Rito Romano
I Domenica di Quaresima
– Anno C – 14 febbraio 2016
Dt 26,4-10; Sal 90; Rm
10,8-13; Lc 4,1-13
Rito Ambrosiano
I Domenica di Quaresima
Gl 2,12b-18; Sal 50;
1Cor 9,24-27; Mt 4,1-11
1) La Quaresima
come esodo.
I quaranta giorni di
Gesù nei luoghi deserti di Israele sono l’eco dell’esodo, cioè
dei quarant’anni trascorsi dal popolo ebreo nel deserto dopo la
liberazione dall’Egitto. Dunque, se vogliamo capire il senso
dell’esperienza di Gesù, se vogliamo capire il senso del nostro
cammino quaresimale insieme con Cristo, allora dobbiamo meditare
sugli eventi della storia di Israele e della vita del Redentore.
Tuttavia, se vogliamo che questa meditazione non sia una semplice
riflessione intellettuale, dobbiamo fare questo cammino di
conversione ritornando al Signore con tutto “con tutto il cuore,
con digiuni, con pianti e lamenti” (Gl 2,12). “Con tutto
il cuore” vuol dire che questa conversione deve partire dal centro
dei nostri pensieri e sentimenti, dalle radici delle nostre
decisioni, scelte e azioni, con un gesto di totale e radicale
libertà. Ma com’è possibile questo esodo, questo ritorno a Dio?
E’ possibile grazie a una forza che non risiede nel nostro cuore,
ma che si sprigiona dal cuore stesso di Dio. E’ la forza della sua
misericordia.
La Quaresima è il
tempo ricco di grazia e di misericordia, che la Chiesa ci offre
perché ci impegniamo nell’esodo spirituale, nel cammino di
conversione a Cristo attraverso l’ascolto più frequente della
Parola di Dio, la preghiera più intensa, il digiuno e la carità.
In quest’Anno Giubilare della misericordia la Quaresima ci è
proposta come “tempo favorevole per poter finalmente uscire
dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della
Parola e alle opere di misericordia corporali e spirituali” (Papa
Francesco, Messaggio per la Quaresima 2016).
Dunque, la Quaresima
è tempo favorevole per riscoprire la fede in Dio come criterio-base
della nostra vita e di quella della Chiesa. Ciò implica sempre una
lotta spirituale, perché il diavolo si oppone al nostro esodo di
santificazione e cerca di farci deviare dalla via di Cristo che ci
porta al Padre. Per questo, nella prima domenica di Quaresima, è
proclamato ogni anno il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel
deserto.
2) Le tentazioni
di Gesù.
Gesù fu tentato. Da
quello che è scritto nel Vangelo di San Luca emerge che le
tentazioni sono state ben di più di tre e che sono indicate come la
tentazione del pane, quella del prestigio e quella del potere In
effetti, San Luca racconta che il tentatore è con Gesù fin
dall’inizio e cerca di agire su Gesù con “ogni tentazione”.
Ma perché Gesù fu
tentato? Con i Padri della Chiesa possiamo rispondere che le
tentazioni fanno parte della “discesa” di Gesù nella nostra
condizione umana, nell’abisso del peccato e delle sue conseguenze.
Una “discesa” che Gesù ha percorso sino alla fine, sino alla
morte di croce e agli inferi dell’estrema lontananza da Dio. In
questo modo, Egli è la mano che Dio ha teso all’uomo, alla
pecorella smarrita, per riportarla in salvo. Come insegna
sant’Agostino, “Gesù ha preso da noi le tentazioni, per donare a
noi la sua vittoria” (cfr Enarr. in Psalmos, 60,3: PL 36,
724).
Queste
tre seduzioni hanno un denominatore comune e possono essere
considerate come tre modi diversi di un’unica tentazione, con la
quale Satana mette alla prova Gesù nel deserto, che però – come
insegna la Bibbia – non è tanto il luogo della tentazione e
della prova, quanto l'occasione di fare l'esperienza della vicinanza,
della fedeltà, della misericordia del Signore: “Il Signore, tuo
Dio... ti ha seguito nel tuo viaggio attraverso questo grande
deserto. Il Signore, tuo Dio, è stato con te in questi quarant'anni
e non ti è mancato nulla” (Dt 2, 7).
