Rito
romano
Ml
3, 19-20; Sal 97; 2 Ts 3, 7-12; Lc 21, 5-19
Fedeltà
nell'attesa vissuta come a di Cristo
Rito
ambrosiano
I
Domenica di Avvento[1] – Anno A
Is
51, 4-8; Sal 49; 2Ts 2,1-14; Mt 24,1-31
Avvento:
tempo di attesa della tenerezza di Dio.
Premessa:
Alla
fine dell'anno liturgico, la parola di Dio di questa penultima
domenica ci fa riflettere, soprattutto nel Vangelo, sulla fine del
mondo, sulla seconda e definitiva venuta di Cristo sulla terra, per
giudicare i vivi e i morti. Questa venuta, da sempre è stata vista
come imminente, a scadenze temporali, segnati da veggenti o altre
figure che dicono di prevedere il futuro. E ciò in seguito a fatti
drammatici che hanno attinenza con i fenomeni naturali, ma anche con
il comportamento umano, quali le guerre, o i terremoti, di
particolare attualità in questi mesi. Gesù ci mette in guardia da
facili profezie che parlano della fine.
Il
brano del vangelo di questa domenica, riguarda, infatti, l'inizio del
discorso di Gesù sulla fine dei tempo.
Il
Vangelo di Luca nell'odierna liturgia, ci dice che non c'è rapporto
alcuno tra la distruzione del tempio di Gerusalemme, come si credeva
da parte di giudei e cristiani suoi contemporanei, e la fine del
mondo. Questo vangelo annunzia che, prima della consumazione dei
secoli, i discepoli di Gesù devono andare incontro a molte
persecuzioni, le quali, se superate, diventano garanzia di salvezza,
perché mettono in evidenza la costanza della fede, la quale è
assolutamente necessaria in ogni circostanza e momento della storia.
Anche se molte cose crollano, rimanere saldi nel Signore è ciò che
non delude. In effetti, Gesù ci rivela che la fine ultima del mondo
non è la morte, ma è la vita.
Il problema è capire cosa fare adesso, non sapere cosa succederà
alla fine.
Dunque, leggendo
il brano del Vangelo di Luca di questa domenica (21,5-19) è facile
pensare esclusivamente, o quasi, agli avvenimenti della fine del
mondo che chiuderanno la storia umana: la fine del mondo, la vittoria
del Signore, il giudizio ultimo. Invece lo scopo di questo dialogo di
Gesù non è quello di soddisfare la curiosità di chi aspira a
conoscere come sarà questo “al di là” del tempo e dello spazio,
ma di illuminare il presente. L’ascolto di queste parole permette
al discepolo di Cristo di “vedere” il mondo – che passa e
finisce – come “segno” di una realtà che rimane per sempre.
Gesù, la sua persona, la sua parola, sono la chiave interpretativa
di tutta la realtà e della storia: Egli è il Figlio di Dio che si è
fatto uomo, è la Parola incarnata, è la fragilità che passa, è
la vita eterna che rimane, Egli è “il
nuovo Tempio, [2] in nuovo luogo dove si incontra Dio”
(Benedetto XVI), è l’Amore che si rivela come passione e
compassione sulla Croce.
La
Croce, che grazie a Cristo non è più uno squallido legno di morte,
ma uno splendido trono, che irradia l’Amore, la Croce di Gesù è
il momento più intenso della rivelazione del senso di tutto ciò che
esiste: è il punto più drammatico della oscurità, della fragilità,
dell’assurdo non senso e pure è il momento della luce più
intensa, della vita che risorge, che vince al di là della morte. La
Croce di Gesù è la rivelazione che il senso finale di tutto è
l’Amore: l’amore che si annienta, che muore per diventare
veramente amore, che si svuota di sé per accogliere il dono più
grande.
L’Amore
è il senso più vero di questo mondo che passa e che muore, per
poter entrare nell’infinito dell’Amore che non passa più. Così,
non sappiamo come sarà l’“oltre”, l’“al di là”, ma
sappiamo che sarà la pienezza dell’amore che è già la vita del
mondo nell’“al di qua”.
Gesù
invita i suoi discepoli (vale a dire: noi) a non attaccarsi alle cose
che passano, a non farsi illusioni, a non crearsi idoli, ma a vivere
intensamente l’“oggi” che passa incominciando a gustare l’amore
che non passerà mai, e che diventerà sempre più grande. Vivere
l’amore, liberare, dilatare gli spazi dell’amore, è il messaggio
di Gesù attraverso il suo discorso escatologico[3]: solo l’Amore
rimane per sempre.
