VI Domenica di Pasqua -
Anno B – 10 maggio 2015
Rito Romano
At
10,25-27.34-35.44-48; Sal 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17
Rito Ambrosiano
At
26, 1-23; Sal 21; 1Cor 15, 3-11; Gv 15, 26-16, 4
1) L’amore
dono di sé stessi senza misura.
“Dio è amore” e
questo Amore è il centro della fede cristiana. E’ questa la grande
rivelazione che sta al centro dei due testi di Giovanni (1 Gv
4,7-10; Gv 15,9-17) che ci sono proposti dalla Liturgia in
questa sesta domenica di Pasqua: “Dio è amore; chi sta nell’amore
dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16) e porta
frutto: cioè porta Cristo e la sua gioia.
La Liturgia di oggi ci
invita a percorrere l’esodo interiore (uscire da sé stessi
attraverso l’interiore di se stessi, dicevano alcuni Padri della
Chiesa), facendoci pellegrini dell’Amore mediante la preghiera di
un cuore in ascolto e lasciando le tante cose superflue che
rischiano di farci perdere l’essenziale: Dio e il suo amore.
Il comando dell’amore
– che apre (v. 12) e chiude (v. 17) il passo evangelico di questa
domenica– trova in Gesù la sua ragione. La
ragione di questo amore è data dal fatto che, se possiamo amarci fra
noi, è perché Lui per primo ci ha amati: “Come1
io ho amato voi… amatevi gli uni gli altri”.
Con il comando
dell’amore, oltre a rivelarsi come ragione (logos)
dell’Amore, il Figlio di Dio si propone come
modello, norma, fonte e misura:
“Come io ho amato voi”.
Come modello,
perché ci dà l’esempio di vita donata per amore per
assomigliargli, vivendo l’amore reciproco, accogliendo l’altro e
praticando la misericordia.
Come norma,
perché il Cristo si propone come Via. Intraprendere questa Via come
norma non ha il senso del fare un viaggio verso qualcosa, ma del
procedere con Qualcuno, della sequela personale segnata dalla logica
della croce.
Come
fonte,
perché coscienti che senza di Lui non possiamo fare niente,
attingiamo da Lui la grazia per amare e sapere quindi donarsi per
donare la vita non solo come Lui, ma con Lui.
Come
misura smisurata,
perché ci insegna che nell’amore vero non c’è nessuna misura al
dono di sé. “La carità di Cristo,
accolta con cuore aperto, ci cambia, ci trasforma, ci rende capaci di
amare non secondo la misura umana, sempre limitata, ma secondo la
misura di Dio. E qual è la misura di Dio? Senza misura! La misura di
Dio è senza misura” (Papa Francesco).
2) Il nuovo nome
di discepoli: AMICI.
Come
conseguenza logica all’affermazione “Come io ho amato voi” ci
saremmo aspettati una frase di questo tipo: “Così voi amate me”.
Invece Gesù dice ai suoi discepoli ad amarsi vicendevolmente:
“Amatevi gli uni gli altri”. Cristo “comanda” ai suoi
discepoli un amore che tende alla reciprocità. Naturalmente se
questo amore vuole somigliare a quello di Cristo, deve nascere da una
gratuità. Nell’amore di Gesù la dimensione della gratuità è
fondamentale ed anche il nostro amore deve averla. L'amore di Gesù
non vuole possedere il discepolo. Il Redentore invita ad un amore
vicendevole: “Amatevi reciprocamente”, perché il vero amore è
missionario e fecondo. Cristo spinge ad un esodo d’amore, che
spinge verso gli altri. E’ offrendo amore ai fratelli che si
ricambia quello di Gesù.
L’altro
è una grazia inevitabile, che se l’accogliamo fa maturare il
nostro cuore, dilatandolo. L’altro, accolto da me, proclama in me
la vittoria dell’amore.
L’amore
di Gesù, ragione, modello, norma,
fonte e misura dell’amore verso l’altro, è un amore
di amicizia, dunque un rapporto fiducioso fra persone, un dialogo
fraterno.
Almeno tre sono le
caratteristiche di questo rapporto d’amicizia: la totale dedizione
(“Nessun amore è più grande di chi dà la vita per i suoi
amici”); la confidente familiarità (“Vi ho confidato tutto ciò
che ho ascoltato dal Padre mio”); la scelta vocazionale, che è
predilezione gratuita (“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto
voi).
