Rito Romano - Domenica
di Pasqua di Resurrezione – 5 aprile 2015.
At 10, 34a. 37-43; Sal
117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9 o Mc 16, 1 - 8
Rito Ambrosiano –
At 1,1-8a; Sal 117;
1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
- L’amore ha vinto: Cristo, il Principe della vita (At 3,15) è risorto.
E’ Pasqua.
In questo giorno di gioia facciamo nostra la preghiera di Papa
Francesco: “Che il Signore ci renda partecipi della sua
Risurrezione: ci apra alla sua novità che trasforma, alle sorprese
di Dio, tanto belle; ci renda uomini e donne capaci di fare memoria
di ciò che Egli opera nella nostra storia personale e in quella del
mondo; ci renda capaci di sentirlo come il Vivente, vivo ed operante
in mezzo a noi; ci insegni, cari fratelli e sorelle, ogni giorno a
non cercare tra i morti Colui che è vivo”, affinché in Lui e per
Lui possiamo vivere per sempre, nella consolazione e nella pace.
E’ Pasqua, lieto
giorno del Triduo Pasquale, l’ultimo dei tre giorni santi, in cui
la Chiesa fa memoria del mistero della passione, morte e risurrezione
di Gesù.
Il Giovedì Santo
abbiamo fatto memoria dell’Ultima Cena, nella quale Gesù, il vero
Agnello pasquale, offrì sé stesso per la nostra salvezza (cfr 1
Cor 5,7) offrendoci come cibo il suo corpo donato e come bevanda
il suo sangue versato.
Il Venerdì Santo,
abbiamo fatto memoria della passione e della morte del Signore Gesù.
Abbiamo adorato Cristo Crocifisso, partecipando alle sue sofferenze
con la penitenza e il digiuno. Volgendo “lo sguardo a colui che
hanno trafitto” (cfr Gv 19,37), abbiamo contemplato
l’immenso amore che Gesù ha per noi.
Ma non ci si è
fermati al Venerdì Santo, quando il Cristo, e con Lui l’amore e la
dedizione di Dio per noi, è stato picchiato e ucciso sulla Croce.
Non ci siamo fermati neppure al giorno del Sabato Santo, quando con
Cristo morto, il mondo diventò desolazione di morte e Dio tacque.
Nella notte del Sabato
Santo, abbiamo celebrato la Veglia Pasquale, nella quale ci è
annunciata la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva
sulla morte che ci chiede di essere in Lui uomini nuovi. “Io vivo e
voi vivrete” (Gv 14, 19)dice Gesù ai suoi discepoli,
quindi a noi. Grazie alla comunione esistenziale con Lui, grazie
all’essere inseriti in Lui, che è la Vita, noi vivremo oggi e per
l’eternità.
E’ arrivato il
giorno in cui il “morto” Gesù è diventato un ricordo del
passato. Cristo è risorto, vive per l’eternità e la morte è
stata sconfitta: Lui ha “il potere sopra la morte e sopra gli
inferi” (Ap 1. 18)
Nel giorno di Pasqua
facciamo memoria di Cristo risorto. E’ risorto Colui che – fino
alla fine - era rimasto sulla Croce per noi. E’ risorto Colui che
ora esiste e vive per noi e per noi “intercede fino alla fine”
(cfr Rm 8,34).
La Risurrezione di
Cristo è il varco aperto dall’amore che redime e assume su di sé
tutti i peccati. La risurrezione è la vittoria dell’amore
smisurato del Dio di misericordia sulla morte che Gesù, Agnello
innocente, ha patito.
L’Agnello di Dio,
immolato per i peccati del mondo, testimonia la verità grande e
bella di questo Amore che non ci costringe a seguirlo. Dio muore nel
Verbo incarnato per suscitare in noi una adesione completamente
libera al suo Amore. Niente è più convincente dell’amore
rivelato da Cristo in Croce, offerta divina per la nostra libertà.
Niente è più attraente di Gesù, Sole di Pasqua, che mostra le
piaghe ormai gloriose e chiama alla vera vita, effusa nei nostri
cuori come frutto del Suo completo dono di sé.
2) Tre fedeltà.
La Risurrezione mostra
che Dio vince sempre, ma con l’amore: un amore grazie al quale
Cristo dona la sua vita, muore al nostro posto perché noi viviamo
per sempre. Questo amore si
rivelò alle donne, che per prime andarono al sepolcro, perché erano
prime nell’amore e chi ama cerca perché la morte non uccide
l’amore.