E’
per questo che il Redentore invita a “camminare nella carità”
(espressione usata per indicare gli Esercizi spirituali prima fatti e
poi scritti da S. Ignazio di Loyola e ripresa da Papa Francesco)
Ma
non dimentichiamo che la carità non è solo fare la carità ai
poveri dando loro soldi o altri aiuti materiali, ma è crescere
rivestiti della speranza cristiana nel vincolo dell’amore fraterno
e nella fede salda (cfr 1
Gv 2,14). La
via amoris dolorosa(cioè
il cammino dell’amore nel dono completo di sé) che è la Via
Crucis, è
per il cristiano quella strada che lo porta alla piena configurazione
nel Cristo. A questo riguardo Santa Chiara disse di San Francesco
d’Assisi innamorato di Cristo: “Lo
amò fino ad assomigliarGli fisicamente”
e si chiese: “Potrò
anch’io fare così?”.
La
vita di questa Santa Suora mostra che è possibile assomigliare a
Cristo, se ci si mette alla sua scuola di carità., se si cammina
costantemente dietro l’Amato tanto atteso. Qui intendo la parola
attesa nel senso originario di “tendere a”, “essere alla
ricerca di”.
Quindi si “attende” il Signore:
–
cercandolo.
Sulla ricerca di Dio è molto chiaro un apoftegma[4] dei Padri
del deserto che dice: “Un
uomo alla ricerca di Dio chiese a un cristiano: “Come posso trovare
Dio?”. Il cristiano replicò: “Ora te lo mostro”. Lo portò
sulla riva del mare e immerse la faccia dell’altro nell’acqua per
tre volte. Poi gli chiese: “Cosa desideravi più di ogni altra cosa
quando la tua faccia era nell’acqua?”. “L’aria”, replicò
l’uomo che cercava Dio. “Quando desidererai Dio come hai
desiderato l’aria, lo troverai”, disse il cristiano”.
–
Perseverando
nel suo amore. “Come
l’amore è forte nelle grandi difficoltà,così è perseverante
nella grigia, noiosa vita quotidiana. Esso sa che per piacere a Dio
una cosa è necessaria:Fare con grande amore le cose più
piccole.” (S. Suor
Faustina Kowalska).
–
testimoniando
la sua verità, e non fantasticando sulla vicinanza della fine del
mondo.
In
questa testimonianza ci sono di esempio le Vergini Consacrate. In
effetti la consacrazione verginale fa crescere in loro un
atteggiamento di fiducia nei confronti del mondo, dell’umanità e
uno stile di ascolto della storia e delle problematiche umane
congiungendola, per consuetudini di lavoro e di vita, ad ogni uomo e
donna per cui si fanno compagne di viaggio, strumenti di comunione e
testimoni di amore.
Questa
donne consacrate partecipano all’opera creativa di Dio attraverso
il lavoro che permette loro di provvedere al proprio sostentamento e
di aprirsi alla condivisione dei beni.
Inoltre
con la loro vita danno voce all’invocazione dello Spirito e della
Chiesa: “Maranathà, Vieni Signore Gesù” (Ap 22,20), tenendo
viva un’attesa vigilante e profetica.[5]
Infine
le vergini consacrate richiamano il desiderio di Dio agli uomini e
alle donne del proprio tempo e svelano una modalità con cui Dio oggi
si fa presente nella storia e la redime.
NOTE
[1] Il
tempo d’Avvento Ambrosiano comincia dai primi vespri della domenica
che segue immediatamente l’11 novembre, festa di San Martino,
ragione per la quale nella tradizione ambrosiana prende anche il nome
di Quaresima
di San Martino.
Non è formato da quattro settimane, come nel Rito Romano, ma da sei
settimane. Termina con le feriae
de Exceptato (“ferie
dell’Accolto”) che costituiscono in sostanza la novena di Natale.
La domenica precedente il Natale è detta Domenica
dell’Incarnazione;
in essa il sacerdote veste paramenti bianchi anziché morelli. In
terra ambrosiana la benedizione delle case è fatta durante questo
periodo, mentre in terra “romana” si fa nel periodo pasquale.
[2] Etimologicamente,
la parola “TEMPIO”
discende dal latino “TEMPLUM”, a sua volta derivato da “TEM-LO”,
un antico termine di radice indoeuropea che significa “tagliare”.
