III
domenica di Pasqua – Anno B – 19 aprile 2015
Rito
romano
At
3,13-15.17-19; Sal 4; 1 Gv 2,1-5; Lc 24,35-48
Rito
ambrosiano
At
16, 22-34; Col 1, 24-29; Gv 14, 1-11a.
1)
Un cammino di misericordia: da Emmaus a Gerusalemme
Domenica scorsa
abbiamo celebrato la divina Misericordia. E anche oggi la pagina del
vangelo di Luca che la liturgia ci propone, sottolinea come essere
testimoni della risurrezione del Signore voglia dire annunciare la
conversione e il perdono. Viviamo la misericordia allora come
riflesso della Risurrezione, e come occasione di conoscenza di Dio e
del suo infinito amore, riconoscendoci deboli, fragili, miseri, ed è
appunto nella nostra miseria che ci sentiamo accolti dal Dio
misericordioso.
Domenica scorsa,
abbiamo contemplato Gesù che guardava Tommaso
con i suoi occhi pieni di misericordia. Le letture della Messa di
oggi ci fanno contemplare un crescendo di misericordia: gli
Atti degli Apostoli ci dicono come condizione necessaria per il
perdono sia la conversione, Giovanni nella sua lettera ci dice come
se qualcuno che ha peccato può trovare in Gesù un avvocato,
qualcuno che invece di chiedere il resoconto del male fatto dall’uomo
offre la vita per l’uomo, e la offre non soltanto per chi crede in
lui, ma anche per il mondo, cioè per tutti gli uomini, anche i più
distanti da lui. Il Vangelo lega in modo strettissimo l’essere
testimoni del risorto con la predicazione della conversione ed il
perdono.
La Chiesa è nata dal
cuore trafitto di Cristo1
e San Tommaso, perdonato della sua incredulità, ebbe l’impegnativo
dono di mettere la sua mano nel costato e di arrivare vicino al Cuore
del Crocifisso risorto. Toccò l’uomo e riconobbe Dio, che gli
manifestava ancora una volta la Sua misericordia.
La sua conversione non
fu tanto un movimento esteriore, quanto un cammino interiore come
aveva fatto la Maddalena, quando nel giardino dove c’era il
sepolcro vuoto, si voltò indietro e vide Gesù che stava vicino a
lei in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Alla domanda “Donna,
perché piangi? Chi cerchi?”. Lei, pensando che fosse il custode
del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi
dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse:
«Maria!». Lei allora, voltatasi verso di lui, gli disse:
“Rabbunì!”, che significa: Maestro!
Questo episodio
evangelico descrive in che cosa consiste la conversione. San Giovanni
dice che Maria di Magdala si volta verso Gesù due volte... E’ già
girata verso di lui, che senso ha allora il secondo voltarsi verso di
lui? E’ un volgersi interiore, è quel cambiamento che avviene in
noi e che rende gli occhi del cuore capaci di riconoscere la presenza
nuova del Signore Risorto. Mi pare che sia questo il cammino di
conversione: per poter ricevere il perdono è necessario orientare la
propria vita a colui che ha annunciato, vissuto, dato il perdono. In
fondo credo che proprio perché avvenga questo riconoscimento Gesù
insiste così tanto nel dire: Sono proprio io!
Bellissimo
che il riconoscimento avvenga ancora una volta attraverso la voce che
chiama: “Maria”, la voce che spiega le Scritture lungo il cammino
verso Emmaus, le mani che spezzano il pane, eucaristicamente. Grazie
a questo incontro, i due discepoli che hanno ricevuto, accolto
Cristo, che ha camminato e mangiato con loro, si affrettano a tornare
a Gerusalemme. Vi tornano per annunciare il Vangelo di misericordia:
Cristo è davvero risorto e si è fatto compagno della loro miseria.
2) Testimoni del
Misericordioso.
Nel Vangelo di
oggi, San Luca rivela un’evidente preoccupazione apologetica, e
cioè quella di affermare la realtà e la concretezza della
risurrezione. Gesù risorto ha un vero corpo. Entra di nuovo nel
Cenacolo saluta, domanda e rimprovera, invita a rendersi conto della
sua verità, mostra le mani e i piedi e, infine, mangia davanti ai
discepoli.
