La
grande Settimana1
Rito
Romano - Domenica delle Palme- Anno B – 29 marzo 2015.
Is
50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47
La
Settimana Autentica
Rito
Ambrosiano – Domenica delle Palme nella Passione del Signore.
Is
52, 13-53,12; Sal 87; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11.
1)
Le Palme: dal trionfo umano a quello divino.
La
Pasqua si avvicina. Inizia la Settimana Santa, che si conclude non
con il venerdì di morte né con il sabato del silenzio tombale di
Dio, ma sboccia nella domenica di Risurrezione.
Settimana
drammatica, che inizia con un trionfo di gente festante, prosegue in
una tensione tra odio e amore, e arriva al suo culmine in quella
manifestazione di misericordia che è la Pasqua.
La
Celebrazione eucaristica di oggi ha due parti.
La
prima riguarda le Palme, cioè il trionfo di Gesù che viene
solennemente riconosciuto come il Cristo. Il popolo in Gerusalemme
accoglie Gesù cantando ed agitando rami di ulivo, foglie di palma,
fronde tagliate dai campi.
Gesù
entra in modo trionfale nella Città santa. Vi entra per celebrare la
Pasqua nuova, che libera l’uomo dalla schiavitù del peccato e
della morte mediante l’offerta della Sua vita.
Gesù
entra trionfante in Gerusalemme, ma soprattutto entra nella gioia di
ogni cuore fedele.
L’assurdo
–umanamente parlando - è che, per entrare da Re in Gerusalemme,
Lui ha chiesto in prestito un animale da cavalcare, dicendo ai suoi
discepoli di andare dal padrone di un’asina, perché “il Signore
ne ha bisogno”.
Può
il Signore Iddio aver bisogno? Dio è tutto ed ha fatto tutto, come
può aver bisogno di qualcosa. Eppure nel Messia2,
Dio si fa mendicante del nostro amore per amore. E oggi ha “bisogno”
di un asino per entrare “da Re” in Gerusalemme. “Come ebbe
bisogno di un’asina e del suo puledro, in ogni momento Gesù ha
bisogno di tutto quello che gli posso dare, perché il mio povero
cuore si introduca nella Gerusalemme celeste della sua Carità”
(don Primo Mazzolari, Domenica delle Palme, 1958).
Per
comprendere quest’“ora” evangelica che oggi celebriamo, è
utile dare una spiegazione sintetica del contesto storico in cui quel
momento si innestava. Il popolo di Gerusalemme è in festa perché
entra in città Colui che era aspettato da secoli per essere
liberatore e guida verso la pienezza di vita. Questo popolo rende
oggi omaggio alla Verità dell’Amore, che libera.
Nell’attesa,
il popolo ebraico aveva sperimentato vicende senza numero: progressi,
cadute, vittorie, eventi politici, profezie. Ma il pensiero costante
del popolo eletto, specialmente dopo l’esilio da Gerusalemme, era
stato questo punto proiettato nel futuro: l’avvento di Colui
che lo avrebbe salvato.
Allora,
ed oggi ancora, nell’ingresso solenne di Cristo nella Città Santa
questo avvento diventa realtà. E’ importante notare che fu
il popolo semplice e i puri di cuore a riconoscerLo. Per primi,
infatti furono i ragazzi, i bambini, il cui cuore è puro e semplice,
a gridare osanna al Figlio di Davide. Fu il popolino che proclamò la
risposta a un interrogativo sempre attuale: “Chi sarà mai questo
Gesù di Nazareth, che aveva predicato per tre anni lungo le vie
della Galilea e della Giudea?” Nel luminoso giorno delle Palme il
semplice popolo ha il grande intuito della realtà: Gesù è il
Cristo; è Lui il centro della storia. Lui è l’Atteso da secoli,
il vero Re, Colui che dona la felicità.
2)
Passione di Cristo, travolto dall’amore per noi.
La
seconda parte della celebrazione liturgica di oggi è la Passione di
un Uomo-Dio appassionato.
La
celebrazione di questa Pasqua è resa “possibile”
dall’accettazione della Passione, che San Marco3
ci racconta mettendo in primo piano i fatti e le situazioni, e non le
parole.
Man
mano che da Betania, dove la Maddalena Gli ha unto i piedi
(ritorneremo fra poco su questo episodio) e ci si inoltra nella
passione, vediamo Gesù entrare in un silenzio sempre più profondo,
fino a tacere del tutto. “Tu lo dici” è l’unica parola che
egli risponde alle domande di Pilato. Da allora non dirà più
niente, fino alla drammatica invocazione: “Eloì, Eloì, lamà
sabactanì (Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato)”?” (Mc
15,34) e al seguente grande grido col quale spirò (Mc 15,36).
