venerdì 27 novembre 2015

Avvento: attesa e visita.

I Domenica di Avvento – Anno C – 29 novembre 2015
Rito Romano

Rito Ambrosiano
Is 45,1-8; Sal 125; Rm 9,1-5; Lc 7,18-28
III Domenica di Avvento
Le profezie adempiute
 

1) Attesa di una visita
Il tempo di Avvento è voluto dalla Chiesa per preparaci a celebrare l'incarnazione del Verbo di Dio. E’ tempo di un’attesa, che dura poco – 4 settimane nel rito romano e 6 in quello ambrosiano – e che termina con la gioia del Natale, giorno che celebra la nascita di Gesù tra il canto degli angeli : “Gloria in cielo e pace interra agli uomini che Dio ama” e la gioia dei giusti (cfr. Antifona al Magnificat – II Vespri di Natale).
L'Avvento è il tempo che prepara nascita di Gesù, è il tempo di santa Maria nell’attesa del parto, è - per noi - il tempo per educare il nostro cuore ad una attesa che sia reale, quotidiana, costante, nella tensione alla presenza di Chi si è fatto uomo per noi e ha salvato la nostra vita. Ma non si attende solo la nascita di Gesù, si attende il suo ritorno definitivo.
E’ per questo che la prima domenica di Avvento ci proietta già verso la seconda venuta di Cristo, quando verrà nella gloria. In fondo è questo l'avvento più importante, quello a cui noi tutti dobbiamo prepararci.
E’ per questo che, nel Vangelo della I Domenica di Avvento, Gesù ci dice di non smarrire il cuore, di non appesantirlo di paure e delusioni: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano” (Lc 21, 34) quindi “Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo” (Lc 21, 36).
In effetti, è riduttivo parlare dell’Avvento solamente come periodo di attesa del Natale, perché questo tempo liturgico ci è proposto anche per prepararci a comparire davanti a Cristo, ad andare incontro al Signore, che si fa prossimo all’uomo. Il cammino cristiano è tutto rivolto a saper cogliere la novità di Dio, che si fa prossimo a noi pieno di amore e di misericordia. Dio è il Bambino che tende le braccia piene di tenerezza, il Pastore che cerca la pecorella smarrita per riportarla salva all'’ovile, è il padre che corre incontro al figlio perduto che ritorna, è il Samaritano che si china premuroso sul ferito. È Gesù, che per noi muore sulla croce, culla drammatica, scelta per ritornare nella Vita celeste.
Per questo è necessario saper vivere “attendendo”, non solo nel senso di aspettare Dio che viene, ma anche nel senso di tendere verso Dio che tende verso noi mandando il Figlio che viene a visitarci.
In effetti l’espressione “avvento” comprende anche quello di “visitatio (=visitazione)”, che vuol dire “visita”. In questo caso si tratta di una visita di Dio: Egli entra nella nostra vita e vuole rivolgersi a noi (cfr Benedetto XVI). L’avvento-visita del Signore implica una vigilanza. Occorre saper vigilare, come il Cristo invita oggi: “State attenti…” (cfr Lc 21, 34 e 36 citato poco sopra) e più volte Lui l’ha ripetuto nelle parabole, perché il Signore arriva come un ladro di notte o come un Signore che ritorna per vedere che fine hanno fatto i suoi beni affidati ai servi.

