Rito
Romano – IV Domenica di Quaresima – Anno A – 22 marzo 2020
1
Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a; Sal 22; Ef 5, 8-14; Gv 9, 1-41
Cristo
Luce apre gli occhi al cieco.
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Rito
Ambrosiano – IV Domenica di Quaresima
Es
34,27-35,1; Sal 35; 2Cor 3,7-18; Gv 9,1-38b
Domenica
del cieco.
-
La Luce che guarisce e dà gioia
Il
brano del
Vangelo di questa quarta domenica di Quaresima
ci invita a meditare la storia del cieco nato, che Cristo guarisce
con il “fango”
della sua umanità
e con la potenza amorosa della sua divinità.
Infatti,
con un po’ di terra e di saliva, il Messia
fa del fango e lo spalma sugli occhi del cieco. Questo gesto allude
alla creazione dell’uomo, che la Bibbia racconta con il simbolo
della terra plasmata e animata dal soffio di Dio (cfr Gn2,7)..
“Adamo” infatti
significa “terra”, e il corpo umano in
effetti è composto di elementi della terra. Guarendo l’uomo, Gesù
opera una nuova creazione nella verità che illumina la via
verso la vita.
Anche
con questo episodio Gesù Cristo,
nostro Signore, mostra di essere la Via,
Verità e Vita per l’umanità. Questa
volta il termine di paragone ci viene dato dalla “luce”,
anch'essa associata alla vita e alla sussistenza dell’uomo,
così come lo è l’acqua
(Riandiamo con il pensiero al vangelo di domenica scorsa che ci ha
parlato della Samaritana che andava al pozzo per avere l’acqua
della vita materiale e trovò anche l’acqua della vita spirituale).
Anche la luce è sinonimo di vita e il suo ricorrente contrasto con
la realtà delle tenebre, nella Scrittura, suggerisce che essa è
un elemento caratterizzante il vivere in contrasto
con il morire. Dio, che la volta scorsa abbiamo visto delineato come
“acqua” e
verità, nella persona di Gesù Cristo ci si presenta adesso come
“luce” che taglia le
tenebre, illumina le oscurità, penetra nelle profondità del male e
del peccato per averne finalmente ragione.
Il
miracolo, che oggi contempliamo, è segno di una guarigione più
grande: quella della salvezza. L'incontro inatteso con il profeta
Gesù (Gv 9, 17) diventa un fatto che fa in modo che un cieco possa
vedere per conoscere e adorare il Signore Gesù (Gv 9, 34-38). E'
questo il percorso di ognuno che è battezzato. Il suo (nostro) cuore
è liberato da ogni incrostazione di peccato che offusca la sua
(nostra) natura di figlio di Dio. Giocando sul significato della
parola “Siloe”
che significa “Inviato”
e che dà il nome alla piscina dove avviene il miracolo di oggi,
Sant'Agostino afferma
che,
se Cristo non fosse stato l'Inviato
(missus, parola latina che vuol dire inviato)
del Padre, l’uomo
non sarebbe stato dis-inviato
(di-missus)
dal peccato, cioè non sarebbe stato perdonato
per poter accogliere e vivere il Vangelo della gioia.
Anche
la liturgia di questa quarta domenica
di Quaresima, chiamata “Laetare”,
invita a rallegrarci, ad essere nella
gioia, così come l’antifona d’ingresso
della Messa invita a fare: “Rallegrati,
Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite,
voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della
vostra consolazione” (cfr Is 66,10-11). Qual è la
ragione profonda di questa gioia? Ce lo dice il Vangelo odierno, nel
quale Gesù guarisce un uomo cieco dalla nascita, che insieme
con la luce degli occhi riceve quella della
fede: “Credo, Signore!” (Gv 9,38). In
questo brano evangelico vediamo come una persona
semplice e sincera, in modo graduale, compie un cammino di fede: in
un primo momento incontra Gesù come un “uomo” tra gli altri, poi
lo considera un “profeta”, infine i suoi occhi si aprono e lo
proclama “Signore”. E la gioia di questo uomo è grande.
2)
La gioia
Per
Papa Francesco la gioia è una dominante delle sua vita, del suo
ministero apostolico e del suo insegnamento come dimostra il titolo e
l’introduzione della sua Esortazione “Evangelii
gaudium”:
“La gioia del vangelo” che merita di essere riletta in questa
Domenica “Laetare”1.
Il
Santo Padre in questo documento programmatico scrive: “La gioia
del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si
incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono
liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore,
dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.
