venerdì 5 febbraio 2016

L’obbedienza a Cristo rende feconda la vita.

Rito Romano
V Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 7 febbraio 2016
Is 6,1-2.3-8; Sal 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11

Rito Ambrosiano
Sir 18,11-14; Sal 102; 2Cor 2,5-11; Lc 19,1-10
Ultima Domenica dopo l’Epifania,
detta «del perdono»


1) Agire nella fede.
Pochi giorni fa, il 2 febbraio, la Liturgia ci ha fatto celebrare la presentazione di Gesù al Tempio. Abbiamo così assistito alla prima processione al Tempio compiuta da Cristo portato da due giusti, Maria e Giuseppe, e accolto da due giusti, Simone e Anna, a cui seguirà quella di Gesù adolescente che resta tre giorni nella Casa del Padre, tra i Dottori della Legge. L’ultima processione, sarà quella della Domenica delle Palme, una processione questa dove il Redentore è accompagnato da giusti e da peccatori.
Nella prima processione possiamo vedere la realizzazione della profezia di Malachia ascoltata nella prima lettura del 2 febbraio: Dio che viene a compiere giustizia sulla terra è il Bambino Gesù, che entra nel Tempio sulle braccia della Madre, la Vergine Maria. La Madonna “presenta” a Dio il Figlio, glielo “offre”, cosciente che ogni offerta è una rinuncia. Offrire a Dio un sacrificio è un riconoscere la sorgente della vita, è un sacrificio di comunione, non di morte, come erano i sacrifici pagani fatti per tenere buono Dio (pagano). Nella processione della Passione, che rivivremo la domenica delle Palme, accompagneremo, da peccatori pentiti, Gesù che sale per l’ultima volta a Gerusalemme e sulla Croce manifesta di essere il “Sì” totale di Dio all’uomo ed è il “Sì” totale dell’uomo a Dio.
Se la festa della celebrazione del 2 febbraio è centrata sull’ingresso di Gesù nel Tempio, scortato dalla piccola processione accompagnata dal canto del Salmo 47 “Abbiamo ricevuto o Dio, la tua misericordia, dentro il tuo tempio”, la liturgia di questa domenica ci fa celebrare il lavoro redentivo del Messia che porta a pienezza l’Alleanza nuova e definitiva, e che oggi chiama Pietro, che sarà seguito da Andrea, Giacomo e Giovanni, e tutti noi con loro a collaborare con Lui.
Portando il Figlio a Gerusalemme, la Vergine Madre agì nella fede e Lo offrì a Dio come vero Agnello che toglie i peccati del mondo; lo porse a Simeone e ad Anna quale annuncio di redenzione; lo presentò a tutti come luce per un cammino sicuro sulla via della verità e dell’amore.
Anche Pietro agì nella fede. Il Vangelo di oggi, infatti, ci mostra che il Primo degli Apostoli, dopo aver risposto a Cristo: “Maestro, sulla tua parola getterò le reti”, agì nella fede andando contro alla sua esperienza di pescatore che gli diceva che è inutile pescare di giorno, soprattutto dopo un notte in cui non si è preso niente.
Anche noi, imparando da Pietro, per il quale l’ascolto della Parola di Gesù, la fiducia in lui divenne la regola nuova, sconvolgente, della vita di Simone, agiamo nella fede obbedendo (=ascoltando e mettendo in pratica) l’invito di Cristo, invito che diventa vocazione a seguirlo per portare a Lui, luce di verità e di amore, tutti gli uomini, tirandoli fuori dall’acqua malsana e portarli nel mare della misericordia di Dio, che è Vita e sorgente di vita.