2) Attesa di un incontro.
E’ vero che avvento vuol dire prima di tutto attesa, ma non è una attesa vaga, generica e puramente sentimentale. E’ l’attesa di un incontro personale, di luce. Un incontro che si esprime particolarmente nel giorno del ricordo della sua venuta, ma che può illuminare ogni giorno, ogni istante della nostra vita. L’avvento è, quindi, il tempo in cui dobbiamo rinnovare la decisione di spalancare al Salvatore la finestra del nostro cuore e della nostra mente, perché ci illumini e rischiari tutto ciò che siamo.
Come dobbiamo preparaci a questo incontro oltre al fatto che teniamo vigilante il nostro essere, teso a Cristo?
Prima di tutto cercando di arricchire il nostro sapere (che non vuole dire solo conoscenza ma sapore) su Cristo, con lealtà e umiltà. In effetti come possiamo riconoscerlo quando viene e amarlo se non lo conosciamo e come possiamo conoscerlo se non lo “gustiamo”.
In secondo luogo, pregando. Pregare, ovvero chiedere che lo Spirito Santo ci illumini e sostenga la nostra ricerca del volto del Signore.
Questo tempo, quindi, educa il cuore e la mente di ognuno ad un attesa che sia reale, quotidiana, costante, nella tensione alla presenza di Chi si è fatto uomo per noi e ha salvato la nostra vita: “Le festività della Chiesa certo rammentano fatti trascorsi, ma sono anche presente, attuazione viva; poiché ciò che è accaduto una volta nella storia deve farsi continuamente evento nella vita del credente. Allora è venuto il Signore, per tutti; ma Egli deve venire sempre di nuovo per ciascuno” (Benedetto XVI).
I tre Vangeli di San Marco, San Matteo e San Luca parlano di questa venuta poco prima del racconto della passione di Cristo, si tratta della sua ultima predicazione. Lo stile è apocalittico ( di cui ho dato una sintetica spiegazione domenica scorsa): guerre, devastazioni, catastrofi naturali, distruzione del mondo. Non ci mettano troppa paura queste descrizioni drammatiche, è uno stile soprattutto orientale per ricordare che davanti a Cristo tutto assume un significato nuovo e anche il mondo, che sembra stabile ed eterno, avrà una fine, quando il Signore verrà a ridare un nuovo ordine a tutte le cose. Quindi anche nel Vangelo di San Luca, che leggeremo in questo Anno C, il Messia usa parole apocalittiche cogliendo l'occasione dalla lode che alcuni facevano del tempio di Gerusalemme, ma affermando che questo tempio sarebbe stato distrutto (Lc 21,5-7). Vi sarebbero stati segni premonitori, quali guerre di un popolo contro l'altro, persecuzione dei discepoli di Cristo, (Lc 21, 8-19) l'assedio e la distruzione di Gerusalemme (Lc 21,20-24). Dopo le sofferenze causate dagli uomini, Gesù passa, nel brano di oggi a parlare degli eventi cosmici e della sua venuta nella gloria. Il timore santo che può venire dall’ascoltare queste parole ci aiuta a preparaci alla venuta di Cristo non solo in modo sentimentale, ma coscienti che si tratta di un incontro decisivo per la nostra esistenza.
In questo ci può essere di esempio la Vergine Maria. Lei è un modello da seguire in questa attesa perché la Madonna è “una semplice ragazza di paese, che porta nel cuore tutta la speranza di Dio” (Papa Francesco) e con il suo “sì”, con il suo “fiat” ha preso carne la speranza di Israele e del mondo intero. Il tempo di Avvento, che oggi di nuovo incominciamo, ci restituisce l’orizzonte della speranza, una speranza che non delude perché è fondata sulla Parola di Dio … Una speranza che non delude semplicemente perché il Signore non delude mai! Lui è fedele!” (Id.).
La verginità è il mezzo scelto da Dio per dare un nuovo inizio al mondo. Come nella prima creazione, anche ora Dio crea “dal nulla”, cioè dal vuoto delle possibilità umane, senza bisogno di alcun concorso e di alcun appoggio. E questo “nulla”, questo vuoto, questa assenza di spiegazioni e di cause naturali, è rappresentato appunto dalla verginità di Maria.
In questo Avvento, contempliamo la verginità di Maria per una meditazione sulla castità perfetta per il Regno dei cieli.
San Cipriano scriveva alle prime vergini cristiane "Voi avete cominciato a essere ciò che noi tutti un giorno saremo” (Sulle Vergini, 22, PL 4, 475). Una tale profezia, lontano dall’essere contro gli sposati, è invece anzitutto per loro, a loro beneficio. Ad essi ricorda che il matrimonio è santo, è bello, è creato da Dio e redento da Cristo, è immagine dello sposalizio tra Cristo e la Chiesa, ma che non è tutto. Cristo è tutto.
Con il loro “sì” senza riserve a Dio, con loro la vita umile, semplice, povera, obbediente, fedele come quello della Madonna anche tra le prove e le difficoltà, rendono visibile il Cristo. Col dono della propria vita affrettano l'avvento di Cristo e del Suo Regno. Con la consacrazione le consacrate diventano per tutti gli uomini segno dell’amore di Dio e dei beni eterni che Lui ci dona.


