Rito Romano
IV Domenica di
Quaresima – Anno C – 6 marzo 2016
Gs 5,91.10-12; Sal 33;
2 Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32
Rito Ambrosiano
IV Domenica di
Quaresima
Es
17,1-11; Sal 35; 1Ts 5,1-11; Gv 9,1-38b
Domenica
del Cieco
1) La
gioia della misericordia.
Il Vangelo di San
Luca, lo scrittore della mansuetudine di Gesù Cristo (Dante
Alighieri definì San Luca “scriba mansuetudinis Christi”),
insegna che il Messia è l’incarnazione della presenza
misericordiosa di Dio tra noi. Cristo è presenza di amore, di
perdono e di gioia che ci ‘ordina’: “Siate misericordiosi, come
è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 36). Santa
Faustina Kowalska scrisse: “La Misericordia è il fiore dell’amore,
Dio è amore, la misericordia è la Sua azione, nell’amore ha il
suo inizio, nella misericordia la sua manifestazione” (Diario,
Città del Vaticano 2004, II, p. 420).
Dunque, in questa
domenica “Laetare” (= rallegratevi) e nel contesto del
Giubileo della Misericordia, facciamo nostro l’invito di Papa
Francesco: “Affidiamoci totalmente al Padre. Lasciamo che le nostre
spalle di persone in ginocchio siano accarezzate come quelle del
figlio prodigo dalle mani del Padre, il cui amore paterno si rivolge
a ciascuno di noi come misericordia, cioè come amore di Dio, che si
china sul peccatore, sul debole, il bisognoso. In questo modo potremo
sperimentare la gioia di essere amati da questo “Dio misericordioso
e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore e nella fedeltà”.
Non dimentichiamo,
però, che non solo noi siamo nella gioia perché perdonati dal Padre
ma che possiamo dare a Dio la gioia di poterci perdonare. Questa
della gioia di Dio nel perdonare è il nocciolo più originale del
messaggio biblico e cristiano. “Noi a Dio - insegnava un anziano e
saggio biblista francese - non possiamo regalare nulla che già non
abbia: è il padrone di tutto! Tranne una cosa: dargli la gioia di
poterci perdonare”.
La consapevolezza di
questa gioia divina ci spinge ad aprirci senza esitazione all’amore
di Dio mediante la conversione e appartenere a Lui, che ci accoglie
come figlii con un cuore ricco di misericordia.
Per
convertirci a questa Dio di misericordia ed aiutarci a mettere in
pratica il comando di essere misericordiosi, il Redentore dell’uomo
peccatore annuncia il suo vangelo di perdono e di gioia raccontando
la parabola che è tradizionalmente
chiamata “del figlio prodigo”. Questo brano
evangelico, che la Liturgia della Parola oggi ci propone,
ha come ritornello la gioia alla quale Dio invita tutti quando trova
il figlio perduto. Per partecipare a questa gioia dobbiamo
condividere il perdono che il Padre, prodigo di misericordia, concede
al figlio ritrovato e accettare l’invito alla cena organizzata per
festeggiare il ritorno dell’errante. In effetti, chi non accetta
come fratello il peccatore, non accetta l’amore “gratuito” del
Padre e non ne è figlio. E’ come il fratello maggiore, di cui
parla la parabola e che si arrabbiò per il perdono concesso al
fratello minore. Chi non sa perdonare e condividere la gioia del
Padre si affoga nella sua meschina giustizia, che sa solo punire,
resta fuori dal banchetto della gioia e dell’amore.
La Messa è per noi
questo banchetto di amore che inizia con il perdono domandato,
concesso e condiviso. L’Eucaristia è il gesto in cui la presenza
di Cristo sacrificato e risorto ci abbraccia nel perdono che ricrea.
