venerdì 20 marzo 2020

La gioia di vedere

Rito Romano – IV Domenica di Quaresima – Anno A – 22 marzo 2020
1 Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a; Sal 22; Ef 5, 8-14; Gv 9, 1-41
Cristo Luce apre gli occhi al cieco.

Rito Ambrosiano – IV Domenica di Quaresima
Es 34,27-35,1; Sal 35; 2Cor 3,7-18; Gv 9,1-38b
Domenica del cieco.
 

  1. La Luce che guarisce e dà gioia
Il brano del Vangelo di questa quarta domenica di Quaresima ci invita a meditare la storia del cieco nato, che Cristo guarisce con il fango della sua umanità e con la potenza amorosa della sua divinità. Infatti, con un po’ di terra e di saliva, il Messia fa del fango e lo spalma sugli occhi del cieco. Questo gesto allude alla creazione dell’uomo, che la Bibbia racconta con il simbolo della terra plasmata e animata dal soffio di Dio (cfr Gn2,7).. “Adamo infatti significa “terra”, e il corpo umano in effetti è composto di elementi della terra. Guarendo l’uomo, Gesù opera una nuova creazione nella verità che illumina la via verso la vita.
Anche con questo episodio Gesù Cristo, nostro Signore, mostra di essere la Via, Verità e Vita per l’umanità. Questa volta il termine di paragone ci viene dato dalla luce, anch'essa associata alla vita e alla sussistenza delluomo, così come lo è lacqua (Riandiamo con il pensiero al vangelo di domenica scorsa che ci ha parlato della Samaritana che andava al pozzo per avere l’acqua della vita materiale e trovò anche l’acqua della vita spirituale). Anche la luce è sinonimo di vita e il suo ricorrente contrasto con la realtà delle tenebre, nella Scrittura, suggerisce che essa è un elemento caratterizzante il vivere in contrasto con il morire. Dio, che la volta scorsa abbiamo visto delineato come acqua e verità, nella persona di Gesù Cristo ci si presenta adesso come “luce che taglia le tenebre, illumina le oscurità, penetra nelle profondità del male e del peccato per averne finalmente ragione.
Il miracolo, che oggi contempliamo, è segno di una guarigione più grande: quella della salvezza. L'incontro inatteso con il profeta Gesù (Gv 9, 17) diventa un fatto che fa in modo che un cieco possa vedere per conoscere e adorare il Signore Gesù (Gv 9, 34-38). E' questo il percorso di ognuno che è battezzato. Il suo (nostro) cuore è liberato da ogni incrostazione di peccato che offusca la sua (nostra) natura di figlio di Dio. Giocando sul significato della parola Siloe che significa Inviato e che dà il nome alla piscina dove avviene il miracolo di oggi, Sant'Agostino afferma che, se Cristo non fosse stato l'Inviato (missus, parola latina che vuol dire inviato) del Padre, luomo non sarebbe stato dis-inviato (di-missus) dal peccato, cioè non sarebbe stato perdonato per poter accogliere e vivere il Vangelo della gioia.
Anche la liturgia di questa quarta domenica di Quaresima, chiamata “Laetare”, invita a rallegrarci, ad essere nella gioia, così come l’antifona d’ingresso della Messa invita a fare: Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione” (cfr Is 66,10-11). Qual è la ragione profonda di questa gioia? Ce lo dice il Vangelo odierno, nel quale Gesù guarisce un uomo cieco dalla nascita, che insieme con la luce degli occhi riceve quella della fede: “Credo, Signore!” (Gv 9,38). In questo brano evangelico vediamo come una persona semplice e sincera, in modo graduale, compie un cammino di fede: in un primo momento incontra Gesù come un “uomo” tra gli altri, poi lo considera un “profeta”, infine i suoi occhi si aprono e lo proclama “Signore”. E la gioia di questo uomo è grande.

