parla il Vangelo di oggi, vogliamo davvero
vedere Gesù, guardiamo quest’Uomo in Croce, dove Lui manifesta la
sua gloria. Certo occorre avere occhi puri e cuore terso per “vedere”
la gloria di Dio in Cristo che muore. La gloria di Gesù consiste
nell’essere innalzato sulla Croce, lì è il luogo dove si vede il
Signore. Dove possiamo vedere Dio? Sulla Croce. La sua gloria, dice
il Messia, è quella del chicco di frumento. La gloria di un seme è
il suo frutto, lui porta frutto proprio morendo in Croce.
Se
è vero che la gloria è la pienezza di luce, di bellezza di Dio che
si rivela nella bellezza del creato e delle creature sante, è
altrettanto vero che l’ “ora” della Croce è il momento, in cui
Dio si rivela nella gloria del Figlio dell’uomo. E Gesù la spiega
attraverso la metafora del chicco.
Qual
è la gloria del chicco di frumento? Di per sé, un chicco di grano è
poco glorioso: non è che un grano di frumento, che non è neppure in
grado di saziare la fame di una persona. Ma se il chicco di frumento
cade nella terra e muore, porta molto frutto. La gloria del seme è
portare vita e frutto. Gesù insegna che la sua gloria è la Croce,
perché attraverso di essa, Lui darà la vita. In quest’Ora Lui dà
la vita al Padre, consegnandosi a Lui come Agnello immolato, e dà la
vita a noi trasformando la croce da strumento di morte a letto di
vita, come quello di una partoriente.
Se
il chicco non muore, rimane solo. Questa è una legge naturale e
necessaria. Questa legge vale anche per il Figlio dell’uomo. E’
la legge di ogni uomo, che è quella di morire, perchè l’uomo è
di sua natura mortale. Ma la morte in croce di Gesù è gloria,
perchè la sua non è tanto una morte, quanto il dono della vita.
Gesù è così: un chicco di gra no, che si consuma e fiorisce; una
croce, dove già respira la risurrezione.
Guardiamo
all’esempio delle vergini consacrate per capire la croce, per
accogliere e vivere l’amore che essa manifesta.
L’amore
vissuto virginalmente è un amore crocifisso non perché è un amore
mortificato, ma perché è un amore “sacrificato”, cioè reso
sacro dal totale dono di se stessi a Dio. L’amore vergine è quello
di Cristo, che “praticò” un amore crocifisso. Gesù per amare è
andato in un’esperienza progressiva di svuotamento di sé fino alla
croce. Se vogliamo amare da cristiani dobbiamo saperlo e fare come
lui. Questo modo di amare mette l’altro prima di me e
l’Altro (Dio) più di me. La croce è il segno più grande
dell’amore più grande, e la virginità è la crocefissione di sé
per donarsi a Dio, per inchiodarsi al suo amore abbracciando Cristo
in Croce.
Le
Vergini consacrate sono esempio significativo ed alto del fatto che
l’amore di Dio è totalitario, infatti bisogna amare il Signore
“con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”
(cfr Mc 12,30). Queste donne mostrano che il corpo e il
cuore castamente offerto non allontana da Dio, avvicina l’essere
umano a Dio più degli stessi angeli (cfr Ef 1,14) e che la
vita cristiana è un progressivo configurarci a Cristo crocifisso e
risorto. In effetti, come l’amore per noi ha condotto Cristo alla
croce, l’amore nostro per Lui imprime in noi le sue ferite d’amore
(Ct 2,5). L’amore purifica e configura, trasfigurando. Morire
a se stessi nel dono della verginità non è un vero morire, perché
come accadde a Cristo il dono totale di sé moltiplica la vita.
La
verginità non è semplicemente una rinuncia. La verginità dilata il
cuore sulla misura del cuore di Cristo e rende capaci di amare come
lui ha amato.
La
verginità vissuta come crocifissione è per testimoniare che l’Amore
ha vinto attraverso il dono di sé.
La
verginità vissuta come risurrezione è per testimoniare che lo Sposo
è davvero presente nella vita di ogni giorno e la sua condiscendente
presenza dà gioia, gioia piena e compiuta (cfr Gv 3,29).
“La
Croce non ci fu data per capirla ma perché ci aggrap passimo ad
essa” (Bonhoef fer): le Vergini consacrate attratte da Cristo che
le ha sedotte, si aggrappano alla sua Croce, camminano dietro a Lui,
imparando da Lui cos’è l’amore e come amare Dio e il prossimo.
