Domenica
XXXIV del Tempo Ordinario – Solennità di Cristo Re1
– Anno B – 22 novembre 2015
Rito
Romano
Rito
Ambrosiano
Is
19,18-24; Sal 86; Ef 3,8-13; Mc 1,1-8
I
figli del Regno
1) Un Re
incoronato di spine cioè un testimone (martire) della verità
dell’amore.
In quest’ultima
domenica dell’anno liturgico, siamo invitati a celebrare Cristo Re
di un “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia,
regno di giustizia, di amore e di pace” (Prefazio della Messa di
Cristo Re). A Pilato, che gli chiede se fosse re, Gesù risponde che
la regalità rivendicata non è politica, ma è di tutt’altro
genere. Si tratta di una regalità della verità e dell’amore, che
è esercitata come testimonianza alla verità e non come imposizione
di un dominio. Infatti, nel Vangelo di oggi Gesù conclude: “Io
sono re: per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per
rendere testimonianza alla verità” (Gv 18, 37). Credo sia
corretto affermare che nella sua risposta a Pilato Cristo
non solo parla di che cosa è la verità, ma risponde alla domanda:
“Chi è la verità?”.
La regalità di Cristo
esprime Lui che è la Verità dell’amore, di cui è testimone cioè
martire2.
Nel suo breve e
serrato dialogo con Pilato, Gesù afferma pure un’altra cosa
importante: “Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia
voce”. Per comprendere la regalità di Gesù e per divenire suoi
sudditi nel suo Regno, che è un regno dell’altro mondo ma non un
regno di morti, occorre aver scelto la verità. Un
Regno dell’altro mondo, perché vi “domina” la forza
dell’amore. E’ un Re che non condanna a morte i suoi fragili
sudditi ma dona la sua vita perché abbiano la vita
Vi sono persone che
sono “dalla parte della verità” e persone che invece sono “dalla
parte della menzogna”. Non è semplicemente questione di bugie ma
di un atteggiamento di fondo, di una scelta di valori. Nel racconto
del processo queste due possibilità contrapposte sono incarnate dai
due personaggi che si fronteggiano: Gesù e Pilato.
Da una parte Gesù,
che è la Verità, si consegna pienamente nelle mani del Padre senza
esitare a dare la vita. Dall'altra Pilato che invece rappresenta un
potere politico che serve la verità ma non oltre un certo prezzo.:
un potere che ritiene di avere valori più importanti da salvare. Per
tre volte Pilato riconosce l'innocenza di Gesù e la dichiara
pubblicamente, e per tre volte cerca di salvarlo. Tuttavia lo
condanna alla croce.
Questo Procuratore del
regno umano manda a morte un innocente, rinnega la giustizia e la
verità per salvare se stesso.
Il Cristo, invece, è
un re che non uccide nessuno, anzi muore per tutti. Non versa il
sangue di nessuno, Lui versa il suo sangue per tutti. Non sacrifica
nessuno, sacrifica se stesso per i suoi servi che lui chiama amici.
Il Redentore manifesta la verità di Dio che è Padre e il Padre è
colui che dà la vita e la libertà ai figli, non colui che toglie la
vita e la libertà ai figli.
Cristo Re “usa” il
potere secondo verità, secondo giustizia, cioè secondo la verità
dell’amore. Un potere che è esercitato dal Salvatore prendendo la
Croce come trono e delle spine come corona. Lo stesso potere di amore
umile che nell’ultima Cena aveva spinto Gesù a esercitare la sua
regalità lavando i piedi degli apostoli. Gesù è un capo, un Re che
si mette davvero a servizio dei suoi sudditi. Un re che sa dare il
pane invece di prenderlo, che sa dar la vita invece di toglierla, che
sa liberare dalla legge invece di imporla.
2) Un suddito
particolare: il buon ladrone.
Uno, che
colse la verità di Gesù, fu il buon ladrone, che appeso alla croce
accanto a quella di Cristo, chiese: “Gesù, ricordati di me quando
entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42), e come risposta il Re in
croce gli disse: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc
23,43). Per questo ladro la via della croce divenne, infallibilmente,
la via del paradiso (cfr. Id), la via della verità e della
vita, la via del regno.
Facciamo nostre
l’apertura di cuore e la preghiera di questo delinquente che
giustamente la tradizione cristiana chiama “buon ladrone”.
