Rito
Romano – V Domenica di Quaresima – Anno A – 29 marzo 2020
Ez
37, 12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45
Rito
Ambrosiano – V Domenica di Quaresima
Es
14,15-31; Sal 105; Ef 2,4-10; Gv 11,1-53
-
La verità della morte e la voce del cuore.
In
questo drammatico periodo, in cui il coronavirus provoca molti,
troppi morti, siamo messi di fronte alla morte come fatto che
sconvolge le nostre vite. Questa morte, che istintivamente tutto il
nostro essere rigetta, è davvero spaventosa, perché prova agli
occhi dei morenti la perfetta inutilità della loro vita, come anche
l’assurdità senza appello del bene che hanno creduto di fare e
delle sofferenze che hanno sopportato: “Allora la morte diventa un
gorgo …”, certamente.
Ma
il vangelo di questa Domenica ci dice parole di speranza. La morte
non è la fine di tutto. E’un momento drammatico che trasforma la
nostra vita. La tomba non è l’ultima tappa della nostra vita. E’
la porta, sempre dolorosa e tragica, che ci fa entare nella vita con
Dio. Per il cristiano la morte è l’ultima porta da attraversare
per incontrare il Dio della Vita e vivere con Lui sempre e felici.
L’ultima
parola non spetta alla morte ma al Dio Amore,
che dà la vita. Chi conosce questo amore,
vive già ora la vita eterna. La
fede ci insegna che la vita non si interrompe con
la morte biologica, ma si trasforma in vita eterna grazie
all’amore di Dio condiviso quotidianamente: l’amore sa
dare la vita fino in fondo. E Dio è amore,
fondo senza fondo, principio di tutto e fine senza fine.
L’amore umano si oppone alla morte e vuole la vita. L’amore di
Dio dona questa vita ora e per l’eternità. La
realtà della morte può essere espressa in tutta la sua verità solo
col linguaggio dell’amore. L’amore infatti resiste
alla morte, e desidera la vita , come lo esprimono Maria
e Marta, parlando a Cristo di Lazzaro, loro fratello morto da pochi
giorni. La verità sulla morte può essere
espressa solamente a partire da una prospettiva di vita, da un
desiderio di vita: cioè dalla permanenza nella comunione amorosa di
una persona, della persona di Cristo. La
verità sulla morte viene espressa nell’odierna liturgia in
rapporto con la voce del cuore umano: quello delle due sorelle
e quello (umano-divino) di Cristo, Signore della
vita e della morte.
In
effetti, il brano evangelico di oggi mostra Gesù
quale vero Uomo e vero Dio. San Giovanni insiste
sull’amicizia di Cristo con
Lazzaro e con le sorelle Marta e Maria.
L’Apostolo prediletto sottolinea che
“Gesù voleva loro molto
bene” (Gv 11,5), e per questo volle
compiere il grande miracolo: “Il nostro
amico Lazzaro s’è addormentato, ma io vado a svegliarlo”
(Gv 11,11) – così parlò ai discepoli, esprimendo con la
metafora del sonno il punto di vista di Dio sulla morte fisica: Dio
la vede appunto come un sonno, da cui ci può risvegliare. Gesù ha
dimostrato un potere assoluto nei confronti di questa morte: lo si
vede quando ridona la vita al giovane figlio della vedova di Nain
(cfr Lc 7,11-17) e alla fanciulla di dodici anni
(cfr Mc 5,35-43). Proprio di lei disse: “Non
è morta, ma dorme” (Mc 5,39),
attirandosi la derisione dei presenti. Ma in verità è proprio così:
la morte del corpo è un sonno da cui Dio ci può ridestare in
qualsiasi momento.
Il
fatto di essere Re della vita non impedì a Gesù
di provare sincera compassione per il dolore del distacco. Vedendo
piangere Marta e Maria e quanti erano venuti a consolarle, anche Gesù
“si commosse profondamente, si turbò”
e infine “scoppiò in pianto”
(Gv 11,33.35). Il cuore di Cristo è divino-umano: in Lui Dio e
Uomo si sono perfettamente incontrati, senza separazione e senza
confusione. Egli è l’immagine, anzi, l’incarnazione del Dio che
è amore, misericordia, tenerezza paterna e materna, del Dio che è
Vita. Perciò dichiarò solennemente a Marta: “Io
sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore,
vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”.
E aggiunse: “Credi tu questo?”
(Gv 11,25-26). Una domanda che Gesù rivolge ad ognuno di noi;
una domanda che certamente ci supera, supera la nostra capacità di
comprendere, e ci chiede di affidarci a Lui, come Lui si è affidato
al Padre. Esemplare è la risposta di Marta: “Sì,
o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve
venire nel mondo” (Gv 11,27).
Anche
noi crediamo, malgrado i nostri dubbi e le nostre oscurità; crediamo
in Cristo, perché Lui
ha parole di vita eterna. Chiediamo a Gesù che aumenti la
nostra fede in Lui, che ci doni
una speranza sicura di vita oltre la vita,
di vita autentica e piena nel suo Regno di
luce e di pace.
2)
L’amore vince la morte.
Il
brano del Vangelo che è proposto oggi dalla Liturgia della Messa ci
invita a contemplare il miracolo della resurrezione di Lazzaro1
come anticipo e profezia della resurrezione di Gesù che avverrà a
Gerusalemme il giorno di Pasqua. Il fatto di Lazzaro risuscitato è
anche “segno” che la vita, quando è vissuta nell’amicizia con
Cristo, non è sconfitta dalla morte. Chi ama non muore, perché si
dona e vive nell’altro. Di più, chi è amato da Cristo non muore,
“dorme” ed è risvegliato da Cristo.
L’amore
verso Lazzaro “strappa” ancora un miracolo a Gesù. Se nel
Cantico dei cantici si dice che “l’amore è forte come
la morte”(8,6), in questo gesto Gesù mostra che l’amore è
più forte della morte, “risveglia” l’amico dal sonno mortale.
Molti
sono gli aspetti che si possono sottolineare in questo episodio.
Penso
sia utile iniziare dal luogo: la casa di Lazzaro, Marta e Maria a
Betania2.
Gesù va in questa casa perché queste tre persone sono “luogo”
dell’amicizia, e quindi la loro dimora è “luogo” di
condivisione e non solo di riposo o rifugio. Luogo di vita che vince
la morte, che va oltre la morte è un luogo
di
rapporti, di amicizia vera, di comunione profonda.
Poi
è importante notare la sovrapposizione di due fatti: Lazzaro è
lasciato morire da Gesù come Gesù è lasciato morire in Croce dal
Padre. Umanamente è scandaloso. Gesù ama Lazzaro (il Vangelo lo
sottolinea ripetutamente) e tuttavia lo lascia morire: perché? E Dio
Padre ama il Figlio indicandolo come l’Amato e tuttavia lo lascia
morire in croce. Perché? Come credere che la parola ultima non
spetta alla morte, ma al Dio amore che dà la vita e non si
interrompe con la fine della vita biologica? Chiedendo che Cristo
aumenti la nostra fede e contemplando Cristo nella sua vita, morte e
resurrezione
Ognuno
comprende che si tratta del mistero dell'esistenza dell'uomo: una
promessa di vita che poi pare smentita, una promessa di salvezza da
parte di Dio che poi sembra contraddirsi. Un mistero inquietante, che
in nessun modo va attenuato. Anche Gesù ha pianto di fronte alla
morte dell'amico, come ha provato smarrimento di fronte all'imminenza
della Croce. La morte, come la Croce, continua a rimanere qualcosa di
incomprensibile: Dio dice di amarci e poi ci lascia morire, sembra
proprio un abbandono.
