Rito
Romano – III Domenica di Quaresima – Anno A – 15 marzo 2020
Es
17,3-7; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42
La
sete di Gesù e quella della Samaritana.
Rito
Ambrosiano – III Domenica di Quaresima
Es
34,1-10; Sal 105; Gal 3,6-14; Gv 8,31-59
-
Sete che permette di trovare chi non si cercava.
Nel
brano del Vangelo di questa domenica, San Giovanni ci presenta
-
un pozzo, quello che Giacobbe aveva lasciato a Giuseppe, perché ci si potesse abbeverare,
-
una brocca, che verrà abbandonata quale simbolo della vita di prima,
-
una donna samaritana che, dialogando con Gesù, predispone il cuore all’ascolto e crede che lo sconosciuto sia il Messia ed infine
-
Gesù che, dialogando con la samaritana, si manifesta come Messia.
Va,
però, tenuto presente che questa donna andava a prendere acqua
“materiale” e il vangelo non ci dice che avesse particolari
esigenze spirituali. Dal racconto si può dedurre che si tratta di
una giovane donna amante, contesa per la sua bellezza, una giovane
donna che facilmente si abbandonava al primo venuto e,in fondo,
era contenta della sua vita. Aveva aveva già avuto sette “mariti”
e viveva con un altro uomo, ma non appare dal Vangelo che in lei ci
fosse qualche rimorso che preparasse il suo incontro con Cristo.
Andava, forse cantando, portando sul capo o sulle spalle l’anfora
vuota, lieta di vivere e contenta di essere amata.
Il fatto poi del suo linguaggio col Signore, a cui risponde portando
il discorso su un piano puramente umano, dimostra che era ben lontana
dal prevedere quello che sarebbe avvenuto, che era ben lontana anche
dal desiderarlo.
Anche
a noi può succedere di incontrare Cristo là dove non avremmo mai
creduto trovarlo. Forse
i nostri incontri più veri, più profondi, più vivi con Dio non si
sono realizzati là dove pensavamo che fosse ad aspettarci, che era
pronto a riceverci, ma nei luoghi più impensati, nei momenti più
imprevedibili.
La
cosa importante è di non spegnere la sete, di non soffocare la
domanda di senso che anche il corpo manifesta e lasciarci attrarre da
Cristo perché noi restiamo in Lui, che genera in noi una vita nuova.
E’ grazie a questo processo che implica tempo e libertà che gli
eventi della vita irrompono nella nostra vita e diventano incontri
che ci trasformano.
L’importante
è essere in cammino, come questa donna o come San Paolo che incontrò
Gesù che stava perseguitando nei cristiani. Questi due (ma anche
noi) s’incontrarono con Cristo in un momento in cui meno pensavano
e meno sembravano preparati all’incontro. Ma questo è il bello
degli incontri con Dio. Spesso non sono legati ai nostri sforzi. Sono
un dono di un amore infinito, che ci riempie di stupore e
gratitudine. Sorpresi da questo dono inatteso, siamo nella gioia
perché sperimentiamo che siamo amati e che la sete di vita piena e
duratura riceve la risposta esauriente in Cristo. Oso dire anche che
nell’incontro con Cristo riceviamo il dono di noi stessi da Lui.
2)
Un Povero che chiede per poter donare.
Nel
suo esodo Gesù passa per la Samaria e si ferma al pozzo di Giacobbe
nei pressi della città di Sicar. Si siede su muretto che cinge il
pozzo perché è stanco di camminare, ha sete, ma è povero e non ha
mezzi per attingere l’acqua. Aspetta che venga qualcuno che possa
attingere l’acqua per lui e dissetarlo, ma la sua umile richiesta è
un “pretesto” per poter donare se stesso.
Cristo
è così assetato di noi che non esita a chiedere dell’acqua per il
suo corpo e così poter offrire se stesso come sorgente di acqua che
disseta per sempre, perché sa che quanti vanno al pozzo a prender
l'acqua hanno sete di un'altra acqua, anche se credono di non averne
bisogno.
