venerdì 26 febbraio 2016

Esodo di conversione al Dio di misericordia.

Rito Romano
III Domenica di Quaresima – Anno C – 28 febbraio 2016
Es 3,1-8a.13-15; Sal 102; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9

Rito Ambrosiano
III Domenica di Quaresima
Dt 6,4a;18,9-22; Sal 105; Rm 3,21-26; Gv 8,31-59
Domenica di Abramo
 

1) L’amore come strada della conversione1.
L’argomento centrale del brano evangelico di oggi è la conversione-penitenza. Lo spunto è dato da due fatti di cronaca realmente accaduti al tempo di Gesù e di cui si ha notizia solo nel Vangelo di San Luca. Uno riguarda alcuni Galilei fatti uccidere da Pilato e l’altro riguarda 18 persone morte schiacciate dal crollo della torre di Siloe (un’opera difensiva che si trovava nella cinta muraria a sud-est di Gerusalemme, accanto alla sorgente di Siloe).
Alla domanda perché queste persone siano morte Gesù afferma che le vittime non erano certo più colpevoli degli altri abitanti di Gerusalemme. Gesù invece di dare una risposta sul perché del male nel mondo e della morte degli uomini, suggerisce di guardare alle disgrazie non come castighi, ma come avvertimenti. In effetti, la vera disgrazia, la vera malattia mortale è il peccato, che separa l’uomo da Dio, sorgente di vita, e dagli altri uomini rendendo invivibile la vita personale e sociale. Per questo il Redentore ammonisce: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5).
Stupisce che Cristo, l’Agnello che toglie i peccati del mondo, abbia un tono così duro e categorico. Fortunatamente, San Luca, “l'evangelista della misericordia”, aggiunge alle parole di duro avvertimento, la parabola del fico sterile. Ciò permette di capire che l’affermazione del giudizio divino che si abbatte inesorabilmente su coloro che non si convertono, va capita tenendo conto dell'intenzione più profonda, originaria di Dio è che “non vuole la morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva(Ez 33,11).
C'è un segreto di misericordia nella parabola del fico sterile, nel rovesciamento di questa storia. Il padrone della vigna è Dio nel momento terribile del giudizio finale. Il vignaiolo è Cristo e toccherebbe a lui il taglio dell'albero sterile. Ma qualcosa accade nella relazione tra il Padre e il Figlio: si dilata il tempo - un anno (e da allora più di 2000 anni sono stati dati) - come nuova possibilità. Tutto è grazia; anche la nostra conversione è opera di Dio in Gesù. E’ rassicurante vedere che il tempo della misericordia si dilata, ma non dimentichiamo che il Signore agisce in questo modo per rendere possibile la conversione e non per rimandarla all'infinito.
Non dimentichiamo poi che la conversione non consiste in cose da fare ma nell'incontrare Cristo, convergendo verso di lui il nostro cuore, la nostra mente e, di conseguenza, le nostre azioni. Si tratta di una conversione a Cristo, Verità che illumina e Amore che si dona. Ogni battezzato, al di là di qualunque limite di tempo, di spazio o di cultura, è chiamato a questa conversione prendendo come unico distintivo quello dell’amore che si fa perdono e misericordia. In questo servizio (diaconia) dell’amore i nostri occhi si aprono su quello che Dio fa per noi e su come Lui ci ama. Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un “comandamento”, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro.” (Papa emerito Benedetto XVI).
Per questo Papa Francesco prosegue dicendo che “il comandamento di Cristo ‘amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato’ (Gv 15, 12) non è un semplice precetto, che rimane sempre qualcosa di astratto o di esteriore rispetto alla vita, è la strada dell’amore. Una strada concreta, una strada che ci porta ad uscire da noi stessi per andare verso gli altri. Gesù ci ha mostrato che l’amore di Dio si attua nell’amore del prossimo” (Papa Francesco).
Se l'uomo non si converte a Dio e al prossimo, non cambia il cuore e la mente, se erra per vie diverse da quella che è Cristo, non si convertirà in costruttore di pace e giustizia, e questa Terra andrà in rovina perché fondata sulla sabbia della violenza, dell’odio e dell’ingiustizia.