3)
Il Pianto di Dio e la “risurrezione” di Marta e Maria.
Gesù
piange, dimostrando in tal modo di amare Lazzaro profondamente. Ma
ecco la domanda: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non
poteva far sì che questi non morisse?”. Fu la domanda dei presenti
di allora ed è anche la nostra domanda, che siamo i presenti di
oggi.
Ma
la stessa domanda ci si impone davanti alla morte in Croce di Gesù.
Se Gesù è Figlio di Dio, amato da Dio, perché è abbandonato alla
Croce? Se Dio è con lui, non dovrebbe accadere diversamente? Eppure
anche Dio ha pianto su Cristo e piange su di noi: “la Messa è
il pianto di Dio” (San Pio da Pietrelcina) e “Anche Dio
piange: il suo pianto è come quello di un padre che ama i figli”
(Papa Francesco alla messa del 5 febbraio 2014).
Non
è facile vedere nella Croce un’epifania dell’amore, ma la
Quaresima e la Settimana Santa che si avvicina ci sono date per
contemplare questa manifestazione di carità imparando, ad “amare
il dolore il quale ci rivela l'opera del suo amore” (San
Pio da Pietrelcina) e fare nostra la preghiera del salmo “È in
te la sorgente della vita, alla tua luce noi vediamo la luce” (Sal
36).
Il
mistero dell'esistenza dell'uomo, amato da Dio e tuttavia abbandonato
alla morte, si rispecchia e si ingigantisce nel mistero della Croce
di Gesù. Ma anche si risolve. Perché c'è vedere e vedere, e della
Croce, come dell'esistenza dell'uomo, sono possibili due letture. C'è
lo sguardo privo di fede di chi si arresta allo scandalo, e vede
nella morte dell'uomo come nella Croce di Cristo il segno del
fallimento. E c'è lo sguardo che si apre alla fede e supera lo
scandalo, e vede che nella Croce di Gesù splende la risurrezione,
come nella morte dell'uomo. E questo è davvero per i cristiani un
punto fermo: se si vuol trovare nella storia e nella vita un senso,
occorre saper vedere nella Croce di Cristo la gloria di Dio. Non è
possibile diversamente.
La
risurrezione di Lazzaro, segno di un destino più generale che
coinvolge chi è convocato intorno a questa tavola. Gesù chiama
Lazzaro fuori dalla tomba. Ma Lazzaro risuscitato è il segno di
quanto accade anche alle sorelle Marta e Maria. Marta infatti
riconosce nell'amico il Signore della vita.
Credo
sia corretto dire che la risurrezione è credere in Gesù, perché
chi vive e crede in lui non muore in eterno (cf Gv 11,26), la
“confessione di fede” di Marta è anche la risurrezione delle due
sorelle.
Le
Vergini consacrate ci danno un esempio di una “vita risorta”
perché vivono la loro vocazione come cammino di risurrezione e
l’amicizia sponsale con Cristo come relazione personale nell’amore,
basata sulla dedizione completa a Cristo e sul riconoscimento
radicale di Lui. A questa testimonianza d’amore queste donne ci
mostrano l’importanza della contemplazione come capacità di saper
vedere trasparire il Signore dagli eventi della nostra esistenza
quotidiana e da quella di tutta l'umanità. In ciò mettono in
pratica quanto la Congregazione per la Vita consacrata e le Società
di Vita apostolica scriveva: “La vita consacrata, nel continuo
succedersi ed affermarsi di forme sempre nuove, è già in se stessa
un'eloquente espressione di questa presenza di Cristo, quasi una
specie di Vangelo dispiegato nei secoli. Essa appare infatti come
«prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore
risorto».8 Da questa certezza le persone
consacrate devono attingere un rinnovato slancio,
facendone la forza ispiratrice del loro cammino. La società odierna
attende di vedere in loro il riflesso concreto dell'agire di Gesù,
del suo amore per ogni persona, senza distinzioni o aggettivi
qualificanti. Vuole sperimentare che è possibile dire con l'apostolo
Paolo «Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di
Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,
20).” (Istruzione Ripartire da Cristo:
un rinnovato impegno
della vita consacrata
nel terzo millennio, 19 maggio 2002, n.
2).
1 Il
nome Lazzaro viene dall’ebraico ‘El'asar
= Dio ha aiutato, colui che è assistito da Dio.
2 Betania:
questo
nome deriva dall'ebraico ed è composto da due parole di cui la
prima
è Beth (che è anche il nome della seconda lettera dell'alfabeto
ebraico).
“Beth”
significa casa (o luogo), esprime l'idea di qualcosa che lo contiene
è l'archetipo di tutte le case, la casa di Dio e uomo, il
santuario.
Vuol dire un luogo di santità sulla terra.
Il
secondo termine ebraico “ania”
sarebbe venuto da una parola ebraica che significa sia palma, sia
povertà o poveri o misericordia, grazia o benedizioni. Cristo va
dall’amico Lazzaro a Betania e, pochi giorni dopo, lascia Betania
e va a Gerusalemme (tra i due luoghi ci sono circa 3 chilometri) su
un asino, accompagnato dalla folla che lo saluta con rami di palme.
Questo dato conferma la presenza di palme in questo luogo e conferma
l’etimologia del nome. Simbolicamente la palma è segno di
fertilità e di cibo con i datteri, ma è anche il simbolo della
giustizia, giustizia di riparazione per il sapore amaro che è
suggerito dal suo nome ebraico “tamar”.
“Ania” può anche
venire da “Anania” =
Yahweh
è stato misericordioso
o Hannah, grazia, benedizione. Quindi si può interpretare
“Betania”
come la
casa della misericordia, della grazia e della benedizione.
Lettura
Patristica
S.Agostino
d’Ippona
Omelia
49
La
risurrezione di Lazzaro.
E'
cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia il
Signore si è degnato creare e risuscitare: li ha creati tutti e ne
ha risuscitati alcuni. Se avesse voluto, certamente avrebbe potuto
risuscitare tutti i morti. E questo farà alla fine del mondo.
1.
Fra tutti i miracoli compiuti da nostro Signore Gesù Cristo, quello
della risurrezione di Lazzaro è forse il più strepitoso. Ma se
consideriamo chi è colui che lo ha compiuto, la nostra gioia dovrà
essere ancora più grande della meraviglia. Risuscitò un uomo colui
che fece l'uomo; egli infatti è l'Unigenito del Padre, per mezzo del
quale, come sapete, furon fatte tutte le cose. Ora, se per mezzo di
lui furon fatte le cose, fa meraviglia che per mezzo di lui sia
risuscitato uno, quando ogni giorno tanti nascono per mezzo di lui?
E' cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia egli
si degnò creare e risuscitare: creare tutti e risuscitarne alcuni.