La
consacrazione, sacrificio totale e olocausto perfetto, è il modo
suggerito loro dallo Spirito per rivivere il mistero di Cristo
crocifisso, venuto nel mondo per dare la sua vita in riscatto per
molti (cfr. Mt 20, 28; Mc 10, 45), e per
rispondere al suo infinito amore.
Lettura
Patristica
San
Leone Magno
Sermo,
51, 3
Cristo
ci ha fatto dono della sua vittoria
Qual sacrificio fu mai più sacro di quello che il vero Pontefice posa sull’altare della croce immolando su di lei la propria carne? Benché, invero, la morte di molti santi sia stata preziosa agli occhi del Signore (Ps 115,15), mai tuttavia l’uccisione di un innocente ebbe come causa la propiziazione del mondo. I giusti hanno ricevuto la propria corona di gloria, non ne hanno donate, la forza d’animo dei fedeli ha prodotto esempi di pazienza, non doni di giustizia. La loro morte rimase propria a ciascuno di loro e nessuno con il proprio transito acquistò il debito di un altro; nostro Signore, invece, unico tra i figli degli uomini, è stato il solo in cui tutti sono stati crocifissi, tutti sono morti, tutti sono stati sepolti, tutti del pari sono risuscitati; ed è di loro che egli stesso diceva: "Quando sarò levato in alto attirerò tutto a me" (Gv 12,32). In effetti, la vera fede che giustifica gli empi (Rm 4,5) e crea i giusti (Eph 2,10 e 4,24), attratta a colui che condivide la sua natura, acquista in lui la salvezza, in lui nel quale essa si è ritrovata innocente; e poiché "non vi è che un unico mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù (1Tm 2,5) è per la comunione con la sua stirpe che l’uomo ha ritrovato la pace con Dio; può così, in tutta libertà, gloriarsi (1Co 3,21; Fil 3,3; 2Cor 10,17) della potenza di colui che, nella infermità della nostra carne, ha affrontato un nemico superbo e ha fatto dono della sua vittoria a coloro nel cui corpo egli ha trionfato.
Sant’Agostino
Sermo
Guelf. 3, 1-2
La
morte del Signore è la nostra somma gloria.
Per conseguenza, ebbe con noi con una vicendevole partecipazione una meravigliosa relazione; era nostro, quello per cui è morto, suo sarà quello, per cui possiamo vivere. In effetti, egli diede la vita, che assunse da noi e per la quale morì, e dette la stessa vita, poiché egli era il Creatore; ma prese quella vita per la quale con Lui e per Lui saremo vittoriosi, non per opera nostra. E per questo, per quanto riguarda la vita nostra, per la quale siamo uomini, morì non per sé ma per noi; infatti, la natura di Lui, per la quale è Dio, non può morire completamente. Ma per quanto riguarda la natura umana di lui, che egli, come Dio, creò, è morto anche in essa: poiché anche la carne egli creò nella quale egli è morto.
Non soltanto, quindi, non dobbiamo arrossire della morte del Signore, nostro Dio, ma ci dobbiamo grandemente confidare in essa e aver motivo di somma gloria: accettando infatti, la morte da noi, che egli trovò in noi, sposò nel modo più fedele la vita che ci avrebbe dato, che noi non possiamo avere da noi. In effetti, colui che ci amò tanto, che ciò che meritammo col peccato, egli, senza peccato, patì per noi peccatori, come colui che giustifica non ci darà ciò con giustizia? Come non ci restituirà, i premi dei santi, colui che promette con verità, colui che, innocente, sopportò la pena dei colpevoli?
Confessiamo, dunque, fratelli, coraggiosamente, ed anche professiamo: Cristo è stato crocifisso per noi: non vi spaventate ma siate nella gioia; proclamiamolo non con vergogna ma con gioia. Osservò così il Cristo l’apostolo Paolo e raccomandò tale titolo di gloria.
Ed egli, avendo molti titoli, grandi e divini, che egli ricordasse del Cristo, non disse di gloriarsi delle meraviglie del Cristo, poiché, essendo anche uomo, come siamo noi, ebbe il dominio nel mondo; ma disse: Per me di non altro voglio gloriarmi, che della croce del Nostro Signore Gesù Cristo (Ga 6,14).
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