2) Pentimento umile e Misericordia paziente.
Nella parte finale del Vangelo di oggi Gesù completa il suo insegnamento sulla conversione che è urgente raccontando la parabola del fico che non dà frutti. In questo modo rivela la pazienza amorosa di Dio che sa attendere perché è il “Padre santo e misericordioso, che mai abbandona i suoi figli” (Colletta di oggi). Da parte nostra dobbiamo chiedere a Dio che “spacchi la durezza della mente e del cuore, perché sappiamo cogliere con la semplicità dei fanciulli i tuoi insegnamenti, e portiamo frutti di vera e continua conversione”. Dunque, Dio è paziente, misericordioso e fonte di ogni bontà, ma vuole che noi gli chiediamo perdono con semplice umiltà, perché solo se noi riconosciamo la miseria del nostro peccato che ci schiaccia a terra, Lui ci solleva con la sua misericordia (cfr Colletta di oggi).
Se, pentiti, presentiamo a Cristo il nostro dolore, Lui ci confermerà nel suo amore.
Dunque, vivere la Quaresima è prendere coscienza dell’urgenza della conversione e riconoscere che noi siamo il fico pieno di foglie ma spoglio di frutti per il quale Gesù, il vignaiolo premuroso, invoca la pazienza del Padre. Per grazia di Dio, anche questa volta abbiamo ancora un po’ di tempo. Anche quest’anno son tornati questi giorni di Quaresima perché pentiti ci voltiamo decisamente e stabilmente verso Cristo, consentendogli di aver cura di noi per poterci rendere capaci di frutti di amore.
La strada del nostro ritorno è Gesù, in Lui e per Lui tutto trova compimento. Cristo, il segno più alto e chiaro della Misericordia paziente, che oggi racconta a noi la parabola del fico sterile con lo scopo di sottolineare l’urgenza della conversione non in termini di tempo ma di amore.
Da una parte, la supplica di Gesù ottiene dal Padre che “usi” la sua misericordia paziente, dell'altra, ci invita a valorizzare la vita, a viverla in pienezza, densa di bene.
Ognuno di noi è una persona conquistata dall’amore di Cristo, perciò ognuno di noi è mosso da questo amore da cui è teneramente posseduto2 e che, quindi, ci spinge, ci sospinge, ci urge, e che ci apre all’amore per il prossimo.
Ognuno di noi è chiamato a convertirsi a Dio, lasciando il peccato non tanto per paura dei suoi castighi, ma perché allontana il nostro cuore da Lui. Se il nostro cuore è convertito a Dio, Dio si “converte” a noi e non “ci nasconderà il suo volto” (Tb 13, 6) e faremo esperienza del suo amore misericordioso.

3) La verginità come forma stabile di conversione.
La conversione non è riducibile al gesto di un momento o di un periodo più o meno lungo. Essa è il vivere in costante orientamento a Dio e il procedere quotidiano, anche se durante la quaresima deve essere più alacre, nel cammino tracciato dal Vangelo, fino al raggiungimento della “perfetta statura di Cristo” (cf. Ef 4, 13). Se questa affermazione è corretta, come penso che lo sia, la conversione è una componente essenziale della vita delle Vergini consacrate nel mondo, che si sono impegnate nella sequela radicale di Cristo. Tale sequela completa e totale è resa stabile dalla consacrazione verginale di queste donne che così si conformano al genere di vita verginale e povera che Cristo Signore scelse per sé e che la Vergine sua Madre abbracciò. La verginità non va vista come un “no” all’amore. Chi aderisce completamente a Cristo, dice di “si” al Suo amore puro. Puro: questa parola a cui si può rischiare di dare un’interpretazione riduttiva, moralistica perché richiama al suo contrario, ciò che è impuro. In realtà, puro mi fa venire in mente prima di tutto qualcosa che è come dovrebbe essere. L’acqua pura, l’aria pura, l’intenzione pura. O anche il metallo puro, l’oro, l’argento. La purezza verginale è come una bellezza senza macchia, come uno sguardo limpido, vero, autentico. Puro come il “sì” della Madonna la tutta pura e tutta bella: pura, cioè vera. Che in questa Quaresima, l’esempio della Vergine Maria e di tutte le donne che si sono consacrate a suo Figlio nella verginità renda puri i nostri cuori. Allora il nostro amore sarà arricchito da quello di Dio. Quindi non sarà un amore impoverito ma reso più forte e più fecondo.

1  Che significa conversione, convertirsi? Il verbo privilegiato dalla Bibbia ebraica per indicare la conversione è cambiare strada, tornare indietro. Il Nuovo Testamento ha voluto essere più preciso, usando «epistrefein» per indicare il mutamento esteriore, il mutamento nel comportamento, e «metanoein» per indicare la mutazione interiore, il cambiamento di mentalità. Il termine che San Luca usa nel brano evangelico di oggi è «metanoia»: dunque l’Evangelista insiste sul cambiamento interiore, sul modo nuovo e diverso di valutare le cose.
2 L’amore di Cristo ci possiede (è la traduzione ufficiale più recente Bibbia CEI 2008 della frase di San Paolo: “Caritas Christi urget nos – 2 Cor 5,14. Papa Francesco così commenta questa frase di San Paolo : “L’amore di Cristo ci possiede, ci spinge, ci preme. È proprio questa la velocità che ha Paolo: quando vede l’amore di Cristo non può rimanere fermo». Così san Paolo è davvero un uomo che ha fretta, con «l’affanno per dirci qualcosa d’importante: parla del sì di Gesù, dell’opera di riconciliazione che ha fatto Gesù e anche dell’opera di riconciliazione» di Cristo e dell’apostolo” (15 giugno 2013).