La risurrezione è
anche il trionfo di tre fedeltà: quella del Padre che non abbandona
Gesù nella morte, quella di Gesù che non abbandona i discepoli
nella dispersione e quella delle donne che, di prima mattina vanno al
sepolcro. In queste donne c'era tristezza, perché credevano che la
loro grande avventura con Gesù fosse terminata e, prima di ritornare
alla vita precedente, andarono alla tomba perché l’amore fedele
continuava.
Spinte dall’amore
andarono alla tomba e la videro vuota dell’Amato. Cercavano Cristo
e incontrarono un Suo angelo (parola d’origine greca che vuol dire
messaggero). Questo messaggero angelico disse loro che Gesù, il
Crocifisso, era risorto. Queste donne, che erano rimaste fedeli
all’Amore che avevano visto morire, avrebbero dovuto gioire, invece
restarono impaurite e senza parole. San Marco (è il racconto
secondo questo Evangelista che si legge quest’anno) probabilmente
vuole dire che l’essere umano non soltanto ha paura della Croce, ma
anche di fronte all’evento, che la capovolge e la trasforma in vita
e gloria, resta stupito, immobile, come se non riuscisse a crederci.
“Voi cercate Gesù il Nazareno, il Crocifisso, è risorto” (Mc
16,6): un annuncio, questo, che attira l’attenzione sul Crocifisso.
La risurrezione è la manifestazione del senso vero, profondo e
misterioso del cammino terreno di Gesù, che trova il suo culmine
nella crocifissione. Fra i due momenti - il Gesù di Nazareth e il
Gesù risorto - vi è un rapporto di profonda continuità, come tra
ciò che è nascosto e ciò che è svelato. La Risurrezione è la
verità della Croce. Non è cambiato il volto della dedizione,
dell’amore e del servizio che Gesù ha mostrato nel suo cammino
terreno, ma è divenuto luminoso e vittorioso. Senza la memoria della
Croce la risurrezione perderebbe il suo significato.
La risurrezione di
Gesù non è semplicemente la notizia di una generica vittoria della
vita sulla morte. È una notizia molto più precisa: è l’Amore che
vince la morte.
La risurrezione di
Gesù inaugura un nuovo, preciso modo di vivere. Si tratta di una
notizia lieta e impegnativa. Di più: la Croce dice il volto nuovo
del Dio rivelato da Gesù: un volto rifiutato perché troppo distante
da come gli uomini lo pensano. Qui si apre lo spazio per quella
profonda conversione “teologica” a cui ogni cristiano è
invitato. Dio ha veramente il volto che Gesù ha rivelato: in questo
volto il Padre si è riconosciuto. È dunque la nostra immagine di
Dio che va cambiata.
“Egli vi precede in
Galilea, là lo vedrete, come vi ha detto” (16,7). Gesù, appena
risorto, pensa ai discepoli. Lo hanno abbandonato, ma per lui sono
sempre i “suoi discepoli”.
Di fronte alla novità,
come gli apostoli, spesso abbiamo un momento di smarrimento: «spesso
preferiamo tenere le nostre sicurezze». “Abbiamo paura delle
sorprese di Dio”. Anche quando si tratta di Gesù Cristo, abbiamo
paura della Resurrezione perché, se crediamo veramente che sia
risorto, allora la nostra vita cambia. Dunque preferiamo “fermarci
ad una tomba, al pensiero verso un defunto, che alla fine vive solo
nel ricordo della storia come i grandi personaggi del passato”.
Questo è il vero
appello della Pasqua: “Non chiudiamoci alla novità che Dio vuole
portare nella nostra vita! Siamo spesso stanchi, delusi, tristi,
sentiamo il peso dei nostri peccati, pensiamo di non farcela. Non
chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci
mai: non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è
peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui” (Papa
Francesco, Pasqua 2013).
Le “pie” donne che
per prime andarono al sepolcro al levar del sole, ebbero la reazione
di paura trasformata in fiducia, l’istinto di fuga divenne sequela,
il loro silenzio di fece annuncio e la loro vita venne trasfigurata.
Andiamo anche noi da
Cristo risorto ed anche per noi la paura si trasformerà in fiducia,
la fuga si convertirà in sequela, e il silenzio diventerà stupito
annuncio di una Presenza incontrata.
