venerdì 8 maggio 2015

Amore reciproco, ma asimmetrico

VI Domenica di Pasqua - Anno B – 10 maggio 2015
 
Rito Romano
At 10,25-27.34-35.44-48; Sal 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17

Rito Ambrosiano
At 26, 1-23; Sal 21; 1Cor 15, 3-11; Gv 15, 26-16, 4


1) L’amore dono di sé stessi senza misura.
“Dio è amore” e questo Amore è il centro della fede cristiana. E’ questa la grande rivelazione che sta al centro dei due testi di Giovanni (1 Gv 4,7-10; Gv 15,9-17) che ci sono proposti dalla Liturgia in questa sesta domenica di Pasqua: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16) e porta frutto: cioè porta Cristo e la sua gioia.
La Liturgia di oggi ci invita a percorrere l’esodo interiore (uscire da sé stessi attraverso l’interiore di se stessi, dicevano alcuni Padri della Chiesa), facendoci pellegrini dell’Amore mediante la preghiera di un cuore in ascolto e lasciando le tante cose superflue che rischiano di farci perdere l’essenziale: Dio e il suo amore.
Il comando dell’amore – che apre (v. 12) e chiude (v. 17) il passo evangelico di questa domenica– trova in Gesù la sua ragione. La ragione di questo amore è data dal fatto che, se possiamo amarci fra noi, è perché Lui per primo ci ha amati: “Come1 io ho amato voi… amatevi gli uni gli altri”.
Con il comando dell’amore, oltre a rivelarsi come ragione (logos) dell’Amore, il Figlio di Dio si propone come modello, norma, fonte e misura: “Come io ho amato voi”.
Come modello, perché ci dà l’esempio di vita donata per amore per assomigliargli, vivendo l’amore reciproco, accogliendo l’altro e praticando la misericordia.
Come norma, perché il Cristo si propone come Via. Intraprendere questa Via come norma non ha il senso del fare un viaggio verso qualcosa, ma del procedere con Qualcuno, della sequela personale segnata dalla logica della croce.
Come fonte, perché coscienti che senza di Lui non possiamo fare niente, attingiamo da Lui la grazia per amare e sapere quindi donarsi per donare la vita non solo come Lui, ma con Lui.
Come misura smisurata, perché ci insegna che nell’amore vero non c’è nessuna misura al dono di sé. “La carità di Cristo, accolta con cuore aperto, ci cambia, ci trasforma, ci rende capaci di amare non secondo la misura umana, sempre limitata, ma secondo la misura di Dio. E qual è la misura di Dio? Senza misura! La misura di Dio è senza misura” (Papa Francesco).