Nonostante fosse in croce questo malfattore ha avuto un cuore e una
intelligenza di un’apertura tale che ha saputo riconoscere in un
Moribondo come lui un Re. Ha saputo cogliere la regalità di Cristo
che si manifestava su un trono paradossale: la Croce, tanto da
chiedere: “Ricordati di me nel tuo Regno” che intuiva essere una
vita vera, lieta e duratura. La vicinanza a Cristo non basta, perché
nel momento della passione anche altri gli erano vicini, ma l’hanno
disprezzato e bestemmiato. Il “ladrone” dal cuore buono perché
animato da un santo desiderio ha domandato la salvezza e così è
stato il primo ad entrare con Cristo in Paradiso.
Ciascuno di noi
preghi: “Gesù, ricordati di me, cordati dei miei fratelli in
umanità ai quali voglio dare quotidianamente il pane vivo e vero del
tuo Vangelo”. Se saremo perseveranti in questa preghiera : “Venga
il tuo Regno” vedremo la promessa di Cristo diventare realtà. Se
gli stiamo accanto saldamente lasciandoci attirare da Lui sulla
croce, diventeremo come Lui testimoni (=martiri) della Verità.
Oltre a quello del
buon ladrone c’è un altro modo di stare accanto a Cristo, Re in
croce, ed è quello della Madonna, che fu così associata alla
regalità di Cristo, per cui giustamente si canta nella sacra
liturgia: “Santa Maria, regina del cielo e signora del mondo,
affranta dal dolore, se ne stava in piedi presso la croce del Signore
nostro Gesù Cristo” (Festa della Madonna Addolorata), così
che Francesco Suarez scrisse: “Come Cristo per il titolo
particolare della redenzione è nostro signore e nostro re, così
anche la Vergine beata (è nostra signora) per il singolare concorso
prestato alla nostra redenzione, somministrando la sua sostanza e
offrendola volontariamente per noi, desiderando, chiedendo e
procurando in modo singolare la nostra salvezza”(De mysteriis
vitae Christi, disp. XXII, sect. II: ed. Vives, XIX, 327).
Naturalmente,
anche le Vergini consacrate nel mondo sono chiamate a partecipare
alla regalità di Cristo e della Madonna, dando anche loro
testimonianza alla verità dell’Amore.
Alla
verginità è anche giustamente attribuito il carattere di martirio
(=testimonianza). Essa è infatti considerata una forma di martirio,
essendo una vita totalmente data a Cristo Sposo e Re. Di conseguenza
le è riconosciuta anche la dignità regale e viene coronata dallo
sposo, re dell’universo. Per questo nel Rito di Consacrazione viene
messo sul capo delle vergine il velo che viene così ad avere pure il
significato di corona regale.
Perché,
è vero che il primo significato del velo è quello di indicare che
la consacrata nella verginità è esclusivamente sposa di Cristo, la
quale si sottrae allo sguardo degli uomini per essere sempre sotto
lo sguardo di Dio e a lui solo piacere per la purezza e l’intensità
dell’amore. Ma è altrettanto vero che
velo è segno di consacrazione a Cristo, quindi è segno di
un’altissima nobiltà: di sposa di Cristo Re. Vi può essere più
alta dignità per la donna? Penso proprio di no, ma il velo stesso la
tiene nell’umiltà.
Velata,
ma presente — così come la Vergine Maria — è la donna tutta
dedita al Signore nella preghiera: La vergine non è un essere
disincarnato e indifferente, lontano dalla gente comune, bensì una
donna capace di amore di dono, oblativo, casto e universale,
pienamente gratuito proprio perché vergine.
Questo
è il mistico significato del velo sul capo delle donne consacrate,
nascoste nel mondo per essere nel cuore del mondo e portare tutti gli
uomini nel cuore di Cristo, unico sposo della Chiesa.