In quanto destinatari
di questa predilezione, i discepoli sono “elevati” al rango di
amici, che hanno fatto e fanno esperienza dell’amore di Cristo, che
ha detto e messo in pratica questa affermazione: “Non c’è amore
più grande che dare la vita per gli amici”. Che cosa vuole dire
ciò? Molto semplicemente vuol dire che noi siamo inclusi nella
carità del Cuore di Cristo. Significa che noi siamo amati da Cristo
e che, se l’amore è un esodo da sé, per comprenderne le esigenze
dobbiamo uscire da noi e metterci nel Cuore del Signore e, poi,
domandarci come ci ama e cosa attende da noi. Il comando dell’amore
implica la “necessità” di volere per noi il bene che Lui ci
vuole, il dovere di amare noi stessi e di amare gli altri come li ama
Lui.
3) Amore
reciproco: l’amicizia.
Parlando di amicizia,
Gesù insiste sulla reciprocità dell'amore. Infatti, in che senso
l’amicizia è distinguibile dall'amore? Nel senso che l'amicizia è
un amore reciproco. Secondo Sant’Agostino non c’è amicizia senza
reciprocità, che però non è un calcolo, perché nella vera
amicizia non c’è pretesa. Infatti, a modello e fondamento
dell’amore reciproco, cioè dell’amicizia, Cristo pone il “come
io ho amato voi”, cioè la Croce, dunque la gratuità.
La reciprocità
cristiana nasce dalla gratuità, che non vuol dire “prestazione non
pagata, fatta senza un motivo”, ma fatta con il più grande dei
motivi: l’amore.
L’amore cristiano è
reciproco, ma asimmetrico: il dare e il ricevere non sono sullo
stesso piano. La reciprocità evangelica non è il semplice scambio.
La nota che la caratterizza è la gratuità che è la verità
dell'amore di Dio, ed al tempo stesso la verità del nostro amore.
Certo l’amore – quello di Dio come quello dell'uomo – tende
alla reciprocità: la costruisce. Ma la reciprocità non è la sua
radice né la sua misura. Se ami solo nella misura in cui sei
ricambiato, il tuo non è vero amore. E se sei amato solo nella
misura in cui dai, non ti senti veramente amato. Soltanto chi
comprende questa gratuità nativa, originaria, dell'amore, è in
condizione di comprendere Dio e se stesso. L’uomo, immagine e
somiglianza di Dio, è fatto per donarsi gratuitamente, totalmente:
quindi, nel farsi gratuità, trova la verità di se stesso e
manifesta il suo essere “immagine di Dio”.
Un esempio di come
vivere questo amore -reciproco e asimmetrico- ci viene dalle Vergini
consacrate nel mondo.
Questa esemplarità
nasce, come si sa, dalla carità, dall'osservanza regolare, dalla
disponibilità al servizio della Chiesa, che è il Corpo di Cristo.
Dalla carità, poi, nasce l'imitazione. “Se amiamo veramente,
imitiamo: non possiamo rendere un frutto migliore dell'amore che
mostrando l'esempio dell'imitazione” (S. Agostino, Sermone,
304, 2,2). Per questo
S. Agostino esorta particolarmente le vergini consacrate a salire su
su per i gradi delle beatitudini, imitando in ciascuno di essi le
corrispondenti virtù di Cristo. “Beati i poveri di spirito!
Imitate colui che, essendo ricco, si è fatto povero per voi (Cfr 2
Cor 8,9). Beati i miti! Imitate colui che disse: “Imparate da
me, perché sono mite ed umile di cuore” (Mt 11, 29) …
Imitate colui che disse: “Il mio cibo è fare la volontà di colui
che mi ha mandato” (Gv 4, 34)… Beati i puri di cuore!
Imitate colui che non commise peccato e sulla cui bocca non si è
trovato inganno (1 Pt 2,22). Beati i pacifici! Imitate colui
che pregò per i suoi carnefici: Padre perdona loro, perché non
sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Beati i perseguitati per
amore della giustizia! Imitate colui che patì per voi, lasciandovi
un esempio affinché ne seguiate le orme (1 Pt 2, 21). Coloro che
imitano l’Agnello in queste virtù, in queste stesse ne seguono le
orme” (S. Agostino, De S. Virg. 28, 28)
Le vergini consacrate,
inoltre, seguono, cioè imitano l'Agnello nello splendore della
verginità. “Voi dunque - dice loro S. Agostino - seguite l'Agnello
conservando con perseveranza ciò che avete consacrato a Lui con
ardore” (ibid, 29,29).
