XXXIV
Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - Solennità di Gesù Cristo,
Re dell'Universo
2
Sam 5, 1-3; Sal 121; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43
1)
Un re strano: l'Agnello immolato
Il
Regno di Dio è fondato sul suo amore e sul trono della Croce "siede"
Cristo, innocente Agnello immolato per noi. Questo Re mostra che Dio
è amore e il suo regno è fondato sul suo amore e si radica nel
cuore, conferendo a chi lo accoglie pace, libertà pienezza di
vita. Tutti noi vogliano, pace, libertà e pienezza: lasciamo che
Cristo regni nel nostro cuore e avremo pace, libertà e pienezza.
Per
questo nella liturgia di oggi, Solennità di Cristo Re, il Vangelo ci
presenta Gesù non come un Re che regnerà con la forza alla
fine dei tempi ma ci mostra Cristo che è messo sul trono della
Croce, dove comincia a regnare con l'amore. Infatti, comincia a
regnare, compiendo il gesto regale di concedere al buon ladrone di
essere "oggi con Lui in Paradiso". Questo peccatore è
il primo uomo che entra in paradiso al seguito di Cristo Re.
Verso
quel delinquente che lo implora e lo riconosce come Signore sulla
Croce, Cristo concede il suo perdono e la sua amicizia.
Questa
Croce, questo atto d’amore infinito, che con tanta superficialità
e presunto civismo abbiamo tolto dai luoghi pubblici e dalle scuole,
continua ad essere l’unica risposta vera alla sofferenza profonda
dell’uomo, continua ad essere la chiamata definitiva di Dio
all’uomo a farsi dono, a farsi, come Dio, offerta all’altro.
Senza di essa rimane solo l’amarezza degli ultimi, dei poveri,
degli sconfitti. Se l’uomo non si fa dono per l’altro, si fa,
anche non volente, strumento di tortura. Questo perché: o sotto la
croce ne siamo schiacciati, o sulla croce regniamo con Cristo (come
canta la liturgia: “Dio regna dal legno della croce”).Certo il
Regno di Cristo non è di questo mondo, ma dell'altro mondo, del
mondo vero e santo, ed è il regno della verità, dell'amore e
della vita eterna.
Quindi,
prima di continuare la nostra meditazione, facciamo nostre le parole
di San Giovanni Paolo II: "Mentre preghiamo che il tuo regno
venga, noi ci accorgiamo che la tua promessa diventa realtà: dopo
averti seguito, veniamo a Te, nel tuo regno, attirati da Te innalzato
sulla croce (cfr Gv 12,32);
a Te, innalzato sulla storia e al centro di essa, alfa e omega,
principio e fine (cfr Ap 22,13),
Signore del tempo e dei secoli! A Te ci rivolgiamo con le parole di
un antico inno:
E'
per la tua morte dolorosa, Re di eterna gloria,
che
hai ottenuto per i popoli la vita eterna,
perciò
il mondo intero ti chiama Re degli uomini.
Regna
su di noi, Cristo Signore!".
2)
L’importante non è essere come Gesù, ma essere con Gesù, come il
buon ladrone.
Gesù durante la sua vita terrena regnò[1], sostenne i suoi dicendo loro parole di verità, compiendo gesti di carità, servendoli fino a lavare loro i piedi e mostrando il suo infinito amore andando sul trono della Croce, dopo essere stato incoronato di spine da Ponzio Pilato. Gesù in questo modo risponde alla chiamata di guidare il popolo di Dio, ad esserne condottiero (cfr. prima lettura “romana” di oggi). La sua regalità è di origine divina ed ha il primato su tutto, perché in lui il Padre ha posto la pienezza di tutte le cose (seconda lettura), e pure il vangelo di Luca presenta la regalità di Gesù riportando l’umanamente scandalosa investitura a re dei Giudei sulla croce. Due pezzi di legno incastrati uno sull’altro sono il trono paradossale del Signore della pace e dell’unità, che –non dimentichiamolo- ebbe come culla una mangiatoia in un povera stalla, dove fu onorato come uomo, come Dio e come Re dai pastori e dai Re Magi (mirra per l’umanità, incenso per la divinità e oro per la regalità).
Non
dimentichiamo però che se Cristo Re va in croce non è per dare uno
spettacolo di umiltà, ma per rivelare l’amore appassionato di Dio
per noi. La sua passione non è tanto la flagellazione, a cui sono
seguiti gli sputi e i chiodi, quanto il suo cuore, che è tutto e
solo amore “passionale” per ciascuno di noi. La Croce è la
conclusione rigorosa e necessaria del discorso sul Monte delle
Beatitudini del Regno dei cieli.
Chi
porta l’Amore è in balìa dell’odio e non si vince l’odio che
accettando la condanna e perdonando. Chi è Amore perdona e lo
dichiara: “Padre,
perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Secondo
me, quando il ladrone, che era in croce accanto alla Croce-Trono di
Cristo, sentì questa dichiarazione di amore, credo che ne fu
sconvolto al punto che si convertì[2] e domandò a Cristo di
ricordarsi di lui. Possiamo considerarlo l’ultimo convertito da
Gesù durante la sua vita terrena.