Infatti, benché il Signore Gesù abbia compiuto molte cose, non
tutte sono state scritte; lo stesso san Giovanni evangelista afferma
che Cristo Signore disse e fece molte cose che non furono scritte
(cf. Gv 20, 30); ma furono scelte quelle che si ritenevano
sufficienti per la salvezza dei credenti. Tu hai udito che il Signore
Gesù risuscitò un morto: ciò ti basti per convincerti che, se
avesse voluto , avrebbe potuto risuscitare tutti i morti. Del resto
si è riservato di far questo alla fine del mondo; poiché verrà
l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce
e ne usciranno; così dice colui che, come avete sentito, con un
grande miracolo risuscitò uno che era morto da quattro giorni. Egli
risuscitò un morto in decomposizione; ma benché in tale stato, quel
cadavere conservava ancora la forma delle membra. Nell'ultimo giorno,
ad un cenno, ricostituirà il corpo dalle ceneri. Ma bisognava che
intanto compisse alcune cose, che a noi servissero come segni della
sua potenza per credere in lui, e prepararci a quella risurrezione
che sarà per la vita, non per il giudizio. E' in questo senso che
egli ha detto: Verrà l'ora in cui tutti quelli che sono nei
sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno, quelli che hanno agito
bene per la risurrezione della vita, quelli che hanno agito male per
la risurrezione del giudizio (Gv 5, 28-29).
2.
Apprendiamo dal Vangelo che tre sono i morti risuscitati dal Signore,
e ciò non senza un significato. Sì, perché le opere del Signore
non sono soltanto dei fatti, ma anche dei segni. E se sono dei segni,
oltre ad essere mirabili, devono pur significare qualcosa; e trovare
il significato di questi fatti è alquanto più impegnativo che
leggerli o ascoltarli. Abbiamo ascoltato il Vangelo che racconta come
Lazzaro riebbe la vita, pieni di ammirazione come se quello
spettacolo meraviglioso si svolgesse davanti ai nostri occhi. Se però
rivolgiamo la nostra attenzione ad opere di Cristo più meravigliose
di questa ci rendiamo conto che ogni uomo che crede risorge; se poi
riuscissimo a comprendere l'altro genere di morte molto più
detestabile, (quello cioè spirituale), vedremmo come ognuno che
pecca muore. Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella
dell'anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o
poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla. L'uomo
destinato a morire si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre
non altrettanto si sforza di evitare il peccato l'uomo che pure è
chiamato a vivere in eterno. Eppure quanto fa per non morire, lo fa
inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla.
Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà, e vivrà in
eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi
insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella
misura che gli uomini amano la vita che fugge! Che cosa non fa uno di
fronte al pericolo della morte? Quanti, sotto la minaccia che pendeva
sul loro capo, hanno preferito perdere tutto pur di salvare la vita!
Chi infatti non lo farebbe per non essere colpito? E magari, dopo
aver perduto tutto, qualcuno ci ha rimesso anche la vita. Chi pur di
continuare a vivere, non sarebbe pronto a perdere il necessario per
vivere, preferendo una vita mendicante ad una morte anticipata? Se si
dice a uno: se non vuoi morire devi navigare, esiterà forse a farlo?
Se a uno si dice: se non vuoi morire devi lavorare, si lascerà forse
prendere dalla pigrizia? Dio ci comanda cose meno pesanti per farci
vivere in eterno, e noi siamo negligenti nell'obbedire. Dio non ti
dice: getta via tutto ciò che possiedi per vivere poco tempo tirando
avanti stentatamente; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri se vuoi
vivere eternamente nella sicurezza e nella pace. Coloro che amano la
vita terrena, che essi non possiedono né quando vogliono né finché
vogliono, sono un continuo rimprovero per noi; e noi non ci
rimproveriamo a vicenda per essere tanto pigri, tanto tiepidi nel
procurarci la vita eterna, che avremo se vorremo e che non perderemo
quando l'avremo. Invece questa morte che temiamo, anche se non
vogliamo, ci colpirà.
3.
Se dunque il Signore, per sua grande grazia e misericordia, risuscita
le anime affinché non si muoia in eterno, ben possiamo supporre che
quei tre che egli risuscitò nei loro corpi significano e adombrano
la risurrezione delle anime, che si ottiene mediante la fede.
Risuscitò la figlia del capo della sinagoga, che si trovava ancora
in casa (cf Mc 5, 41-42); risuscitò il giovane figlio della vedova,
che era già stato portato fuori della città (cf. Lc 7 14-15);
risuscitò Lazzaro, che era stato sepolto da quattro giorni. Esamini
ciascuno la sua anima: se pecca muore, giacché il peccato è la
morte dell'anima. A volte si pecca solo col pensiero: ti sei
compiaciuto di ciò che è male, hai acconsentito, hai peccato; il
consenso ti ha ucciso; però la morte è solo dentro di te, perché
il cattivo pensiero non si è ancora tradotto in azione. Il Signore,
per indicare che egli risuscita tal sorta di anime, risuscitò quella
fanciulla che ancora non era stata portata fuori, ma giaceva morta in
casa, a significare il peccato occulto. Se però non soltanto hai
ceduto col pensiero al male, ma lo hai anche tradotto in opere, è
come se il morto fosse uscito dalla porta; ormai sei fuori, e sei un
morto portato alla sepoltura. Il Signore tuttavia risuscitò anche
quel giovane e lo restituì a sua madre vedova. Se hai peccato,
pentiti! e il Signore ti risusciterà e ti restituirà alla Chiesa,
che è la tua madre. Il terzo morto è Lazzaro. Siamo di fronte al
caso più grave, che è l'abitudine perversa. Una cosa infatti è
peccare, un'altra è contrarre l'abitudine al peccato. Chi pecca, ma
subito si emenda, subito riprende a vivere; perché non è ancora
prigioniero dell'abitudine, non è ancora sepolto. Chi invece pecca
abitualmente, è già sepolto, e ben si può dire che già mette
fetore, nel senso che la cattiva fama che si è fatta comincia a
diffondersi come un pestifero odore. Così sono coloro che ormai sono
abituati a tutto e rotti ad ogni scelleratezza. Inutile dire a uno di
costoro: non fare così! Come fa a sentirti chi è come sepolto sotto
terra, corrotto, oppresso dal peso dell'abitudine? Né tuttavia la
potenza di Cristo è incapace di risuscitare anche uno ridotto così.
Abbiamo conosciuto, abbiamo visto, e ogni giorno vediamo uomini che,
cambiate le loro pessime abitudini, vivono meglio di altri che li
rimproveravano. Tu, ad esempio, avevi molto da ridire sulla condotta
del tale: ebbene, guarda la sorella stessa di Lazzaro (ammesso che
sia lei la peccatrice che unse i piedi del Signore, e glieli asciugò
con i suoi capelli dopo averglieli lavati con le sue lacrime); la sua
risurrezione è più prodigiosa di quella del fratello, perché è
stata liberata dal grave peso dei suoi cattivi costumi inveterati.
Era infatti una famosa peccatrice, e di lei il Signore disse: Le
sono rimessi molti peccati, perché ha amato molto (Lc 7, 47).
Abbiamo visto e conosciamo molti di questi peccatori: nessuno
disperi, nessuno presuma di sé. E' male disperare, ed è male
presumere di sé. Non disperare e scegli dove poter collocare la tua
speranza.
4.
Dunque il Signore risuscitò anche Lazzaro. Avete sentito in che
condizioni si trovava, cioè avete capito cosa significa questa
risurrezione di Lazzaro. Cominciamo a leggere, e siccome in questa
lettura molte cose sono chiare, non ci soffermeremo a spiegare ogni
dettaglio, onde poter dedicare l'attenzione a ciò che lo richiede.
S'era ammalato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria
e della sorella di lei Marta (Gv 11, 1). Dalla lettura precedente
ricorderete che il Signore sfuggì dalle mani di coloro che volevano
lapidarlo, e si ritirò oltre il Giordano dove Giovanni battezzava
(cf. Gv 10, 39-40). Ora, mentre il Signore stava in quel luogo,
Lazzaro si era ammalato in Betania, un villaggio che era vicino a
Gerusalemme.
