Ascensione
- VII Domenica di Pasqua - Anno B – 17 maggio 2015
Rito
- Romano
At
1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20
Rito
Ambrosiano
At
1, 15-26; Sal 138; 1Tm 3, 14-16; Gv 17, 11-19
Domenica
dopo l’Ascensione - VII di Pasqua
1)
Certezza e gioia.
Nel
Credo recitiamo: “Lui è salito al cielo e siede alla destra
del Padre”. Che vuol dire che noi crediamo al fatto che l’umanità
di Cristo è entrata nel cuore della divinità e dove c’è Dio là
c’è il cielo, e l’amore è il cielo sulla terra. Dunque
“l’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che
Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso
posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella
signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di
noi.” (Papa Francesco, Udienza generale, 17 aprile 2013).
E’
dunque corretto dire che uno degli insegnamenti che ci vengono dal
fatto dell'Ascensione è che anche noi possiamo salire in alto, ma
solo se rimaniamo legati a Gesù. Se affidiamo a Lui la nostra vita,
se ci lasciamo guidare da Lui, siamo certi di essere in mani sicure,
in mano del nostro salvatore, del nostro avvocato difensore. “Nella
nostra vita non siamo mai soli: abbiamo questo avvocato che ci
attende, che ci difende” (Ibid.).
Un
altro insegnamento è che dobbiamo avere chiaro che l’entrare nella
gloria di Dio esige la fedeltà quotidiana alla sua volontà, anche
quando questa richiede sacrificio e accettare la nostra croce
quotidiana, perché: “l’elevazione sulla croce significa e
annuncia l’elevazione dell’ascensione al cielo” (Catechismo
della Chiesa Cattolica, n. 661). In questa ascesa “il Signore
crocifisso e risorto ci guida; con noi ci sono tanti fratelli e
sorelle che nel silenzio e nel nascondimento, nella loro vita di
famiglia e di lavoro, nei loro problemi e difficoltà, nelle loro
gioie e speranze, vivono quotidianamente la fede e portano, insieme a
noi, al mondo la signoria dell’amore di Dio, in Cristo Gesù
risorto, asceso al Cielo” (Papa Francesco, Udienza Generale,
17 aprile 2013)
Un
terzo insegnamento ci viene dalla prima lettura della Messa di oggi,
che propone il fatto dell’Ascensione come è raccontato da San Luca
negli Atti degli Apostoli. Esso riguarda come avere in noi la gioia
degli Apostoli, causata dalla certezza della presenza costante di
Gesù risorto nella vita personale e della comunità.
Questa
certezza e questa gioia possono essere nostre se con mente e cuore
sincero domandiamo la benedizione che Gesù diede agli Apostoli
mentre ascendeva al Cielo.
In
questo modo anche noi come gli Apostoli vivremo il fatto
dell’ascensione del Risorto non come un distacco, un’assenza
permanente del Signore.
In
questo modo anche noi avremo confermata e accresciuta la certezza che
il Crocifisso Risorto è vivo e che in Lui sono state per sempre
aperte all’umanità le porte di Dio, le porte della vita eterna.
In
questo modo, nel giorno dell’Ascensione, anche noi possiamo avere
nel nostro cuore il dolore per la partenza, ma anche certezza e gioia
della costante vicinanza di Cristo, anche se in modo diverso rispetto
al sua vita terrena. “Lui, che duemila anni fa fu nella storia un
singolo uomo, continua ancora oggi a vivere nella storia come anima
della Chiesa” (H.U. von Balthasar).
2)
Ascensione e Missione.
Nel
breve racconto (terza lettura di questa domenica) che San Marco fa
dell’Ascensione, vediamo che, più che sul fatto dell’Ascensione,
Gesù risorto ci invita a tirare le conseguenze del suo salire al
Padre: gli Apostoli e con loro tutti i cristiani di tutti i tempi
siamo i suoi mandati, i suoi missionari inviati a portare il Vangelo
in tutto il mondo: “Allora essi partirono e predicarono1
dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava
la Parola con i prodigi che li accompagnavano” (Mc 16, 20).