Cristo
ha sete, ma la sua non è solo una sete fisica, è spirituale: ha
sete di noi, che oggi siamo rappresentati dalla Samaritana. Gesù si
fa buon Samaritano alla samaritana e, proponendo un’acqua che
disseta anche il cuore, la invita alla conversione,.
In
fondo che cosa significa “conversione”?
Non è solo un atto
della volontà, ma è una risposta all'Amore di Dio che si è fatto
strada nel nostro spesso complicato, confuso o disordinato modo di
vivere, che ci rende assetati di tutto.
Chiediamo a Cristo di versare anche nei
nostri cuori il vero amore così da avere un costante desiderio di
Lui e il deserto della vita fiorirà, e
saremo nelle sue mani amorose e salde, sempre.
Il
cammino di conversione, che il cuore della donna di Samaria percorre,
non è senza resistenze. La ricerca di Dio da parte dell'essere umano
corre sempre il pericolo di rinchiudersi in se stessa, è sempre
minacciata, quindi l’evangelista Giovanni mette a nudo le radici di
questa chiusura su se stessi, mettendo in evidenza che, all’inizio,
la Samaritana non capisce. In effetti quando si lascia andare al suo
istinto e alla sua
reattività, l’uomo non è più capace né di capire la parola di
Dio, né di interpretare correttamente le proprie attese. Il cuore ha
sete e come una cerva anela all’acqua, ma la cerca in modo
sbagliato, con delle pretese e dei pregiudizi. La donna intuisce
qualcosa del dono di cui Cristo parla (l'acqua), ma lo interpreta sul
metro delle proprie preoccupazioni: “Signore,
gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete
e non continui a venire qui ad attingere acqua”1.
La tentazione di chi cerca Dio è sempre di rinchiudere il dono di
Dio dentro la propria attesa. Ma Dio non si lascia rinchiudere nelle
attese dell'uomo: le dilata. La donna cerca di situare Gesù nelle
categorie religiose tradizionali, ma Gesù non esita a mostrare la
loro inadeguatezza. Per due volte – a proposito del dono dell'acqua
e del luogo del culto – la donna evoca la grandezza dei patriarchi
2,
evoca il passato: la sua ricerca è chiusa nel passato. Gesù la
costringe a guardare al futuro e a prendere coscienza che nel mondo è
arrivata la novità e che questa rinnova il problema dalle
fondamenta. La novità non sta in qualcosa che disseta il corpo
arido, ma in Qualcuno che disseta il cuore ricolmandolo,
Già
san Paolo aveva compreso che Gesù è “l'acqua che disseta”,
quando affermò: “E la Roccia era Cristo”3,
in riferimento al testo della prima lettura di oggi. Alle volte
possiamo forse sentirci messi alla prova dall'arsura della sete, ma
Gesù ci sarà sempre vicino con l'acqua viva del suo amore. L'acqua
che è Cristo stesso non soltanto disseta, ma purifica e dà vita.
Infatti, dal costato aperto di Cristo sono sgorgati acqua e sangue,
simbolo dei sacramenti del battesimo e dell'eucaristia. Ma non è
sufficiente essere dissetati, purificati, vivificati dall'Acqua di
Cristo. Quest'acqua non è soltanto per noi, è per tutti.
La
Samaritana lo ha capito. Ha lasciato per qualche istante Gesù ed è
andata in città, facendosi “missionaria” verso i suoi
concittadini. L’umanità intera ha bisogno di essere dissetata e
lavata da quest'acqua di Cristo. La donna, giunta al punto in cui
Gesù intendeva condurla, lascia le sue precedenti preoccupazioni e
corre in città (cf. Gv 4,28). Il suo incontro con Cristo si
fa comunitario, il suo cammino diventa missionario.
Questa
ricerca e questo incontro della donna di Samaria e dei suoi
concittadini è, ovviamente, un'immagine del cammino di ogni uomo
verso Dio.
3)
La sete di Gesù Maestro.
Il
Vangelo
ci parla di un ambiente “scolastico” inconsueto, un pozzo, e un
maestro inatteso: Dio. Un
Maestro che oggi sceglie come cattedra un muretto, per insegnare non
dall’alto ma all’altezza del cuore, e come ascoltatore una donna.
