venerdì 11 marzo 2016

Incontro con il Perdono.

Rito Romano
V Domenica di Quaresima – Anno C – 13 marzo 2016
Is 43, 16 – 21; Sal 125; Fil 3, 8 – 14; Gv 8, 1 – 11


Rito Ambrosiano
V Domenica di Quaresima
Es 14,21-30 – Ef 2,4-10 – Gv 11,1-45
Domenica di Lazzaro


1) Misericordia giusta.
Anche il vangelo di questa domenica ci presenta l’incontro tra la misericordia e la miseria (cfr Sant’Agostino).
La settimana scorsa questo incontro ci è stato ricordato attraverso la parabola del figlio prodigo, chiamata anche “del Padre misericordioso”.
Oggi  la lettura evangelica ci presenta  Gesù che salva una donna adultera dalla condanna a morte perdonandola (Gv 8,1-11). Ancora una volta la Liturgia ci propone il consolante fatto del Misericordia di Dio che incontra una miseria salvando una povera donna, che i suoi correligionari vogliono lapidare per rispettare la legge di Dio. Per essere più precisi alcuni scribi e farisei portano da Gesù un’adultera non per amore della giustizia, ma per tendergli in tranello. Infatti, “per avere di che accusarlo" (Gv 8,6) questi scribi e farisei portano dal Messia una donna sorpresa in adulterio, fingendo di affidargli il giudizio secondo la Legge di Mosè.
In realtà, è proprio Cristo che vogliono mettere sotto accusa, mostrando che il suo insegnamento sull’amore misericordioso di Dio è in contrasto con la Legge mosaica, che puniva il peccato di adulterio con la lapidazione. Gesù, “pieno di grazia e verità” (Gv 1,14), salva la peccatrice e smaschera gli ipocriti, dicendo: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro questa donna” (Gv  8,7).
A questo riguardo attiro l’attenzione sul fatto che sembra un dettaglio di poco conto, ma che mi pare importante. Mentre gli accusatori parlavano, Gesù non risponde subito a costoro, ma si china a scrivere con il dito per terra. Come per dire che le parole di questi scribi e farisei sono come polvere che il vento porta via, e mostrare che Lui è il legislatore divino: “Infatti, Dio scrisse la legge col suo dito sulle tavole di pietra” (cfr. Sant’Agostino, Comm. al Vang. di Giov., 33, 5). Gesù dunque è il Legislatore della legge della libertà dal peccato. Lui è la Giustizia che si realizza completamente nella Misericordia. Anche con l’adultera Gesù proclama la giustizia con forza, ma al tempo stesso cura le ferite spirituali di questa donna con la sua misericordia, che redime, sana, nobilita ed eleva.
Giustizia e misericordia sono due realtà differenti soltanto per noi uomini, che distinguiamo un atto di giustizia da un atto d’amore misericordioso (cfr. Benedetto XVI). Per Dio non è così: in Lui giustizia e misericordia non sono contrapposte. La misericordia è la giustizia che ricrea la persona, la quale non è più delimitata dal proprio peccato, ma dall’amore di Dio che teneramente perdona. Infatti, se è vero che la correzione, e anche la punizione come strumento correttivo, può essere provvidenziale (e in tal senso la Bibbia spesso parla di Dio che corregge l'uomo), lo è solo in quanto tale misura è suggerita dall'amore di misericordia.
“In realtà solo la giustizia di Dio ci può salvare e la giustizia di Dio si è rivelata nella Croce. La croce è il giudizio di Dio su tutti noi e su questo mondo. E se la Croce è l’atto supremo con cui la giustizia di Dio si rivela, la misericordia deve essere la giustizia degli uomini: “Dio ci giudica -dice papa Francesco- dando la vita per noi! Ecco l’atto supremo di giustizia che ha sconfitto una volta per tutte il principe di questo mondo. E questo atto supremo di giustizia è proprio anche l’atto supremo di misericordia” (Papa Francesco).