5.
Maria era colei che unse di unguento profumato il Signore e gli
asciugò i piedi con i suoi capelli. Era suo fratello Lazzaro ch'era
ammalato. Dunque, le sorelle mandarono a dire a Gesù (Gv 11,
2-3). Sappiamo già dove mandarono il messaggio a Gesù, poiché
sappiamo dove egli era: era assente e si trovava al di là del
Giordano. Mandarono a dire al Signore che il loro fratello era
ammalato, e per pregarlo di venire a liberarlo dalla malattia. Egli
ritardò a guarirlo, per poterlo risuscitare. Che cosa dunque gli
mandarono a dire le sorelle di Lazzaro? Signore, vedi, colui che
tu ami è malato (Gv 11, 3). Non dissero: Vieni subito! A lui che
amava era sufficiente la notizia. Non osarono dire: Vieni a guarirlo;
oppure: Qui comanda e là sarà fatto. Perché non dissero così
anch'esse, dal momento che la fede del centurione era stata tanto
lodata per essersi espressa così? Quello infatti disse: Non son
degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e
il mio servo sarà guarito (Mt 8, 8). Le sorelle di Lazzaro non
gli mandarono a dire niente di tutto questo, ma soltanto: Signore,
vedi, colui che tu ami è malato. E' sufficiente che tu lo
sappia; poiché non puoi abbandonare quelli che ami. Qualcuno dirà:
come può Lazzaro rappresentare il peccatore ed essere quindi amato
dal Signore? Ascolti la sua parola: Non sono venuto a chiamare i
giusti ma i peccatori (Mt 9, 13). Se infatti Dio non avesse amato
i peccatori, non sarebbe disceso dal cielo in terra.
6.
Udendo ciò, Gesù rispose: Questa malattia non è per la morte,
ma è per la gloria di Dio, affinché per essa sia glorificato il
Figlio di Dio (Gv 11, 4). Questa glorificazione del Figlio di
Dio, non aumentò la sua gloria, ma giovò a noi. Disse che non era
per la morte, perché la morte stessa non era per la morte, ma
l'occasione di un miracolo, grazie al quale gli uomini avrebbero
creduto in Cristo, evitando così la vera morte. Osservate come il
Signore in modo indiretto dice che è Dio per quanti negano che il
Figlio è Dio. Ci sono infatti degli eretici i quali sostengono che
il Figlio di Dio non è Dio. Ascoltino costoro le sue parole: Questa
malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio. Per
quale gloria? e di quale Dio? Ascolta quanto segue: affinché sia
glorificato il Figlio di Dio. Questa malattia - dice - non è
per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa
- cioè appunto per mezzo di questa malattia - sia glorificato il
Figlio di Dio.
7.
Gesù voleva bene a Marta e alla sorella di lei, Maria, e a
Lazzaro (Gv 11, 5). Lazzaro era malato, esse erano tristi, tutti
erano amati: chi li amava era il salvatore degli infermi, colui che
risuscita i morti, il consolatore degli afflitti. Com'ebbe,
dunque, sentito che egli era ammalato, si trattenne ancora due giorni
nel luogo dov'era (Gv 11, 6). Ricevuta la notizia, rimane
dov'era, lasciando passare quattro giorni. E non senza un motivo:
forse, anzi certamente, il numero dei giorni racchiude un
significato. Poi disse di nuovo ai suoi discepoli: Torniamo in
Giudea (Gv 11, 7), dove per poco non era stato lapidato, e da
dove sembrava essersi allontanato proprio per sfuggire alla
lapidazione. Come uomo si era allontanato; ma ritornandovi, egli
sembrava quasi dimenticare la debolezza umana, per mostrare la sua
potenza. Torniamo - disse - in Giudea.
8.
Notate lo spavento dei discepoli di fronte a questa risoluzione. I
discepoli gli dissero: Rabbi, i Giudei cercavano or ora di lapidarti
e tu vuoi tornare di nuovo colà? Gesù rispose: Non sono forse
dodici le ore del giorno? (Gv 11, 8-9). Qual è il senso di
questa risposta? I discepoli gli avevano fatto osservare: I Giudei
cercavano or ora di lapidarti e tu vuoi tornare di nuovo colà, cioè
vuoi tornare là per farti lapidare? E il Signore rispose: Non
sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non
inciampa perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte
inciampa perché la luce non è in lui (Gv 11, 9-10). Egli parla
qui del giorno, ma nella nostra intelligenza fa ancora notte.
Invochiamo il giorno affinché cacci via la notte e con la sua luce
rischiari il nostro cuore. Che cosa ha voluto dire il Signore? Mi
sembra, per quanto appare dall'altezza e profondità di queste
parole, che abbia voluto rimproverare la loro esitazione e la loro
poca fede. Essi infatti pretendevano consigliare il Signore a evitare
la morte, mentre egli era venuto a morire per sottrarre loro alla
morte. In altra circostanza san Pietro, che era pieno d'amore per il
Signore, ma che ancora non aveva ben capito il motivo della sua
venuta, temette per la sua morte e dispiacque alla Vita, cioè al
Signore. Il Signore aveva annunciato ai discepoli che avrebbe dovuto
patire a Gerusalemme da parte dei Giudei, e Pietro, parlando a nome
anche degli altri, disse: Dio ti scampi, o Signore; questo non ti
accadrà. E il Signore gli rispose: Indietro, Satana! perché
non hai il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini. E
dire che poco prima Pietro, confessando il Figlio di Dio, si era
meritato questo elogio: Beato sei tu, Simone figlio di Jona,
perché non carne e sangue te l'ha rivelato, ma il Padre mio che è
nei cieli (Mt 16, 16-23). A quello cui aveva detto Beato sei
tu, ora dice: Indietro, Satana!, in quanto Pietro non era
beato da sé. Ma da parte di chi? Perché non carne e sangue te
l'ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Ecco perché sei
beato, non da te, ma da me. Non perché io sia il Padre, ma perché
tutto ciò che appartiene al Padre è mio (cf. Gv 16, 15). Se l'esser
beato, Pietro lo deve al Signore, a chi deve l'esser satana? Ecco che
il Signore glielo dice. Gli ha indicato il motivo per cui è beato:
perché non la carne e il sangue ti ha rivelato questo, ma il
Padre mio che è nei cieli, ecco perché sei beato; ma ascolta
anche perché ti ho detto: Indietro, satana!: perché non
hai il senso delle cose di Dio ma di quelle degli uomini. Nessuno
s'illuda: di per se stesso, ogni uomo è Satana; se è beato, è dono
di Dio. Che vuol dire "di per se stesso" se non in forza
del proprio peccato? Se togli il peccato, che rimane di tuo? La
giustizia è, dice, roba mia. Infatti, che cos'hai che tu non abbia
ricevuto (cf. 1 Cor 4, 7)? Siccome avevano la pretesa, essi che erano
uomini, di dare consiglio a Dio, e pretendevano i discepoli insegnare
al maestro, i servi al Signore, i malati al medico, egli li
rimproverò dicendo: Non sono forse dodici le ore del giorno? Se
uno cammina di giorno non inciampa. Come a dire: seguitemi, se
non volete inciampare; non vi mettete a darmi consigli, proprio voi
che dovreste riceverli da me. Qual è dunque il senso della frase:
Non sono forse dodici le ore del giorno? Il Signore si scelse
dodici Apostoli per mostrare che egli era il giorno. Se io sono il
giorno - dice - e voi le ore, forse le ore possono dare consigli al
giorno? Sono le ore che seguono il giorno, non viceversa. Se però
essi erano le ore, Giuda che cosa rappresentava? Faceva parte
anch'egli delle dodici ore? Se era un'ora, risplendeva; se
risplendeva, come ha potuto consegnare il giorno alla morte? Ma il
Signore con queste parole non si riferiva a Giuda, bensì al suo
successore, che già egli aveva presente. Mattia infatti prese il
posto di Giuda, e così gli Apostoli rimasero dodici (cf. At 1, 26).