Si compì così, fino all'estremo limite, l’abbandono di Gesù, che
sembrava abbandonato anche dal Padre.
Si
può dire che San Marco ci offre due elementi per leggere il modo in
cui Gesù vive questo abbandono.
Il
primo è la preghiera che Gesù rivolge al Padre sul Getsemani:
“Abba, Padre! ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo
calice! Tuttavia, non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu”
(Mc 14,36). Gesù vive questa sofferta adesione alla volontà
del Padre, come ripetendo ad ogni momento: “Non quello che io
voglio, ma quello che tu vuoi”. E se all’inizio del suo stare in
preghiere sul monte degli ulivi, ci viene descritto un Gesù
angosciato e impaurito, alla fine - dopo la preghiera - ci viene
descritto un Gesù che ha ritrovato la serenità e la fermezza:
“Alzatevi, andiamo, colui che mi tradisce è vicino”. Il Padre
non ha sottratto Gesù alla Croce, ma lo ha aiutato ad attraversarla.
Il
secondo elemento è l’invocazione di Gesù sulla croce: “Dio mio,
Dio mio perché...?”. Come è noto, si tratta dell’inizio di un
Salmo4
21 (22), preghiera che esprime l'intensa sofferenza di un giusto
perseguitato, ma anche la sua incrollabile fiducia in Dio.
Anche
noi, come le donne, siamo invitati a “guardare” (Mc
15,40): contempliamo la sofferenza e la morte del Signore per
scoprire in essa l’inattesa rivelazione del Figlio di Dio che
rimane tenacemente, ostinatamente fedele alla “follia” dell’amore
e che va sulla Croce per ciascuno di noi, per l’umanità intera.
3)
Una vita donata, non sprecata.
Anche
sulla Croce, Gesù è oltraggiato e pare che sia negata la logica di
donazione che ha guidato tutta la sua vita: donazione che qui viene
capovolta, incompresa e ritorta contro di Lui: “Ha salvato gli
altri, non può salvare se stesso”. “Il Messia scenda dalla Croce
e crederemo”. Di fronte a Gesù - se guardiamo questa scena dal
punto di vista dei presenti - si scorgono due tipi di fede, e Gesù
in Croce ne è lo spartiacque.
Da
una parte, la fede di chi pretende che il Messia abbandoni la Croce e
compia miracoli. Mi riferisco ai passanti, agli scribi e ai sacerdoti
presenti sul Calvario per vedere come andava a fine.
Dall’altra,
la fede di chi, come il centurione, coglie la divinità di Gesù
proprio nella Croce: “Vedendolo morire in quel modo disse: costui è
veramente Figlio di Dio”. È sulla Croce che si conosce veramente
chi è Gesù e in che senso Lui è Messia e Figlio. Possiamo dire che
il centurione pagano è un esempio di vero credente.
Ma
c’è pure un tipo di fede spinta dall’amore. E’ la fede di una
figlia sconosciuta di Israele che ha creduto in Gesù e lo onorò
amorosamente e santamente. Il gesto di pietà di questa donna avvenne
prima della Festa delle Palme, a Betania, dove troviamo Gesù a casa
di Simone il lebbroso, qui, “..mentre stava a mensa, giunse una
donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato, di nardo
genuino, di gran valore: ruppe il vasetto di alabastro e versò
l’unguento sul suo capo....”. Questo gesto, uno di quei segni
d’amore di cui solo le donne sono capaci, provocò la reazione dei
commensali, che lo giudicarono uno spreco.
Se
si considera questo gesto dal punto di vista del puro e semplice buon
senso umano sicuramente fu uno spreco, un eccesso. Ma con
l’immolazione della Croce siamo messi davanti ad un altro eccesso,
e questa volta da parte di Dio, che nel Figlio Gesù, compie un gesto
d’amore estremo, spezzando il suo corpo e versando, non olio
profumato, ma il suo stesso sangue.
Il
Maestro ha accolto, gradito l’omaggio di quella donna, e lo ha
indicato come gesto profetico: “Ella ha compiuto verso di me
un’opera buona;... Ella ha fatto ciò ch’era in suo potere,
ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico
che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il Vangelo, si
racconterà pure in suo ricordo ciò che lei ha fatto”. Un’opera
buona.