2) Cristo giudica l’adultera perdonandola.
All’affermazione di Gesù: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” gli accusatori dell’adultera reagirono andandosene via e lasciando questa donna davanti a Cristo solo. Non c’è più l’agitazione di chi voleva condannare una persona e tendere un tranello a Colui che era venuto non per condannare, ma per salvare il mondo. In questo silenzio che è sceso nel piazzale del Tempio Gesù celebra il perdono come liberazione dalla condanna di morte: un perdono che genera vita nuova, orientata al bene
Gesù perdonò questa “imputata” delinquente come perdona ogni nostra colpa, facendo rifiorire nel cuore la gratitudine e la gioia. Nel perdono, da una parte, conosciamo chi è il Signore, l’Amore che ci ama senza condizioni. Dall’altra, conosciamo chi siamo noi nel perdono: persone amate infinitamente da Dio, senza condizioni. Dio si rivela nel Redentore come amore che perdona ed accoglie senza mettere condizioni.
Che cosa rivela Dio nel Vangelo di oggi, ma anche in tutta la Scrittura? Che Lui è misericordia, perdono, che al centro del mondo non ha messo l’albero della morte, ma quello della vita: la Croce.
Il figlio prodigo è riaccolto in casa, l'adultera non è lapidata, ogni nostro peccato è perdonato, ma per tutto ciò il Cristo ha pagato perché è lui che ha preso su di sè le nostre colpe e le ha portate sul legno della Croce: “Egli portò i nostri peccati sul suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia” (1 Pt 2, 24). Dunque è Cristo la vera giustizia, Lui è la nostra giustizia, perché è lui che ci fa giusti davanti a Dio.
Perdonando, invece di aprire la porta della morte, Cristo apre la porta della vita, perché Lui stesso è la Porta. Il Signore della vita pronuncia sull’adultera il proprio giudizio e non solo le dice di non condannarla, ma le chiede anche di non peccare più.
Anche a ciascuno di noi peccatori perdonati il Redentore dice : “Va’ e d’ora un poi non peccare più”. Questo “comando d’amore” non è solamente un invito a non peccare più, ma è anche una richiesta di mettersi in cammino per le strade del mondo per essere testimoni della misericordia.
Il perdono non giustifica la persona lasciandola nel suo errore, ma indica un nuovo stile di vita che implica la rinuncia al peccato e alle sue conseguenze di morte per rimettersi in cammino con e per Cristo e portare agli altri il perdono e l’amore ricevuti.
Tutte le persone consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere testimoni di questa misericordia del Signore, nella quale l’uomo trova la propria salvezza. Esse tengono viva l’esperienza del perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il proprio peccato. Per questo, anche per l’uomo di oggi, la vita consacrata rimane una scuola privilegiata della “compunzione del cuore”, del riconoscimento umile della propria miseria, ma, parimenti, rimane una scuola della fiducia nella misericordia di Dio, nel suo amore che mai abbandona. In realtà, più ci si avvicina a Dio, più si è vicini a Lui, più si è utili agli altri. Le persone consacrate sperimentano la grazia, la misericordia e il perdono di Dio non solo per sé, ma anche per i fratelli, essendo chiamate a portare nel cuore e nella preghiera le angosce e le attese degli uomini, specie di quelli che sono lontani da Dio” (Benedetto XVI).
In particolare, le vergini consacrate, che per vocazione vivono e lavorano nel mondo, sono chiamate allo specifico impegno di fedeltà nello “stare con il Signore”, Sposo che chiede tutto. Nella cerimonia di consacrazione il Vescovo chiede a ciascuna di loro:  “vuoi essere consacrata come sposa a Gesù Cristo?”. E la risposta e come quella che si deve dare nei matrimoni:  “Sì, lo voglio”. Esse mostrano che Cristo è stato capace di farle innamorare profondamente e sono chiamate a rendere ragione alla società il perché vale la pena di dedicarsi completamente a Cristo, mostrando in parrocchia e, soprattutto sul posto di lavoro, che la loro vita è attraente e lieta. Per vocazione e missione questo donne consacrate “sono chiamate a frequentare le ‘periferie’ e le ‘frontiere’ dell’esistenza, dove si consumano i drammi di un’umanità smarrita e ferita” (Papa Francesco).
In un mondo in cui domina l’egoismo, che produce rivalità, inimicizie, gelosie, conflitti d’interesse e guerre, cioè, in una parola sola, l’odio, proclamano con la vita la Legge dell'Amore, che si diffonde e si dona con la misericordia. Questo amore di misericordia, ricevuto da Cristo-Sposo, allarga il loro cuore ad amare gli altri con purezza e verità, a perdonare le offese come il loro Sposo, che portando i peccati del mondo in Croce perdona, a servire gli altrui bisogni. Si sono consacrate a Lui, fonte dell’Amore puro e fedele, un Amore così grande e bello da meritare tutto, anzi, più del nostro tutto, perché non basta una vita intera a ricambiare ciò che Cristo è e ciò che ha fatto per noi.

Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
Comment. in Ioan., 33, 4-8

Verità, bontà, giustizia e misericordia

       Considerate ora in qual modo la bontà del Signore fu posta alla prova dai suoi nemici. "Allora gli scribi e i farisei conducono una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero. «Maestro, questa donna è stata colta in adulterio. Ora Mosè nella legge ci ha comandato di lapidare tali donne: tu che ne dici?». E questo dicevano per metterlo alla prova, in modo da poterlo accusare" (Jn 8,3-6).

       Accusarlo di cosa? Forse avevano colto anche lui in qual che delitto?... E siccome i suoi nemici, per invidia e per rabbia, non riuscivano a sopportare queste due qualità, cioè la sua dolcezza e la sua verità, cercarono allora di tendergli un tranello sulla terza, cioè sulla giustizia. In qual modo?

       La legge comandava che gli adulteri dovevano essere lapidati, e la legge non poteva comandare ciò che non era giusto: se qualcuno si opponeva a un precetto della legge, veniva accusato di prevaricazione. I Giudei avevano pensato tra sé: egli è ritenuto amico della verità e appare mansueto; dobbiamo cercare di coglierlo in fallo sulla giustizia: presentiamogli una donna colta in adulterio, e diciamogli che cosa stabilisce la legge in tali casi. Se egli ordinerà che sia lapidata, mostrerà di non essere affatto mansueto: se dirà che deve essere lasciata andare, mostrerà di non avere giustizia. Siccome non vorrà perdere - essi dicevano - l’aureola di mansuetudine, grazie alla quale è amato dal popolo, senza dubbio dirà che dobbiamo lasciarla andare. Così noi avremo l’occasione per accusarlo, per dichiararlo reo come prevaricatore e potremo dire di lui che è nemico della legge, che ha parlato contro Mosè o, meglio, contro colui che per mezzo di Mosè ci ha dato la legge; e quindi è degno di morte e deve essere lapidato insieme alla donna.

       Con queste parole e con questi ragionamenti la loro invidia si accresceva, ardeva il loro desiderio di accusarlo, diveniva più forte la voglia di condannarlo. Cosa li spingeva a parlare in questo modo, e contro chi parlavano? Era la perversità che tramava contro la rettitudine, la menzogna contro la verità, il cuore corrotto contro il cuore retto, la stoltezza contro la sapienza...

       Cosa rispose il Signore Gesù? Cosa rispose la verità, la sapienza, la stessa giustizia contro la quale era diretta l’insidia?

       Non disse: Non sia lapidata! Se lo avesse detto sarebbe apparso che egli andava contro la legge. Ma si guardò bene anche dal dire: Sia lapidata! Egli era venuto infatti per non perdere ciò che aveva trovato, anzi per trovare ciò che si era perduto (Lc 19,10). Cosa rispose? Considerate quanto la sua risposta sia contemporaneamente carica di giustizia, di mansuetudine e di verità! Disse: "Chi di voi è senza peccato scagli per primo una pietra contro di lei" (Jn 8,7).

       Risposta piena di saggezza! In che modo li costrinse a guardare dentro se stessi? Essi infatti calunniavano gli altri, ma non scrutavano in se stessi: vedevano l’adulterio della donna, non i loro peccati...

       L’avete sentita voi, farisei, dottori della legge, custodi della legge, ma non avete compreso il Legislatore.