2) Vocazione alla misericordia.
Quella di San Pietro sul lago è la storia di tutti, a cominciare da quelli che Dio ha chiamato a diventare “pescatori di uomini”. È la storia di ognuno di noi, chiamato da Gesù, nel Battesimo e nella Cresima, a seguirlo e quindi invitato a 'gettare le reti al largo'.
Il Vangelo di oggi (terza lettura) parla della vocazione di Pietro, che è chiamato a cambiare il suo mestiere di pescatore “umano”, normale in “pescatore di umanità”. Il Primo degli Apostoli, dopo che ha vissuto l’esperienza della pesca miracolosa, dice in ginocchio: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” (Lc 5,8), e Cristo gli risponde "Non temere, da adesso sarai pescatore di uomini” (Id 5,10)
Ma tutta la liturgia della Parola di questa domenica, ha la vocazione come tema principale.
La prima lettura ci racconta del profeta Isaia, che, mentre si trovava nel tempio ebbe una visione: “Io vidi -scrive il profeta- il Signore, seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali e proclamavano l'uno all'altro: ‘Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria’ e vibravano gli stipiti delle porte, alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo”.
Per questo grande profeta si trattò di un’esperienza sconvolgente, e non poteva essere altrimenti, perché la vocazione del Signore cambia completamente la vita di chi è chiamato facendogli innanzitutto prendere coscienza del propria indegnità. A questo riguardo Isaia così descrive la sua vocazione-conversione: “Io dissi: ‘Sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti’. Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: ‘Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato’” . Dunque, dopo aver fatto esperienza della sua meschinità e del suo essere un peccatore bisognoso di perdono, Isaia, dice il suo “Sì” a Dio.
Anche la seconda lettura mostra come il primo sentimento che nasce dall’incontro con Cristo è stupore misto alla presa di coscienza della propria piccolezza e miseria, che ha appunto bisogno della misericordia divina. Infatti, questa seconda lettura ci fa ascoltare San Paolo che ricorda  l'apparizione di Gesù risorto, il quale sulla via di Damasco si fa incontro a lui, “il più piccolo degli apostoli... ma per grazia di Dio sono ciò che sono” .
Da tutte e tre letture liturgiche emerge la chiamata divina innanzitutto come un manifestarsi di Dio all'uomo. Prima di inviare, di affidare una missione, Dio si fa conoscere nella sua grandezza e bontà. La persona chiamata è posta davanti alla verità di Dio che illumina e gli fa comprendere la sua realtà di creatura debole, fragile, limitata, peccatrice. Eppure è proprio di questa persona umana, che Dio si serve perché collabori alla costruzione del suo regno nel mondo e faccia conoscere alle donne e agli uomini di tutto il mondo il suo messaggio di amore e di pace, di misericordia e di redenzione.
Non dimentichiamo, però, la vocazione, oltre che dono di misericordia e redenzione, è un mistero, ed ha le sue radici nella volontà salvifica di Dio, volontà, che sfugge alla logica ed ai progetti umani, e può trasformare e coinvolgere, chiunque Egli voglia.
Di fronte alla vocazione, l’uomo non può che riconoscere la propria pochezza e la sua fragilità di peccatore. Ma, come accadde a Isaia, a Paolo e a Pietro, fu il Signore stesso a guidare nel cammino e a rendere fecondo di opere il “Si” iniziale, pronunciato con tanto entusiasmo e con altrettanto timore.
Circa il non avere timore è interessante notare il vocabolo usato da Luca per indicare la missione che Gesù affida a Pietro e, con lui, a tutti noi, quando gli dice: “Non temere, tu sarai pescatore di uomini”. La parola che è usata da San Luca nel testo greco e che è tradotta con “pescatore” è una parola nuova, che è usata solo due volte nel Vangelo e che deriva dal verbo composto che letteralmente significa “prendere vivo”. Quindi i pescatori chiamati da Cristo sono dei “catturatori di vita”, delle persone che prendono le persone vive per mantenerle in vita. I pescatori di Cristo, quindi, gettano le loro reti nel mare del mondo per offrire agli uomini la Vita, per strapparli dall’acqua insalubre e farli ritornare alla vita vera. Pietro e gli altri Apostoli, noi e i nostri fratelli e sorelle di navigazione in questo mondo, possiamo continuare, se lo vogliamo, in qualsiasi stato ci troviamo, quella sua stessa meravigliosa missione di inviati del Padre “a salvare ciò che era perduto” (Lc 19, 10), facendoci evangelizzatori di misericordia.

