Rito Romano
V Domenica di Quaresima
– Anno C – 13 marzo 2016
Is 43, 16 – 21; Sal
125; Fil 3, 8 – 14; Gv 8, 1 – 11
Rito Ambrosiano
V Domenica di Quaresima
Es 14,21-30 – Ef
2,4-10 – Gv 11,1-45
Domenica
di Lazzaro
1) Misericordia
giusta.
Anche il vangelo di
questa domenica ci presenta l’incontro tra la misericordia e la
miseria (cfr Sant’Agostino).
La
settimana scorsa questo incontro ci è stato ricordato attraverso la
parabola del figlio prodigo, chiamata anche “del Padre
misericordioso”.
Oggi
la lettura evangelica ci presenta Gesù che salva una donna
adultera dalla condanna a morte perdonandola (Gv 8,1-11).
Ancora una volta la Liturgia ci propone il consolante fatto del
Misericordia di Dio che incontra una miseria salvando una povera
donna, che i suoi correligionari vogliono lapidare per rispettare la
legge di Dio. Per essere più precisi alcuni scribi e farisei portano
da Gesù un’adultera non per amore della giustizia, ma per
tendergli in tranello. Infatti, “per avere di che accusarlo"
(Gv 8,6) questi scribi e farisei portano dal Messia una donna
sorpresa in adulterio, fingendo di affidargli il giudizio secondo la
Legge di Mosè.
In
realtà, è proprio Cristo che vogliono mettere sotto accusa,
mostrando che il suo insegnamento sull’amore misericordioso di Dio
è in contrasto con la Legge mosaica, che puniva il peccato di
adulterio con la lapidazione. Gesù, “pieno di grazia e verità”
(Gv 1,14), salva la peccatrice e smaschera gli ipocriti,
dicendo: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra
contro questa donna” (Gv 8,7).
A questo riguardo
attiro l’attenzione sul fatto che sembra un dettaglio di poco
conto, ma che mi pare importante. Mentre gli accusatori parlavano,
Gesù non risponde subito a costoro, ma si china a scrivere con il
dito per terra. Come per dire che le parole di questi scribi e
farisei sono come polvere che il vento porta via, e mostrare che Lui
è il legislatore divino: “Infatti, Dio scrisse la legge col suo
dito sulle tavole di pietra” (cfr. Sant’Agostino, Comm. al Vang. di Giov., 33, 5). Gesù dunque è il Legislatore della
legge della libertà dal peccato. Lui è la Giustizia che si realizza
completamente nella Misericordia. Anche con l’adultera Gesù
proclama la giustizia con forza, ma al tempo stesso cura le ferite
spirituali di questa donna con la sua misericordia, che redime, sana,
nobilita ed eleva.
Giustizia e
misericordia sono due realtà differenti
soltanto per noi uomini, che distinguiamo un atto di giustizia da un
atto d’amore misericordioso (cfr. Benedetto XVI). Per Dio non è
così: in Lui giustizia e misericordia non sono contrapposte. La
misericordia è la giustizia che ricrea la persona, la quale non è
più delimitata dal proprio peccato, ma dall’amore di Dio che
teneramente perdona. Infatti, se è vero che la correzione, e anche
la punizione come strumento correttivo, può essere provvidenziale (e
in tal senso la Bibbia spesso parla di Dio che corregge l'uomo), lo è
solo in quanto tale misura è suggerita dall'amore di misericordia.
“In realtà solo la
giustizia di Dio ci può salvare e la giustizia di Dio si è rivelata
nella Croce. La croce è il giudizio di Dio su tutti noi e su questo
mondo. E se la Croce è l’atto supremo con cui la giustizia di Dio
si rivela, la misericordia deve essere la giustizia degli uomini:
“Dio ci giudica -dice papa Francesco- dando la vita per noi! Ecco
l’atto supremo di giustizia che ha sconfitto una volta per tutte il
principe di questo mondo. E questo atto supremo di giustizia è
proprio anche l’atto supremo di misericordia” (Papa Francesco).
2) Cristo giudica
l’adultera perdonandola.