Gesù sale in cielo e i discepoli vanno nel mondo. Ma la partenza di
Gesù non è una vera assenza, bensì un’altra modalità di
presenza: «Il Signore operava insieme con loro e dava fondamento
alla Parola» (cfr ibid.). “Ascensione non è un percorso
cosmico geografico ma è la navigazione del cuore che ti conduce
dalla chiusura in te all'amore che abbraccia l’universo”
(Benedetto XVI, 10 marzo 2010).
Questo
invito di Cristo ad abbracciare l’universo, annunciando a tutti gli
uomini il Vangelo: “Andate in tutto il mondo” (Mc 16, 15),
non fu percepito come una follia, ma come un mandato di carità per
portare la salvezza a tutti.
Con
l’ascensione c’è una svolta nel percorso della redenzione. Da
Gerusalemme dove si è compiuta la missione di Cristo, che in Croce
ha detto: “Tutto è compiuto”, la missione redentiva affidata
agli apostoli si dilata in dimensione universale. Il gruppo fino
allora compatto si scioglie fisicamente parlando, ma non
affettivamente. Mentre il Redentore “parte” verso il cielo, gli
apostoli partono ciascuno in una direzione diversa dal punto di vista
geografico, ma profondamente in comunione tra loro e con Cristo. La
tradizione precisa quale sarebbe stata la meta di ciascuno: per
Pietro Antiochia e Roma, per Matteo l’Etiopia, per Tommaso l’India
e così via. Ma il pensiero va in particolare all’apostolo su cui
siamo informati con ricchezza di particolari, Paolo di Tarso,
l’infaticabile viaggiatore che portò il vangelo nell’attuale
Turchia, in Grecia e a Roma. E dopo di lui ringraziamo l’innumerevole
schiera di missionari che da venti secoli, con quanto eroismo molte
volte espresso dal martirio, continuarono e continuano l’opera
degli apostoli, per rendere partecipe il maggior numero possibile di
persone della vita buona, santa, vera e lieta che il Vangelo di Gesù
annuncia e realizza da due millenni. Come loro diventiamo missionari
della gioia, annunciando al mondo che Dio è comunione di amore
eterno, è gioia infinita che non rimane chiusa in se stessa, ma si
espande in quelli che Egli ama e che lo amano.
E’
davvero miracoloso il fatto che da undici uomini si sia potuto
sviluppare un “organismo”, il Corpo Mistico, in cui si sono
ritrovati e si ritrovano milioni e milioni di credenti. Umanamente
impossibile; la spiegazione sta nelle parole riportate: “Il Signore
agiva insieme con loro”. E con uno scopo ben preciso. Il gruppo
compatto, costituito da Gesù con i primi apostoli, non si è
sciolto, si è diffuso nel mondo intero. Non si sono dispersi: sono
uniti nella fede, nell’amore e nella speranza. La speranza, in
particolare, di ricomporsi in unità, al cospetto di Colui che tutti
ci ha preceduto presso il Padre suo e Padre nostro.
I
verbi utilizzati da Cristo per l’invio in missione mantengono la
loro attualità:
-
‘andare’ indica il dinamismo e il coraggio per immergersi
nelle sempre nuove situazioni del mondo;
-
‘proclamare il Vangelo’, perché i popoli diventino seguaci
non tanto di una dottrina, ma di una Persona;
-
‘credere’ all’annuncio di una fede, che comprende certo una
conoscenza delle sue verità e degli eventi della salvezza, ma che
soprattutto nasce da un vero incontro con Dio in Gesù Cristo,
dall’amarlo, dal dare fiducia a Lui, così che tutta la vita ne è
coinvolta.
-
‘battezzare’ segnala il sacramento che trasforma e inserisce
le persone nella vita trinitaria ed ecclesiale. Battesimo, il
sacramento che ci dona lo Spirito Santo, facendoci diventare figli di
Dio in Cristo, e segna l’ingresso nella comunità della fede, nella
Chiesa: non si crede da sé, senza il prevenire della grazia dello
Spirito; e non si crede da soli, ma insieme ai fratelli. “Con il
Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita
che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la
storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non
più in balìa del male, del peccato e della morte, ma nella
comunione con Dio e con i fratelli” (Papa Francesco, Udienza
Generale, 8 gennaio 2014).