1 La festa di Cristo Re fu istituita da Pio XI l’11 dicembre 1925 con l’enciclica Quas primas. Si tratta, dunque, di una festa liturgica relativamente recente. Tuttavia l’idea della regalità attribuita a Cristo la si trova già nella Sacra Scrittura, nei Padri della Chiesa, nei teologi, ed anche nell’arte sacra e nel senso comune dei fedeli che concordemente affermano questa regalità. Alla domanda “In che cosa consiste questo potere regale di Cristo?” il Papa emerito Benedetto XVI disse: “Non è quello dei re e dei grandi di questo mondo; è il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia non si impone mai, e rispetta sempre la nostra libertà”. (Discorso all’Angelus, 22 novembre 2009)
2 Come ho ricordato varie volte in greco la parola martire vuol dire testimone e va poi tenuto presente che nel linguaggio di San Giovanni “verità” indica la verità di Dio, il suo amore per l’uomo, per ogni uomo.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona
Comment. in Ioan.,
115, 1-3
Gesù Re e Pilato
In
questo discorso dobbiamo esaminare e spiegare che cosa disse Pilato a
Cristo, e cosa egli rispose a Pilato.
Dopo
aver detto ai giudei: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la
vostra legge», e dopo che essi gli ebbero risposto: «Non è
permesso a noi dare la morte ad alcuno», "Pilato
rientrò nel pretorio, e chiamò Gesù e gli disse: «Tu sei il re
dei giudei?». Rispose Gesù: «Da te lo dici, ovvero altri te
l’hanno detto di me?»"
(Jn
18,33-34).
Il Signore sapeva bene quel che chiedeva a Pilato, come pure sapeva
cosa egli gli avrebbe risposto; tuttavia, volle che fosse detto ciò,
non per sapere quanto già sapeva, ma perché fosse scritto quanto
voleva che giungesse a nostra conoscenza. "Rispose
Pilato: «Sono io forse giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti
ti hanno consegnato a me: che hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio
regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo,
i miei servi avrebbero certamente combattuto perché io non fossi
dato nelle mani dei giudei; invece il mio regno non è di quaggiù»"
(Jn
18,35-36).
Questo
è quanto il buon maestro ci volle insegnare: ma prima era necessario
dimostrarci quanto vana fosse l’opinione che del suo regno avevano
sia i gentili sia i giudei, dai quali Pilato l’aveva appresa. Essi
pretendevano che egli dovesse esser messo a morte perché aveva
cercato di impadronirsi ingiustamente del regno; oppure perché sia i
romani che i giudei dovevano temere, come avverso al loro potere, il
suo regno, in quanto appunto i detentori del potere sono soliti
temere ed esser gelosi di chi potrebbe prendere il loro posto. Il
Signore avrebbe potuto rispondere subito alla prima domanda di
Pilato: «sei tu il re dei giudei?», dicendo: «il mio regno non è
di questo mondo». Ma egli, chiedendo a sua volta se quanto Pilato
domandava, lo diceva da sé, cioè fosse la sua opinione personale,
oppure l’avesse inteso da altri, volle che fosse palese, attraverso
la risposta di Pilato, che erano i giudei a formulare tale accusa
contro di lui. Egli ci mostra così la vanità dei pensieri degli
uomini (Ps
93,11),
che ben conosceva, e rispondendo loro, giudei e gentili insieme, con
parole più opportune ed efficaci, dopo quanto ha detto Pilato, dice:
«Il mio regno non è di questo mondo».
Se
avesse fatto questa dichiarazione subito dopo la prima domanda di
Pilato, si sarebbe potuto pensare che egli rispondesse, non anche ai
giudei ma ai soli gentili, come se fossero stati solo questi ad avere
di lui una tale opinione. Poiché invece Pilato risponde: «Sono io
forse giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato
a me», allontana da sé ogni sospetto che si possa ritenere che egli
abbia spontaneamente detto, e non piuttosto sentito dai giudei, che
Gesù aveva affermato di essere re dei giudei. E Pilato, inoltre, col
chiedergli: «che hai tu fatto?», lascia intendere che egli era
stato condotto a motivo di un delitto. È come se Pilato dicesse: Se
non sei re, che hai fatto di male da essere consegnato a me? Quasi
non fosse già straordinario il fatto che si consegnasse al giudice
per essere punito chi diceva di essere re, ecco che se non avesse
detto ciò, il giudice deve chiedere cos’altro abbia fatto di male
per essere condotto da lui ad essere giudicato.
Ascoltate
dunque, giudei e gentili, ascoltate circoncisi e incirconcisi; tutti
i regni della terra prestino orecchio: Io non danneggio il vostro
potere in questo mondo, dice in sostanza il Signore, perché «il mio
regno non è di questo mondo». Non fatevi prendere dall’assurdo
timore che colse Erode, quando apprese la nascita di Cristo, e si
spaventò tanto che fece uccidere tutti i neonati, sperando di
uccidere anche Gesù tra quelli, mostrandosi così sanguinario e
crudele più per la paura che non per la collera (Mt
2,3-16).