In
quell’anonima donna sono riassunte tutte le donne, sono loro
l’unico conforto nei giorni della passione, intrepide nell’amore,
come la leggendaria Veronica, fedeli nella vicinanza, come la
tradizione le presenta lungo il cammino verso il Calvario, forti ai
piedi della croce, assieme alla Madre: “...c’erano anche alcune
donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di
Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, e Salomè, che
lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre
che erano salite con lui a Gerusalemme...”.
Una
presenza, questa delle donne, che è anche un segno, una vocazione,
una missione.
A
questa vocazione sono chiamate in modo particolare le vergine
consacrate, che donando totalmente la vita a Cristo la mettono a sua
disposizione per la Sua appassionata opera di salvezza.
Queste
donne sono segno che la grande commozione che invade il cuore, alla
lettura della Passione di Gesù, non può restare solamente emozione,
ma una mozione di adesione a Cristo. Aderendo a Lui e
testimoniandoLo, mostrano che Dio è un “movimento di dono di sé”.
Quando
la Vergine Maria ricevette l’annuncio dal Figlio in Croce che
sarebbe stata la madre di Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio”, fu
commossa almeno quanto lo fu il giorno dell’Annunciazione
dell’Angelo. Le lacrime di gioia del primo annuncio e le lacrime di
dolore del secondo annuncio non fecero ripiegare su se stessa la
Vergine Madre. Rinnovò il suo “fiat”, il suo sì, e la Parola
dell’Amore prese di nuovo dimora in lei e condivise la passione di
Cristo per il mondo.
Come
la Madonna stette sotto la Croce e divenne Madre dell’umanità, le
Vergini Consacrate nel mondo stanno sotto la Croce in preghiera,
scelgono uno Sposo crocifisso per vivere con Lui il dono di se stesse
al mondo. La Verginità è lasciarsi afferrare completamente da
Cristo, perché “l’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare
dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una
speranza nuova, che non delude” (Papa Francesco, Lumen fidei,
53).
1
Con la
Domenica delle Palme
inizia la Grande
Settimana,
che i Padri della Chiesa chiamavano al modo ebraico la Settimana
delle Settimane
che significa la Settimana
per eccellenza,
il cui punto focale sarà
la notte di veglia
che vivremo sabato prossimo, quando risuonerà l’ “alleluia
pasquale”. Nel rito Ambrosiano questa settima è chiamata
Settimana
Autentica.
Una settimana in cui
facciamo memoria di
quella Prima Settimana
di oltre due mila anni or sono che ha fatto del tempo un'eternità
temporale e dell'eternità un tempo senza fine. Noi riviviamo i
giorni della passione, della morte e della risurrezione del Signore
Gesù ché si fa maestro e compagno di viaggio per ciascuno di noi.
2
E’ il
Messia (= Cristo), annunciato, atteso da secoli, ma cavalca un
asinello e non un cavallo da battaglia come lo attendevano i Giudei.
Messia mansueto che porta la pace, che illumina con la Sua presenza
quanti praticano la giustizia e solleva i poveri dalla miseria. In
questo giorno di festa di circa duemila anni fa, gli fu attribuito
il nome che è diventato suo: Cristo, che vuoi dire Messia, l’Unto,
il Consacrato da Dio; e che è poi il nome nostro, poiché ci
chiamiamo cristiani.
3
Quest’anno (2015) si legge
il racconto della passione del Signore secondo l’evangelista
Marco. Per questo Evangelista sono queste le cose importanti ed
eloquenti, sono i fatti e non le parole.
4
“Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza
le parole del mio grido. Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di
notte, e non c’è tregua per me» (Sal
21(22), 2-3).
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona
Consenso
Evangelico, 308
Dice
Matteo: Sopra la sua testa collocarono in iscritto il motivo: Costui
è Gesù, re dei Giudei (Mt
27,27).
Marco prima di darci questa notizia scrive: Era l'ora terza allorché
lo crocifissero (Mc
15,25)
; e quanto al motivo della crocifissione, egli ne parla dopo che ha
parlato delle vesti che i soldati si divisero fra loro. E un problema
che bisogna trattare con la massima attenzione per non cadere in
gravi errori. Ci sono infatti degli eruditi che collocano la
crocifissione del Signore all'ora terza, ritenendo poi che all'ora
sesta scese quel buio che perduro fino all'ora nona, con la
conseguenza che quando scese il buio il Signore era in croce già da
tre ore. E la cosa potrebbe andare benissimo, se non ci fosse
Giovanni a dirci che verso l'ora sesta Pilato si sedette in tribunale
sul posto chiamato Litostrotos, in ebraico Gabbatà (Jn
19,13).