Nel
tempo dell’amarezza, della stanchezza, dell’approccio
intellettuale, astratto alla vita di fede, nella “Evangelii
gaudium” il Papa pone con forza la gioia del Vangelo come
completamento del messaggio di Cristo che ha affermato” “Vi ho
detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia
sia perfetta”,
Oggi
siamo invitati a “questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si
fonda” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Par. 24, 90-91) perché
la Pasqua si avvicina e la liturgia crea un’aurora che annuncia il
sole di Pasqua, ci invita ad un momento di contentezza
serena nel mezzo della austerità della quaresima.
La
colletta della Messa di questa domenica recita: “Concedi al
popolo cristiano di correre incontro alle feste che si avvicinano
pieno di sollecito fervore e di fede alacre”. La fatica del
cammino è il prezzo per la gioia della meta. Questo ci ricorda,
ancora una volta, la finalità della Quaresima che è quella di
prepararsi alla Pasqua, al mondo pasquale che fiorirà dalla Croce,
sulla quale l’Amore eterno si immola per fare da contrappeso a
tutti i nostri rifiuti di amore.
La
gioia inizia dalle piccole e grandi gioie umane che ciascuno
sperimenta fin da bambino gustando l’amore dei genitori, degli
amici e dei fratelli e sorelle in umanità e nella fede. Questa gioia
però si fa piena con Cristo. Essa viene da Gesù Redentore che porta
la lieta buona notizia che Dio è sempre con noi.
Ecco
alcuni esempi per capire ciò: la prima “epifania” di gioia è
l’annunciazione, che fa dire alla Madonna: “L’anima mia
magnifica il signore e il mio spirito gioisce in Dio mio Salvatore”
(Lc 2,10) . La seconda la si ha quando il saluto di Maria, che porta
il Salvatore nel suo seno, raggiunge Elisabetta: Giovanni Battista
esulta di gioia nel seno di lei (Lc 1,44).
Alla natività
di Cristo l’angelo annunzia ai pastori "una grande gioia"
(Lc 2,10). Quando i Magi vedono nuovamente la stella che li
conduce a Cristo "provano una grandissima gioia" (Mt
2,10). Zaccheo riceve Gesù nella sua casa "pieno di gioia"
(Lc 19,6). Nel giorno dell’ingresso messianico in Gerusalemme
"tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare
Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto" (Lc
19,37). E questi sono solamente alcuni degli episodi di gioia
suscitata dalla presenza di Cristo ed anche quella della sua attesa.
Gli
annunzi profetici del Salvatore sono carichi di parole gioiose e di
soprassalti di felicità. “Il popolo che camminava nelle tenebre
vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una
luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si
gioisce quando si spartisce la preda... Poiché un bambino è nato
per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno
della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e
la pace non avrà fine” (Is 9,1-6; cfr. Mt 4,14-15 e liturgia del
Natale).
Ma questa gioia è stata preceduta già dalla gioia dei
patriarchi. E lo dirà Gesù stesso: “Abramo, vostro padre, esultò
nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò”
(Gv 8,56).
Come
ho già accennato, c’è la gioia dell’Incarnazione e del Natale.
Gioia annunziata dall’angelo (Lc 2,10), scoperta dai pastori (Lc 2,
20) e dai magi (Mt 2,10), manifestata dal vecchio Simeone e dalla
profetessa Anna (Lc 2,25-38). La gioia del Natale scaturisce dalla
contemplazione dell’inizio del nostro stupendo destino di redenti e
del nostro ritorno al paradiso. "In questo giorno è stata
piantata sulla terra la condizione dei cittadini celesti, gli angeli
entrano in comunione con gli uomini, i quali si intrattengono senza
timore con gli angeli. Ciò perché Dio è sceso sulla terra e l’uomo
è salito al cielo. Ormai non c’è più separazione fra cielo e
terra, tra angeli ed esseri umani" (S. Giovanni Crisostomo).
La liturgia bizantina esclama: "O mondo, alla notizia (del
parto verginale di Maria) canta e danza: con gli angeli e i
pastori glorifica Colui che ha voluto mostrarsi bambino, il Dio di
prima dei secoli".
Gioia dell’amore, gioia dell’unione,
altissime tenerezze della felicità sovrabbondante e luminosissima.
Infine
c’è la gioia pasquale alla quale ci stiamo preparando. Essa tocca
i vertici più alti e scoppia definitivamente nella risurrezione,
completamento indispensabile alla morte del Signore e alla nostra
salvezza. I vangeli zampillano il fuoco beatificante della gioia che
passa dagli angeli a Maria Maddalena, agli apostoli, ai discepoli di
Emmaus. Sulla fede sconcertata di tutti i suoi, Gesù getta la luce
della sua vita gloriosa, li illumina e li rallegra. "Abbandonato
in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a
dare l’annunzio ai suoi discepoli" (Mt 28,8). "I
discepoli gioirono al vedere il Signore" (Gv 20,20).