3) La vocazione delle Vergini consacrate nel mondo.
Il Vangelo di questa domenica si conclude con una frase breve e incisiva: “Lasciarono tutto e lo seguirono”. Questi due verbi: “lasciare” e “seguire” indicano con chiarezza le caratteristiche essenziali della risposta alla chiamata di Dio.
“Lasciare tutto” è l’esigenza fondamentale della vocazione di chi si impegna nella proclamazione e testimonianza del Vangelo, ed è un’esigenza, che comporta uno stile di vita conforme ad un'autentica, profonda povertà, come fu povero il Figlio di Dio, che “spogliò se stesso...”.
Non è un impegno facile, soprattutto nel nostro tempo, ma, sicuramente, non fu agevole neppure per quei pochi che furono chiamati, direttamente da Gesù, se, un giorno, ebbero a chiedergli: “Maestro, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che cosa, dunque, avremo?”; Gesù rispose: “In verità vi dico, voi che mi avete seguito, e chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi per il mio nome, riceverà il centuplo, e, in eredità, avrà la vita eterna” (Mt 19,28-29 ).
“Seguire”. Seguire Cristo vuol dire fare il Suo stesso cammino, la sua stessa vita, la stessa strada, le sue stesse scelte, il suo stesso cammino di vita, il cammino del Figlio che va incontro ai fratelli per salvarli. Vuol dire fare della nostra familiarità con Cristo la nostra dimora.
Un modo significativo di vivere questa intimità pura con il Signore è quello delle Vergini Consacrate nel mondo. In loro “l’amore si fa sequela: il vostro carisma comporta una donazione totale a Cristo, una assimilazione allo Sposo che richiede implicitamente l’osservanza dei consigli evangelici, per custodire integra la fedeltà a Lui (cfr RCV, 47) (Benedetto XVI). La loro vocazione implica che “la loro vita sia una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro” (RCV, 30). Queste donne mostrano come sia bello e lieto seguire Cristo, obbedendogli. In effetti, mettendosi in atteggiamento di obbedienza (cioè di ascolto) allo Sposo che le ha chiamate all’amore, queste spose ascoltano (ubbidiscono) lo Sposo che le ama ricambiando questo amore con il dono lieto di sé stesse a Lui.
Aprendo il cuore a Dio mediante una vita verginale, hanno accolto la sua chiamata, ed hanno consacrato tutta la loro vita a Cristo e all'annuncio del Vangelo di gioia e di misericordia per pescare viva l’umanità e portarla dall’acqua di morte all’acqua di vita. La croce che portano è il segno che il legno su cui Cristo è morto è il legno che permette di attraversare il mare della vita per giungere alla riva. Esse mostrano che quando Cristo è il nostro Signore, il centro della nostra vita, colui che ci ama infinitamente, colui che amiamo, allora tutto è possibile.




Lettura patristica
Sant’Ambrogio di Milano
In Luc. 4, 68-72


  "Montato su una delle barche, che era di Simone, lo pregò di scostarsi un poco da terra" (Lc 5,3). Appena il Signore ebbe operato alcune guarigioni, né il tempo né il luogo furono più sufficienti a trattenere la folla dal desiderio di essere risanata. Cadeva la sera, ma la folla lo seguiva; incontrano il lago e la folla gli è da presso; per questo sale sulla barca di Pietro. È questa la barca che, secondo Matteo, è scossa dalle onde, e che, secondo Luca, si riempie di pesci, perché tu riconosca gli inizi così tempestosi della Chiesa, e i tempi successivi così fruttuosi. I pesci sono infatti coloro che navigano nel mare della vita. Là, Cristo dorme ancora presso i discepoli, qui egli dà ordini; dorme per coloro che tremano, veglia tra quanti sono già fortificati. Ma dal Profeta hai già sentito dire in qual modo dorme Cristo: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (Ct 5,2).