Lettura Patristica
Tertulliano (155 circa – 230 c)
De paenitentia, II, 4-7; IV, 1-8

La penitenza nel disegno di Dio

       [Dio] richiamò a sé il popolo e lo rinfrancò con i molti favori della sua bontà, pur avendolo riscontrato ingratissimo; e dopo averlo esortato in continuazione alla penitenza, gli inviò gli oracoli di tutti i profeti per predicarla. Appena promessa la grazia che negli ultimi tempi avrebbe illuminato l’universo intero per mezzo del suo Spirito, comandò che la precedesse la promulgazione della penitenza, affinché coloro che per grazia chiamava alla promessa del seme di Abramo, per l’adesione alla penitenza fossero destinati ad essere in anticipo raccolti.
       Jn non tace, dicendo: "Fate penitenza" (Mt 3,2): già infatti si avvicinava la salvezza alle nazioni, ossia il Signore che arrecava la seconda promessa di Dio. A chi destinava la preordinata penitenza, prefissata a purgare gli spiriti perché, qualsiasi antico errore lo inquinasse, qualsivoglia ignoranza del cuore umano lo contaminasse, purificando, sradicando e traendo fuori, preparasse allo Spirito Santo venturo una casa interiore pulita, in cui egli potesse entrare per godervi i beni celesti.
       Unico è il titolo di questi beni, la salvezza dell’uomo, premessa l’abolizione dei crimini antichi; questa la ragione della penitenza, questa l’opera, che assicura la mediazione della divina misericordia, a pro dell’uomo e a servizio di Dio...
       Quindi, per tutti i delitti, commessi nella carne o nello spirito, in azioni o nella volontà, che egli con proprio giudizio ha destinato alla pena, agli stessi, per la penitenza, ha promesso il perdono, dicendo al popolo: Fa’ penitenza e vedrai la mia salvezza (Ez 18,21). E poi: "Come è vero che io vivo - oracolo del Signore Dio - preferisco la penitenza alla morte" (Ez 33,11). Quindi la penitenza è vita, che si contrappone alla morte. Tu peccatore, mio simile - o anche a me inferiore: io, infatti, riconosco la mia responsabilità nei delitti -, così pervaditi di essa, abbraccia la fede come un naufrago si aggrappa ad un qualsiasi pezzo di tavola. Questa preleverà te, liberato dai frutti dei peccatori e ti trasferirà nel porto della divina clemenza.
       Afferra l’occasione d’impensata felicità, sì che proprio tu, un tempo nient’altro davanti al Signore se non recipiente arido, polvere del suolo e vasetto da nulla, divenga da ora in poi fico rigoglioso, albero che quasi sgorga acque, dalla chioma perenne e che porta frutti a suo tempo, in modo da non conoscere né fuoco né scure.
       Conosciuta la Verità, pentiti degli errori; pentiti di aver amato ciò che Dio non ama. Noi stessi, del resto, non permettiamo ai nostri servi di conoscere quelle cose da cui ci riteniamo offesi: infatti, la ragione dell’ossequio risiede nella somiglianza degli animi.
       Invero, occorre parlare diffusamente e con grande impegno del bene della penitenza, e io ne ho fatto materia del mio discorso: noi in effetti per le nostre angustie una cosa sola inculchiamo, che è cosa buona, anzi ottima, quella che Dio comanda. Reputo infatti cosa audace discutere i divini precetti; e non tanto perché si tratta di un bene, e quindi dobbiamo ascoltarli, quanto piuttosto perché è Dio che dispone: prima viene infatti la maestà della divina potestà nella disposizione all’ossequio; prima si pone l’autorità di chi comanda, e non l’utilità di chi serve.
       È dunque un bene o no fare penitenza? Cosa rispondi? Dio dispone! Peraltro, egli non tanto dispone, quanto piuttosto esorta; invita con il premio, con la salvezza; e lo giura persino, dicendo: "Come è vero che io vivo", e brama che gli si creda.
       Beati noi dei quali Dio giura la causa; miserrimi se non crediamo neppure a Dio che giura!
       Ciò che Dio raccomanda reiteratamente e insistentemente, ciò che anche nel costume umano viene attestato con giuramento, dobbiamo come somma gravità accettare e custodire, affinché nell’adesione alla divina grazia, permaniamo nel suo frutto e possiamo perseverare fino ad averne il premio.

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