2) La gioia
Per Papa Francesco la gioia è una dominante delle sua vita, del suo ministero apostolico e del suo insegnamento come dimostra il titolo e l’introduzione della sua Esortazione “Evangelii gaudium”: “La gioia del vangelo” che merita di essere riletta in questa Domenica “Laetare”1.
Il Santo Padre in questo documento programmatico scrive: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.
Nel tempo dell’amarezza, della stanchezza, dell’approccio intellettuale, astratto alla vita di fede, nella “Evangelii gaudium” il Papa pone con forza la gioia del Vangelo come completamento del messaggio di Cristo che ha affermato” “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia perfetta”,
Oggi siamo invitati a “questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Par. 24, 90-91) perché la Pasqua si avvicina e la liturgia crea un’aurora che annuncia il sole di Pasqua, ci invita ad un momento di contentezza serena nel mezzo della austerità della quaresima.
La colletta della Messa di questa domenica recita: “Concedi al popolo cristiano di correre incontro alle feste che si avvicinano pieno di sollecito fervore e di fede alacre”. La fatica del cammino è il prezzo per la gioia della meta. Questo ci ricorda, ancora una volta, la finalità della Quaresima che è quella di prepararsi alla Pasqua, al mondo pasquale che fiorirà dalla Croce, sulla quale l’Amore eterno si immola per fare da contrappeso a tutti i nostri rifiuti di amore.
La gioia inizia dalle piccole e grandi gioie umane che ciascuno sperimenta fin da bambino gustando l’amore dei genitori, degli amici e dei fratelli e sorelle in umanità e nella fede. Questa gioia però si fa piena con Cristo. Essa viene da Gesù Redentore che porta la lieta buona notizia che Dio è sempre con noi.
Ecco alcuni esempi per capire ciò: la prima “epifania” di gioia è l’annunciazione, che fa dire alla Madonna: “L’anima mia magnifica il signore e il mio spirito gioisce in Dio mio Salvatore” (Lc 2,10) . La seconda la si ha quando il saluto di Maria, che porta il Salvatore nel suo seno, raggiunge Elisabetta: Giovanni Battista esulta di gioia nel seno di lei (Lc 1,44). 
Alla natività di Cristo l’angelo annunzia ai pastori "una grande gioia" (Lc 2,10). Quando i Magi vedono nuovamente la stella che li conduce a Cristo "provano una grandissima gioia" (Mt 2,10). Zaccheo riceve Gesù nella sua casa "pieno di gioia" (Lc 19,6). Nel giorno dell’ingresso messianico in Gerusalemme "tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto" (Lc 19,37). E questi sono solamente alcuni degli episodi di gioia suscitata dalla presenza di Cristo ed anche quella della sua attesa.
Gli annunzi profetici del Salvatore sono carichi di parole gioiose e di soprassalti di felicità. “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda... Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine” (Is 9,1-6; cfr. Mt 4,14-15 e liturgia del Natale). 
Ma questa gioia è stata preceduta già dalla gioia dei patriarchi. E lo dirà Gesù stesso: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Gv 8,56).
Come ho già accennato, c’è la gioia dell’Incarnazione e del Natale. Gioia annunziata dall’angelo (Lc 2,10), scoperta dai pastori (Lc 2, 20) e dai magi (Mt 2,10), manifestata dal vecchio Simeone e dalla profetessa Anna (Lc 2,25-38). La gioia del Natale scaturisce dalla contemplazione dell’inizio del nostro stupendo destino di redenti e del nostro ritorno al paradiso. "In questo giorno è stata piantata sulla terra la condizione dei cittadini celesti, gli angeli entrano in comunione con gli uomini, i quali si intrattengono senza timore con gli angeli. Ciò perché Dio è sceso sulla terra e l’uomo è salito al cielo. Ormai non c’è più separazione fra cielo e terra, tra angeli ed esseri umani" (S. Giovanni Crisostomo). La liturgia bizantina esclama: "O mondo, alla notizia (del parto verginale di Maria) canta e danza: con gli angeli e i pastori glorifica Colui che ha voluto mostrarsi bambino, il Dio di prima dei secoli".
Gioia dell’amore, gioia dell’unione, altissime tenerezze della felicità sovrabbondante e luminosissima.
Infine c’è la gioia pasquale alla quale ci stiamo preparando. Essa tocca i vertici più alti e scoppia definitivamente nella risurrezione, completamento indispensabile alla morte del Signore e alla nostra salvezza. I vangeli zampillano il fuoco beatificante della gioia che passa dagli angeli a Maria Maddalena, agli apostoli, ai discepoli di Emmaus. Sulla fede sconcertata di tutti i suoi, Gesù getta la luce della sua vita gloriosa, li illumina e li rallegra. "Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli" (Mt 28,8). "I discepoli gioirono al vedere il Signore" (Gv 20,20).
Tutto ciò è sintetizzato in modo splendido da San Tommaso d’Aquino che afferma: “La gioia è il godimento di un bene certo”, bene che la fede permette di gustare e vedere.
3) Il Pane di Verità è Pane di Gioia.
Si dice che la fede è cieca, ed è un modo di dire sbagliato. La fede fa vedere quello che gli occhi del corpo e della semplice intelligenza umana non vedono. La fede fa vedere quello che vede Dio. “Infatti l’uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore” (Ia Lettura).
Guarigione oppure no è solo la fede che mi permette di “vedere” come Dio vede dall'alto della sua infinita sapienza. Come sta scritto: “Alla tua luce vediamo la luce” (Sal 35,10).
“Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente”. (IIa Lettura).
In questa Quaresima, tempo di conversione alla luce che viene da Dio, meditiamo sul fatto che la nostra vita è un soffio, che in un attimo finisce, e chiediamo al Signore che accresca in noi la luce della fede per non discutere di chi sia la colpa dei mali del mondo, ma per fare del Vangelo e di Gesù Cristo la regola della nostra vita. Siamo morti ancora prima di morire se non crediamo nella risurrezione dai morti e in Colui che ci guida verso la Pasqua.
Immedesimiamoci nel cieco nato che uscito dalla cecità e dall'interrogatorio entra deluso e confuso nel mondo di quelli che credono di vedere. Con lui andiamo di nuovo ad incontrare Gesù che gli chiede se crede in Lui, se vede in Lui il vero uomo e il vero Dio, il Salvatore del mondo.
Cerchiamo di percepire il fremito del cieco quando sentì la voce di Gesù e poté fissare il suo sguardo in quegli occhi pieni di luce. Inginocchiamoci insieme a con lui dinanzi a Gesù nell'Eucaristia. Crediamo che la nostra vita è un miracolo, anche quando è avvolta dal buio. Crediamo che Dio ci ama e si fa vicino a ciascuno di noi. Ascoltiamo la sua voce nella Bibbia, facciamo quello che Lui ci dice per il tramite della Chiesa, andiamo dove Egli ci invia.
Confessiamoci per essere lavati dal suo sangue innocente e guarire dal nostro male colpevole e dalle nostre incapacità di vedere come Egli vede tutto ciò che siamo, ciò che potremmo essere, ciò che ci accade, e saremo nella gioia.
Questa gioia è un connotato delle Vergini consacrate che sono chiamate a dare nella gioia « una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro (Rito di Consacrazione delle Vergini, n. 30). Questa donne sono chiamate a dedicare la loro vita a Cristo e a vivere la loro esistenza rendendo testimonianza di amore a Cristo. Esse ci mostrano una modalità alta e bella di camminare alla sequela del Redentore come viene proposta nel Vangelo e, con intima gioia, assumono lo stesso stile di vita che Egli scelse per Sé.

