Rito Romano
V Domenica del Tempo
Ordinario – Anno C – 7 febbraio 2016
Is
6,1-2.3-8; Sal 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
Rito
Ambrosiano
Sir
18,11-14; Sal 102; 2Cor 2,5-11; Lc 19,1-10
Ultima Domenica dopo
l’Epifania,
detta
«del perdono»
1)
Agire nella fede.
Pochi
giorni fa, il 2 febbraio, la Liturgia ci ha fatto celebrare la
presentazione di Gesù al Tempio. Abbiamo così assistito alla prima
processione al Tempio compiuta da Cristo portato da due giusti, Maria
e Giuseppe, e accolto da due giusti, Simone e Anna, a cui seguirà
quella di Gesù adolescente che resta tre giorni nella Casa del
Padre, tra i Dottori della Legge. L’ultima processione, sarà
quella della Domenica delle Palme, una processione questa dove il
Redentore è accompagnato da giusti e da peccatori.
Nella
prima processione possiamo vedere la realizzazione della profezia di
Malachia ascoltata nella prima lettura del 2 febbraio: Dio che viene
a compiere giustizia sulla terra è il Bambino Gesù, che entra nel
Tempio sulle braccia della Madre, la Vergine Maria. La Madonna
“presenta” a Dio il Figlio, glielo “offre”, cosciente che
ogni offerta è una rinuncia. Offrire a Dio un sacrificio è
un riconoscere la sorgente della vita, è un sacrificio di comunione,
non di morte, come erano i sacrifici pagani fatti per tenere buono
Dio (pagano). Nella processione della Passione, che rivivremo la
domenica delle Palme, accompagneremo, da peccatori pentiti, Gesù che
sale per l’ultima volta a Gerusalemme e sulla Croce manifesta di
essere il “Sì” totale di Dio
all’uomo ed è il “Sì” totale dell’uomo a Dio.
Se
la festa della celebrazione del 2 febbraio è
centrata sull’ingresso di Gesù nel Tempio, scortato dalla piccola
processione accompagnata dal canto del Salmo 47 “Abbiamo ricevuto o
Dio, la tua misericordia, dentro il tuo tempio”, la liturgia di
questa domenica ci fa celebrare il lavoro
redentivo del Messia che porta a pienezza l’Alleanza nuova e
definitiva, e che oggi chiama Pietro, che sarà seguito da Andrea,
Giacomo e Giovanni, e tutti noi con loro a collaborare con Lui.
Portando
il Figlio a Gerusalemme, la Vergine Madre agì nella fede e Lo offrì
a Dio come vero Agnello che toglie i peccati del mondo; lo porse a
Simeone e ad Anna quale annuncio di redenzione; lo presentò a tutti
come luce per un cammino sicuro sulla via della verità e dell’amore.
Anche
Pietro agì nella fede. Il Vangelo di oggi, infatti, ci mostra che il
Primo degli Apostoli, dopo aver risposto a Cristo: “Maestro, sulla
tua parola getterò le reti”, agì nella fede andando contro alla
sua esperienza di pescatore che gli diceva che è inutile pescare di
giorno, soprattutto dopo un notte in cui non si è preso niente.
Anche noi, imparando
da Pietro, per il quale l’ascolto della Parola di Gesù, la fiducia
in lui divenne la regola nuova, sconvolgente, della vita di Simone,
agiamo nella fede obbedendo (=ascoltando e mettendo in pratica)
l’invito di Cristo, invito che diventa vocazione a seguirlo per
portare a Lui, luce di verità e di amore, tutti gli uomini,
tirandoli fuori dall’acqua malsana e portarli nel mare della
misericordia di Dio, che è Vita e sorgente di vita.
2)
Vocazione alla
misericordia.
Quella di San Pietro
sul lago è la storia di tutti, a cominciare da quelli che Dio ha
chiamato a diventare “pescatori di uomini”. È la storia di
ognuno di noi, chiamato da Gesù, nel Battesimo e nella Cresima, a
seguirlo e quindi invitato a 'gettare le reti al largo'.