Di questo fatto se ne stupirono per primi i discepoli sia perché era
samaritana4
e sia perché era donna. Non
sapevano ancora che la
Chiesa di Cristo avrebbe posto una Donna quale mediatrice tra i figli
e il Figlio. La Madonna che riunì in sé, unica fra tutte, le due
supreme perfezioni della donna: la Vergine e la Madre, che soffrì
per noi dalla notte della nascita a quella della morte di Gesù,
fratello nostro.
Un
Maestro che per fare attingere la verità dal suo cuore, chiede
da bere. Nel
Vangelo solo due volte è detto che Gesù ha sete: in
questo incontro con la samaritana e sulla Croce. E dalla Croce
continua a dire “ho sete”, rivolgendosi a ciascuno di noi, perché
di ognuno di noi ha sete e ci dice: “Conosco
il tuo cuore, la tua solitudine e il tuo dolore, le reazioni, i
giudizi e le umiliazioni. lo ho sopportato tutto questo prima dite.
Ho portato su di Me tutto questo per te affinché tu possa dividere
anche la Mia potenza e vittoria. Conosco specialmente il tuo bisogno
di amore e di bere alla fonte dell'amore e della consolazione. Quante
volte la tua sete è stata vana; dissetandoti in modo egoistico,
riempiendo la tua sete di piaceri illusori, cioè la vacuità ancora
più grande del peccato! Hai sete di amore? “Venite a Me o voi
assetati...” (Gv. 7,37). Io vi darò da bere fino a pienezza. Hai
sete di essere amato? Ti amo più di quanto puoi immaginare, al punto
di morire in croce per te.
Ho sete del tuo amore. Sì, questo è il
solo modo di dirti il Mio amore: HO SETE DI TE. Ho sete di amarti e
di essere amato. Per dimostrarti quanto sei prezioso per Me! HO SETE
DI TE. Non dubitare mai della Mia Grazia, del mio desiderio di
perdonarti, di benedirti e di vivere la mia vita in te. HO SETE DI
TE. Aprimi, vieni a me, sii assetato di me, offrimi la tua vita. E io
ti dimostrerò quanto conti per il Mio cuore”.5
Gesù
Cristo, Figlio di Dio, ha sete della nostra sete (cfr San Gregorio di
Nazianzo), ha desiderio del nostro desiderio. Ha bisogno di noi, ha
sete di fratelli.
La
nostra domanda è risposta alla sete di Cristo. Non è poi così
paradossale affermare che La
nostra preghiera di domanda è una risposta. E’ un dato di fatto.
Con la forza dell’amore siamo chiamati a rispondere al lamento del
Dio vivente: “Essi
hanno abbandonato me, sorgente d'acqua viva, per scavarsi cisterne,
cisterne screpolate”6,
risposta di fede alla promessa gratuita di salvezza7,
risposta d'amore alla sete del Figlio unigenito8.
A
tutti si rinnova l’invito di Dio: “O
voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha denaro venga
ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e senza spesa, vino e
latte”9,
“Chi
ha sete venga, chi vuole prenda in dono dell'acqua della vita”10.
E’ un chiaro invito di Gesù Cristo a tutti gli uomini. E’ un
incoraggiamento a “bere” dalla fonte eterna: l'unica che toglie
la sete del cuore e della mente, che guarisce l’anima e il corpo,
l’unica che dona salvezza, la sola che dà la felicità che dura
per sempre.
Ma
teniamo ben presente che questa acqua scaturisce anche da coloro che
hanno creduto in Lui come Salvatore, i quali, simili a vasi di terra,
sono chiamati ad essere ripieni dell'Acqua della Vita11
e si dispongono umilmente a condividerla.
Le
Vergini Consacrate sono chiamate a vivere questa condivisione
mediante la consacrazione, la donazione totale a Dio, da loro portato
come vasi sacri, fragili come la creta ma forti della grazia, da cui
attingere l’amore che dio ha riversato in loro.