Non senza motivo dunque il Signore aveva scelto dodici Apostoli:
perché egli era il giorno in senso spirituale. Le ore, dunque,
seguano il giorno, le ore annuncino il giorno, e dal giorno ricevano
luce e splendore, di modo che attraverso l'annuncio che ne danno le
ore il mondo creda nel giorno. Questo in sostanza vuol dire il
Signore con la sua esortazione: Seguite me, se non volete inciampare.
9.
Così parlò, poi soggiunse: Lazzaro, l'amico nostro, dorme; ma io
vado a svegliarlo (Gv 11, 11). Era la verità. Per le sorelle
Lazzaro era morto, ma per il Signore egli dormiva. Per gli uomini,
che non potevano risuscitarlo, era morto; ma il Signore poteva farlo
uscire dal sepolcro più facilmente di quanto tu non possa svegliare
e far scendere dal letto uno che dorme. Tenendo, dunque, conto della
sua potenza, disse che Lazzaro stava dormendo. Spesso, del resto,
nella Scrittura si parla di tutti gli altri morti come di coloro che
dormono; come quando l'Apostolo dice: Noi non vogliamo, fratelli,
che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, onde non vi
rattristiate alla maniera degli altri che non hanno speranza (1
Thess 4, 12). Parla dei morti come di coloro che dormono, in ordine
alla risurrezione che egli annunzia. Dormono tutti i morti, tanto i
buoni come i cattivi. Ma come tutti noi ci addormentiamo e ci
rialziamo, ciascuno però con il suo sogno (alcuni fanno sogni lieti,
altri invece sogni angosciosi, tanto che svegliandosi vorrebbero non
riaddormentarsi per non ricadere in balia di essi), così tutti
moriamo e risorgiamo ma ciascuno col suo giudizio particolare. Ed
ancora: differiscono i generi di detenzione a cui ciascuno è
sottoposto in attesa di essere giudicato; il tipo di detenzione è
proporzionato alla gravità del delitto: alcuni vengono affidati ai
littori, che esercitano il loro ufficio in modo umano, mite e civile;
altri vengono consegnati alle guardie, altri ancora vengono gettati
in carcere; e anche in carcere non tutti occupano il medesimo luogo,
ma più sotterraneo se più grave è il delitto. Ora come in questo
mondo differiscono secondo la sorveglianza i generi di detenzione,
così differiscono per i morti, come pure differiscono le
retribuzioni per i risorti. Viene accolto il povero e viene accolto
il ricco; ma il primo nel seno di Abramo, il secondo dove patirà la
sete e non troverà neppure una goccia d'acqua (cf. Lc 16, 22-24).
10.
Profitto dell'occasione per ricordare alla vostra Carità che le
anime uscendo da questo mondo non trovano tutte la medesima
accoglienza. Vanno incontro al gaudio se sono buone, ai tormenti se
sono malvagie. Dopo la risurrezione, il gaudio dei buoni sarà
maggiore, e i tormenti dei malvagi saranno più terribili allorché
ai tormenti delle anime si aggiungerà quello dei corpi. I santi
Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i martiri, i buoni fedeli sono
stati accolti nella pace; ma tutti dovranno aspettare la fine dei
tempi per ricevere ciò che Dio ha promesso: egli infatti ha promesso
anche la risurrezione della carne, la distruzione della morte, la
vita eterna insieme con gli angeli. Questo lo dovremo ricevere tutti
insieme. Il riposo concesso dopo questa vita a chi lo merita, lo
riceve ciascuno appena muore. I primi a conseguirlo sono stati i
Patriarchi (pensate da quanto tempo essi riposano in pace!); poi è
stata la volta dei Profeti, più vicini a noi gli Apostoli, più
vicini ancora i santi martiri, e ogni giorno i buoni fedeli. Alcuni
si trovano in questo riposo da molto tempo, altri non da molto tempo,
altri da pochi anni e altri infine da pochissimo tempo. Ma quando si
sveglieranno dal loro sonno, tutti insieme riceveranno ciò che è
stato loro promesso.
11.
Lazzaro, l'amico nostro, dorme; ma vado a svegliarlo. Allora i
discepoli gli dissero... Risposero secondo quanto avevano
compreso: Signore, se dorme guarirà! (Gv 11, 12). Il sonno
dei malati infatti viene interpretato come un sintomo di guarigione.
Ora, Gesù aveva parlato della morte di lui, mentre essi avevano
creduto che parlasse dell'assopimento nel sonno. Allora Gesù disse
loro apertamente... In maniera velata aveva detto: dorme, in
maniera aperta disse: Lazzaro è morto e sono contento per voi di
non essere stato là, affinché crediate (Gv 11, 13-15). So che è
morto, e io non c'ero. Infatti gli era stato detto solamente che era
malato, non che era morto. Ma che cosa poteva rimanere nascosto a
colui che lo aveva creato, e alle cui mani era emigrata l'anima del
defunto? Egli dice: Sono contento per voi di non essere stato là,
affinché crediate; perché cominciassero a meravigliarsi del
fatto che il Signore sapeva che Lazzaro era morto senza aver visto né
sentito che era morto. Questo serve a ricordare che la fede degli
stessi discepoli, che già credevano in lui, aveva ancora bisogno di
essere sostenuta dai miracoli; non perché mancasse e dovesse ancora
nascere, ma perché c'era già e doveva crescere; anche se
l'espressione che ha usato può far pensare che essi dovevano ancora
cominciare a credere. Infatti egli non dice: Sono contento per voi
perché così la vostra fede crescerà, o sarà rafforzata; dice:
affinché crediate; il che si deve intendere: affinché
crediate di più e con maggior fermezza.
[Significato
del morto da quattro giorni.]
12.
Ma andiamo da lui. Disse allora Tommaso, chiamato Didimo, agli
altri discepoli: Andiamo anche noi per morire con lui. Arrivato,
dunque, Gesù trovò Lazzaro già da quattro giorni nella tomba
(Gv 11, 15-17). Molto si potrebbe dire su questi quattro giorni, come
di altri passi oscuri della Scrittura, che consentono diverse
interpretazioni secondo la diversa capacità di chi legge. Diremo
anche noi quello che ci sembra voglia significare il morto di quattro
giorni. Come infatti nel cieco dalla nascita vedemmo rappresentato
tutto il genere umano, così in questo morto possiamo vedervi
rappresentati molti; poiché una medesima cosa può esser
rappresentata in più modi. Quando l'uomo nasce, nasce già con la
morte; perché eredita da Adamo il peccato. E' per questo che
l'Apostolo dice: Per causa di un solo uomo il peccato entrò nel
mondo e mediante il peccato la morte, e in tal modo la morte passò
in tutti gli uomini in cui tutti hanno peccato (Rm 5, 12). Ecco
il primo giorno della morte, che l'uomo deriva dalla sua triste
origine. Poi cresce, comincia a toccare l'età della ragione per cui
prende coscienza della legge naturale che tutti gli uomini portano
scritta nel cuore: Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a
te. Forse che questo s'impara sui libri, e non si legge invece nelle
pagine della natura stessa? Vuoi forse essere derubato? Certamente
non lo vuoi. Ecco la legge scolpita nel tuo cuore: Non fare ciò che
non vuoi per te. Ma gli uomini trasgrediscono anche questa legge: ed
ecco il secondo giorno della morte. Dio promulgò la legge per mezzo
di Mosè suo servo; in essa sta scritto: Non uccidere, non
commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, onora il padre e
la madre, non desiderare la roba del tuo prossimo, non desiderare la
donna del tuo prossimo (Es 20, 12-17). Questa è la legge
scritta, ed anch'essa viene disprezzata: ecco il terzo giorno della
morte. Che cosa rimane? Viene il Vangelo, viene annunciato il Regno
dei cieli, ovunque si predica Cristo; si minaccia l'inferno, si
promette la vita eterna; ma anche questa legge viene disprezzata; gli
uomini trasgrediscono il Vangelo: ecco il quarto giorno della morte.