Portando
il suo attacco alla libertà umana di Cristo, il diavolo vuol
spingere il Messia contro Dio, facendo leva sull’avidità umana di
possedere le cose, le persone e Dio stesso, e di cercare la
realizzazione di sé disobbedendo al Padre perché sarebbe un Dio
invidioso e rivale.
Infatti,
che cosa suggerisce il diavolo a Gesù? Di seguire una via, di
realizzare un’esistenza contraria a quella che il Padre aveva
progettato per Lui, cercando di insinuare nel suo cuore il dubbio
circa la bontà e la fedeltà di Dio. Dalla tentazione di Adamo ed
Eva in poi, la “strategia” usata dal diavolo per indurci al
peccato è sempre questa: farci dubitare dell’amore provvidente del
Padre per indurci a disobbedire al divino disegno di bontà. Se nella
mente e nel cuore dell’essere umano s’insinua la falsa idea che
Dio sia invidioso della felicità umana, è più facile indurre al
male, spingendo alla disobbedienza di una legge che non è più colta
come proveniente dall’amore del Padre ricco di misericordia e di
bontà, ma dalla gelosia di un Dio invidioso e nemico dell’umanità.
Dunque
nel deserto il diavolo tentò Cristo per distoglierlo dalla sua
obbedienza al Padre, mostrando come vera vita un’esistenza
contraria al progetto divino. Come? Ecco le tre forme che questa
tentazione di base assume.
La
prima: “Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi
pane”. E’ un invito a dare prova della sua capacità di
provvedere a se stesso, prescindendo dal Padre. Ma Gesù, che nel
deserto aveva digiunato per 40 giorni, risponde: “Non di solo pane
vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca del Padre”.
Cristo risponde che Lui intende vivere invece la sua missione
nell’ascolto obbediente del Padre. E con ciò mostra la relazione
unica di Cristo con il Padre e l’abbandono confidente a Lui Padre.
Per
questo il digiuno è pratica quaresimale importante per far emergere
in noi la fame di Dio come esigenza fondamentale. Dunque, digiunare
non è solo mangiare poco o nulla in qualche giorno di quaresima, ma
privarsi di qualcosa o di alcune cose per capire la necessità
di Dio nella nostra vita.
La
seconda riguarda il potere che l’uomo vuole per realizzarsi. “Il
diavolo condusse in alto il Messia e gli mostrò tutti i regni della
terra”. Satana pensava di poter corrompere Gesù, promettendogli
“il potere e la gloria” (Lc 4,6) del mondo se si fosse prostrato
in adorazione dinanzi a lui (Id 4,7). E’ la tentazione di credere
in un Dio pronto a risolvere i nostri egoismi, ciò che noi vogliamo.
Gesù rispose: “Il Signore, Dio tuo, adorerai” (Id. 4,8).
Da ciò impariamo che
il cristiano non serve se stesso o il popolo, ma solo Dio: è in
perenne adorazione, a servizio del Padre e del suo amore, che ci
spinge verso i fratelli. Per questo, la seconda pratica quaresimale è
l’elemosina, che non è tanto dare alcune monetine ai poveri, ma
vivere la carità fraterna praticando le opere di misericordia
corporale e spirituale come Papa Francesco raccomanda.
La terza
forma di tentazione è la più acuta. Il diavolo propone a Cristo:
“Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù” (Id. 4,9) dal pinnacolo
del tempio. E’ come se Satana dicesse: “Metti alla prova tuo
Padre per verificare se mantiene le sue promesse”. La risposta di
Gesù è decisa: questo significa “tentare Dio”, non fidarsi del
Padre, Vita e sorgente di Vita. Cristo vive in questo totale
abbandono al Padre e confermerà questo suo affidamento sempre fino
ad andare in Croce e dire: “Nelle tue mani o Dio affido il mio
spirito”.