Le
Vergini consacrate, poi, con la loro dedizione assidua alla preghiera
testimoniano che la
preghiera e la vita spirituale autentica sono simili alla pulsione
primaria, istintiva della sete che è bisogno primario ed elementare.
È una necessità quasi “animalesca”, analoga a quella che il
profeta Geremia raffigurava nella brama degli asini selvatici, che
durante la siccità “si
fermano sulle alture e aspirano l’aria come sciacalli” a causa
delle fauci riarse, “mentre i loro occhi languiscono, perché non
si trova più erba”12.
Ma il vivere la preghiera e la vita come risposta alla sete di Dio
permette a loro, ed anche a noi di pregare così: “Il
tuo amore è più dolce della vita, le mie labbra ti celebrano”13.
Queste donne testimoniano di aver capito la lezione di Gesù alla
Samaritana. Non cercano Dio sulla montagna di Samaria né di Sion, Lo
cercano e trovano dentro il loro cuore come pozzo da cui sgorga acqua
di vita eterna. Sono assetate di Dio e per questo il loro Rituale per
la Consacrazione cita il Salmo 41: “Come
un cervo assetato cerca l’acqua viva, così la mia anima cerca te,
Dio mio”
(v. 2). Poi dissetate da Dio, “sono
consacrate al culto divino della lode e del servizio a tutti gli
uomini”
(cfr aggiunta alla Preghiera eucaristica IV durante la Messa per la
loro Consacrazione).
Con
la loro vita queste donne dicono, come Abramo14:
“Mi fido di Te; mi affido a Te, Signore”. Esse ci richiamano che
credere in Dio significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che
la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza
paura di perdere qualcosa di se stessi, senza esitare a consacrarsi a
Dio, completamente.
1Gv
4,15.
2Gv
4,12.20.
31
Cor
10,4,
4Non
dobbiamo dimenticare che tra Ebrei e samaritani non correva buon
sangue da quando questi ultimi si erano formati un regno ed un culto
autonomo. Erano degli scismatici, e per di più mescolati con coloni
stranieri (assiri) praticanti culti pagani. I rapporti erano
improntati ad ostilità: condannati quelli personali, evitato
persino l'attraversamento della regione, situata tra Giudea e
Galilea, seguendo un percorso ben più lungo, pur di evitarli.
I
Samaritani al Tempio di Gerusalemme contrapponevano il loro sul
monte Garizim. E' chiaro che per i Giudei questo rappresentava un
fatto gravissimo, perché essi consideravano essenziale l'unicità
del Tempio, luogo della presenza di Jahvé in mezzo al popolo.
5Preghiera
della B. Teresa di Calcutta, che ha voluto che accanto al Crocifisso
posto dietro l’altare di ogni cappella delle Case delle sue Suore
ci sia scritto “I THIRST” = Ho sete. Può essere utile
consultare http://www.motherteresa.org.
6Ger
2,13.
7Cfr
Gv
7,37-39;
Is
12,3;
51,1.
8Cfr
Gv
19,28;
Zc
12,10;
13,1.
9Is
55,1.
10Ap
22,17.
11Gv
7,38-39.
12Ger
14,6.
13Sal
63,4.
14A
questo Patriarca è “dedicata” la II domenica di quaresima del
Rito Ambrosiano. Abramo, il credente, ci insegna la fede; e, da
straniero sulla terra, ci indica la vera patria. La fede ci rende
pellegrini sulla terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in
cammino verso la patria celeste. Credere in Dio ci rende dunque
portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e
l’opinione del momento. In tante nostre società Dio è diventato
il ‘grande assente’ e al suo posto vi sono molti idoli,
diversissimi idoli e soprattutto il possesso e l’‘io’
autonomo. E anche i notevoli e positivi progressi della scienza e
della tecnica hanno indotto nell’uomo un’illusione di
onnipotenza e di autosufficienza, e un crescente egocentrismo ha
creato non pochi squilibri all’interno dei rapporti interpersonali
e dei comportamenti sociali. Eppure la sete di Dio non si è estinta
e il messaggio evangelico continua a risuonare attraverso le parole
e le opere di tanti uomini e donne di fede.