“TEM-LO” è affine al greco “TéMNO”, avente identico
significato, da cui “TéMENOS”, che significa “recinto sacro”.
In sintesi, l’etimologia della parola “TEMPIO” sta a designare
un’area, una porzione di spazio ritagliata dal mondo, recintata e
destinata ad ospitare una presenza sovrumana, un luogo speciale
consacrato al culto di Dio.
Il
Tempio è la casa di Dio. Abitando in mezzo al suo popolo, Dio si
rende presente ai suoi fedeli. Nel mondo bibliico il tempio occupa il
centro della vita religiosa e nazionale e gode di una forte carica
simbolica. Dunque, la fine del Tempio di Gerusalemme, luogo di Dio e
principio di vita, è simbolo della fine del mondo.
Il
Tempio per il Cristiano è il Corpo di Cristo ed è anche la Chiesa,
l’assemblea dei fedeli. Il termine Chiesa nella
lingua italiana e francese dal latino ecclesĭa,
che a sua volta viene dal greco classico ἐκκλησία
(ekklēsía).
In greco classico, per ἐκκλησία si intendeva un’assemblea
politica, militare o civile. La parole inglese “church” viene
dall’antico inglese cirice,
derivante dal germanico “kirik”,
che a sua volta viene dal Greco κυριακή kuriakē,
che vuol dire “del Signore” ” (forma possessiva di
κύριος kurios “,
cioè “lord”.
L’espressione
è ripresa nelle parti più recenti della Bibbia detta dei Settanta
(la versione in greco della Bibbia) per tradurre i termini
ebraici qāhāl e ‛ēdāh,
con il senso di “adunanza” del popolo ebraico, adunanza religiosa
e politica allo stesso tempo. È dunque nella Bibbia dei Settanta che
il termine ἐκκλησία inizia ad assumere in greco un
significato specificamente “cultuale e giuridico”. Gli scrittori
del Nuovo Testamento non hanno ricavato questo termine dall’uso che
se ne faceva in Grecia, ma dal testo biblico dei Settanta.
[3] Escatologia,
con l’aggettivo escatologico, vuol dire discorso (logos)
sulle cose ultime (eschaton),
quindi sulla morte e sulla vita eterna. Circa dimensione
escatologica della Chiesa si può sinteticamente dire che la
Chiesa contiene in germe ciò che, attraverso il passaggio degli
uomini e del cosmo, raggiungerà la piena e definitiva maturazione
nella vita eterna. La visione beatificante del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo sarà il premio di chi, nella ferialità della
vita quotidiana, spesso intrisa di sofferenza, ha cercato di
accogliere, vivendola, la Parola di Dio.
Nella
tradizione catechistica della chiesa si utilizza il termine
“novissimi” (dal latino novissima, “le cose ultime”) per
indicare quattro parole chiave del destino finale dell’uomo:
-
Morte: ultima cosa che accade in questo mondo. Grazie a Cristo, la
morte cristiana ha un significato positivo. “Per me il vivere è
Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21
). “Non muoio, entro nella vita” (Santa Teresa del Bambino Gesù).
-
Giudizio di Dio: l’ultimo giudizio che ognuno dovrà sostenere.
-
Inferno: lo “stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione
con Dio e con i beati” (Catechismo
della Chiesa Cattolica, n.
1031);
-
Paradiso: il sommo bene che avranno “coloro che muoiono nella
grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati”
(Ibid.,
n. 1023).
[4] Apoftegma
(o apotegma, in greco αποφθεγμα) è un sostantivo di origine
greca il cui significato va rintracciato in relazione ai
verbi apophthénghesthai,
che significa “enunciare una sentenza”, o apophtheggomai che
significa “enunciare una risposta in forma definitiva”. La
parola, quindi, assume il significato di “detto”, “sentenza”,
“massima” e si usa per una frase o sentenza di tipo aforistico
che reca in estrema sintesi una verità profonda ed al contempo
stringente. In particolare l’apoftegma ha dei tratti in comune con
l’aneddoto, con la sentenza e con il proverbio, pur non essendo
completamente riconducibile ad alcuno di essi.
[5] A
questo proposito si veda l’articolo di Maryvonne Gasse (o.v.) La
femme en ligne de front. Un combat eschatologique,
pp. 395-398 du livre “L’Ordre
des Vierges – Une vocation ancienne et nouvelle – Don du Seigneur
à son Eglise”,
Imprimerie Saint Josephe 2013, pp 463.
Nessun commento:
Posta un commento