3)
La missionarietà della Verginità.
È
bello riflettere sulle ultime parole di Gesù, mentre manda i Suoi a
predicare in mezzo a questo mondo che, anche se non appare, ha
bisogno di infinito, di verità, di amore, di speranza, di gioia che
il Cielo è ed ha.
E’
un compito che fa tremare anche noi, oggi, tanto è grande.
E’
un compito che sembra non da poveri essere umani quali noi siamo, ma
da Angeli, ecco perché Gesù assicura la Sua Presenza “operando
con noi e confermando la Sua Parola con i miracoli che
l’accompagnano” (cfr Mc 16,20).
E’
un compito per tutti i battezzati, perché grazie al Battesimo tutti
i cristiani diventano discepoli missionari e sono chiamati a portare
il Vangelo nel mondo.
Ma
qual è la modalità missionaria delle Vergini consacrate nel mondo?
E’ quella di essere icone, immagini viventi di Cristo vergine,
povero e obbediente (cfr Conc. Vat. II, Decreto sul rinnovamento
della vita religiosa, Perfectae Caritatis, 1) davanti alla
comunità ecclesiale e umana.
E
come possono “dipingere al vivo” Cristo?
Mediante
una comunione con Dio e con i fratelli e sorelle in umanità, che non
è diminuita ma accresciuta dalla solitudine in cui sono chiamate a
vivere. Le vergini sono tali e sono missionarie, se “usano” la
loro affettività e il loro corpo come lo ha usato Cristo: non per
possedere o per essere posseduti, ma per donare comunione a tutti
coloro che incontrano.
Insomma,
la singolare vocazione di vergini consacrate nel mondo indica una
chiara missione: esaltare la dignità della donna testimoniando,
nella vita del mondo in cui restano immerse, il senso pieno
dell’amore che hanno ricevuto da Cristo Gesù per donarlo ai loro
fratelli e sorelle in umanità.
1
Il
compito è quello di «predicare», un termine questo che merita una
spiegazione. Non significa semplicemente tenere una istruzione o una
esortazione o un sermone edificante. Il verbo «predicare» indica
l'annuncio di un evento, di una notizia, non di una dottrina. Si
tratta di una notizia decisiva: non è solo un'informazione, ma un
appello. Il Vangelo predicato diventa credibile e visibile dai segni
che il discepolo compie. Ma deve trattarsi di segni che lasciano
trasparire la potenza di Dio, non quella dell'uomo.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino,
vescovo di Ippona
Discorso
sull’Ascensione del Signore,
ed.
A. Mai, 98, 1-2; PLS 2, 494-495
Nessuno
è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è
disceso dal cielo.
Oggi
nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il
nostro cuore.
Ascoltiamo
l'apostolo Paolo che proclama: «Se siete risorti con Cristo, cercate
le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio.
Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2).
Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi
già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora
avverato ciò che ci è promesso.
Cristo
è ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte
le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede
assicurazione facendo sentire quel grido: «Saulo, Saulo, perché mi
perseguiti?» (At 9, 4). E così pure: «Io ho avuto fame e mi avete
dato da mangiare»(Mt 25, 35).
Perché
allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da
riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro
Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo,
infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi,
similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può
assumere questo comportamento in forza della sua divinità e
onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri
divini, ma per l'amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il
cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi,
quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà
testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è
mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il
Figlio dell'uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3, 13).
Questa
affermazione fu pronunciata per sottolineare l'unità tra lui nostro
capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se
non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il
Figlio dell'uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui.
Così
si esprime l'Apostolo parlando di questa realtà: «Come infatti il
corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur
essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1 Cor
12,12). L'Apostolo non dice: «Così Cristo», ma sottolinea: «Così
anche Cristo». Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo.
Perciò
egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se
non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così
non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non
perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché
l'unità del corpo non sia separata dal capo.
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