Cristo, Pane di vita, mistero del perdono e della risurrezione, fa sì
che noi possiamo essere abbracciati dal Padre, purificando la nostra
vita di erranti e facendosi cibo per il nostro esodo. E, come
il ritorno alla casa del Padre da parte del figlio prodigo non fu
solo la fine di un’avventura umana disastrosa, ma fu anche l’inizio
di una vita nuova, di una lieta storia di verità e di amore, così
è e sarà per noi se in ginocchio, almeno con il cuore, chiederemo
perdono ricevendo con esso il Pane degli angeli fattosi Pane per noi
poveri peccatori.
Nel Pane eucaristico
Gesù ci ha donato il suo amore, che lo ha spinto ad offrire sulla
croce la sua vita per noi. Nel Cenacolo, nella prima Cena eucaristica
Cristo lavò i piedi ai discepoli, dando questo comandamento
d’amore: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni
gli altri” (Gv 13,34). Ma poiché questo è possibile solo
rimanendo uniti a Lui, come tralci alla vite (cfr. Gv 15,1-8),
il Redentore ha scelto di rimanere Lui stesso tra noi
nell’Eucaristia, perché noi potessimo rimanere in Lui. Dunque,
quando mangiamo con fede il suo Corpo e il suo Sangue, il suo amore
passa in noi e ci rende capaci a nostra volta di dare la vita per i
fratelli (cfr. 1 Gv 3,16). Da qui scaturisce la gioia
cristiana, la gioia dell’amore.
2)
Il Padre prodigo.
Esaminiamo
ora più da vicino questa parabola che mi sono permesso di chiamare
“parabola del Padre prodigo”, perché si prodiga nel donare con
abbondanza e senza risparmio la sua misericordia.
In questo racconto
Cristo comincia dicendo: “Un uomo aveva due figli”. Possiamo
vedere in questi due figli i rappresentanti di tutta l’umanità che
si divide in due categorie: quella dei peccatori, come il figlio
minore e quella di coloro che si credono giusti, come il maggiore.
Dunque, vi siamo compresi tutti.
Ciò
che può apparire strano è che il figlio prodigo, che sbaglia, fa
meno problema del figlio che è sempre rimasto a casa. Questo
“giusto” non accetta che il Padre (Dio) sia amore e misericordia.
Un
altro elemento da tenere presente è che tutti e due questi figli
hanno in comune la stessa immagine del padre come qualcuno di
esigente e duro: lo dice chiaramente il maggiore che “ti ho
servito, ti sono stato servo tutta la vita e non mi dai mai niente”.
Un padre-padrone esigente da servire, come spesso l’uomo immagina
Dio che costringe la libertà umana con una moltitudine di precetti,
di ordini, di divieti. Il minore si ribella, ma almeno lo chiama
padre: “Padre dammi la metà della parte che mi spetta”.
L’immagine
che ha del padre è sbagliata, ma è giusto quello che vuole da lui:
vuole la vita, la pienezza, la libertà. Questo è ciò che deve
dare un padre, altrimenti che padre è? A questa domanda corretta il
padre risponde dividendo i suoi beni in due. Ciò può significare
che questo padre vorrebbe che anche l’altro, il più grande, se ne
andasse, che desiderasse la libertà e la vita e non stesse in casa
a fare lo schiavo.
Il
minore “raccolse tutte le sue cose, emigrò in paese lontano”,
perché pensa che solamente lontano da Dio lui può trovare la
felicità. Come ha fatto Adamo, è il suo peccato, è la stessa
storia di Adamo. Adamo voleva essere come Dio e si ribella a Dio per
essere come Dio.
Cosa
succede quando si è lontani da Dio? Si trova la morte, perché Dio è
vita. Se Dio è pienezza, lontano da Lui trovo il vuoto. Se Dio é
gioia, lontano da Lui c’è tristezza. Se Dio è libertà, senza di
Lui sono nella schiavitù. Allora la parabola del figlio prodigo
manifesta la parabola dell’uomo che crede che la sua realizzazione
sia andare lontano da Dio.