Il Vangelo di oggi
(terza lettura) parla della vocazione di Pietro, che è chiamato a
cambiare il suo mestiere di pescatore “umano”, normale in
“pescatore di umanità”. Il Primo degli Apostoli, dopo che ha
vissuto l’esperienza della pesca miracolosa, dice in ginocchio:
“Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” (Lc 5,8),
e Cristo gli risponde "Non temere, da adesso sarai pescatore di
uomini” (Id 5,10)
Ma tutta la liturgia
della Parola di questa domenica, ha la vocazione come tema
principale.
La prima lettura ci
racconta del profeta Isaia, che, mentre si trovava nel tempio ebbe
una visione: “Io vidi -scrive il profeta- il Signore, seduto su un
trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio.
Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali e
proclamavano l'uno all'altro: ‘Santo, santo, santo è il Signore
degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria’ e
vibravano gli stipiti delle porte, alla voce di colui che gridava,
mentre il tempio si riempiva di fumo”.
Per questo grande
profeta si trattò di un’esperienza sconvolgente, e non poteva
essere altrimenti, perché la vocazione del Signore cambia
completamente la vita di chi è chiamato facendogli innanzitutto
prendere coscienza del propria indegnità. A questo riguardo Isaia
così descrive la sua vocazione-conversione: “Io dissi: ‘Sono
perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un
popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti’. Allora uno dei serafini volò
verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le
molle dall'altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: ‘Ecco,
questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità
e il tuo peccato è espiato’” . Dunque, dopo aver fatto
esperienza della sua meschinità e del suo essere un peccatore
bisognoso di perdono, Isaia, dice il suo “Sì” a Dio.
Anche la seconda
lettura mostra come il primo sentimento che nasce dall’incontro con
Cristo è stupore misto alla presa di coscienza della propria
piccolezza e miseria, che ha appunto bisogno della misericordia
divina. Infatti, questa seconda lettura ci fa ascoltare San Paolo che
ricorda l'apparizione di Gesù risorto, il quale sulla via di
Damasco si fa incontro a lui, “il più piccolo degli apostoli... ma
per grazia di Dio sono ciò che sono” .
Da tutte e tre letture
liturgiche emerge la chiamata divina innanzitutto come un
manifestarsi di Dio all'uomo. Prima di inviare, di affidare una
missione, Dio si fa conoscere nella sua grandezza e bontà. La
persona chiamata è posta davanti alla verità di Dio che illumina e
gli fa comprendere la sua realtà di creatura debole, fragile,
limitata, peccatrice. Eppure è proprio di questa persona umana, che
Dio si serve perché collabori alla costruzione del suo regno nel
mondo e faccia conoscere alle donne e agli uomini di tutto il mondo
il suo messaggio di amore e di pace, di misericordia e di redenzione.
Non dimentichiamo,
però, la vocazione, oltre che dono di misericordia e redenzione, è
un mistero, ed ha le sue radici nella volontà salvifica di Dio,
volontà, che sfugge alla logica ed ai progetti umani, e può
trasformare e coinvolgere, chiunque Egli voglia.
Di fronte alla
vocazione, l’uomo non può che riconoscere la propria pochezza e la
sua fragilità di peccatore. Ma, come accadde a Isaia, a Paolo e a
Pietro, fu il Signore stesso a guidare nel cammino e a rendere
fecondo di opere il “Si” iniziale, pronunciato con tanto
entusiasmo e con altrettanto timore.
Circa il non avere
timore è interessante notare il vocabolo usato da Luca per indicare
la missione che Gesù affida a Pietro e, con lui, a tutti noi, quando
gli dice: “Non temere, tu sarai pescatore di uomini”. La parola
che è usata da San Luca nel testo greco e che è tradotta con
“pescatore” è una parola nuova, che è usata solo due volte nel
Vangelo e che deriva dal verbo composto che letteralmente significa
“prendere vivo”. Quindi i pescatori chiamati da Cristo sono dei
“catturatori di vita”, delle persone che prendono le persone vive
per mantenerle in vita. I pescatori di Cristo, quindi, gettano le
loro reti nel mare del mondo per offrire agli uomini la Vita, per
strapparli dall’acqua insalubre e farli ritornare alla vita vera.