Tutto
ciò è sintetizzato in modo splendido da San Tommaso d’Aquino che
afferma: “La gioia è il godimento di un bene certo”, bene
che la fede permette di gustare e vedere.
3)
Il Pane di Verità è Pane di Gioia.
Si
dice che la fede è cieca, ed è un modo di dire sbagliato. La fede
fa vedere quello che gli occhi del corpo e della semplice
intelligenza umana non vedono. La fede fa vedere quello che vede Dio.
“Infatti l’uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore”
(Ia Lettura).
Guarigione
oppure no è solo la fede che mi permette di “vedere” come Dio
vede dall'alto della sua infinita sapienza. Come sta scritto: “Alla
tua luce vediamo la luce” (Sal 35,10).
“Comportatevi
perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in
ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è
gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non
danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente”. (IIa
Lettura).
In
questa Quaresima, tempo di conversione alla luce che viene da Dio,
meditiamo sul fatto che la nostra vita è un soffio, che in un attimo
finisce, e chiediamo al Signore che accresca in noi la luce della
fede per non discutere di chi sia la colpa dei mali del mondo, ma per
fare del Vangelo e di Gesù Cristo la regola della nostra vita. Siamo
morti ancora prima di morire se non crediamo nella risurrezione dai
morti e in Colui che ci guida verso la Pasqua.
Immedesimiamoci
nel cieco nato che uscito dalla cecità e dall'interrogatorio entra
deluso e confuso nel mondo di quelli che credono di vedere. Con lui
andiamo di nuovo ad incontrare Gesù che gli chiede se crede in Lui,
se vede in Lui il vero uomo e il vero Dio, il Salvatore del mondo.
Cerchiamo
di percepire il fremito del cieco quando sentì la voce di Gesù e
poté fissare il suo sguardo in quegli occhi pieni di luce.
Inginocchiamoci insieme a con lui dinanzi a Gesù nell'Eucaristia.
Crediamo che la nostra vita è un miracolo, anche quando è avvolta
dal buio. Crediamo che Dio ci ama e si fa vicino a ciascuno di noi.
Ascoltiamo la sua voce nella Bibbia, facciamo quello che Lui ci dice
per il tramite della Chiesa, andiamo dove Egli ci invia.
Confessiamoci
per essere lavati dal suo sangue innocente e guarire dal nostro male
colpevole e dalle nostre incapacità di vedere come Egli vede tutto
ciò che siamo, ciò che potremmo essere, ciò che ci accade, e
saremo nella gioia.
Questa
gioia è un connotato delle Vergini consacrate che sono chiamate a
dare nella gioia « una particolare testimonianza di carità e segno
visibile del Regno futuro (Rito di Consacrazione delle Vergini, n.
30). Questa donne sono chiamate a dedicare la loro vita a Cristo e a
vivere la loro esistenza rendendo testimonianza di amore a Cristo.
Esse ci mostrano una modalità alta e bella di camminare alla sequela
del Redentore come viene proposta nel Vangelo e, con intima gioia,
assumono lo stesso stile di vita che Egli scelse per Sé.
1
La
IV domenica di Quaresima è detta “la domenica della gioia” =
Laetare
(=Rallegrati), che è la prima parola dell’introito (antifona
di ingresso) della Messa di oggi, il cui testo è preso da Isaia 66,
10 e 11: “Rallegrati
Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e
gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza
della vostra consolazione”.
Questa
domenica ha una “sorella gemella” nella terza domenica di
Avvento che inizia con la parola “Gaudete”
(=Gioite).
Lettura
Patristica
Efrem
Diatessaron,
16, 28-32
1.
Il cieco nato
E
perché essi avevano bestemmiato a proposito delle sue parole: "Prima
che Abramo fosse, io ero"
(Jn
8,58),
Gesù andò verso l’incontro con un uomo, cieco fin dalla nascita:
"E
i suoi discepoli lo interrogarono: Chi ha peccato, lui o i suoi
genitori? Egli disse loro: Né lui, né i suoi genitori, ma è perché
Dio sia glorificato. È necessario che io compia le opere di colui
che mi ha mandato, finché è giorno"
(Jn
9,2-4),
fintanto che sono con voi. "Sopraggiunge
la notte"
(Jn
9,4),
e il Figlio sarà esaltato, e voi che siete la luce del mondo,
scomparirete e non vi saranno più miracoli a causa dell’incredulità.