Ma,
in questa ricerca di libertà lontano dal padre, il figlio minore
dissipa, spreca tutta la ricchezza ricevuta: perde tutto. E’ la
storia dell’uomo che, essendo immagine e somiglianza di Dio,
lontano da Lui perde la verità di sé, diventa vuoto, povero e
immerso nei suoi limiti. Cercava la libertà dal padre da servire con
amore, per servire degli uomini, che adorano idoli e che gli fanno
custodire i porci e patire la fame.
Avendo
toccato il fondo, il figlio prodigo, che ha dilapidato le ricchezze
del padre, rientra in sé e decide di tornare a casa.
Il bisogno lo fa rinsavire e comincia a ragionare. Di per sé, non
pare molto pentito, di per sé, ha solo fame e dice: “Quanti
salariati di mio padre sovrabbondano di pane”.
Comunque è convinto di aver perso
l’amore del padre e di doverselo meritare di nuovo. Ma il Padre,
che è prodigo di amore, non ha mai smesso di amarlo. Quando il
figlio gli chiede perdono, non lo lascia neppure parlare: il suo
amore precede il pentimento e la conversione; gli offre con gioia
veste, anello, calzari, “segni” dell'essere figlio e vuole che si
faccia festa per il ritorno del giovane, il quale, travolto da questa
misericordia sovrabbondante, finalmente capisce che il padre non solo
l'ha sempre atteso, ma l'ha sempre amato, anche quando lui lo aveva
dimenticato, o forse odiato.
Ed
è ricolmo della gioia del Padre che subito organizza una festa
perché ha ritrovato il figlio che ha riscoperto la sua dignità di
figlio. Questo Padre misericordioso
dice: “Presto,
portate fuori una veste, la prima, e vestitelo”.
Qual era la prima veste di Adamo? Era nudo. La sua veste era essere
immagine e somiglianza di Dio, cioè essere figlio. Quella è la
nostra veste. Il nostro essere figlio è sempre presso il padre,
perché lui sempre ci è padre. Quella è la nostra veste, la nostra
dignità, la nostra identità.
3)
Madre di Misericordia
Il
centro della parabola di oggi non è il peccato ma la misericordia di
Dio, che possiamo sperimentare anche noi soprattutto con la
Confessione. Con
questo sacramento noi possiamo come il figlio prodigo incontrare con
Cristo il Padre misericordioso. E’
vero che a volte la Confessione è vista più come un tribunale
dell’accusa più che una festa del perdono. Senza sottovalutare
l’importanza di dire i proprio peccati, va ricordato che ciò che è
assolutamente centrale nell’ascolto dei peccati è l’abbraccio
benedicente del Padre misericordioso. Troppo spesso noi consideriamo
prima il peccato e, poi, la grazia. Invece prima c’è il gratuito,
misericordioso e prodigo amore di Dio, che accoglie, ricrea. Dio non
si ferma davanti al nostro peccato, non indietreggia davanti alla
nostre offese, ma ci corre incontro come il Padre misericordioso
corse incontro al figlio che con dolore e umiltà tornava a casa.
Ma
questa riflessione sarebbe ancora parziale, se non pensassimo alla
Madre della Misericordia,, perché la misericordia è una qualità
dell’amore materno. Il Figlio, prodigo=generoso di perdono, è
stato da lei generato perché fosse la misericordia dell’umanità.
Maria diffonde questa misericordia con amore di Madre e la estende di
generazione in generazione, secondo il disegno buono del Padre che
l’ha associata intimamente al mistero di Cristo e della Chiesa.
Maria è mediatrice di misericordia, rifugio di misericordia, “porta”
attraverso la quale il credente si presenta al Giudice divino, che è
Figlio della donna di Nazareth e fratello di tutti noi che siamo
divenuti suoi figli ai piedi della croce: figli dell’amore
misericordioso.
Le
Vergini consacrate nel mondo sono chiamate a testimoniare questa
materna misericordia prendendo la Vergine Maria modello
della cooperazione della donna con Dio. Certo, la Vergine di Nazareth
ha ricevuto una pienezza di grazia eccezionale per rispondere
perfettamente alla missione unica che le è stata affidata. Ma nella
sua volontà di considerare la donna come sua prima alleata, Dio
accorda a ogni donna la grazia necessaria per adempiere a questo
ruolo, di modo che la cooperazione, pur essendo libera e personale,
si effettua sempre con le forze ricevute dall'alto.