Lettura patristica
San Gregorio Magno
Sermo 1, 1-3


       Fratelli carissimi, il nostro Signore e Redentore, volendoci trovare preparati e per allontanarci dall’amore del mondo, ci dice quali mali ne accompagnino la fine. Ci scopre quali colpi ne indichino la fine, in modo che se non temiamo Dio nella tranquillità, il terrore di quei colpi ci faccia temere l’imminenza del suo giudizio. Infatti alla pagina del santo Vangelo che avete ora sentito, il Signore poco prima ha premesso: "Si leverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno terremoti, pestilenze e carestie dappertutto" (Lc 21,10-11); e poi ancora: "Ci saranno anche cose nuove nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra le genti saranno prese da angoscia e spavento per il fragore del mare in tempesta" (Lc 21,25); dalle cui parole vediamo che alcune cose già sono avvenute e tremiamo per quelle che devono ancora arrivare. Che le genti si levino contro altre genti e che la loro angoscia si sia diffusa sulla terra l’abbiam visto più ai nostri tempi che non sia avvenuto nel passato. Che il terremoto abbia sconquassato innumerevoli città, sapete quante volte l’abbiam letto. Di pestilenze ne abbiamo senza fine. Di fatti nuovi nel sole, nella luna e nelle stelle, apertamente per ora non ne abbiam visto nulla, ma che non siano lontani ce ne dà un segno il cambiamento dell’aria. Tuttavia prima che l’Italia cadesse sotto la spada dei pagani, vedemmo in cielo eserciti di fuoco, cioè proprio quel sangue rosseggiante del genere umano, che poi fu sparso. Di notevoli confusioni di onde e di mare non ne abbiamo ancora avute, ma poiché molte delle cose predette già si sono avverate, non c’è dubbio che avvengano anche le poche, che ancora non si sono avverate; il passato è garanzia del futuro.

       Queste cose, fratelli carissimi, le andiamo dicendo, perché le vostre menti stiano vigilanti nell’attesa, non s’intorpidiscano nella sicurezza, non s’addormentino nell’ignoranza e vi stimoli alle opere buone il pensiero del Redentore che dice: "Gli abitanti della terra moriranno per la paura e per il presentimento delle cose che devono avvenire. Infatti le forze del cielo saranno sconvolte" (Lc 21,26). Che cosa il Signore intende per forze dei cieli, se non gli angeli, arcangeli, troni, dominazioni, principati e potestà, che appariranno visibilmente all’arrivo del giudice severo, perché severamente esigano da noi ciò che oggi l’invisibile Creatore tollera pazientemente? Ivi stesso si aggiunge: "E allora vedranno venire il Figlio dell’uomo sulle nubi con gran potenza e maestà". Come se volesse dire: Vedranno in maestà e potenza colui che non vollero sentire nell’umiltà, perché ne sentano tanto più severamente la forza, quanto meno oggi piegano l’orgoglio del loro cuore innanzi a lui.


       Ma poiché queste cose sono state dette contro i malvagi, ecco ora la consolazione degli eletti. Difatti viene soggiunto: "All’inizio di questi avvenimenti, guardate e sollevate le vostre teste, perché s’avvicina il vostro riscatto". È la Verità che avverte i suoi eletti dicendo: Mentre s’addensano le piaghe del mondo, quando il terrore del giudizio si fa palese per lo sconvolgimento di tutte le cose, alzate la testa, cioè prendete animo, perché, se finisce il mondo, di cui non siete amici, si compie il riscatto che aspettate. Spesso nella Scrittura il capo sta per la mente, perché come le membra son guidate dal capo, così i pensieri sono ordinati dalla mente. Sollevare la testa, quindi, vuol dire innalzare le menti alla felicità della patria celeste. Coloro, dunque, che amano Dio sono invitati a rallegrarsi per la fine del mondo, perché presto incontreranno colui che amano, mentre se ne va colui ch’essi non amavano. Non sia mai che un fedele che aspetta di vedere Dio, s’abbia a rattristare per la fine del mondo. Sta scritto infatti: "Chi vorrà essere amico di questo mondo, diventerà nemico di Dio" (Jc 4,4). Colui che, allora, avvicinandosi la fine del mondo, non si rallegra, si dimostra amico del mondo e nemico di Dio. Ma non può essere questo per un fedele, che crede che c’è un’altra vita e l’ama nelle sue opere. Si può dispiacere della fine di questo mondo, chi ha posto in esso le radici del suo cuore, chi non tende a una vita futura, chi neanche sospetta che ci sia. Ma noi che sappiamo dell’eterna felicità della patria, dobbiamo affrettarne il conseguimento. Dobbiamo desiderare d’andarvi al più presto possibile per la via più breve. Quali mali non ha il mondo? Quale tristezza e angustia vi manca? Che cosa è la vita mortale, se non una via? E giudicate voi stessi, fratelli, che significherebbe stancarsi nel cammino d’un viaggio e tuttavia non desiderare ch’esso sia finito.

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