A ragione si può dire che ormai il morto emana fetore. Non ci sarà
dunque misericordia per costoro? Non è possibile. Il Signore non
disdegna di accostarsi anche a tutti questi morti per risuscitarli.
13.
Molti Giudei erano venuti da Marta e da Maria per consolarle del
loro fratello. Marta, appena seppe che arrivava Gesù, gli andò
incontro, mentre Maria restò a casa. Marta disse a Gesù: Signore,
se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; ma anche
adesso so che qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la concederà
(Gv 11, 19-22). Non disse: Ti prego di risuscitare subito mio
fratello. Come poteva sapere infatti che a suo fratello giovasse
risorgere? Quindi disse soltanto: So che puoi farlo, se vuoi; ma sei
tu che devi giudicare se è il caso di farlo, non io. Ma anche
adesso so che qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la concederà.
14.
Gesù le disse: Tuo fratello risorgerà. L'espressione era
ambigua, perché non le disse: Ora risusciterò tuo fratello; ma le
disse: Tuo fratello risorgerà. Marta gli rispose: So che
risorgerà, nella risurrezione, nell'ultimo giorno (Gv 11,
23-24). Era come dire: Di quella risurrezione sono sicura, di questa
no. Le disse Gesù: Io sono la risurrezione. Tu dici che tuo
fratello risorgerà nell'ultimo giorno. Questo è vero. Però colui
per mezzo del quale risorgerà, può farlo risorgere anche adesso,
perché Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11, 25).
Ascoltate, fratelli, ascoltate ciò che dice. Tutti i circostanti
erano nell'attesa di veder Lazzaro, un morto di quattro giorni,
rivivere. Ebbene, ascoltiamo e risorgiamo. Quanti in questa folla
sono oppressi dal peso della cattiva abitudine! Forse tra quelli che
mi ascoltano ci sono taluni ai quali vien detto: Non vogliate
inebriarvi di vino, che è causa di dissolutezza (Ef 5, 18). Essi
rispondono: non possiamo farne a meno! Forse mi ascoltano alcuni che
si sono lasciati corrompere da ogni disordine e vizio, ai quali vien
detto: non fate così, se non volete perdervi. Ma essi rispondono:
non riusciamo a liberarci dalle nostre abitudini. O Signore,
risuscita costoro! Io sono - egli dice - la risurrezione e
la vita. E' la risurrezione perché è la vita.
15.
Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede
in me non morirà in eterno (Gv 11, 25-26). Che vuol dire questo?
Chi crede in me, anche se è morto come è morto Lazzaro,
vivrà, perché egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Così
rispose ai Giudei, riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo,
cioè ad Abramo, Isacco e Giacobbe: Io sono il Dio di Abramo, il
Dio d'lsacco e il Dio di Giacobbe; non sono Dio dei morti ma dei
viventi: essi infatti sono tutti vivi (Mt 22, 32; Lc 20, 37-38).
Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai; se non credi, sei morto
anche se vivi. Proviamolo. Ad un tale che indugiava a seguirlo e
diceva: Permettimi prima di andare a seppellire mio padre, il
Signore rispose: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu
vieni e seguimi (Mt 8, 21-22). Vi era là un morto da
seppellire, e vi erano dei morti intenti a seppellirlo: questi era
morto nel corpo, quelli nell'anima. Quando è che muore l'anima?
Quando manca la fede. Quando è che muore il corpo? Quando viene a
mancare l'anima. La fede è l'anima della tua anima. Chi crede in
me - egli dice - anche se è morto nel corpo, vivrà
nell'anima, finché anche il corpo risorgerà per non più
morire. Cioè: chi crede in me, anche se morirà vivrà. E
chiunque vive nel corpo e crede in me, anche se
temporaneamente muore per la morte del corpo, non morirà in
eterno per la vita dello spirito e per la immortalità della
risurrezione. Questo è il senso delle sue parole: E chiunque vive
e crede in me non morirà in eterno. Lo credi tu? - domanda Gesù
a Marta -; Ed essa risponde: Sì, Signore, io ho creduto che tu
sei il Cristo, il Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo
(Gv 11, 26-27). E credendo questo, ho con ciò creduto che tu sei la
risurrezione, che tu sei la vita; ho creduto che chi crede in te,
anche se muore, vivrà, e che chi vive e crede in te, non morirà in
eterno.
16.
Detto questo, andò a chiamare Maria, sua sorella, dicendole in
silenzio: IL maestro è qui e ti chiama (Gv 11, 28). E' da notare
che "in silenzio" significa sottovoce: come infatti avrebbe
potuto dire, rimanendo in silenzio: IL maestro è qui e ti chiama?
E' da notare altresì che l'evangelista non ha detto né dove né
come né quando il Signore aveva chiamato Maria: per amore di brevità
preferisce farcelo sapere solo attraverso le parole di Marta.
17.
Ella, udito questo, si alza in fretta e va da lui. Gesù, però,
non era ancora entrato nel villaggio, ma stava sempre nel luogo dove
gli era venuta incontro Marta. I Giudei che erano in casa con lei a
consolarla, al vedere Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono
pensando che sarebbe andata al sepolcro a piangere (Gv 11,
29-31). Perché l'evangelista si preoccupa di raccontarci questo
particolare? Per informarci della circostanza che aveva raccolto
tanta gente, quando Lazzaro fu risuscitato. I Giudei, pensando che
Maria corresse al sepolcro per cercare nelle lacrime sollievo al suo
dolore, la seguirono, e così il grande miracolo della risurrezione
di uno che era morto da quattro giorni ebbe moltissimi testimoni.
18.
Maria, giunta al luogo dov'era Gesù, al vederlo gli si gettò ai
piedi ed esclamò: Signore, se fossi stato qui, mio fratello non
sarebbe morto. Gesù, vedendola piangere, e con lei piangere i Giudei
che l'accompagnavano, fremette nello spirito, si turbò e disse: Dove
l'avete deposto? (Gv 11, 32-34). Non so cosa abbia voluto
indicarci il Signore con questo fremito e con questo suo turbamento.