All’affermazione
di Gesù: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” gli
accusatori dell’adultera reagirono andandosene via e lasciando
questa donna davanti a Cristo solo. Non c’è più l’agitazione
di chi voleva condannare una persona e tendere un tranello a Colui
che era venuto non per condannare, ma
per salvare il mondo. In questo silenzio che è sceso nel piazzale
del Tempio Gesù celebra il perdono come liberazione dalla condanna
di morte: un perdono che genera vita
nuova, orientata al bene
Gesù
perdonò questa “imputata”
delinquente come perdona ogni nostra colpa, facendo rifiorire nel
cuore la gratitudine e la gioia. Nel
perdono, da una parte, conosciamo chi è il Signore, l’Amore che
ci ama senza condizioni. Dall’altra, conosciamo chi siamo noi nel
perdono: persone amate infinitamente da Dio, senza condizioni. Dio si
rivela nel Redentore come amore che perdona ed accoglie senza mettere
condizioni.
Che
cosa rivela Dio nel Vangelo di oggi, ma
anche in tutta la Scrittura? Che Lui è misericordia, perdono, che
al centro del mondo non ha messo l’albero della morte, ma quello
della vita: la Croce.
Il
figlio prodigo è riaccolto in casa, l'adultera non è lapidata, ogni
nostro peccato è perdonato, ma per tutto ciò il Cristo ha pagato
perché è lui che ha preso su di sè le nostre colpe e le ha portate
sul legno della Croce: “Egli portò i nostri peccati sul suo corpo
sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia” (1 Pt
2, 24). Dunque è Cristo la vera giustizia, Lui è la nostra
giustizia, perché è lui che ci fa giusti davanti a Dio.
Perdonando,
invece di aprire la porta della morte, Cristo apre la porta
della vita, perché Lui stesso è la Porta. Il Signore della vita
pronuncia sull’adultera il proprio giudizio e non solo le dice di
non condannarla, ma le chiede anche di non peccare più.
Anche a ciascuno di noi
peccatori perdonati il Redentore dice : “Va’ e d’ora un poi non
peccare più”. Questo “comando d’amore” non è solamente un
invito a non peccare più, ma è anche una richiesta di mettersi in
cammino per le strade del mondo per essere testimoni della
misericordia.
Il
perdono non giustifica la persona lasciandola nel suo errore, ma
indica un nuovo stile di vita che implica la rinuncia al peccato e
alle sue conseguenze di morte per rimettersi in cammino con e per
Cristo e portare agli altri il perdono e l’amore ricevuti.
Tutte
le persone consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere
testimoni di questa misericordia del Signore, nella quale l’uomo
trova la propria salvezza. Esse tengono viva l’esperienza del
perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone
salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi
rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il
proprio peccato. Per questo, anche per l’uomo di oggi, la vita
consacrata rimane una scuola privilegiata della “compunzione del
cuore”, del riconoscimento umile della propria miseria, ma,
parimenti, rimane una scuola della fiducia nella misericordia di Dio,
nel suo amore che mai abbandona. In realtà, più ci si avvicina a
Dio, più si è vicini a Lui, più si è utili agli altri. Le persone
consacrate sperimentano la grazia, la misericordia e il perdono di
Dio non solo per sé, ma anche per i fratelli, essendo chiamate a
portare nel cuore e nella preghiera le angosce e le attese degli
uomini, specie di quelli che sono lontani da Dio” (Benedetto XVI).
In
particolare, le vergini consacrate, che per vocazione vivono e
lavorano nel mondo, sono chiamate allo specifico impegno di fedeltà
nello “stare con il Signore”, Sposo che chiede tutto. Nella
cerimonia di consacrazione il Vescovo chiede a ciascuna di loro:
“vuoi essere consacrata come sposa a Gesù Cristo?”. E la
risposta e come quella che si deve dare nei matrimoni: “Sì,
lo voglio”. Esse mostrano che Cristo è stato capace di farle
innamorare profondamente e sono chiamate
a rendere ragione alla società il
perché vale la pena di dedicarsi completamente a Cristo, mostrando
in parrocchia e, soprattutto sul posto di lavoro, che la loro vita è
attraente e lieta. Per vocazione e missione questo donne consacrate
“sono chiamate a frequentare le
‘periferie’ e le ‘frontiere’ dell’esistenza, dove si
consumano i drammi di un’umanità smarrita e ferita” (Papa
Francesco).
