Rito Romano
III Domenica di
Quaresima – Anno C – 28 febbraio 2016
Es 3,1-8a.13-15; Sal
102; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9
Rito Ambrosiano
III Domenica di
Quaresima
Dt
6,4a;18,9-22; Sal 105; Rm 3,21-26; Gv 8,31-59
Domenica
di Abramo
1) L’amore
come strada della conversione1.
L’argomento centrale
del brano evangelico di oggi è la conversione-penitenza. Lo spunto è
dato da due fatti di cronaca realmente accaduti al tempo di Gesù e
di cui si ha notizia solo nel Vangelo di San Luca. Uno riguarda
alcuni Galilei fatti uccidere da Pilato e l’altro riguarda 18
persone morte schiacciate dal crollo della torre di Siloe (un’opera
difensiva che si trovava nella cinta muraria a sud-est di
Gerusalemme, accanto alla sorgente di Siloe).
Alla domanda perché
queste persone siano morte Gesù afferma che le vittime non erano
certo più colpevoli degli altri abitanti di Gerusalemme. Gesù
invece di dare una risposta sul perché del male nel mondo e della
morte degli uomini, suggerisce di guardare alle disgrazie non come
castighi, ma come avvertimenti. In effetti, la vera disgrazia, la
vera malattia mortale è il peccato, che separa l’uomo da Dio,
sorgente di vita, e dagli altri uomini rendendo invivibile la vita
personale e sociale. Per questo il Redentore ammonisce: “Se non vi
convertirete, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5).
Stupisce che Cristo,
l’Agnello che toglie i peccati del mondo, abbia un tono così duro
e categorico. Fortunatamente, San Luca, “l'evangelista della
misericordia”, aggiunge alle parole di duro avvertimento, la
parabola del fico sterile. Ciò permette di capire che l’affermazione
del giudizio divino che si abbatte inesorabilmente su coloro che non
si convertono, va capita tenendo conto dell'intenzione più profonda,
originaria di Dio è che “non vuole la morte del malvagio, ma che
il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva” (Ez
33,11).
C'è un segreto di
misericordia nella parabola del fico sterile, nel rovesciamento di
questa storia. Il padrone della vigna è Dio nel momento terribile
del giudizio finale. Il vignaiolo è Cristo e toccherebbe a lui il
taglio dell'albero sterile. Ma qualcosa accade nella relazione tra il
Padre e il Figlio: si dilata il tempo - un anno (e da allora più di
2000 anni sono stati dati) - come nuova possibilità. Tutto è
grazia; anche la nostra conversione è opera di Dio in Gesù. E’
rassicurante vedere che il tempo della misericordia si dilata, ma non
dimentichiamo che il Signore agisce in questo modo per rendere
possibile la conversione e non per rimandarla all'infinito.
Non dimentichiamo poi
che la conversione non consiste in cose da fare ma nell'incontrare
Cristo, convergendo verso di lui il nostro cuore, la nostra mente e,
di conseguenza, le nostre azioni. Si tratta di una conversione a
Cristo, Verità che illumina e Amore che si dona. Ogni battezzato, al
di là di qualunque limite di tempo, di spazio o di cultura, è
chiamato a questa conversione prendendo come unico distintivo quello
dell’amore che si fa perdono e misericordia. In questo servizio
(diaconia) dell’amore i nostri occhi si aprono su quello che Dio fa
per noi e su come Lui ci ama. Siccome Dio ci ha amati per primo,
l’amore adesso non è più solo un “comandamento”, ma è la
risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro.”
(Papa emerito Benedetto XVI).
Per questo Papa
Francesco prosegue dicendo che “il comandamento di Cristo ‘amatevi
gli uni gli altri come io vi ho amato’ (Gv 15, 12) non è un
semplice precetto, che rimane sempre qualcosa di astratto o di
esteriore rispetto alla vita, è la strada dell’amore. Una strada
concreta, una strada che ci porta ad uscire da noi stessi per andare
verso gli altri. Gesù ci ha mostrato che l’amore di Dio si attua
nell’amore del prossimo” (Papa Francesco).
Se l'uomo non si
converte a Dio e al prossimo, non cambia il cuore e la mente, se erra
per vie diverse da quella che è Cristo, non si convertirà in
costruttore di pace e giustizia, e questa Terra andrà in rovina
perché fondata sulla sabbia della violenza, dell’odio e
dell’ingiustizia.
2) Pentimento
umile e Misericordia paziente.
Nella parte finale del
Vangelo di oggi Gesù completa il suo insegnamento sulla conversione
che è urgente raccontando la parabola del fico che non dà frutti.
In questo modo rivela la pazienza amorosa di Dio che sa attendere
perché è il “Padre santo e misericordioso, che mai abbandona i
suoi figli” (Colletta di oggi). Da parte nostra dobbiamo
chiedere a Dio che “spacchi la durezza della mente e del cuore,
perché sappiamo cogliere con la semplicità dei fanciulli i tuoi
insegnamenti, e portiamo frutti di vera e continua conversione”.