Alla
luce di ciò, viviamo la terza pratica di quaresima: la preghiera più
intensa e perché questo tempo di penitenza e conversione sia
fruttuoso per ciascuno di noi, preghiamo: “Concedici, Dio
onnipotente, che, durante gli esercizi annuali della santa Quaresima,
possiamo progredire nell’intelligenza del mistero di Cristo e
ricercarne l’effetto (nella nostra vita) con una condotta degna”1
(Colletta della I Domenica di Quaresima).
3)
Aprire la nostra miseria alla misericordia di Dio.
Questa
terza pratica di quaresima, la preghiera più intensa, è molto
importante perché quando preghiamo ci lasciamo raggiungere da Dio
che in Cristo è venuto a cercarci (si pensi alla parabola della
pecorella smarrita Lc
15) che prende sulle sue spalle non solo i nostri peccati ma noi
stessi. La preghiera quindi apre la nostra miseria alla misericordia
di Gesù, che oggi ci insegna l’affidamento totale al Padre.
Affidamento totale che
le Vergini consacrate nel mondo vivono attraverso il dono completo di
sé a Cristo, Sposo che nel deserto parla al loro cuore (cfr Osea
2,2,), attraverso la preghiera, che permette di ascoltare la parola
di amore di Dio e di imparare dal cuore di Cristo, attraverso la
carità, perché “pregare è pensare a Dio amandolo” (Charles
de Foucauld) e riconoscendolo nel prossimo, che è icona e
presenza autentica di Cristo.
Certo per riconoscere
Cristo nell’altro ci vuole una “purezza angelica” (M. Teresa
di Calcutta) che è testimoniata in modo particolare da chi vive
la verginità consacrata perché “la
verginità trasforma in angeli le persone che l'abbracciano
veramente” (San Giovanni
Crisostomo).
1 Traduzione letterale di “Concéde nobis, omnípotens Deus, ut, per ánnua quadragesimális exercítia sacraménti, et ad intellegéndum Christi proficiámus arcánum, et efféctus eius digna conversatióne sectémur ”.
Lettura
patristica
Ambrogio di Milano
In Luc., 4, 7-9.41 s.
"Allora
Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal
diavolo"
(Lc
4,1-2
Mt
4,1).
Conviene ricordare come avvenne che il primo Adamo fu cacciato dal
paradiso nel deserto, affinché tu rifletta in qual modo il secondo
Adamo dal deserto sia tornato al paradiso.
Osservate
come la condanna sia stata revocata, e i benefici di Dio reintegrati
nei loro disegni. Adamo fu plasmato con la terra vergine, Cristo è
nato da una vergine; quegli fu fatto ad immagine di Dio, questi è la
stessa immagine di Dio; quello fu posto al di sopra di tutti gli
animali sprovvisti di ragione, questo è al di sopra di tutti i
viventi; per mezzo di una donna venne la perdizione, per mezzo di una
vergine viene la sapienza la morte per mezzo di un albero, la vita
per la croce.
L’uno,
spoglio delle cose spirituali, si coprì con le foglie di un albero;
l’altro, spoglio delle cose del mondo, non ebbe bisogno del
rivestimento corporale. Nel deserto Adamo, nel deserto Cristo; questi
infatti sapeva dove poter trovare l’uomo condannato per ricondurlo
al paradiso, dopo averne cancellato la colpa. Ma, poiché l’uomo
non poteva tornare al paradiso coperto delle spoglie di questo mondo,
- e non può essere cittadino del cielo se non chi si è spogliato di
ogni colpa, - abbandonò il vecchio uomo, e si rivestì del nuovo, di
modo che si avesse più un mutamento di persona che di sentenza,
poiché non si possono abrogare i decreti divini.