Lettura
Patristica
Dalle
"Catechesi" di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 16, sullo Spirito Santo 1,11-12.16; PG 33,931-935.939-942)
L'acqua viva dello Spirito Santo
(Catech. 16, sullo Spirito Santo 1,11-12.16; PG 33,931-935.939-942)
L'acqua viva dello Spirito Santo
"L'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,14). Nuova specie di acqua che vive e zampilla, ma zampilla solo per chi ne è degno. Per quale motivo la grazia dello Spirito è chiamata acqua? Certamente perché tutto ha bisogno dell'acqua. L'acqua è generatrice delle erbe e degli animali. L'acqua della pioggia discende dal cielo. Scende sempre allo stesso modo e forma, ma produce effetti multiformi. Altro è l'effetto prodotto nella palma, altro nella vite e così in tutte le cose, pur essendo sempre di un'unica natura e non potendo essere diversa da se stessa. La pioggia infatti non discende diversa, non cambia se stessa, ma si adatta alle esigenze degli esseri che la ricevono e diventa per ognuno di essi quel dono provvidenziale di cui abbisognano.
Allo stesso modo anche lo Spirito Santo, può essendo unico e di una sola forma e indivisibile, distribuisce ad ognuno la grazia come vuole. E come un albero inaridito, ricevendo l'acqua, torna a germogliare, così l'anima peccatrice, resa degna del dono dello Spirito Santo attraverso la penitenza, porta grappoli di giustizia. Lo Spirito appartiene ad un'unica sostanza, però, per disposizione divina e per i meriti di Cristo, opera effetti molteplici
.
Infatti si serve della lingua di uno per la sapienza. Illumina la mente di un altro con la profezia. A uno conferisce il potere di scacciare i demoni, a un altro largisce il dono di interpretare le divine Scritture. Rafforza la temperanza di questo, mentre a quello insegna la misericordia. Ispira a un fedele la pratica del digiuno, ad altri forme ascetiche differenti. C'è chi da lui apprende la saggezza nelle cose temporali e chi perfino riceve da lui la forza di accettare il martirio. Nell'uno lo Spirito produce un effetto, nell'altro ne produce uno diverso, pur rimanendo sempre uguale a se stesso. Si verifica così quanto sta scritto: "A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune" (1Cor 12,7).
Mite e lieve il suo avvento, fragrante e soave la sua presenza, leggerissimo il suo giogo. Il suo arrivo è preceduto dai raggi splendenti della luce e della scienza. Giunge come fratello e protettore. Viene infatti a salvare, a sanare, a insegnare, a esortare, a rafforzare e a consolare. Anzitutto illumina la mente di colui che lo riceve e poi, per mezzo di questi, anche degli altri.
Infatti si serve della lingua di uno per la sapienza. Illumina la mente di un altro con la profezia. A uno conferisce il potere di scacciare i demoni, a un altro largisce il dono di interpretare le divine Scritture. Rafforza la temperanza di questo, mentre a quello insegna la misericordia. Ispira a un fedele la pratica del digiuno, ad altri forme ascetiche differenti. C'è chi da lui apprende la saggezza nelle cose temporali e chi perfino riceve da lui la forza di accettare il martirio. Nell'uno lo Spirito produce un effetto, nell'altro ne produce uno diverso, pur rimanendo sempre uguale a se stesso. Si verifica così quanto sta scritto: "A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune" (1Cor 12,7).
Mite e lieve il suo avvento, fragrante e soave la sua presenza, leggerissimo il suo giogo. Il suo arrivo è preceduto dai raggi splendenti della luce e della scienza. Giunge come fratello e protettore. Viene infatti a salvare, a sanare, a insegnare, a esortare, a rafforzare e a consolare. Anzitutto illumina la mente di colui che lo riceve e poi, per mezzo di questi, anche degli altri.
E come colui che prima si trovava nelle tenebre, all'apparire improvviso del sole riceve la luce nell'occhio del corpo e ciò che prima non vedeva, vede ora chiaramente, così anche colui che è stato ritenuto degno del dono dello Spirito Santo, viene illuminato nell'anima e, elevato al di sopra dell'uomo, vede cose che prima non conosceva.
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