Dunque, Dio è paziente, misericordioso e fonte di ogni bontà, ma
vuole che noi gli chiediamo perdono con semplice umiltà, perché
solo se noi riconosciamo la miseria del nostro peccato che ci
schiaccia a terra, Lui ci solleva con la sua misericordia (cfr
Colletta di oggi).
Se,
pentiti, presentiamo a Cristo il nostro dolore, Lui ci confermerà
nel suo amore.
Dunque, vivere la
Quaresima è prendere coscienza dell’urgenza della conversione e
riconoscere che noi siamo il fico pieno di foglie ma spoglio di
frutti per il quale Gesù, il vignaiolo premuroso, invoca la pazienza
del Padre. Per grazia di Dio, anche questa volta abbiamo ancora un
po’ di tempo. Anche quest’anno son tornati questi giorni di
Quaresima perché pentiti ci voltiamo decisamente e stabilmente verso
Cristo, consentendogli di aver cura di noi per poterci rendere capaci
di frutti di amore.
La strada del nostro
ritorno è Gesù, in Lui e per Lui tutto trova compimento. Cristo, il
segno più alto e chiaro della Misericordia paziente, che oggi
racconta a noi la parabola del fico sterile con lo scopo di
sottolineare l’urgenza della conversione non in termini di tempo ma
di amore.
Da una parte, la
supplica di Gesù ottiene dal Padre che “usi” la sua misericordia
paziente, dell'altra, ci invita a valorizzare la vita, a viverla in
pienezza, densa di bene.
Ognuno di noi è una
persona conquistata dall’amore di Cristo, perciò ognuno di noi è
mosso da questo amore da cui è teneramente posseduto2
e che, quindi, ci spinge, ci sospinge, ci urge, e che ci apre
all’amore per il prossimo.
Ognuno di noi è
chiamato a convertirsi a Dio, lasciando il peccato non tanto per
paura dei suoi castighi, ma perché allontana il nostro cuore da Lui.
Se il nostro cuore è convertito a Dio, Dio si “converte” a noi e
non “ci nasconderà il suo volto” (Tb 13, 6) e faremo
esperienza del suo amore misericordioso.
3) La verginità
come forma stabile di conversione.
La conversione non è
riducibile al gesto di un momento o di un periodo più o meno lungo.
Essa è il vivere in costante orientamento a Dio
e il procedere quotidiano, anche se durante la quaresima deve essere
più alacre, nel cammino tracciato dal Vangelo, fino al
raggiungimento della “perfetta statura di Cristo” (cf. Ef
4, 13). Se questa affermazione è corretta, come penso che lo sia, la
conversione è una componente essenziale della vita delle Vergini
consacrate nel mondo, che si sono impegnate nella sequela
radicale di Cristo. Tale sequela
completa e totale è resa stabile dalla consacrazione verginale di
queste donne che così si conformano al genere di vita verginale e
povera che Cristo Signore scelse per sé e che la Vergine sua Madre
abbracciò. La verginità non va vista come un “no” all’amore.
Chi aderisce completamente a Cristo, dice di “si” al Suo amore
puro. Puro: questa parola a cui si può rischiare di dare
un’interpretazione riduttiva, moralistica perché richiama al suo
contrario, ciò che è impuro. In realtà, puro mi fa venire in mente
prima di tutto qualcosa che è come dovrebbe essere. L’acqua pura,
l’aria pura, l’intenzione pura. O anche il metallo puro, l’oro,
l’argento. La purezza verginale è come una bellezza senza macchia,
come uno sguardo limpido, vero, autentico. Puro come il “sì”
della Madonna la tutta pura e tutta bella: pura, cioè vera. Che in
questa Quaresima, l’esempio della Vergine Maria e di tutte le donne
che si sono consacrate a suo Figlio nella verginità renda puri i
nostri cuori. Allora il nostro amore sarà arricchito da quello di
Dio. Quindi non sarà un amore impoverito ma reso più forte e più
fecondo.
1 Che significa conversione, convertirsi? Il verbo privilegiato dalla Bibbia ebraica per indicare la conversione è cambiare strada, tornare indietro. Il Nuovo Testamento ha voluto essere più preciso, usando «epistrefein» per indicare il mutamento esteriore, il mutamento nel comportamento, e «metanoein» per indicare la mutazione interiore, il cambiamento di mentalità. Il termine che San Luca usa nel brano evangelico di oggi è «metanoia»: dunque l’Evangelista insiste sul cambiamento interiore, sul modo nuovo e diverso di valutare le cose.