Questa
preghiera di Cristo Re che perdona era così nuova per il ladrone che
si sentì richiamato a sentimenti così estranei al suo spirito e a
tutta la sua vita. Questa intercessione di perdono riportò il “buon”
ladrone” all'età più dimenticata dell’infanzia, quando era
innocente anche lui e sapeva che c’era un Dio al quale si poteva
chiedere la pace come i poveri chiedono il pane alla porta dei
signori. Ma in nessun luogo, per quanto si ricordasse, c’era una
domanda di perdono come quella, così fuori dell'ordinario, così
assurda sulla bocca ad uno che sta per essere ammazzato. Eppure
quelle parole inverosimili trovavano, nel cuore disseccato del Ladro,
una connessione con qualcosa alla quale avrebbe voluto credere,
specie in quel momento che stava per comparire dinanzi a un
Giudice più terribile di quello dei tribunali.
Gli
ritornò in mente quel che aveva sentito raccontare di Gesù; poche
cose e, per lui, poco chiare. Ma sapeva che aveva parlato di un Regno
di pace e che lui stesso sarebbe tornato a governarlo. Allora, in un
impeto di fede, come se invocasse la comunanza di quel sangue che
grondava nello stesso momento dalle sue mani di criminale e da
quelle mani d’incolpevole, proruppe in queste parole: “Signore,
ricordati di me nel tuo Regno!”.
E Gesù, che non aveva risposto a nessuno che lo interpellava sotto
la Croce, volse la testa, quanto poteva, verso il Ladrone pietoso, e
gli rispose: “Io
ti dico in verità che oggi sarai con me in Paradiso”.
L’umile domanda del buon Ladrone bastò per ottenere l’assoluzione.
Questo
uomo si salvò perché seppe trasformare la condanna in croce in un
gesto di pietà. Fu con Cristo e Cristo da subito (oggi, gli disse
Gesù) lo accolse nella sua pietà[3].
3)
La continuazione della via amorosa della Croce.
La
Chiesa e noi con questa grande e bella Madre, se vogliamo festeggiare
la regalità del Signore, dobbiamo ripercorrere la via della Croce.
Gesù
è un re condannato innocente. E agli occhi degli uomini la sua
sembra una regalità da burla: gli uomini sono abituati a ben altri
re e a ben altre manifestazioni della regalità. Questo Gesù lo
aveva fatto già capire in precedenza: «I
re delle genti le signoreggiano e coloro i quali dominano su di esse
si fanno chiamare benefattori. Ma non così voi" io sono in
mezzo a voi come colui che serve»
(Lc 22,25-27).
C'è dunque una radicale differenza fra la regalità del mondo e la
regalità di Dio, fra le manifestazioni della prima e le
manifestazioni della seconda. La scena della crocifissione del
Vangelo di oggi (Lc23,33-43)
raduna i motivi dispersi portandoli a compimento. Anzitutto la
regalità di Cristo è affermata. San Luca usa una costruzione
enfatica: «Questi
è il re dei giudei»
(v. 38). È il motivo della condanna che vorrebbe significare, nella
mente dei capi, la fine dell'assurda pretesa di Gesù: invece è
l'affermazione inconsapevole che proprio lì, sulla Croce, la
regalità di Gesù si manifesta in tutto il suo splendore.
Gesù
muore fra due condannati (lungo la sua vita egli fu sempre accusato
di andare con pubblicani e peccatori): uno non comprende, prigioniero
- come tutti - dello schema mondano della regalità («Non
sei tu il Messia? Salva te stesso e noi»);
ma l'altro intravede, dietro la debolezza della Croce, la potenza
dell'amore che vi traspare: “Ricordati
di me quando verrai nella tua regale maestà”
(v. 42). Ora il motivo centrale ci è chiaro: la regalità di Gesù
risplende nell'ostinazione dell'amore, nel rifiuto della potenza per
salvare se stesso e per sottrarsi alla contraddizione.
Ecco
ciò che è inaudito: Gesù non si serve della sua potenza divina per
salvare se stesso, per sottrarsi al completo dono di sé, per
costringere coloro che lo rifiutano ad ammettere il loro torto. Gesù
si abbandona totalmente all'apparente debolezza della non violenza e
dell'amore.
Dunque
la regalità di Gesù è legata alla Croce. Tuttavia anche quegli
aspetti che noi indichiamo come splendore, gloria, vittoria e
potenza, non sono assenti. E difatti il Crocifisso è risorto e il
Figlio dell'uomo tornerà nella maestà della sua gloria. Ma si
tratta sempre della gloria dell'amore, del trionfo della via della
Croce. Risurrezione e ritorno di Gesù sono la rivelazione dello
splendore e della forza vittoriosa che la via della Croce nasconde. È
in questa prospettiva che va compresa l'affermazione di San Luca, che
cioè il Cristo, crocifisso e risorto, regna già ora: oggi.
4)
Spose di Cristo Re crocifisso.