Colui
che nel paradiso, senza guida, smarrì la via assegnatagli, come
avrebbe potuto, senza guida, riprendere nel deserto la via smarrita,
lì dove le tentazioni sono moltissime, difficile lo sforzo verso la
virtù, facile la caduta nell’errore? La virtù è un po’ come le
piante dei boschi: quando sono ancora basse salgono da terra verso il
cielo; quando la loro età cresce nel tenero fogliame, esposte come
sono al pericolo di denti crudeli, possono essere facilmente tagliate
e inaridite. Ma quando l’albero si sia stabilito su profonde
radici, e si erga con l’altezza dei rami, invano sarebbe attaccato
dai morsi delle fiere, dalle braccia dei contadini e dal soffio delle
procelle.
Quale
guida dunque egli avrebbe potuto seguire contro tanti adescamenti di
questo mondo, contro tanti inganni del diavolo, sapendo che noi
dobbiamo lottare prima di tutto «contro la carne e il sangue», poi
contro le "potenze,
contro i principi del mondo delle tenebre, e contro gli spiriti del
male che circolano nell’aria"
(Ep
6,11-12)?
Avrebbe
potuto seguire un angelo? Ma l’angelo stesso è caduto; le legioni
degli angeli a malapena sono state utili a qualcuno (Mt
26,53
2Re Mt
6,17-18).
Sarebbe potuto essere inviato un serafino? Ma un serafino discese
sulla terra in mezzo a un popolo che aveva le labbra immonde (Is
6,6-7),
e riuscì soltanto a purificare le labbra di un profeta con un
carbone ardente. Si dovette cercare un’altra guida, che tutti
quanti noi potessimo seguire.
E
chi poteva essere una guida così grande che potesse aiutare tutti,
se non colui che è al di sopra di tutti? Chi avrebbe potuto mettersi
al di sopra del mondo, se non chi è più grande del mondo? Chi
poteva essere una guida così sicura, che potesse condurre nella
stessa direzione l’uomo e la donna, il giudeo e il greco, il
barbaro e lo scita, il servo e l’uomo libero, se non il solo che è
tutto in tutti, cioè il Cristo?...
Noi
dunque non temiamo le tentazioni, ma piuttosto vantiamocene e
diciamo: "È
nella debolezza che siamo potenti"
(2Co
12,10),
è allora infatti che viene intrecciata per noi la corona della
giustizia (2Tm
4,8).
Ma questa corona di cui si parla è quella adatta a Paolo, mentre
noi, dato che vi sono diverse corone, dobbiamo sperare di riceverne
una qualsiasi. In questo mondo corona è l’alloro, e corona è lo
scudo. Ma ecco, a te viene offerta una corona di delizie, perché
"una
corona di delizie ti farà ombra"
(Pr
8,6);
e altrove: "Ti
circonderà con lo scudo della sua benevolenza"
(Ps
5,13
Ps
90,5);
infine, il Signore "ha
coronato di gloria e onore colui che amava"
(Ps
8,6).
Dunque, colui che vuol darci la corona permette anche le prove: se
sarai tentato, sappi che egli ti sta preparando la corona. Togli i
combattimenti dei martiri, hai tolto le corone; togli i loro
tormenti, hai tolto i loro trionfi.
Forse
che la tentazione di Giuseppe non è stata la consacrazione della sua
virtù (cf. Gn
39,7ss),
l’ingiustizia del carcere la corona della sua castità? In qual
modo avrebbe potuto ottenere di essere associato in Egitto alla
dignità regale, se non fosse stato venduto come schiavo dai suoi
fratelli? (Gn
41,43).
Egli stesso dimostrò che tutto questo fu voluto da Dio per mettere
alla prova il giusto, dicendo: "in
modo da far sì che oggi molta gente si salvasse"
(Gn
50,20).
Non dobbiamo quindi temere come fossero sciagure le prove del mondo,
grazie alle quali si preparano per noi le buone ricompense;
piuttosto, tenendo conto della condizione umana, dobbiamo chiedere di
subire quelle prove che possiamo sopportare.
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