1 La IV domenica di Quaresima è detta “la domenica della gioia” = Laetare (=Rallegrati), che è la prima parola dell’introito (antifona di ingresso) della Messa di oggi, il cui testo è preso da Isaia 66, 10 e 11: “Rallegrati Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione”.

Questa domenica ha una “sorella gemella” nella terza domenica di Avvento  che inizia con la parola “Gaudete” (=Gioite).

Lettura Patristica
Efrem
Diatessaron, 16, 28-32

1. Il cieco nato
       E perché essi avevano bestemmiato a proposito delle sue parole: "Prima che Abramo fosse, io ero" (Jn 8,58), Gesù andò verso l’incontro con un uomo, cieco fin dalla nascita: "E i suoi discepoli lo interrogarono: Chi ha peccato, lui o i suoi genitori? Egli disse loro: Né lui, né i suoi genitori, ma è perché Dio sia glorificato. È necessario che io compia le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno" (Jn 9,2-4), fintanto che sono con voi. "Sopraggiunge la notte" (Jn 9,4), e il Figlio sarà esaltato, e voi che siete la luce del mondo, scomparirete e non vi saranno più miracoli a causa dell’incredulità. "Ciò dicendo, sputò per terra, formò del fango con la saliva, e fece degli occhi con il suo fango" (Jn 9,6), e la luce scaturí dalla terra, come al principio, quando l’ombra del cielo, "la tenebra, era estesa su tutto" ed egli comandò alla luce e quella nacque dalle tenebre (Gn 1,2-3). Così «egli formò del fango con la saliva», e guarì il difetto che esisteva dalla nascita, per mostrare che lui, la cui mano completava ciò che mancava alla natura, era proprio colui la cui mano aveva modellato la creazione al principio. E siccome rifiutavano di crederlo anteriore ad Abramo, egli provò loro con quest’opera che era il Figlio di colui che, con la sua mano, "formò" il primo "Adamo con la terra" (Gn 2,7): in effetti, egli guarì la tara del cieco con i gesti del proprio corpo.