2 L’amore di Cristo ci possiede (è la traduzione ufficiale più recente Bibbia CEI 2008 della frase di San Paolo: “Caritas Christi urget nos – 2 Cor 5,14. Papa Francesco così commenta questa frase di San Paolo : “L’amore di Cristo ci possiede, ci spinge, ci preme. È proprio questa la velocità che ha Paolo: quando vede l’amore di Cristo non può rimanere fermo». Così san Paolo è davvero un uomo che ha fretta, con «l’affanno per dirci qualcosa d’importante: parla del sì di Gesù, dell’opera di riconciliazione che ha fatto Gesù e anche dell’opera di riconciliazione» di Cristo e dell’apostolo” (15 giugno 2013).
Lettura Patristica
De paenitentia, II,
4-7; IV, 1-8
La penitenza nel
disegno di Dio
[Dio]
richiamò a sé il popolo e lo rinfrancò con i molti favori della
sua bontà, pur avendolo riscontrato ingratissimo; e dopo averlo
esortato in continuazione alla penitenza, gli inviò gli oracoli di
tutti i profeti per predicarla. Appena promessa la grazia che negli
ultimi tempi avrebbe illuminato l’universo intero per mezzo del suo
Spirito, comandò che la precedesse la promulgazione della penitenza,
affinché coloro che per grazia chiamava alla promessa del seme di
Abramo, per l’adesione alla penitenza fossero destinati ad essere
in anticipo raccolti.
Jn
non tace, dicendo: "Fate
penitenza"
(Mt
3,2):
già infatti si avvicinava la salvezza alle nazioni, ossia il Signore
che arrecava la seconda promessa di Dio. A chi destinava la
preordinata penitenza, prefissata a purgare gli spiriti perché,
qualsiasi antico errore lo inquinasse, qualsivoglia ignoranza del
cuore umano lo contaminasse, purificando, sradicando e traendo fuori,
preparasse allo Spirito Santo venturo una casa interiore pulita, in
cui egli potesse entrare per godervi i beni celesti.
Unico
è il titolo di questi beni, la salvezza dell’uomo, premessa
l’abolizione dei crimini antichi; questa la ragione della
penitenza, questa l’opera, che assicura la mediazione della divina
misericordia, a pro dell’uomo e a servizio di Dio...
Quindi,
per tutti i delitti, commessi nella carne o nello spirito, in azioni
o nella volontà, che egli con proprio giudizio ha destinato alla
pena, agli stessi, per la penitenza, ha promesso il perdono, dicendo
al popolo: Fa’ penitenza e vedrai la mia salvezza (Ez
18,21).
E poi: "Come
è vero che io vivo - oracolo del Signore Dio - preferisco la
penitenza alla morte"
(Ez
33,11).
Quindi la penitenza è vita, che si contrappone alla morte. Tu
peccatore, mio simile - o anche a me inferiore: io, infatti,
riconosco la mia responsabilità nei delitti -, così pervaditi di
essa, abbraccia la fede come un naufrago si aggrappa ad un qualsiasi
pezzo di tavola. Questa preleverà te, liberato dai frutti dei
peccatori e ti trasferirà nel porto della divina clemenza.
Afferra
l’occasione d’impensata felicità, sì che proprio tu, un tempo
nient’altro davanti al Signore se non recipiente arido, polvere del
suolo e vasetto da nulla, divenga da ora in poi fico rigoglioso,
albero che quasi sgorga acque, dalla chioma perenne e che porta
frutti a suo tempo, in modo da non conoscere né fuoco né scure.
Conosciuta
la Verità, pentiti degli errori; pentiti di aver amato ciò che Dio
non ama. Noi stessi, del resto, non permettiamo ai nostri servi di
conoscere quelle cose da cui ci riteniamo offesi: infatti, la ragione
dell’ossequio risiede nella somiglianza degli animi.
Invero,
occorre parlare diffusamente e con grande impegno del bene della
penitenza, e io ne ho fatto materia del mio discorso: noi in effetti
per le nostre angustie una cosa sola inculchiamo, che è cosa buona,
anzi ottima, quella che Dio comanda. Reputo infatti cosa audace
discutere i divini precetti; e non tanto perché si tratta di un
bene, e quindi dobbiamo ascoltarli, quanto piuttosto perché è Dio
che dispone: prima viene infatti la maestà della divina potestà
nella disposizione all’ossequio; prima si pone l’autorità di chi
comanda, e non l’utilità di chi serve.
È
dunque un bene o no fare penitenza? Cosa rispondi? Dio dispone!
Peraltro, egli non tanto dispone, quanto piuttosto esorta; invita con
il premio, con la salvezza; e lo giura persino, dicendo: "Come
è vero che io vivo", e brama che gli si creda.
Beati
noi dei quali Dio giura la causa; miserrimi se non crediamo neppure a
Dio che giura!
Ciò
che Dio raccomanda reiteratamente e insistentemente, ciò che anche
nel costume umano viene attestato con giuramento, dobbiamo come somma
gravità accettare e custodire, affinché nell’adesione alla divina
grazia, permaniamo nel suo frutto e possiamo perseverare fino ad
averne il premio.
Nessun commento:
Posta un commento