In
un mondo in cui domina l’egoismo, che produce rivalità,
inimicizie, gelosie, conflitti d’interesse e guerre, cioè, in una
parola sola, l’odio, proclamano con la vita la Legge dell'Amore,
che si diffonde e si dona con la misericordia. Questo amore di
misericordia, ricevuto da Cristo-Sposo, allarga il loro cuore ad
amare gli altri con purezza e verità, a perdonare le offese come il
loro Sposo, che portando i peccati del mondo in Croce perdona, a
servire gli altrui bisogni. Si sono consacrate a Lui, fonte
dell’Amore puro e fedele, un Amore così grande e bello da meritare
tutto, anzi, più del nostro tutto, perché non basta una vita intera
a ricambiare ciò che Cristo è e ciò che ha fatto per noi.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona
Comment. in Ioan., 33,
4-8
Verità, bontà,
giustizia e misericordia
Considerate
ora in qual modo la bontà del Signore fu posta alla prova dai suoi
nemici. "Allora
gli scribi e i farisei conducono una donna sorpresa in adulterio, la
posero in mezzo e gli dissero. «Maestro, questa donna è stata colta
in adulterio. Ora Mosè nella legge ci ha comandato di lapidare tali
donne: tu che ne dici?». E questo dicevano per metterlo alla prova,
in modo da poterlo accusare"
(Jn
8,3-6).
Accusarlo
di cosa? Forse avevano colto anche lui in qual che delitto?... E
siccome i suoi nemici, per invidia e per rabbia, non riuscivano a
sopportare queste due qualità, cioè la sua dolcezza e la sua
verità, cercarono allora di tendergli un tranello sulla terza, cioè
sulla giustizia. In qual modo?
La
legge comandava che gli adulteri dovevano essere lapidati, e la legge
non poteva comandare ciò che non era giusto: se qualcuno si opponeva
a un precetto della legge, veniva accusato di prevaricazione. I
Giudei avevano pensato tra sé: egli è ritenuto amico della verità
e appare mansueto; dobbiamo cercare di coglierlo in fallo sulla
giustizia: presentiamogli una donna colta in adulterio, e diciamogli
che cosa stabilisce la legge in tali casi. Se egli ordinerà che sia
lapidata, mostrerà di non essere affatto mansueto: se dirà che deve
essere lasciata andare, mostrerà di non avere giustizia. Siccome non
vorrà perdere - essi dicevano - l’aureola di mansuetudine, grazie
alla quale è amato dal popolo, senza dubbio dirà che dobbiamo
lasciarla andare. Così noi avremo l’occasione per accusarlo, per
dichiararlo reo come prevaricatore e potremo dire di lui che è
nemico della legge, che ha parlato contro Mosè o, meglio, contro
colui che per mezzo di Mosè ci ha dato la legge; e quindi è degno
di morte e deve essere lapidato insieme alla donna.
Con
queste parole e con questi ragionamenti la loro invidia si
accresceva, ardeva il loro desiderio di accusarlo, diveniva più
forte la voglia di condannarlo. Cosa li spingeva a parlare in questo
modo, e contro chi parlavano? Era la perversità che tramava contro
la rettitudine, la menzogna contro la verità, il cuore corrotto
contro il cuore retto, la stoltezza contro la sapienza...
Cosa
rispose il Signore Gesù? Cosa rispose la verità, la sapienza, la
stessa giustizia contro la quale era diretta l’insidia?
Non
disse: Non sia lapidata! Se lo avesse detto sarebbe apparso che egli
andava contro la legge. Ma si guardò bene anche dal dire: Sia
lapidata! Egli era venuto infatti per non perdere ciò che aveva
trovato, anzi per trovare ciò che si era perduto (Lc
19,10).
Cosa rispose? Considerate quanto la sua risposta sia
contemporaneamente carica di giustizia, di mansuetudine e di verità!
Disse: "Chi
di voi è senza peccato scagli per primo una pietra contro di lei"
(Jn
8,7).
Risposta
piena di saggezza! In che modo li costrinse a guardare dentro se
stessi? Essi infatti calunniavano gli altri, ma non scrutavano in se
stessi: vedevano l’adulterio della donna, non i loro peccati...
L’avete
sentita voi, farisei, dottori della legge, custodi della legge, ma
non avete compreso il Legislatore.
Che
cosa ha voluto mostrarvi ancora, quando scriveva con il dito in
terra? Ha voluto mostrarvi che la legge è stata scritta col dito di
Dio e che, a causa della durezza dei cuori, essa è stata scritta
sulla pietra (cf. Ex
31,18).