Chi poteva turbarlo, se non era lui a turbare se stesso? Perciò,
fratelli miei, tenete ben presente la sua potenza prima di cercare il
significato del suo turbamento. Tu puoi essere turbato senza volerlo;
Cristo invece si turbò perché volle. E' vero che Gesù ha sentito
la fame, è vero che si è rattristato ed è altrettanto vero che è
morto; ma tutto questo perché l'ha voluto lui: era in suo potere
soffrire questo o altro o non soffrire affatto. Il Verbo ha assunto
l'anima, ma anche la carne, armonizzando, nell'unità della sua
persona, la natura dell'uomo tutto intero. La luce del Verbo, è
vero, illuminò l'anima di Pietro e l'anima di Paolo, illuminò le
anime degli altri apostoli e dei santi profeti; di nessuna però si
poté dire: Il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14); di
nessuna si può dire: Io e il Padre siamo una cosa sola
(Gv 20, 30). L'anima e la carne di Cristo formano col Verbo di Dio
una sola persona, un solo Cristo. C'è in lui la massima potenza, e
perciò la debolezza umana obbediva in tutto alla sua volontà. Ecco
il senso dell'espressione: egli si turbò.
19.
Ho parlato della potenza; ora vediamo il significato del suo
turbamento. Lazzaro morto da quattro giorni e chiuso nel sepolcro è
simbolo di un grande peccatore. Perché si turba il Cristo, se non
per insegnarti che tu devi metterti in agitazione quando ti vedi
oppresso e schiacciato da tanta mole di peccati? Ti sei esaminato, ti
sei riconosciuto colpevole, ti sei detto: ho fatto quel peccato e Dio
mi ha perdonato; ho commesso quell'altro e Dio ha differito il
castigo; ho ascoltato il Vangelo e l'ho disprezzato; sono stato
battezzato e sono ricaduto nelle medesime colpe; che faccio? dove
vado? come posso uscirne? Quando parli così, già il Cristo freme
perché in te freme la fede. Negli accenti di chi freme si annuncia
la speranza di chi risorge. Se dentro di te c'è la fede, dentro di
te c'è Cristo che freme: se in noi c'è fede, in noi c'è Cristo. Lo
dice l'Apostolo: Per mezzo della fede, Cristo abita nei vostri
cuori (Ef 3, 17). La presenza di Cristo nel tuo cuore è legata
alla fede che tu hai in lui. Questo è il significato del fatto che
egli dormiva nella barca: essendo i discepoli in pericolo, ormai sul
punto di naufragare, gli si avvicinarono e lo svegliarono. Cristo si
levò, comandò ai venti e ai flutti, e si fece gran bonaccia (cf. Mt
8, 24-26). E' quello che avviene dentro di te: mentre navighi, mentre
attraversi il mare tempestoso e pericoloso di questa vita, i venti
penetrano dentro di te; soffiano i venti, si levano i flutti e
agitano la barca. Quali venti? Hai ricevuto un insulto e ti sei
adirato; l'insulto è il vento, l'ira è il flutto; sei in pericolo
perché stai per reagire, stai per rendere ingiuria per ingiuria e la
barca sta per naufragare. Sveglia Cristo che dorme. E' per questo che
sei agitato e stai per ricambiare male per male, perché Cristo nella
barca dorme. Il sonno di Cristo nel tuo cuore vuol dire il torpore
della fede. Se svegli Cristo, se cioè la tua fede si riscuote, che
ti dice Cristo che si è svegliato nel tuo cuore? Ti dice: Io mi son
sentito dire indemoniato (Gv 7, 20), e ho pregato per loro. Il
Signore ascolta e tace; il servo ascolta e si indigna? Ma, tu vuoi
farti giustizia. E che, mi son forse fatto giustizia io? Quando la
fede ti parla così, è come se si impartissero comandi ai venti e ai
flutti: e viene la calma. Risvegliare Cristo che dorme nella barca è,
dunque, scuotere la fede; allo stesso modo Cristo frema nel cuore
dell'uomo oppresso da una grande mole e abitudine di peccato, nel
cuore dell'uomo che trasgredisce anche il santo Vangelo; Cristo
frema, cioè l'uomo rimproveri se stesso. Ascolta ancora: Cristo ha
pianto, l'uomo pianga se stesso. Per qual motivo infatti Cristo ha
pianto se non perché l'uomo impari a piangere? Per qual motivo
fremette e da se medesimo si turbò se non perché la fede dell'uomo,
giustamente scontento di se stesso, impari a fremere condannando le
proprie cattive azioni, affinché la forza della penitenza vinca
l'abitudine al peccato?
20.
E disse: dove l'avete deposto? Sapevi che era morto, e non
sapevi dove era stato sepolto? Questo significa che Dio quasi non
conosce più l'uomo che si è perduto in questa maniera. Non ho osato
dire: non conosce. Ho detto quasi, perché in effetti non c'è
nulla che Dio non conosca. La prova che Dio quasi non conoscerà più
l'uomo perduto si trova nelle parole che il Signore pronuncerà nel
giudizio: Non vi conosco; allontanatevi da me! (Mt 7, 23). Che
significa non vi conosco? Significa: non vi vedo nella mia
luce, non vi vedo nella giustizia che io conosco. Così anche qui,
come se egli non conoscesse più un così grande peccatore, dice:
Dove l'avete deposto? Così si era espressa la voce di Dio nel
paradiso dopo che l'uomo peccò: Adamo dove sei? (Gn 3, 9).
Gli dicono: Signore, vieni e vedi. Che vuol dire: vedi?
Vuol dire: abbi pietà. Il Signore infatti vede allorché usa
misericordia. Per questo col salmista gli diciamo: Vedi la mia
miseria, la mia pena, e perdona tutti i miei peccati (Sal 24,
18).
21.
E Gesù pianse. Dissero allora i Giudei: Guarda come l'amava!
(Gv 11, 35-36). Che vuol dire lo amava? Non sono venuto a chiamare
i giusti, ma i peccatori al pentimento (Mt 9, 13). Ma alcuni di
loro soggiunsero: Non poteva costui, che ha aperto gli occhi al
cieco, fare altresì che questo non morisse? (Gv 11,37). Colui
che non ha impedito che un malato morisse, farà molto di più:
risusciterà un morto.
22.
Intanto Gesù, fremendo di nuovo in se stesso, giunse al sepolcro.
Egli fremerà anche in te, se sei disposto a rivivere. Per ognuno
che sia sotto il peso di un'abitudine perversa vien detto che Cristo
si reca al sepolcro. Era una grotta, contro la quale era stata
posta una pietra (Gv 11, 38). Il morto sotto la pietra
rappresenta il colpevole sotto la legge. Sapete infatti che la legge
data ai Giudei fu scritta sulla pietra (cf. Es 31, 18). Tutti i
colpevoli sono sotto la legge, mentre quelli che vivono bene sono con
la legge. La legge non serve per il giusto (cf. 1 Tim 1, 9). Che
significa dunque la parola del Signore: Levate via la pietra
(Gv 11, 39)? Significa: Proclamate la grazia. L'apostolo Paolo
infatti dice di essere ministro del Nuovo Testamento, non della
lettera ma dello spirito, poiché la lettera uccide - egli
dice - mentre lo spirito vivifica (2 Cor 3, 6). La lettera che
uccide, è come la pietra che opprime. Levate via la pietra! egli
dice. Cioè togliete il peso della legge, e proclamate la grazia. Se
si fosse data una legge capace di conferire la vita, la
giustificazione scaturirebbe dalla legge; la Scrittura invece ha
rinserrato ogni cosa sotto il peccato, perché venisse data la
promessa in virtù della fede in Gesù Cristo a quelli che credono
(Gal 3, 21-22). Dunque: Levate via la pietra!
23.