Pietro e gli altri Apostoli, noi e i nostri fratelli e sorelle di
navigazione in questo mondo, possiamo continuare, se lo vogliamo, in
qualsiasi stato ci troviamo, quella sua stessa meravigliosa missione
di inviati del Padre “a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,
10), facendoci evangelizzatori di misericordia.
3) La vocazione
delle Vergini consacrate nel mondo.
Il Vangelo di questa
domenica si conclude con una frase breve e incisiva: “Lasciarono
tutto e lo seguirono”. Questi due verbi: “lasciare” e “seguire”
indicano con chiarezza le caratteristiche essenziali della risposta
alla chiamata di Dio.
“Lasciare tutto” è
l’esigenza fondamentale della vocazione di chi si impegna nella
proclamazione e testimonianza del Vangelo, ed è un’esigenza, che
comporta uno stile di vita conforme ad un'autentica, profonda
povertà, come fu povero il Figlio di Dio, che “spogliò se
stesso...”.
Non è un impegno
facile, soprattutto nel nostro tempo, ma, sicuramente, non fu agevole
neppure per quei pochi che furono chiamati, direttamente da Gesù,
se, un giorno, ebbero a chiedergli: “Maestro, noi abbiamo lasciato
ogni cosa e ti abbiamo seguito; che cosa, dunque, avremo?”; Gesù
rispose: “In verità vi dico, voi che mi avete seguito, e chiunque
avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o
moglie, o figli, o campi per il mio nome, riceverà il centuplo, e,
in eredità, avrà la vita eterna” (Mt 19,28-29 ).
“Seguire”.
Seguire Cristo vuol dire fare il Suo
stesso cammino, la sua stessa vita, la stessa strada, le sue stesse
scelte, il suo stesso cammino di vita, il cammino del Figlio che va
incontro ai fratelli per salvarli. Vuol
dire fare della nostra familiarità con Cristo la nostra dimora.
Un
modo significativo di vivere questa intimità pura con il Signore è
quello delle Vergini Consacrate nel mondo. In loro “l’amore
si fa sequela: il vostro carisma comporta una donazione totale a
Cristo, una assimilazione allo Sposo che richiede implicitamente
l’osservanza dei consigli evangelici, per custodire integra la
fedeltà a Lui (cfr RCV, 47) (Benedetto XVI). La loro vocazione
implica che “la loro vita sia una particolare testimonianza di
carità e segno visibile del Regno futuro” (RCV, 30). Queste donne
mostrano come sia bello e lieto seguire Cristo, obbedendogli. In
effetti, mettendosi in atteggiamento di obbedienza (cioè di ascolto)
allo Sposo che le ha chiamate all’amore, queste spose ascoltano
(ubbidiscono) lo Sposo che le ama ricambiando questo amore con il
dono lieto di sé stesse a Lui.
Aprendo
il cuore a Dio mediante una vita verginale, hanno accolto la sua
chiamata, ed hanno consacrato tutta la loro vita a Cristo e
all'annuncio del Vangelo di gioia e di misericordia per pescare viva
l’umanità e portarla dall’acqua di morte all’acqua di vita. La
croce che portano è il segno che il legno su cui Cristo è morto è
il legno che permette di attraversare il
mare della vita per giungere alla riva. Esse mostrano che quando
Cristo è il nostro Signore, il centro della nostra vita, colui che
ci ama infinitamente, colui che amiamo, allora tutto è possibile.
Lettura
patristica
Sant’Ambrogio di
Milano
In Luc. 4, 68-72
"Montato
su una delle barche, che era di Simone, lo pregò di scostarsi un
poco da terra"
(Lc
5,3).
Appena il Signore ebbe operato alcune guarigioni, né il tempo né il
luogo furono più sufficienti a trattenere la folla dal desiderio di
essere risanata. Cadeva la sera, ma la folla lo seguiva; incontrano
il lago e la folla gli è da presso; per questo sale sulla barca di
Pietro. È questa la barca che, secondo Matteo, è scossa dalle onde,
e che, secondo Luca, si riempie di pesci, perché tu riconosca gli
inizi così tempestosi della Chiesa, e i tempi successivi così
fruttuosi. I pesci sono infatti coloro che navigano nel mare della
vita. Là, Cristo dorme ancora presso i discepoli, qui egli dà
ordini; dorme per coloro che tremano, veglia tra quanti sono già
fortificati. Ma dal Profeta hai già sentito dire in qual modo dorme
Cristo: "Io
dormo, ma il mio cuore veglia"
(Ct
5,2).