E ora il Signore scriveva sulla terra perché cercava il frutto della
legge. Voi avete inteso: «si compia la legge», «sia lapidata
l’adultera»: ma nel punire la donna, la legge dovrà essere
applicata da coloro che a loro volta debbono essere puniti? Ciascuno
di voi consideri se stesso, entri in se medesimo, si ponga dinanzi al
tribunale della sua anima, si costituisca alla sua coscienza, e
obblighi se stesso a confessarsi. Egli solo sa chi è, poiché nessun
uomo conosce i segreti di un altro, se non lo spirito medesimo
dell’uomo che è dentro di lui. Ciascuno, guardando in se stesso,
si scopre peccatore (1Co
2,11).
Non c’è alcun dubbio su questo. Quindi, lasciate andare questa
donna, oppure accettate con lei le pene previste dalla legge. Se il
Signore avesse detto: Non lapidate l’adultera!, sarebbe stato
accusato di ingiustizia; se avesse detto: Lapidatela!, non sarebbe
apparso mansueto. Che formuli dunque una risposta che a lui si
addice, che è mansueto e giusto: «Chi di voi è senza peccato,
scagli per primo una pietra contro di lei». Questa è la voce della
giustizia: si punisca la peccatrice, ma non siano i peccatori a
punirla; sia rispettata la legge, ma non siano i violatori della
legge a imporne il rispetto. Ben a ragione è la voce della
giustizia.
Essi,
colpiti da queste parole come da una freccia grossa quanto una trave,
"uno
dopo l’altro se ne andarono"
(Jn
8,9).
Restano solo loro due, la misera e la misericordia. E il Signore,
dopo averli colpiti con la freccia della giustizia, non si degna
neppure di stare a vedere la loro umiliazione, ma, voltando loro le
spalle, "di
nuovo col dito scriveva in terra"
(Jn
8,8).
Quella
donna era dunque rimasta sola, poiché tutti se ne erano andati: Gesù
allora levò i suoi occhi su di lei. Abbiamo udito la voce della
giustizia, udiamo ora anche quella della dolcezza.
Credo
che quella donna fosse stata più degli altri colpita e spaventata
dalle parole che avete sentito dire dal Signore: «Chi di voi è
senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei». I farisei
esaminandosi e con la loro stessa partenza confessandosi colpevoli,
avevano lasciato la donna con un così grande peccato, insieme a
colui che era senza peccato. Ed essa, dopo avere udito: «Chi è
senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei», temeva di
essere punita da lui, nel quale non era peccato. Ma egli, dopo avere
cacciato i suoi nemici con la voce della giustizia, levando su di lei
gli occhi della mansuetudine, le chiese: "Nessuno
ti ha condannato?"
(Jn
8,10).
E quella rispose: "Nessuno,
o Signore"
(Jn
8,11).
Ed egli replicò: "Neppure
io ti condannerò ()",
tu che avevi temuto di essere punita da me, poiché in me non hai
trovato peccato.
«Neppure
io ti condannerò». Che vuol dire questo, Signore? Tu favorisci
dunque il peccato? No di certo. Sentite ciò che segue: "Va’
e d’ora innanzi non peccare più ()". In altre parole, il
Signore condanna il peccato, non il peccatore. Infatti, se avesse
perdonato il peccato, avrebbe detto: Neppure io ti condanno, va’
vivi come vuoi, sta’ sicura che io ti libererò; per quanto grandi
siano i tuoi peccati, io ti libererò da ogni pena e da ogni
sofferenza dell’inferno. Ma non disse così.
Intendano bene coloro
che amano nel Signore la mansuetudine e temano la verità. Infatti è
insieme "dolce e retto il Signore" (Ps
24,8).
Tu
lo ami perché è dolce, devi temerlo perché è retto. In quanto è
mansueto disse: «Tacqui»; ma in quanto è giusto aggiunse: "Ma
forse sempre tacerò?" (Is
42,14
secondo i LXX). "Il Signore è pietoso e benigno" (Ps
85,15).
Senza dubbio è così. Aggiungi ancora «pieno di bontà» e ancora
"tardo all’ira ()"; ma non dimenticare di temere ciò che
sarà nell’ultimo giorno, cioè «verace». Egli sopporta ora le
colpe dei peccatori, ma allora giudicherà chi lo ha disprezzato.