       Che cosa ha voluto mostrarvi ancora, quando scriveva con il dito in terra? Ha voluto mostrarvi che la legge è stata scritta col dito di Dio e che, a causa della durezza dei cuori, essa è stata scritta sulla pietra (cf. Ex 31,18). E ora il Signore scriveva sulla terra perché cercava il frutto della legge. Voi avete inteso: «si compia la legge», «sia lapidata l’adultera»: ma nel punire la donna, la legge dovrà essere applicata da coloro che a loro volta debbono essere puniti? Ciascuno di voi consideri se stesso, entri in se medesimo, si ponga dinanzi al tribunale della sua anima, si costituisca alla sua coscienza, e obblighi se stesso a confessarsi. Egli solo sa chi è, poiché nessun uomo conosce i segreti di un altro, se non lo spirito medesimo dell’uomo che è dentro di lui. Ciascuno, guardando in se stesso, si scopre peccatore (1Co 2,11). Non c’è alcun dubbio su questo. Quindi, lasciate andare questa donna, oppure accettate con lei le pene previste dalla legge. Se il Signore avesse detto: Non lapidate l’adultera!, sarebbe stato accusato di ingiustizia; se avesse detto: Lapidatela!, non sarebbe apparso mansueto. Che formuli dunque una risposta che a lui si addice, che è mansueto e giusto: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei». Questa è la voce della giustizia: si punisca la peccatrice, ma non siano i peccatori a punirla; sia rispettata la legge, ma non siano i violatori della legge a imporne il rispetto. Ben a ragione è la voce della giustizia.

       Essi, colpiti da queste parole come da una freccia grossa quanto una trave, "uno dopo l’altro se ne andarono" (Jn 8,9). Restano solo loro due, la misera e la misericordia. E il Signore, dopo averli colpiti con la freccia della giustizia, non si degna neppure di stare a vedere la loro umiliazione, ma, voltando loro le spalle, "di nuovo col dito scriveva in terra" (Jn 8,8).

       Quella donna era dunque rimasta sola, poiché tutti se ne erano andati: Gesù allora levò i suoi occhi su di lei. Abbiamo udito la voce della giustizia, udiamo ora anche quella della dolcezza.

       Credo che quella donna fosse stata più degli altri colpita e spaventata dalle parole che avete sentito dire dal Signore: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei». I farisei esaminandosi e con la loro stessa partenza confessandosi colpevoli, avevano lasciato la donna con un così grande peccato, insieme a colui che era senza peccato. Ed essa, dopo avere udito: «Chi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei», temeva di essere punita da lui, nel quale non era peccato. Ma egli, dopo avere cacciato i suoi nemici con la voce della giustizia, levando su di lei gli occhi della mansuetudine, le chiese: "Nessuno ti ha condannato?" (Jn 8,10). E quella rispose: "Nessuno, o Signore" (Jn 8,11). Ed egli replicò: "Neppure io ti condannerò ()", tu che avevi temuto di essere punita da me, poiché in me non hai trovato peccato.

       «Neppure io ti condannerò». Che vuol dire questo, Signore? Tu favorisci dunque il peccato? No di certo. Sentite ciò che segue: "Va’ e d’ora innanzi non peccare più ()". In altre parole, il Signore condanna il peccato, non il peccatore. Infatti, se avesse perdonato il peccato, avrebbe detto: Neppure io ti condanno, va’ vivi come vuoi, sta’ sicura che io ti libererò; per quanto grandi siano i tuoi peccati, io ti libererò da ogni pena e da ogni sofferenza dell’inferno. Ma non disse così.

Intendano bene coloro che amano nel Signore la mansuetudine e temano la verità. Infatti è insieme "dolce e retto il Signore" (Ps 24,8).