Ecco le sue parole: Era la Parasceve della Pasqua, intorno all'ora
sesta. Pilato disse ai Giudei: " Ecco il vostro re! ". Ma
quelli gridarono: " Crocifiggilo, crocifiggilo! ". Disse
Pilato: " Metterò in croce il vostro re? ". Risposero i
sommi sacerdoti: " Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare ".
Allora lo consegno loro perché fosse crocifisso (Jn
19,14-16).
Se pertanto verso l'ora sesta Pilato si sedette in tribunale e
consegno Gesù ai Giudei perché lo mettessero in croce, come può
dirsi che all'ora terza Gesù fu crocifisso, come ritennero alcuni
che non avevano capito bene le parole di Marco ? (Mc
15,33)
41.
Vediamo prima a che ora il Signore poté essere crocifisso, poi
vedremo per qual motivo Marco afferma che lo crocifissero all'ora
terza. Quand'egli fu consegnato ai Giudei per esser crocifisso,
Pilato, come è stato notato, si assise in tribunale; ed era circa
l'ora sesta. Non era l'ora sesta piena ma si era sull'ora sesta; era
cioè terminata l'ora quinta e anche dell'ora sesta ne era trascorso
un pochino. Gli autori sacri non usano mai dire: Cinque e un quarto,
o un terzo, o cinque e mezzo, o frasi simili; ma la Scrittura è
solita indicare, specie nella cronologia, il tutto per la parte.
Parlando, ad esempio, degli otto giorni alla fine dei quali Gesù
sali sul monte (Lc
9,28),
Matteo e Marco, considerando i giorni intermedi, dicono: Dopo sei
giorni (Mt
17,1
Mc
9,1).
E qui è da sottolinearsi come la frase di Giovanni è molto sfumata,
in quanto non dice: "Sesta", ma: Verso l'ora sesta (Jn
19,14).
Ma anche se non si fosse espresso cosi e avesse detto senz'altro "ora
sesta", noi potremmo intendere la frase nel modo consueto della
Scrittura di cui parlavo sopra e cioè prendere il tutto per la
parte. Ne risulterebbe che, quando accadde ciò che gli evangelisti
riferiscono sulla crocifissione del Signore, era terminata l'ora
quinta e l'ora sesta era da poco iniziata, finché, al termine della
medesima ora sesta, mentre il Signore pendeva ancora dalla croce,
scesero le tenebre menzionate concordemente dai tre evangelisti
Matteo, Marco e Luca (Mt
27,45
Mc
15,33
Lc
23,44).
42.
Come conseguenza necessaria ci si presenta comunque un'indagine
ulteriore sulle parole di Marco. Egli ricorda che quei tali che
misero in croce Gesù se ne divisero le vesti tirando a sorte quel
che toccava a ciascuno, e continuando aggiunge: Era l'ora terza e lo
crocifissero (Mc
15,24-25).
Aveva già detto che, avendolo messo in croce, se ne spartirono le
vesti; ed è quanto sottolineano anche gli altri evangelisti. Dopo la
sua crocifissione vennero divise dunque le sue vesti, e se Marco
avesse voluto soltanto indicare il tempo in cui avvenne il fatto gli
sarebbe bastato dire: Era l'ora terza. Perché aggiungere: E lo
crocifissero? Se scrive cosi, lo fa servendosi del metodo della
ricapitolazione e con le sue parole vuole significarci qualcosa che
troveremo solo se lo cerchiamo. Leggendosi infatti il suo scritto in
un tempo in cui tutta la Chiesa sapeva a che ora il Signore era stato
inchiodato al patibolo, un simile errore poteva essere corretto e, se
fosse stata una falsità, poteva essere smentita. L'affermazione
pertanto è da leggersi secondo l'intenzione dell'evangelista, il
quale, sapendo certamente che il Signore non fu crocifisso dai Giudei
ma dai soldati - come asserisce chiaramente Giovanni (Jn
19,23)-,
si propone di mettere in risalto, anche senza dirlo a parole, che a
crocifiggerlo furono quelli che gridando ne ottennero la sentenza di
morte più che non quegli altri che, fedeli al loro incarico,
eseguirono l'ordine del loro principale.
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