Questi hanno una
reazione umanamente comprensibile: sono sconcertati, impauriti,
turbati, dubbiosi, stupiti e increduli. Sono anche presi dalla gioia,
che se pure in modo diverso dalla paura, rende increduli: “Ancora
non credevano per la gioia”. Dopo la risurrezione, i discepoli
restarono dubbiosi e increduli, sia perché si trovavano davanti a un
fatto assolutamente nuovo, sia perché si imbattono in una sorpresa
troppo bella, desiderata, preannunciata da Cristo ma da loro ritenuta
impossibile.
Finalmente, grazie
alla riconoscenza (gratitudine) per l’amore manifestato
dalle piaghe gloriose, dal pane eucaristicamente spezzato ad Emmaus,
dalla pace effusa su di loro nel Cenacolo, i discepoli hanno
riconosciuto che Cristo era davvero risorto e sentirono il
“dovere” di testimoniarLo.
Visitati da Cristo che
si manifestò loro con segni di misericordia, i discepoli hanno
creduto al suo Amore appassionato, di cui Lui ha dato prova
affrontando la passione, ha mostrando le ferite d’amore: le
stigmate. Fu quindi naturale per loro seguire l’invito di diventare
testimoni appassionati di questo amore. Perché l’amore si “paga”
con l’amore.
Di conseguenza, la
testimonianza della risurrezione di Cristo è efficace e credibile
solo se anche noi, discepoli del Risorto, mostriamo al mondo le
nostre mani e i nostri piedi segnati da opere di amore, dalle opere
di misericordia.
Le tre letture della
Messa di questa domenica sono unite da questo filo rosso: la
conversione e il perdono dei peccati. Ambedue –conversione e
perdono- hanno la loro radice nella Pasqua di Gesù e sono parte
essenziale dell’annuncio missionario della Chiesa, come ha pure
ricordato Papa Francesco nella Bolla di indizione dell’Anno della
Misericordia (11 aprile 2015) . Negli Atti degli Apostoli, il giorno
di Pentecoste San Pietro dichiara nella piazza pubblica:
“Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i
vostri peccati” (At 3,19, Prima Lettura). L’Apostolo esorta in
modo paterno i “figlioli” a non peccare, ma se ciò capitasse,
ricorda che c'è sempre una tavola di misericordia: “abbiamo un
avvocato... Gesù Cristo il giusto... vittima di espiazione per i
peccati di tutto il mondo” (1 Gv, 2,1-2, Seconda Lettura).
Nella terza lettura,
presa dal Vangelo di San Luca “la conversione e il perdono dei
peccati” sono la bella notizia che i discepoli dovranno predicare
“a tutte le genti”, nel nome, cioè per mandato di Gesù (Lc
24,47).
Un esempio particolare
di questa evangelizzazione è dato dalle Vergini consacrate nel
mondo, che - in una società che rischia di
essere soffocata nel vortice dell'effimero e dell'utile, del calcolo
e della rivalità -sono segno di gratuità e d’amore.
La
vita consacrata si caratterizza per la sua assoluta gratuità: è un
dono che si riceve da Dio, si vive per Dio solo, e a Dio ritorna
passando attraverso la preghiera di lode e di supplica e il servizio
di carità.
Le
persone consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere
testimoni di questa misericordia del Signore, nella quale l'uomo
trova la propria salvezza. Esse tengono viva l’esperienza del
perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone
salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi
rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il
proprio peccato. Per questo, anche per l’uomo di oggi, la vita
consacrata rimane una scuola privilegiata della “compunzione del
cuore”2
(Benedetto XVI, 2 febbraio 2010). Queste donne testimoniano che,
grazie alla verginità, è possibile vivere un amore consacrato nel
mondo e che, grazie ad una vita lietamente e totalmente offerta,
l’amore di Dio è davvero credibile.
La vergine consacrata
nel mondo testimonia che la sua vita è Dio e Dio non è un discorso,
non è un’idea: è una realtà della quale la persona consacrata
vive e che fa presente agli uomini.
1
Cfr
Sant'Ambrogio, Expositio
evangelii secundum Lucam,
2, 85-89: CCL 14, 69-72 (PL 15, 1666-1668)
2
La
compunzione del cuore porta in sé il sigillo della carità divina,
del puro amore a Dio. La vera compunzione, infatti, è dono
dell'Altissimo, è il dolore soprannaturale che penetra nel cuore
dell'uomo al pensiero della Passione di Cristo, al ricordo delle
proprie colpe, alla constatazione del prolungarsi dell'esilio
terreno che separa da Dio, unica felicità dell'anima viatrice.