       Tu lo ami perché è dolce, devi temerlo perché è retto. In quanto è mansueto disse: «Tacqui»; ma in quanto è giusto aggiunse: "Ma forse sempre tacerò?" (Is 42,14 secondo i LXX). "Il Signore è pietoso e benigno" (Ps 85,15). Senza dubbio è così. Aggiungi ancora «pieno di bontà» e ancora "tardo all’ira ()"; ma non dimenticare di temere ciò che sarà nell’ultimo giorno, cioè «verace». Egli sopporta ora le colpe dei peccatori, ma allora giudicherà chi lo ha disprezzato. "Ovvero disprezzi le ricchezze della sua bontà e della sua mansuetudine, ignorando che la pazienza di Dio ti spinge alla penitenza? Ma tu con la durezza del tuo cuore impenitente, ti attiri sul capo un cumulo di collera per il giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere" (Rm 2,4-6). Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è misericordioso; ma è anche giusto, è anche verace. Ti dà il tempo di correggerti, ma tu preferisci godere di questa dilazione piuttosto che emendarti. Fosti malvagio ieri? Sii buono oggi. Hai passato nel male la giornata di oggi? Deciditi a cambiare domani. Ma tu aspetti sempre a correggerti, sempre ti riprometti di usufruire della misericordia di Dio, come se colui che ti ha promesso il perdono in cambio del pentimento, ti avesse anche promesso una vita lunghissima. Come fai a sapere che per te ci sarà anche il giorno di domani? Hai ragione quando dici nel tuo cuore: quando mi correggerò, Dio mi rimetterà tutti i peccati. Non possiamo certo negare che Dio ha promesso il perdono a tutti coloro che si correggono e che si convertono. Ma in quella stessa profezia dove tu leggi che Dio promise indulgenza a chi si pente, non puoi leggere che Dio ti ha promesso anche una lunghissima vita.

       Contro due ostacoli gli uomini rischiano di naufragare la speranza presuntuosa e la disperazione; due ostacoli del tutto opposti, e che derivano da sentimenti diametralmente contrari. Uno dice: Dio è buono, è misericordioso, io posso perciò fare ciò che mi pare e piace, posso lasciare sciolte le briglie alle mie passioni, posso soddisfare tutti i miei desideri. Perché posso farlo? Perché Dio è misericordioso, è buono, è mansueto. Costoro corrono rischi proprio per la loro speranza, perché non si inducono mai a correggersi. Sono invece vittime della disperazione coloro che, avendo commesso gravi peccati, ritengono di non poter essere più perdonati e, considerandosi, senza dubbio alcuno, destinati alla dannazione, dicono: Saremo certamente dannati; perché non possiamo allora fare ciò che ci pare, come fanno i gladiatori che sanno di non avere scampo e che il loro destino è essere uccisi dalla spada? Per questo i disperati sono anche pericolosi: essi che credono di non avere più ormai niente da temere, debbono invece essere riguardati con timore. La disperazione li uccide, così come la speranza uccide gli altri.

       L’anima fluttua tra la speranza e la disperazione. Devi temere di essere ucciso dalla speranza, devi cioè temere che, mentre tranquillamente continui a sperare nella misericordia, tu non ti ritrovi d’improvviso di fronte al giudizio; altrettanto devi temere che la disperazione non ti uccida; devi temere cioè, poiché hai ritenuto di non poter ottenere il perdono per i gravi delitti che hai commesso e perciò non te ne sei pentito, di incorrere nel giudizio del tribunale della sapienza, che dice: "E io riderò della vostra sventura" (Pr 1,26).

       Cosa fa il Signore verso coloro che sono in pericolo per l’una o l’altra di queste due malattie? A coloro che corrono rischi per la troppa speranza dice: "Non tardare a convertirti a Dio, né differire di giorno in giorno; perché d’un tratto scoppia la sua ira e nel giorno del giudizio tu sei spacciato" (Si 5,7). E a coloro che corrono pericoli per la disperazione, che dice Dio? "In qualunque giorno l’iniquo si sarà convertito, tutte le sue iniquità io dimenticherò" (Ez 18,21 Ez 18,22 Ez 18,27). A coloro dunque che sono in pericolo per la disperazione egli indica il porto dell’indulgenza; per coloro che corrono rischi per la eccessiva speranza e si illudono di avere sempre tempo, fa incerto il giorno della morte. Tu non sai quando verrà l’ultimo giorno. Sei un ingrato, non riconosci la grazia di Dio, che ti ha dato anche il giorno di oggi affinché tu ti corregga.

       Questo è il senso delle parole che disse a quella donna: «Neppure io ti condannerò»: ora che sei tranquilla a proposito di quanto hai commesso in passato, abbi timore di quanto potrà accadere nel futuro. «Neppure io ti condannerò»: cioè ho distrutto ciò che hai commesso, ma osserva quanto ti ho comandato, al fine di ottenere quanto ti ho promesso.


  

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