Opportunamente
san Matteo non tralascia di testimoniare la manifestazione della
potenza divina, quando narra che Cristo comanda ai venti (Mt
8,26).
Non si tratta infatti di scienza umana - come avete udito dai Giudei
quando dicevano: «Con una parola comanda agli spiriti» - ma c’è
il segno della potenza celeste, allorché il mare agitato si calma,
gli elementi obbediscono all’ordine della voce divina, gli oggetti
insensibili acquistano il senso dell’obbedienza.
Il
mistero della presenza divina si rivela quando i flutti del mondo si
calmano, quando una parola sconfigge lo spirito immondo: ma questo
aspetto non sopprime l’altro, ma l’uno e l’altro vengono
esaltati. Riconosci il miracolo nel comportamento degli elementi,
l’insegnamento nei misteri.
Dunque,
poiché san Matteo aveva già fatto la sua scelta, san Luca
preferisce parlare della barca nella quale pescava Pietro. La barca
che ospita Pietro non è scossa dalle onde; è scossa quella che
ospita Giuda. Benché navigassero i molteplici meriti dei discepoli,
tuttavia quest’ultima era turbata dalla perfidia del traditore.
Nell’una e nell’altra, c’era Pietro; chi è ben saldo per la
sua fede, è però turbato dai demeriti altrui. Guardiamoci dunque
dal perfido, guardiamoci dal traditore, affinché la maggior parte di
noi non sia agitata dai flutti a causa di uno solo. Non è turbata la
nave, nella quale naviga la prudenza, la perfidia è assente, respira
la fede. Come poteva essere agitata la nave, di cui era pilota colui
sul quale poggia il fondamento della Chiesa? C’è dunque turbamento
là dove la fede è debole; c’è sicurezza dove la carità è
perfetta.
E
infine, benché il Signore comandi agli altri di gettare le reti,
solo a Pietro dice: "vai
al largo"
(Lc
5,4),
cioè avventurati nel mare profondo delle dispute. Che cosa c’è
infatti di così alto come vedere l’altezza dei misteri,
riconoscere il Figlio di Dio, proclamare la sua divina generazione?
Sebbene lo spirito umano non possa comprenderla pienamente con la
penetrazione della ragione, tuttavia la pienezza della fede può
abbracciarla. Infatti, anche se non mi è concesso di sapere come
egli è nato, tuttavia non mi è permesso ignorare il fatto che egli
è nato; ignoro il modo della sua generazione, ma ne riconosco la
verità. Non eravamo là, quando il Figlio di Dio era generato dal
Padre; ma eravamo là quando dal Padre fu dichiarato Figlio di Dio.
Se
non crediamo a Dio, a chi crediamo? Tutto ciò che crediamo, lo
crediamo per avere visto o per avere udito. Ebbene, la vista sovente
si inganna, ma l’udito fa fede. Vogliamo discutere della veridicità
del testimone? Se attestassero persone dabbene, giudicheremmo
sconveniente non creder loro: qui Dio afferma, il Figlio prova, il
sole che si eclissa lo riconosce, la terra tremando lo testimonia (Mt
27,45-51
Lc
23,44).
La
Chiesa è condotta da Pietro nel mare alto delle dispute, per vedere,
da un lato, il Figlio di Dio che risorge, e dall’altro lo Spirito
Santo che si effonde.
Che
cosa sono le reti dell’apostolo, che il Signore gli ordina di
gettare, se non il significato delle parole, il senso del discorso,
le profondità delle dispute, che non lasciano più sfuggire coloro
che ne sono presi? Ed è giusto che gli strumenti della pesca
apostolica siano le reti, perché le reti non fanno morire chi vi è
preso, ma lo conservano, lo traggono dalle profondità alla luce e
dal fondo conducono in alto chi fluttuava sott’acqua.
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