       Fece ciò inoltre per confondere coloro che dicono che l’uomo è fatto di quattro elementi, poiché rifece le membra carenti con terra e saliva, fece ciò a utilità di coloro che cercavano i miracoli per credere: "I Giudei cercano i miracoli" (1Co 1,22). Non fu la piscina di Siloe che aprì gli occhi del cieco (Jn 9,7 Jn 11), come non furono le acque del Giordano che purificarono Naaman; è il comando del Signore che compie tutto. Ben più, non è l’acqua del nostro Battesimo, ma i nomi che si pronunciano su di essa, che ci purificano. "Unse i suoi occhi con il fango" (Jn 9,6), perché i Giudei ripulissero l’accecamento del loro cuore. Quando il cieco se ne andò tra la folla e chiese: «Dov’è Siloe?», si vide il fango cosparso sui suoi occhi. Le persone lo interrogarono, egli le informò, ed esse lo seguirono, per vedere se i suoi occhi si fossero aperti.

       Coloro che vedevano la luce materiale erano guidati da un cieco che vedeva la luce dello spirito, e, nella sua notte, il cieco era guidato da coloro che vedevano esteriormente, ma che erano spiritualmente ciechi. Il cieco lavò il fango dai suoi occhi, e vide se stesso; gli altri lavarono la cecità del loro cuore ed esaminarono sé stessi. Nostro Signore apriva segretamente gli occhi di molti altri ciechi. Quel cieco fu una bella e inattesa fortuna per Nostro Signore; per suo tramite, acquistò numerosi ciechi, che egli guarì dalla cecità del cuore.

       In quelle poche parole del Signore si celavano mirabili tesori, e, in quella guarigione era delineato un simbolo: Gesù figlio del Creatore. "Va’, lavati il viso" (Jn 9,7), per evitare che qualcuno consideri quella guarigione più come un stratagemma che come un miracolo, egli lo mandò a lavarsi. Disse ciò per mostrare che il cieco non dubitava del potere di guarigione del Signore, e perché, camminando e parlando, pubblicizzasse l’evento e mostrasse la sua fede.

       La saliva del Signore servì da chiave agli occhi chiusi, e guarì l’occhio e la pupilla con le acque, con le acque formò il fango e riparò il difetto. Agì così, affinché, allorché gli avrebbero sputato in faccia, gli occhi dei ciechi, aperti dalla sua saliva, avessero reso testimonianza contro di essi. Ma essi non compresero il rimprovero che egli volle fare a proposito degli occhi guariti dei ciechi: "Perché coloro che vedono diventino ciechi" (Mt 26,27); diceva questo dei ciechi perché lo vedano corporalmente, e di quelli che vedono perché i loro cuori non lo conoscano. Egli ha formato il fango durante il sabato (Jn 9,14). Omisero il fatto della guarigione e gli rimproverarono di aver formato del fango. Lo stesso dissero a colui "che era malato da trentotto anni: Chi ti ha detto di portare il tuo lettuccio?" (Jn 5,5 Jn 12), e non: Chi ti ha guarito? Qui, analogamente: «Ha fatto del fango durante il sabato». E così, anzi per molto meno, non si ingelosirono di lui e non lo rinnegarono, quando guarì un idropico, con una sola parola, in giorno di sabato? (Lc 14,1-6). Cosa gli fece dunque guarendolo? Egli fu purificato e guarito con la sola parola. Quindi, secondo le loro teorie, chiunque parla viola il sabato; ma allora - si dirà - chi ha maggiormente violato il sabato, il nostro Salvatore che guarisce, o coloro che ne parlano con gelosia?

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