       Opportunamente san Matteo non tralascia di testimoniare la manifestazione della potenza divina, quando narra che Cristo comanda ai venti (Mt 8,26). Non si tratta infatti di scienza umana - come avete udito dai Giudei quando dicevano: «Con una parola comanda agli spiriti» - ma c’è il segno della potenza celeste, allorché il mare agitato si calma, gli elementi obbediscono all’ordine della voce divina, gli oggetti insensibili acquistano il senso dell’obbedienza.

       Il mistero della presenza divina si rivela quando i flutti del mondo si calmano, quando una parola sconfigge lo spirito immondo: ma questo aspetto non sopprime l’altro, ma l’uno e l’altro vengono esaltati. Riconosci il miracolo nel comportamento degli elementi, l’insegnamento nei misteri.

       Dunque, poiché san Matteo aveva già fatto la sua scelta, san Luca preferisce parlare della barca nella quale pescava Pietro. La barca che ospita Pietro non è scossa dalle onde; è scossa quella che ospita Giuda. Benché navigassero i molteplici meriti dei discepoli, tuttavia quest’ultima era turbata dalla perfidia del traditore. Nell’una e nell’altra, c’era Pietro; chi è ben saldo per la sua fede, è però turbato dai demeriti altrui. Guardiamoci dunque dal perfido, guardiamoci dal traditore, affinché la maggior parte di noi non sia agitata dai flutti a causa di uno solo. Non è turbata la nave, nella quale naviga la prudenza, la perfidia è assente, respira la fede. Come poteva essere agitata la nave, di cui era pilota colui sul quale poggia il fondamento della Chiesa? C’è dunque turbamento là dove la fede è debole; c’è sicurezza dove la carità è perfetta.

       E infine, benché il Signore comandi agli altri di gettare le reti, solo a Pietro dice: "vai al largo" (Lc 5,4), cioè avventurati nel mare profondo delle dispute. Che cosa c’è infatti di così alto come vedere l’altezza dei misteri, riconoscere il Figlio di Dio, proclamare la sua divina generazione? Sebbene lo spirito umano non possa comprenderla pienamente con la penetrazione della ragione, tuttavia la pienezza della fede può abbracciarla. Infatti, anche se non mi è concesso di sapere come egli è nato, tuttavia non mi è permesso ignorare il fatto che egli è nato; ignoro il modo della sua generazione, ma ne riconosco la verità. Non eravamo là, quando il Figlio di Dio era generato dal Padre; ma eravamo là quando dal Padre fu dichiarato Figlio di Dio.

       Se non crediamo a Dio, a chi crediamo? Tutto ciò che crediamo, lo crediamo per avere visto o per avere udito. Ebbene, la vista sovente si inganna, ma l’udito fa fede. Vogliamo discutere della veridicità del testimone? Se attestassero persone dabbene, giudicheremmo sconveniente non creder loro: qui Dio afferma, il Figlio prova, il sole che si eclissa lo riconosce, la terra tremando lo testimonia (Mt 27,45-51 Lc 23,44).

       La Chiesa è condotta da Pietro nel mare alto delle dispute, per vedere, da un lato, il Figlio di Dio che risorge, e dall’altro lo Spirito Santo che si effonde.

       Che cosa sono le reti dell’apostolo, che il Signore gli ordina di gettare, se non il significato delle parole, il senso del discorso, le profondità delle dispute, che non lasciano più sfuggire coloro che ne sono presi? Ed è giusto che gli strumenti della pesca apostolica siano le reti, perché le reti non fanno morire chi vi è preso, ma lo conservano, lo traggono dalle profondità alla luce e dal fondo conducono in alto chi fluttuava sott’acqua.

      


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