2) Il nuovo nome di discepoli: AMICI.
Come conseguenza logica all’affermazione “Come io ho amato voi” ci saremmo aspettati una frase di questo tipo: “Così voi amate me”. Invece Gesù dice ai suoi discepoli ad amarsi vicendevolmente: “Amatevi gli uni gli altri”. Cristo “comanda” ai suoi discepoli un amore che tende alla reciprocità. Naturalmente se questo amore vuole somigliare a quello di Cristo, deve nascere da una gratuità. Nell’amore di Gesù la dimensione della gratuità è fondamentale ed anche il nostro amore deve averla. L'amore di Gesù non vuole possedere il discepolo. Il Redentore invita ad un amore vicendevole: “Amatevi reciprocamente”, perché il vero amore è missionario e fecondo. Cristo spinge ad un esodo d’amore, che spinge verso gli altri. E’ offrendo amore ai fratelli che si ricambia quello di Gesù.
L’altro è una grazia inevitabile, che se l’accogliamo fa maturare il nostro cuore, dilatandolo. L’altro, accolto da me, proclama in me la vittoria dell’amore.
L’amore di Gesù, ragione, modello, norma, fonte e misura dell’amore verso l’altro, è un amore di amicizia, dunque un rapporto fiducioso fra persone, un dialogo fraterno.
Almeno tre sono le caratteristiche di questo rapporto d’amicizia: la totale dedizione (“Nessun amore è più grande di chi dà la vita per i suoi amici”); la confidente familiarità (“Vi ho confidato tutto ciò che ho ascoltato dal Padre mio”); la scelta vocazionale, che è predilezione gratuita (“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi).
In quanto destinatari di questa predilezione, i discepoli sono “elevati” al rango di amici, che hanno fatto e fanno esperienza dell’amore di Cristo, che ha detto e messo in pratica questa affermazione: “Non c’è amore più grande che dare la vita per gli amici”. Che cosa vuole dire ciò? Molto semplicemente vuol dire che noi siamo inclusi nella carità del Cuore di Cristo. Significa che noi siamo amati da Cristo e che, se l’amore è un esodo da sé, per comprenderne le esigenze dobbiamo uscire da noi e metterci nel Cuore del Signore e, poi, domandarci come ci ama e cosa attende da noi. Il comando dell’amore implica la “necessità” di volere per noi il bene che Lui ci vuole, il dovere di amare noi stessi e di amare gli altri come li ama Lui.
3) Amore reciproco: l’amicizia.
Parlando di amicizia, Gesù insiste sulla reciprocità dell'amore. Infatti, in che senso l’amicizia è distinguibile dall'amore? Nel senso che l'amicizia è un amore reciproco. Secondo Sant’Agostino non c’è amicizia senza reciprocità, che però non è un calcolo, perché nella vera amicizia non c’è pretesa. Infatti, a modello e fondamento dell’amore reciproco, cioè dell’amicizia, Cristo pone il “come io ho amato voi”, cioè la Croce, dunque la gratuità.
La reciprocità cristiana nasce dalla gratuità, che non vuol dire “prestazione non pagata, fatta senza un motivo”, ma fatta con il più grande dei motivi: l’amore.
L’amore cristiano è reciproco, ma asimmetrico: il dare e il ricevere non sono sullo stesso piano. La reciprocità evangelica non è il semplice scambio. La nota che la caratterizza è la gratuità che è la verità dell'amore di Dio, ed al tempo stesso la verità del nostro amore. Certo l’amore – quello di Dio come quello dell'uomo – tende alla reciprocità: la costruisce. Ma la reciprocità non è la sua radice né la sua misura. Se ami solo nella misura in cui sei ricambiato, il tuo non è vero amore. E se sei amato solo nella misura in cui dai, non ti senti veramente amato. Soltanto chi comprende questa gratuità nativa, originaria, dell'amore, è in condizione di comprendere Dio e se stesso. L’uomo, immagine e somiglianza di Dio, è fatto per donarsi gratuitamente, totalmente: quindi, nel farsi gratuità, trova la verità di se stesso e manifesta il suo essere “immagine di Dio”.
Un esempio di come vivere questo amore -reciproco e asimmetrico- ci viene dalle Vergini consacrate nel mondo.
Questa esemplarità nasce, come si sa, dalla carità, dall'osservanza regolare, dalla disponibilità al servizio della Chiesa, che è il Corpo di Cristo. Dalla carità, poi, nasce l'imitazione. “Se amiamo veramente, imitiamo: non possiamo rendere un frutto migliore dell'amore che mostrando l'esempio dell'imitazione” (S. Agostino, Sermone, 304, 2,2). Per questo S. Agostino esorta particolarmente le vergini consacrate a salire su su per i gradi delle beatitudini, imitando in ciascuno di essi le corrispondenti virtù di Cristo. “Beati i poveri di spirito! Imitate colui che, essendo ricco, si è fatto povero per voi (Cfr 2 Cor 8,9). Beati i miti! Imitate colui che disse: “Imparate da me, perché sono mite ed umile di cuore” (Mt 11, 29) … Imitate colui che disse: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4, 34)… Beati i puri di cuore! Imitate colui che non commise peccato e sulla cui bocca non si è trovato inganno (1 Pt 2,22). Beati i pacifici! Imitate colui che pregò per i suoi carnefici: Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Beati i perseguitati per amore della giustizia! Imitate colui che patì per voi, lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme (1 Pt 2, 21). Coloro che imitano l’Agnello in queste virtù, in queste stesse ne seguono le orme” (S. Agostino, De S. Virg. 28, 28)
Le vergini consacrate, inoltre, seguono, cioè imitano l'Agnello nello splendore della verginità. “Voi dunque - dice loro S. Agostino - seguite l'Agnello conservando con perseveranza ciò che avete consacrato a Lui con ardore” (ibid, 29,29).
Le vergini consacrate testimoniano che il fondamento dell'amicizia è l'amore di Dio al quale loro si sono consacrate totalmente. S. Agostino dice: “Ama veramente l'amico chi ama Dio nell'amico o perché Dio è in lui o perché sia in lui” (Serm. 3, 6, 2). Ne segue che l'amicizia vera è è quella che Dio annoda con la sua grazia. “Non c’è vera amicizia - scrive questo grande Santo nelle Confessioni - se non quando l'annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell'amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato(Conf. 4,4,7).