"Ciò
dicendo, sputò per terra, formò del fango con la saliva, e fece
degli occhi con il suo fango"
(Jn
9,6),
e la luce scaturí dalla terra, come al principio, quando l’ombra
del cielo, "la
tenebra, era estesa su tutto"
ed egli comandò alla luce e quella nacque dalle tenebre (Gn
1,2-3).
Così «egli formò del fango con la saliva», e guarì il difetto
che esisteva dalla nascita, per mostrare che lui, la cui mano
completava ciò che mancava alla natura, era proprio colui la cui
mano aveva modellato la creazione al principio. E siccome rifiutavano
di crederlo anteriore ad Abramo, egli provò loro con quest’opera
che era il Figlio di colui che, con la sua mano, "formò"
il primo "Adamo
con la terra"
(Gn
2,7):
in effetti, egli guarì la tara del cieco con i gesti del proprio
corpo.
Fece
ciò inoltre per confondere coloro che dicono che l’uomo è fatto
di quattro elementi, poiché rifece le membra carenti con terra e
saliva, fece ciò a utilità di coloro che cercavano i miracoli per
credere: "I
Giudei cercano i miracoli"
(1Co
1,22).
Non fu la piscina di Siloe che aprì gli occhi del cieco (Jn
9,7
Jn
11),
come non furono le acque del Giordano che purificarono Naaman; è il
comando del Signore che compie tutto. Ben più, non è l’acqua del
nostro Battesimo, ma i nomi che si pronunciano su di essa, che ci
purificano. "Unse
i suoi occhi con il fango"
(Jn
9,6),
perché i Giudei ripulissero l’accecamento del loro cuore. Quando
il cieco se ne andò tra la folla e chiese: «Dov’è Siloe?», si
vide il fango cosparso sui suoi occhi. Le persone lo interrogarono,
egli le informò, ed esse lo seguirono, per vedere se i suoi occhi si
fossero aperti.
Coloro
che vedevano la luce materiale erano guidati da un cieco che vedeva
la luce dello spirito, e, nella sua notte, il cieco era guidato da
coloro che vedevano esteriormente, ma che erano spiritualmente
ciechi. Il cieco lavò il fango dai suoi occhi, e vide se stesso; gli
altri lavarono la cecità del loro cuore ed esaminarono sé stessi.
Nostro Signore apriva segretamente gli occhi di molti altri ciechi.
Quel cieco fu una bella e inattesa fortuna per Nostro Signore; per
suo tramite, acquistò numerosi ciechi, che egli guarì dalla cecità
del cuore.
In
quelle poche parole del Signore si celavano mirabili tesori, e, in
quella guarigione era delineato un simbolo: Gesù figlio del
Creatore. "Va’,
lavati il viso"
(Jn
9,7),
per evitare che qualcuno consideri quella guarigione più come un
stratagemma che come un miracolo, egli lo mandò a lavarsi. Disse ciò
per mostrare che il cieco non dubitava del potere di guarigione del
Signore, e perché, camminando e parlando, pubblicizzasse l’evento
e mostrasse la sua fede.
La
saliva del Signore servì da chiave agli occhi chiusi, e guarì
l’occhio e la pupilla con le acque, con le acque formò il fango e
riparò il difetto. Agì così, affinché, allorché gli avrebbero
sputato in faccia, gli occhi dei ciechi, aperti dalla sua saliva,
avessero reso testimonianza contro di essi. Ma essi non compresero il
rimprovero che egli volle fare a proposito degli occhi guariti dei
ciechi: "Perché
coloro che vedono diventino ciechi"
(Mt
26,27);
diceva questo dei ciechi perché lo vedano corporalmente, e di quelli
che vedono perché i loro cuori non lo conoscano. Egli ha formato il
fango durante il sabato (Jn
9,14).
Omisero il fatto della guarigione e gli rimproverarono di aver
formato del fango. Lo stesso dissero a colui "che
era malato da trentotto anni: Chi ti ha detto di portare il tuo
lettuccio?"
(Jn
5,5
Jn
12),
e non: Chi ti ha guarito? Qui, analogamente: «Ha fatto del fango
durante il sabato». E così, anzi per molto meno, non si
ingelosirono di lui e non lo rinnegarono, quando guarì un idropico,
con una sola parola, in giorno di sabato? (Lc
14,1-6).
Cosa gli fece dunque guarendolo? Egli fu purificato e guarito con la
sola parola. Quindi, secondo le loro teorie, chiunque parla viola il
sabato; ma allora - si dirà - chi ha maggiormente violato il sabato,
il nostro Salvatore che guarisce, o coloro che ne parlano con
gelosia?
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