Gli dice Marta, la sorella del morto: Signore, già puzza, perché
son quattro giorni che è là. Gesù le dice: Non ti ho detto che, se
credi, vedrai la gloria di Dio? (Gv 11, 39-40). Le dice che vedrà
la gloria di Dio perché sta per risuscitare un morto di quattro
giorni che già puzza. Tutti infatti hanno peccato e sono privi
della gloria di Dio (Rm 3, 23); e ancora: Dove abbondò il
peccato, sovrabbondò la grazia (Rm 5, 20).
24.
Tolsero, allora, la pietra. Gesù levò gli occhi al cielo e
disse: Padre, ti ringrazio di avermi ascoltato. Io però sapevo che
tu mi ascolti sempre, ma l'ho detto per il popolo che mi circonda,
affinché credano che tu mi hai mandato. E, detto questo, con gran
voce gridò (Gv 11, 41-43). Fremette, pianse, con gran voce
gridò. Quanto è difficile che si alzi chi è oppresso dal peso
delle cattive abitudini! E tuttavia si alza: una grazia occulta
interiormente lo vivifica e al suono della voce potente si alza. Che
cosa è avvenuto? Con gran voce gridò: Lazzaro, vieni fuori! Il
morto uscì con i piedi e le mani legate da fasce e la faccia avvolta
in un sudario (Gv 11, 43-44). Ti meravigli che abbia potuto
camminare con i piedi e le mani legati, e non ti meravigli che sia
risorto un morto di quattro giorni? L'una e l'altra sono dovute alla
potenza del Signore, non alla forza del morto. Esce ancora legato; è
ancora avvolto, eppure viene fuori. Che significa? Quando disprezzi
la grazia di Dio, giaci morto; e se la disprezzi al punto che ho
detto, giaci sepolto. Ma quando confessi il tuo peccato, vieni fuori.
Che significa infatti venir fuori, se non manifestarsi uscendo come
da un nascondiglio? Perché tu abbia a riconoscere la tua
colpevolezza, Dio ti chiama a gran voce, cioè con una grazia
straordinaria. E siccome il morto era uscito ancora legato, come un
reo confesso non ancora assolto, affinché fosse sciolto dai suoi
peccati, il Signore disse ai servitori: Scioglietelo e lasciatelo
andare (Gv 11, 44). Che significa scioglietelo e lasciatelo
andare? Ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli
(cf. Mt 16, 19).
25.
Molti dei Giudei venuti da Maria, e che avevano visto ciò che
egli aveva fatto, credettero in lui. Ma alcuni di essi si recarono
dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù (Gv 11, 45-46).
Non tutti i Giudei che erano venuti da Maria credettero, però in
gran numero. Ma alcuni di essi, cioè alcuni dei Giudei che
erano venuti, oppure anche di quelli che avevano creduto, si
recarono dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù, per
recare un annuncio che convincesse anche i farisei a credere, o più
probabilmente per fare una denuncia che provocasse il loro furore.
Comunque fossero le intenzioni di chi andò a riferire, i farisei
furono informati.
26.
I gran sacerdoti e i farisei radunarono allora un consiglio e
dicevano: Che facciamo? (Gv 11, 47). Non dicevano mica: Crediamo!
Quegli uomini perversi infatti erano più impegnati a infierire su di
lui fino a eliminarlo che non a cercare la loro salvezza. E tuttavia
erano perplessi e si consultavano. Infatti dicevano: Che facciamo?
perché quest'uomo fa molti prodigi! Se lo lasciamo continuare, tutti
crederanno in lui e verranno i Romani e ci distruggeranno città e
nazione (Gv 11, 47-48). Temevano di perdere le cose temporali e
non si preoccupavano della vita eterna, e così perdettero l'una e
l'altra. I Romani infatti, dopo la passione e la glorificazione del
Signore, distrussero la loro città e la loro nazione, espugnando la
città e deportando la popolazione. Si realizzò così la profezia: I
figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre (Mt 8, 12).
Temevano che se tutti avessero creduto in Cristo, non sarebbe rimasto
nessuno a difendere la città e il tempio di Dio contro i Romani.
Erano infatti convinti che la dottrina di Cristo fosse contraria al
tempio e alle leggi dei loro padri.
27.
Uno di essi, però, Caifa, che era sommo sacerdote di quell'anno,
disse loro: Voi non ci capite nulla, né riflettete che è nel vostro
interesse che un uomo solo muoia e non perisca la nazione intera.
Ora, questo non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote di
quell'anno, profetò (Gv 11, 49-51). Apprendiamo qui che lo
spirito di profezia può annunciare il futuro anche per bocca di un
uomo indegno; la qual cosa l'evangelista l'attribuisce a un'occulta
disposizione di Dio, per il fatto che Caifa era pontefice, cioè
sommo sacerdote. Può sembrare strano che l'evangelista dica di Caifa
che era sommo sacerdote per quell'anno, dato che Dio aveva stabilito
che un sommo sacerdote dovesse restare in carica fino alla sua morte.
Ma è risaputo che in seguito, per soddisfare ambizioni ed evitare
contese, si stabilì che fossero più di uno fra i Giudei, e che
ciascuno a turno esercitasse la carica per un anno. Anche di Zaccaria
si dice che mentre prestava servizio sacerdotale nel turno della
sua classe, innanzi a Dio, secondo l'uso del sacro ministero, gli
toccò in sorte di entrare nel santuario del Signore per bruciare
l'incenso (Lc 1, 8-9). Questo dimostra che vi era più di un
sommo sacerdote, e che prestavano il loro servizio a turno, poiché
solo al sommo sacerdote spettava bruciare l'incenso (cf. Es 30, 7). E
probabilmente anche durante il medesimo anno prestavano servizio in
diversi, ai quali si avvicendavano altri nell'anno successivo, e tra
questi veniva sorteggiato chi doveva bruciare l'incenso. E cosa
profetò Caifa? Profetò che Gesù sarebbe morto per la nazione, e
non per quella nazione soltanto, ma anche per radunare insieme i
figli di Dio dispersi (Gv 11, 51-52). Questo lo ha aggiunto
l'evangelista, in quanto la profezia di Caifa si limitava alla
nazione dei Giudei, nella quale si trovavano quelle pecore di cui il
Signore aveva detto: Sono stato mandato soltanto alle pecore
perdute della casa d'lsraele (Mt 15, 24). Ma l'evangelista sapeva
che esistevano altre pecore che non erano di quell'ovile, e che
dovevano essere radunate, in modo che vi fosse un solo ovile, e un
solo pastore (cf. Gv 10, 16). Tutto questo, però, l'evangelista lo
dice tenendo conto della predestinazione, in quanto quelli che non
credevano in lui, non erano ancora né sue pecore né figli di Dio.
28.
Da quel giorno, dunque, decisero di farlo morire. Gesù non si
faceva più vedere in pubblico fra i Giudei, ma si ritirò nella
regione prossima al deserto, in una città chiamata Efraim, e là
soggiornò con i suoi discepoli (Gv 11, 53-55). Non gli era certo
venuto meno il suo potere, perché, se avesse voluto, avrebbe ben
potuto rimanere pubblicamente in mezzo ai Giudei senza che essi
potessero fargli del male. Egli volle invece offrire ai discepoli
l'esempio di come si possa vivere accettando la debolezza umana; e
mostrare loro che i suoi fedeli, che sono le sue membra, possono,
senza commettere peccato, sottrarsi ai loro persecutori; e che si
deve cercare di sfuggire al furore degli iniqui, anziché provocarli
maggiormente col mettersi nelle loro mani.
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