Un Re così vale davvero la pena seguirlo e rispondere alla vocazione sponsale che rende le persone corredentrici, portando, reggendo con lui in Croce il peso del mondo. A Dio che dice “Non avere paura, non temere perché io sono con te e ti amo” (Is 43, 45), la risposte più naturale è “sì”. In questo ci sono esempio e testimonianza : “Le vergini consacrate che celebrano nozze mistiche con Gesù Cristo figlio di Dio e si dedicano al servizio della Chiesa” (Canone 604 del Codice di Diritto canonico). Nel rito della consacrazione delle vergini il Vescovo chiede alla candidata: «Vuoi consacrarti ed essere sposata solennemente con nostro Signore Gesù, sommo figlio di Dio? » E, nell’orazione di consacrazione, il Vescovo le dice: «Che tu rimanga sempre fedele a Cristo tuo sposo e imiti la fedeltà che si esige agli sposati ». E poi prega così: «Signore, che ti glorifichi con la santità del corpo e con la purezza dell’anima... Sii tu il suo amore, la sua gioia, il suo volere, tu il conforto nel dolore, tu il consiglio nell’incertezza, tu la difesa nell’ingiuria, la fortezza nella tribolazione, l’abbondanza nella povertà, il nutrimento nel digiuno, la medicina nell’infermità. Essa, che ha scelto te, soprattutto in te trovi tutto» (n 24).
Santa
Teresa di Gesù, parlando della professione religiosa, scriveva:
«Oh
matrimonio consacrato!
Il
re della maestà è stato sposato.
Oh
fortunata quella fanciulla,
poiché
ha preso, come marito,
colui
che regna e che deve regnare.
Ricchi
gioielli vi darà questo sposo,
re
del cielo, che è re e farlo ben potrà.
Oh
che splendida sorte
vi
era stata preparata!
Che
Dio vi volesse per amata!
Nel
servirlo siate molto forti,
poiché
l’avete professato.
Che
il Re della Maestà
è
già da voi sposato!»
Non
dimentichiamo però che noi tutti siamo scelti da tutta l’eternità
(cfr. Ef 1,
4) perché regnassimo con Lui, “a
lode della sua gloria”
(Ef 1,
12). A ciascuno di noi dice: “Tutto
ciò che è mio è tuo, e tutto ciò che è tuo è mio”
(Gv 17,
10), e noi preghiamo: “Venga il tuo Regno” nel nostro cuore,
nella nostra mente e nella nostra volontà per sostenere con Cristo
il mondo che anela risollevarsi. Quali figli e figlie del Re
preghiamo: “Venga
il tuo Regno”
cioè la Tua potenza di amore, o Signore, salvi il mondo intero.
NOTE
[1] Regnare
deriva dal verbo latino “règere” = 1. reggere, governare,
dominare, amministrare, comandare; 2. dirigere, guidare; 3. regolare,
correggere, guidare sulla retta via; 4. stabilire, fissare, tracciare
i confini.
[2] Convertirsi
in greco è indicato con due verbi. Il primo è epistréfo che
vuol dire voltarsi verso, il secondo è metanoéo che
vuol dire “cambiare mentalità, pensiero”. La conversione
cristiana implica le due cose: il voltarsi verso Cristo e assumere la
Sua mentalità.
[3] La
parola pietà vuol dire prima di tutto “consuetudine di amore”,
tant’è vero che con l’espressione “pratiche di pietà” si
intende le “preghiere”.
LETTURA
PATRISTICA
Venga
il tuo regno
Dall'opuscolo
«La preghiera» di Origene, sacerdote
(Cap.
25; PG 11, 495-499)
Il
regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non
viene in modo da attirare l'attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o
eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21),
poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro
cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che
venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i
suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha
in sé. Dio regna nell'anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi
spirituali di Dio che in lui abita. Così l'anima del santo diventa
proprio come una città ben governata. Nell'anima dei giusti è
presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo
quell'affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di
lui» (Gv 14, 23).
Ma questo regno di Dio, che è in noi, col
nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si
avvererà ciò che afferma l'Apostolo del Cristo. Quando cioè egli,
dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio
Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 24. 28). Perciò
preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore
sublimata e come divinizzata dalla presenza del
Verbo. Diciamo al
nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il
tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può
accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la
giustizia e l'iniquità né unione tra la luce e le tenebre né
intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2 Cor 6, 14-15).
Se vogliamo
quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel
nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre « membra
che appartengono alla terra» ( Col 3, 5). Facciamo frutti nello
Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso
spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi
Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi
desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si
trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98, 5), e
così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso.
Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «ultima
nemica sarà distrutta la morte» (1 Cor 25, 26). Allora Cristo potrà
dire dentro di noi: «Dov'è , o morte, il tuo pungiglione? Dov'è ,
o morte, la tua vittoria? » ( Os 13, 14; 1 Cor 15, 55). Fin d'ora
perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di
« incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si
ricopra dell'immortalità» del Padre (1 Cor 15, 54). Così regnando
Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della
risurrezione.
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