Nel
caso di Maria, la cooperazione è di un genere eccezionale, per il
fatto che la maternità è verginale. Ma ogni generazione di un
essere umano richiede l’azione creatrice di Dio e dunque una
cooperazione dei genitori umani con questa azione sovrana.
Collaborando con l’onnipotenza divina, la donna riceve da essa la
sua maternità. Maternità che nelle Vergini consacrate è
spirituale, ma non per questo meno reale e concreta.
Il
volto della madre, soprattutto di quello che lo è nello Spirito, è
un riflesso del volto del Padre, che possiede in lui le
caratteristiche proprietà dell’amore paterno e dell’amore
materno.
Lettura
Patristica
Nerses
Snorhali
Jesus,
19-25, 591-600
La parabola del
figlio perduto
(Lc
15,11-32)
Al presente, ti
supplico con lui:
«Padre, contro di te
ho peccato e contro il cielo;
non son più degno che
tu mi chiami figlio
fa’ di me l’ultimo
dei tuoi salariati».
Rendimi degno del più
puro e santo
bacio del Padre tuo sì
buono.
Sotto il tetto della
sala di Nozze
ti piaccia ricevermi di
nuovo.
E la veste iniziale
della quale
briganti di strada mi
spogliarono,
rivestimene ancora
come ornamento di Sposa
preparata.
L’anello regale,
che d’autorità è il
segno,
fa’ ch’io lo
riporti nella mano destra,
per non deviare mai più
verso sinistra.
E come protezione dal
Serpente
metti scarpe ai miei
piedi
perché non urtino la
tenebra,
ma la sua testa
schiaccino.
Al sacrificio del
vitello grasso,
che sulla Croce per noi
s’è immolato
e al sangue uscito per
la lancia dal Costato
donde usciva il
ruscello della Vita,
fammi partecipare
nuovamente,
come nella parabola del
Figlio Prodigo,
per mangiare il pane
che dà vita,
per bere alla tua
celeste coppa...
Sulle tracce del
Prodigo ho camminato
in paesi estranei e
lontani;
l’eredità paterna ho
scialacquato
che al Fonte sacro
avevo ricevuto.
Laggiù straziato fui
da carestia
del Pane della Vita e
della divina Bevanda.
Pascolando il gregge
dei porci, sfamato
non mi son con i
peccati della dolce carruba.
Invoco il Padre tuo
come il cadetto
dicendo: «Contro Te e
contro il ciel peccai;
anche se di figlio il
nome al tuo cospetto,
Padre celeste, non son
degno di portare.
Fa’ di me
(quantomeno) un salariato
che per modesta paga
compia il bene;
(ponimi) tra quei che
son salvati dal secondo gruppo,
perché ho spezzato
l’amor dovuto al Padre».
Accoglimi tra le
braccia per esser da Te curato,
o Sublime; rendimi
degno del tuo santo bacio;
sostituisci, o
Immortal, col tuo profumo,
il lezzo cadaverico
dell’anima!
Dammi la carne del
Vitello grasso;
il vin che è sulla
Croce fammi bere;
allieta lo stuol degli
angeli,
perch’io morto la
vita ho ritrovato.
L’Ebreo, figlio
primogenito,
ovver color che son dei
Giusti a lato,
che provenendo dal
campo della Legge,
alla tua Chiesa
vennero,
sol da lontano intesero
la voce,
dei suoi figli che
danzavano concordi,
e non vollero entrar
nel Santuario,
quali persone afflitte
alla maniera umana.
Si consumavan per la
gelosia
al veder la salvezza
dei gentili:
poiché si vantavano i
lor padri
che la tua Legge non
han trasgredito.
Quanto ad essi, non
erano salvati
né dal Vitello grasso,
olocausto di tuo Figlio,
né dal capretto pure
immolato
per umano od angelico
che fosse.
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