"Ovvero
disprezzi le ricchezze della sua bontà e della sua mansuetudine,
ignorando che la pazienza di Dio ti spinge alla penitenza? Ma tu con
la durezza del tuo cuore impenitente, ti attiri sul capo un cumulo di
collera per il giorno dell’ira e della manifestazione del giusto
giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere"
(Rm
2,4-6).
Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è misericordioso;
ma è anche giusto, è anche verace. Ti dà il tempo di correggerti,
ma tu preferisci godere di questa dilazione piuttosto che emendarti.
Fosti malvagio ieri? Sii buono oggi. Hai passato nel male la giornata
di oggi? Deciditi a cambiare domani. Ma tu aspetti sempre a
correggerti, sempre ti riprometti di usufruire della misericordia di
Dio, come se colui che ti ha promesso il perdono in cambio del
pentimento, ti avesse anche promesso una vita lunghissima. Come fai a
sapere che per te ci sarà anche il giorno di domani? Hai ragione
quando dici nel tuo cuore: quando mi correggerò, Dio mi rimetterà
tutti i peccati. Non possiamo certo negare che Dio ha promesso il
perdono a tutti coloro che si correggono e che si convertono. Ma in
quella stessa profezia dove tu leggi che Dio promise indulgenza a chi
si pente, non puoi leggere che Dio ti ha promesso anche una
lunghissima vita.
Contro
due ostacoli gli uomini rischiano di naufragare la speranza
presuntuosa e la disperazione; due ostacoli del tutto opposti, e che
derivano da sentimenti diametralmente contrari. Uno dice: Dio è
buono, è misericordioso, io posso perciò fare ciò che mi pare e
piace, posso lasciare sciolte le briglie alle mie passioni, posso
soddisfare tutti i miei desideri. Perché posso farlo? Perché Dio è
misericordioso, è buono, è mansueto. Costoro corrono rischi proprio
per la loro speranza, perché non si inducono mai a correggersi. Sono
invece vittime della disperazione coloro che, avendo commesso gravi
peccati, ritengono di non poter essere più perdonati e,
considerandosi, senza dubbio alcuno, destinati alla dannazione,
dicono: Saremo certamente dannati; perché non possiamo allora fare
ciò che ci pare, come fanno i gladiatori che sanno di non avere
scampo e che il loro destino è essere uccisi dalla spada? Per questo
i disperati sono anche pericolosi: essi che credono di non avere più
ormai niente da temere, debbono invece essere riguardati con timore.
La disperazione li uccide, così come la speranza uccide gli altri.
L’anima
fluttua tra la speranza e la disperazione. Devi temere di essere
ucciso dalla speranza, devi cioè temere che, mentre tranquillamente
continui a sperare nella misericordia, tu non ti ritrovi d’improvviso
di fronte al giudizio; altrettanto devi temere che la disperazione
non ti uccida; devi temere cioè, poiché hai ritenuto di non poter
ottenere il perdono per i gravi delitti che hai commesso e perciò
non te ne sei pentito, di incorrere nel giudizio del tribunale della
sapienza, che dice: "E
io riderò della vostra sventura"
(Pr
1,26).
Cosa
fa il Signore verso coloro che sono in pericolo per l’una o l’altra
di queste due malattie? A coloro che corrono rischi per la troppa
speranza dice: "Non
tardare a convertirti a Dio, né differire di giorno in giorno;
perché d’un tratto scoppia la sua ira e nel giorno del giudizio tu
sei spacciato"
(Si
5,7).
E a coloro che corrono pericoli per la disperazione, che dice Dio?
"In
qualunque giorno l’iniquo si sarà convertito, tutte le sue
iniquità io dimenticherò"
(Ez
18,21
Ez
18,22
Ez
18,27).
A coloro dunque che sono in pericolo per la disperazione egli indica
il porto dell’indulgenza; per coloro che corrono rischi per la
eccessiva speranza e si illudono di avere sempre tempo, fa incerto il
giorno della morte. Tu non sai quando verrà l’ultimo giorno. Sei
un ingrato, non riconosci la grazia di Dio, che ti ha dato anche il
giorno di oggi affinché tu ti corregga.
Questo
è il senso delle parole che disse a quella donna: «Neppure io ti
condannerò»: ora che sei tranquilla a proposito di quanto hai
commesso in passato, abbi timore di quanto potrà accadere nel
futuro. «Neppure io ti condannerò»: cioè ho distrutto ciò che
hai commesso, ma osserva quanto ti ho comandato, al fine di ottenere
quanto ti ho promesso.
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