«Il mio regno» - dice il Signore - «non è di questo mondo». Che
volete di più? Venite dunque nel regno che non è di questo mondo;
venite credendo, e guardatevi dalla crudeltà ispirata dalla paura. È
vero che in una profezia, il Figlio, parlando di Dio Padre, ha detto:
"Sono
stato consacrato re da lui su Sion, il sacro suo monte"
(Ps
2,6),
ma questo monte e quella Sion non sono dl questo mondo. Di chi è
composto il suo regno, se non di coloro che credono in lui, ai quali
egli ha detto: «Non siete del mondo, così come io non sono del
mondo»? Senza dubbio egli voleva che essi dimorassero nel mondo, e
per questo chiese al Padre: «Non domando che tu li tolga via dal
mondo, ma che li custodisca dal male». Notate che anche ora non
dice: Il mio regno non è in questo mondo; ma dice: «il mio regno
non è di questo mondo». E dopo aver provato la sua asserzione,
soggiungendo: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi
avrebbero certamente combattuto perché io non fossi dato nelle mani
dei Giudei», non dice: invece il mio regno non è qui, ma dice: «il
mio regno non è di quaggiù». In realtà, il suo regno è qui,
sulla terra, fino alla fine dei secoli, dove la zizzania è mischiata
al buon grano sino alla mietitura che sarà alla fine dei tempi
quando verranno i mietitori, cioè gli angeli, e toglieranno dal suo
regno tutti gli scandalosi (Mt
13,38-41).
E questo non potrebbe accadere, se il suo regno non fosse sulla
terra. Tuttavia, esso non è di quaggiù, perché è esiliato nel
mondo. È al suo regno, cioè a questi pellegrini nel mondo, che egli
dice: «Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo». Essi
erano del mondo, quando ancora non facevano parte del suo regno ma
appartenevano al principe di questo mondo. Tutto quanto negli uomini
è stato creato da Dio, ma che ha avuto origine dalla stirpe
colpevole e dannata di Adamo, appartiene al mondo; e tutto quanto è
stato rigenerato in Cristo fa parte del regno e non appartiene più
al mondo. È in questo modo che Dio ci ha sottratti al potere delle
tenebre (Col
1,13)
e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore. Ed è appunto
di questo regno che egli dice: «Il mio regno non è di questo
mondo», oppure: «Il mio regno non è di quaggiù».
"Gli
disse allora Pilato: «Dunque tu sei re?». E Gesù rispose: «Tu
dici che io sono re»"
(Jn
18,37).
Il
Signore non teme di riconoscersi re, ma la sua espressione: «tu lo
dici», è così calibrata che non nega di essere re (re, si intende,
il cui regno non è di questo mondo), ma neppure afferma di esserlo,
in quanto ciò potrebbe far pensare che il suo regno è di questo
mondo. In questo senso infatti pensava Pilato, col dire: «dunque tu
sei re?». Gesù risponde: «tu lo dici», cioè tu sei della terra,
e secondo la carne così ti esprimi.
1
La festa
di Cristo Re fu istituita da Pio XI l’11 dicembre 1925 con
l’enciclica Quas
primas.
Si tratta, dunque, di una festa liturgica relativamente recente.
Tuttavia l’idea della regalità attribuita a Cristo la si trova
già nella Sacra Scrittura, nei Padri della Chiesa, nei teologi, ed
anche nell’arte sacra e nel senso comune dei fedeli che
concordemente affermano questa regalità. Alla domanda “In che
cosa consiste questo potere regale di Cristo?” il Papa emerito
Benedetto XVI disse: “Non
è quello dei re e dei grandi di questo mondo; è il potere divino
di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il
dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il
bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel
conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto.
Questo Regno della Grazia non si impone mai, e rispetta sempre la
nostra libertà”.
(Discorso
all’Angelus,
22 novembre 2009)
2
Come ho
ricordato varie volte in greco la parola martire vuol dire
testimone e va poi tenuto presente che nel linguaggio di San
Giovanni “verità” indica la verità di Dio, il suo amore per
l’uomo, per ogni uomo.
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