1 L'avverbio come, nel testo originario del Vangelo: kathós, in greco non esprime solo un paragone, ma anche il fondamento e l’origine: l’amore di Cristo è norma e fondamento di ogni amore. Il brano evangelico potrebbe essere tradotto anche con questa parafrasi: “Per il fatto che io vi ho amato così, che siete stati chiamati dentro il mio amore concreto, amatevi anche voi con questo amore dal quale siete stati chiamati e costituiti, e nel quale esistete. Lasciate che l’amore che ho effuso in voi, con il quale vi faccio vivere e guardare alla realtà, arrivi all’altro, chiunque esso sia”.

Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 -430)
De Trinititate, 14, 17, 23

L’immagine si rinnova avvicinandosi progressivamente a Dio

       Certo, il rinnovamento di cui ora si parla, non si compie istantaneamente con la conversione stessa, come il rinnovamento del Battesimo si compie istantaneamente con la remissione di tutti i peccati, senza che rimanga da rimettere la più piccola colpa. Ma come una cosa è non avere più la febbre, altra cosa ristabilirsi dalla debolezza causata dalla febbre, ancora come una cosa è estrarre il dardo conficcato nel corpo, altra cosa poi guarire con un’altra cura la ferita procurata dal dardo; così la prima cura consiste nel rimuovere la causa della malattia, ciò che avviene con il perdono di tutti i peccati, la seconda nel curare la malattia stessa, ciò che avviene a poco a poco progredendo nel rinnovamento di questa immagine. Questi due momenti sono indicati nel Salmo in cui si legge: "Egli perdona tutte le tue iniquità", ciò che si attua nel Battesimo; poi il Salmo continua: "Egli guarisce tutte le tue malattie" (Ps 102,3), ciò che si attua con i progressi quotidiani, quando si rinnova questa immagine. Di questo rinnovamento parla assai chiaramente l’Apostolo quando dice: "Quantunque il nostro uomo esteriore vada deperendo, quello interiore però si rinnova di giorno in giorno" (2Co 4,16). Ora "si rinnova nella conoscenza di Dio" (Col 3,10), cioè "nella vera giustizia e santità" (Ep 4,24), secondo i termini usati dall’Apostolo nelle testimonianze che ho riportato un po’ più sopra. Dunque colui che di giorno in giorno si rinnova progredendo nella conoscenza di Dio e nella vera giustizia e santità, trasporta il suo amore dalle cose temporali alle cose eterne, dalle cose sensibili alle intelligibili, dalle carnali alle spirituali e si dedica con cura a separarsi dalle cose temporali, frenando ed indebolendo la passione, e ad unirsi con la carità a quelle eterne. Non gli è possibile però questo che nella misura in cui riceve l’aiuto di Dio. E Dio che l’ha detto: "Senza di me non potete far nulla" (Jn 15,5). Chiunque l’ultimo giorno di questa vita sorprenda in tale progresso e accrescimento, e nella fede nel Mediatore, questi sarà accolto dai santi Angeli per essere condotto a Dio che ha onorato e per ricevere da lui la sua perfezione, alla fine dei tempi gli sarà dato un corpo incorruttibile per non essere destinato alla sofferenza, ma alla gloria. In questa immagine sarà perfetta la somiglianza di Dio (Gn 5,1 Jc 3,9), quando sarà perfetta la visione di Dio. Di questa visione l’apostolo Paolo dice: "Ora vediamo per mezzo di uno specchio in enigma, ma allora a faccia a faccia" (1Co 13,12). Egli dice pure: "Noi che, a faccia velata, rispecchiamo la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, in conformità all’operazione del Signore che è spirito" (2Co 3,18). E questo che si realizza in coloro che progrediscono di giorno in giorno nel bene.

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