Le vergini consacrate
testimoniano che il fondamento dell'amicizia è l'amore di Dio al
quale loro si sono consacrate totalmente. S. Agostino dice: “Ama
veramente l'amico chi ama Dio nell'amico o perché Dio è in lui o
perché sia in lui” (Serm. 3, 6, 2). Ne segue che l'amicizia
vera è è quella che Dio annoda con la sua grazia. “Non c’è
vera amicizia - scrive questo grande Santo nelle Confessioni
- se non quando l'annodi tu fra persone a te strette col vincolo
dell'amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che
ci fu dato” (Conf. 4,4,7).
1 L'avverbio come,
nel testo originario del Vangelo: kathós,
in greco non esprime solo un paragone, ma anche il
fondamento e l’origine: l’amore
di Cristo è norma e fondamento di ogni amore.
Il brano evangelico potrebbe essere tradotto anche con questa
parafrasi: “Per il fatto che io vi ho amato così, che siete stati
chiamati dentro il mio amore concreto, amatevi anche voi con questo
amore dal quale siete stati chiamati e costituiti, e nel quale
esistete. Lasciate che l’amore che ho effuso in voi, con il quale
vi faccio vivere e guardare alla realtà, arrivi all’altro,
chiunque esso sia”.
Lettura Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona (354 -430)
De Trinititate,
14, 17, 23
L’immagine si
rinnova avvicinandosi progressivamente a Dio
Certo,
il rinnovamento di cui ora si parla, non si compie istantaneamente
con la conversione stessa, come il rinnovamento del Battesimo si
compie istantaneamente con la remissione di tutti i peccati, senza
che rimanga da rimettere la più piccola colpa. Ma come una cosa è
non avere più la febbre, altra cosa ristabilirsi dalla debolezza
causata dalla febbre, ancora come una cosa è estrarre il dardo
conficcato nel corpo, altra cosa poi guarire con un’altra cura la
ferita procurata dal dardo; così la prima cura consiste nel
rimuovere la causa della malattia, ciò che avviene con il perdono di
tutti i peccati, la seconda nel curare la malattia stessa, ciò che
avviene a poco a poco progredendo nel rinnovamento di questa
immagine. Questi due momenti sono indicati nel Salmo in cui si legge:
"Egli
perdona tutte le tue iniquità",
ciò che si attua nel Battesimo; poi il Salmo continua: "Egli
guarisce tutte le tue malattie"
(Ps
102,3),
ciò che si attua con i progressi quotidiani, quando si rinnova
questa immagine. Di questo rinnovamento parla assai chiaramente
l’Apostolo quando dice: "Quantunque
il nostro uomo esteriore vada deperendo, quello interiore però si
rinnova di giorno in giorno"
(2Co
4,16).
Ora "si
rinnova nella conoscenza di Dio"
(Col
3,10),
cioè "nella
vera giustizia e santità"
(Ep
4,24),
secondo i termini usati dall’Apostolo nelle testimonianze che ho
riportato un po’ più sopra. Dunque colui che di giorno in giorno
si rinnova progredendo nella conoscenza di Dio e nella vera giustizia
e santità, trasporta il suo amore dalle cose temporali alle cose
eterne, dalle cose sensibili alle intelligibili, dalle carnali alle
spirituali e si dedica con cura a separarsi dalle cose temporali,
frenando ed indebolendo la passione, e ad unirsi con la carità a
quelle eterne. Non gli è possibile però questo che nella misura in
cui riceve l’aiuto di Dio. E Dio che l’ha detto: "Senza
di me non potete far nulla"
(Jn
15,5).
Chiunque l’ultimo giorno di questa vita sorprenda in tale progresso
e accrescimento, e nella fede nel Mediatore, questi sarà accolto dai
santi Angeli per essere condotto a Dio che ha onorato e per ricevere
da lui la sua perfezione, alla fine dei tempi gli sarà dato un corpo
incorruttibile per non essere destinato alla sofferenza, ma alla
gloria. In questa immagine sarà perfetta la somiglianza di Dio (Gn
5,1
Jc
3,9),
quando sarà perfetta la visione di Dio. Di questa visione l’apostolo
Paolo dice: "Ora
vediamo per mezzo di uno specchio in enigma, ma allora a faccia a
faccia"
(1Co
13,12).
Egli dice pure: "Noi
che, a faccia velata, rispecchiamo la gloria del Signore, siamo
trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, in
conformità all’operazione del Signore che è spirito"
(2Co
3,18).
E questo che si realizza in coloro che progrediscono di giorno in
giorno nel bene.
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