Tutto ciò fa sgorgare quelle salutari lacrime, dell’anima
piuttosto che degli occhi, alle quali neppure Dio sa resistere.
Lettura
Patristica
Guerric d’Igny,
Sermo I, in Pascha,
4-5
Cristo e la vera
risurrezione e la vita
Come
sapete, quando egli "venne"
a loro "a
porte chiuse e stette in mezzo a loro, essi, stupiti e spaventati
credevano di vedere un fantasma
(Jn
20,26
Lc
24,36-37);
ma egli alitò su di loro e disse: "Ricevete
lo Spirito Santo"
(Jn
20,22-23).
Poi, inviò loro dal cielo lo stesso Spirito, ma come nuovo dono.
Questi doni furono per loro le testimonianze e gli argomenti di prova
della risurrezione e della vita.
È
lo Spirito infatti che rende testimonianza, anzitutto nel cuore dei
santi, poi per bocca loro, che "Cristo
è la verità"
(1Jn
5,6),
la vera risurrezione e la vita. Ecco perché gli apostoli, che erano
rimasti persino nel dubbio inizialmente, dopo aver visto il suo corpo
redivivo, "resero
testimonianza con grande forza della sua risurrezione"
(Ac
4,33),
quando ebbero gustato lo Spirito vivificatore. Quindi, più proficuo
concepire Gesù nel proprio cuore che il vederlo con gli occhi del
corpo o sentirlo parlare, e l’opera dello Spirito Santo è molto
più poderosa sui sensi dell’uomo interiore, di quanto non lo sia
l’impressione degli oggetti corporei su quelli dell’uomo
esteriore. Quale spazio, invero, resta per il dubbio allorché colui
che dà testimonianza e colui che la riceve sono un medesimo ed unico
spirito? (1Jn
5,6-10).
Se non sono che un unico spirito, sono del pari un unico sentimento e
un unico assenso...
Ora
perciò, fratelli miei, in che senso la gioia del vostro cuore è
testimonianza del vostro amore di Cristo? Da parte mia, ecco quel che
penso; a voi stabilire se ho ragione: Se mai avete amato Gesù, vivo,
morto, poi reso alla vita, nel giorno in cui, nella Chiesa, i
messaggeri della sua risurrezione ne danno l’annuncio e la
proclamano di comune accordo e a tante riprese, il vostro cuore
gioisce dentro di voi e dice: «Me ne è stato dato l’annuncio,
Gesù, mio Dio, è in vita! Ecco che a questa notizia il mio spirito,
già assopito di tristezza, languente di tiepidità, o pronto a
soccombere allo scoraggiamento, si rianima». In effetti, il suono di
questo beato annuncio arriva persino a strappare dalla morte i
criminali. Se fosse diversamente, non resterebbe altro che disperare
e seppellire nell’oblio colui che Gesù, uscendo dagli inferi,
avrebbe lasciato nell’abisso. Sarai nel tuo diritto di riconoscere
che il tuo spirito ha pienamente riscoperto la vita in Cristo, se può
dire con intima convinzione: «Se Gesù è in vita, tanto mi basta!».
Esprimendo
un attaccamento profondo, una tale parola è degna degli amici di
Gesù! E quanto è puro, l’affetto che così si esprime: «Se Gesù
è in vita, tanto mi basta!». Se egli vive, io vivo, poiché la mia
anima è sospesa a lui; molto di più, egli è la mia vita, e tutto
ciò di cui ho bisogno. Cosa può mancarmi, in effetti, se Gesù è
in vita? Quand’anche mi mancasse tutto, ciò non avrebbe alcuna
importanza per me, purché Gesù sia vivo. Se poi gli piace che venga
meno io stesso, mi basta che egli viva, anche se non è che per se
stesso. Quando l’amore di Cristo assorbe in un modo così totale il
cuore dell’uomo, in guisa che egli dimentica se stesso e si
trascura, essendo sensibile solo a Gesù Cristo e a ciò che concerne
Gesù Cristo, solo allora la carità è perfetta in lui.
Indubbiamente, per colui il cui cuore è stato così toccato, la
povertà non è più un peso; egli non sente più le ingiurie; si
ride degli obbrobri; non tiene più conto di chi gli fa torto, e
reputa la morte un guadagno (Ph
1,21).
Non pensa neppure di morire, poiché ha coscienza piuttosto di
passare dalla morte alla vita; e con fiducia, dice: «Andrò a
vederlo, prima di morire».
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