Un esempio particolare
di come oggi si possano imitare le donne fedeli che andarono alla
tomba e furono le prime portatrici del vangelo della Risurrezione
sono le Vergini consacrate nel mondo.
Il loro essersi donate
completamente a Cristo, al quale hanno aderito come unico, indiviso
amore, testimonia la fede nella Risurrezione dello Sposo regale e
eterno. Il Signore Gesù nel vangelo presenta se stesso come lo Sposo
( Mt 9, 14-15, e par.), a cui si deve andare incontro (Mt 25, 1-13,
qui 6), nella vigilanza continua. Sono nozze d’amore e dunque di
Sangue, consumate, cioè portate a pienezza sulla Croce, l’Albero
della Vita. Le vergini consacrate rispondendo di sì al Vescovo che
ha chiesto loro: “Volete essere consacrate con solenne rito nuziale
a Cristo , Figlio di Dio e nostro Signore?” (Rituale della
Consacrazione delle Vergini, n. 30), hanno accolto la chiamata a
crescere ogni giorno di più nel loro rapporto con il Signore,
accogliendo con fiducia il progetto di Dio nell’ordinarietà della
vita quotidiana.
Lettura Patristica
San Massimo di Torino
Sermone 53, 1,
2, 4
CCL 23, 214-216.
Pasqua: giorno senza
tramonto
Tutta la creazione è
invitata ora ad esultare e a gioire, perché la resurrezione di
Cristo ha spalancato le porte degli inferi, i nuovi battezzati hanno
rinnovato la terra e lo Spirito Santo apre il cielo. L'inferno, a
porte spalancate, lascia uscire i morti, dalla terra rimessa a nuovo
germogliano i resuscitati, il cielo aperto accoglie coloro che ad
esso salgono. Il ladrone è asceso in paradiso, i corpi dei santi
hanno accesso alla città santa, i morti ritornano presso i vivi. In
virtù di una specie di sviluppo della resurrezione di Cristo, tutti
gli elementi son portati verso l'alto. L'inferno lascia risalire alla
sommità quelli che deteneva, la terra invia verso il cielo coloro
che aveva sepolto, il cielo presenta al Signore coloro che accoglie.
Con un unico e medesimo movimento, la passione del Salvatore ci fa
risalire dai bassifondi, ci solleva dalla terra e ci colloca nei
cieli. La resurrezione di Cristo è vita per i defunti, perdono per i
peccatori e gloria per i santi. Quando Davide dice che bisogna
esultare e rallegrarci in questo giorno che il Signore fece (cf. Sal.
117, 24), egli esorta tutta la creazione a festeggiare la
resurrezione di Cristo.
La luce di Cristo è un giorno senza notte,
un giorno senza fine. Ovunque risplende, ovunque irraggia, ovunque è
senza tramonto. Che cosa sia questo giorno di Cristo, ce lo dice
l'Apostolo: La notte è già "inoltrata, il giorno s'avvicina
(Rom. 13, 12). La notte è già inoltrata, non ritornerà più.
Comprendilo: una volta apparsa la luce di Cristo, le tenebre del
demonio si sono date alla fuga e l'oscurità del peccato non ritorna
più; le foschie del passato sono disciolte dallo splendore eterno.
Infatti il Figlio è questa stessa luce cui il giorno, suo Padre, ha
comunicato l'intimo segreto della sua divinità (cf. Sal. 18, 3).
Egli è la luce che ha detto per bocca di Salomone: Feci levare nel
cielo una luce senza declino (Eccli. 24, 6). Come la notte non può
succedere al giorno celeste, così le tenebre non possono succedere
alla giustizia di Cristo. Il giorno celeste risplende, scintilla e
sfolgora senza posa, e non può essere coperto da oscurità alcuna.
La luce di Cristo splende, brilla e irraggia senza sosta, e non può
essere coperta dalle ombre del peccato; da cui le parole
dell'evangelista Giovanni: La luce risplende fra le tenebre; ma le
tenebre non l'hanno ricevuta (Gv. 1, 5).
Questa è la ragione per
cui, fratelli, noi tutti dobbiamo esultare in questo santo giorno.
Nessuno si sottragga alla gioia comune a causa della consapevolezza
dei propri peccati; nessuno si allontani dalle preghiere del popolo
di Dio, a causa del peso dei propri errori. In questo giorno tanto
privilegiato nessun peccatore deve perdere la speranza del perdono.
perché. se il ladrone ha ricevuto la grazia del paradiso, come potrà
mai il cristiano non avere quella del perdono?
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