venerdì 27 marzo 2015

Un festa di passione, per entrare nella Gerusalemme della Carità di Dio. Per passione dell’umanità.

La grande Settimana1
Rito Romano - Domenica delle Palme- Anno B – 29 marzo 2015.
Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47

La Settimana Autentica
Rito Ambrosiano – Domenica delle Palme nella Passione del Signore.
Is 52, 13-53,12; Sal 87; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11.

1) Le Palme: dal trionfo umano a quello divino.
La Pasqua si avvicina. Inizia la Settimana Santa, che si conclude non con il venerdì di morte né con il sabato del silenzio tombale di Dio, ma sboccia nella domenica di Risurrezione.
Settimana drammatica, che inizia con un trionfo di gente festante, prosegue in una tensione tra odio e amore, e arriva al suo culmine in quella manifestazione di misericordia che è la Pasqua.
La Celebrazione eucaristica di oggi ha due parti.
La prima riguarda le Palme, cioè il trionfo di Gesù che viene solennemente riconosciuto come il Cristo. Il popolo in Gerusalemme accoglie Gesù cantando ed agitando rami di ulivo, foglie di palma, fronde tagliate dai campi.
Gesù entra in modo trionfale nella Città santa. Vi entra per celebrare la Pasqua nuova, che libera l’uomo dalla schiavitù del peccato e della morte mediante l’offerta della Sua vita.
Gesù entra trionfante in Gerusalemme, ma soprattutto entra nella gioia di ogni cuore fedele.
L’assurdo –umanamente parlando - è che, per entrare da Re in Gerusalemme, Lui ha chiesto in prestito un animale da cavalcare, dicendo ai suoi discepoli di andare dal padrone di un’asina, perché “il Signore ne ha bisogno”.
Può il Signore Iddio aver bisogno? Dio è tutto ed ha fatto tutto, come può aver bisogno di qualcosa. Eppure nel Messia2, Dio si fa mendicante del nostro amore per amore. E oggi ha “bisogno” di un asino per entrare “da Re” in Gerusalemme. “Come ebbe bisogno di un’asina e del suo puledro, in ogni momento Gesù ha bisogno di tutto quello che gli posso dare, perché il mio povero cuore si introduca nella Gerusalemme celeste della sua Carità” (don Primo Mazzolari, Domenica delle Palme, 1958).
Per comprendere quest’“ora” evangelica che oggi celebriamo, è utile dare una spiegazione sintetica del contesto storico in cui quel momento si innestava. Il popolo di Gerusalemme è in festa perché entra in città Colui che era aspettato da secoli per essere liberatore e guida verso la pienezza di vita. Questo popolo rende oggi omaggio alla Verità dell’Amore, che libera.
Nell’attesa, il popolo ebraico aveva sperimentato vicende senza numero: progressi, cadute, vittorie, eventi politici, profezie. Ma il pensiero costante del popolo eletto, specialmente dopo l’esilio da Gerusalemme, era stato questo punto proiettato nel futuro: l’avvento di Colui che lo avrebbe salvato.
Allora, ed oggi ancora, nell’ingresso solenne di Cristo nella Città Santa questo avvento diventa realtà. E’ importante notare che fu il popolo semplice e i puri di cuore a riconoscerLo. Per primi, infatti furono i ragazzi, i bambini, il cui cuore è puro e semplice, a gridare osanna al Figlio di Davide. Fu il popolino che proclamò la risposta a un interrogativo sempre attuale: “Chi sarà mai questo Gesù di Nazareth, che aveva predicato per tre anni lungo le vie della Galilea e della Giudea?” Nel luminoso giorno delle Palme il semplice popolo ha il grande intuito della realtà: Gesù è il Cristo; è Lui il centro della storia. Lui è l’Atteso da secoli, il vero Re, Colui che dona la felicità.
2) Passione di Cristo, travolto dall’amore per noi.
La seconda parte della celebrazione liturgica di oggi è la Passione di un Uomo-Dio appassionato.
La celebrazione di questa Pasqua è resa “possibile” dall’accettazione della Passione, che San Marco3 ci racconta mettendo in primo piano i fatti e le situazioni, e non le parole.
Man mano che da Betania, dove la Maddalena Gli ha unto i piedi (ritorneremo fra poco su questo episodio) e ci si inoltra nella passione, vediamo Gesù entrare in un silenzio sempre più profondo, fino a tacere del tutto. “Tu lo dici” è l’unica parola che egli risponde alle domande di Pilato. Da allora non dirà più niente, fino alla drammatica invocazione: “Eloì, Eloì, lamà sabactanì (Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato)”?” (Mc 15,34) e al seguente grande grido col quale spirò (Mc 15,36). Si compì così, fino all'estremo limite, l’abbandono di Gesù, che sembrava abbandonato anche dal Padre.
Si può dire che San Marco ci offre due elementi per leggere il modo in cui Gesù vive questo abbandono.
Il primo è la preghiera che Gesù rivolge al Padre sul Getsemani: “Abba, Padre! ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Tuttavia, non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu” (Mc 14,36). Gesù vive questa sofferta adesione alla volontà del Padre, come ripetendo ad ogni momento: “Non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi”. E se all’inizio del suo stare in preghiere sul monte degli ulivi, ci viene descritto un Gesù angosciato e impaurito, alla fine - dopo la preghiera - ci viene descritto un Gesù che ha ritrovato la serenità e la fermezza: “Alzatevi, andiamo, colui che mi tradisce è vicino”. Il Padre non ha sottratto Gesù alla Croce, ma lo ha aiutato ad attraversarla.
Il secondo elemento è l’invocazione di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio perché...?”. Come è noto, si tratta dell’inizio di un Salmo4 21 (22), preghiera che esprime l'intensa sofferenza di un giusto perseguitato, ma anche la sua incrollabile fiducia in Dio.
Anche noi, come le donne, siamo invitati a “guardare” (Mc 15,40): contempliamo la sofferenza e la morte del Signore per scoprire in essa l’inattesa rivelazione del Figlio di Dio che rimane tenacemente, ostinatamente fedele alla “follia” dell’amore e che va sulla Croce per ciascuno di noi, per l’umanità intera.

3) Una vita donata, non sprecata.
Anche sulla Croce, Gesù è oltraggiato e pare che sia negata la logica di donazione che ha guidato tutta la sua vita: donazione che qui viene capovolta, incompresa e ritorta contro di Lui: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso”. “Il Messia scenda dalla Croce e crederemo”. Di fronte a Gesù - se guardiamo questa scena dal punto di vista dei presenti - si scorgono due tipi di fede, e Gesù in Croce ne è lo spartiacque.
Da una parte, la fede di chi pretende che il Messia abbandoni la Croce e compia miracoli. Mi riferisco ai passanti, agli scribi e ai sacerdoti presenti sul Calvario per vedere come andava a fine.
Dall’altra, la fede di chi, come il centurione, coglie la divinità di Gesù proprio nella Croce: “Vedendolo morire in quel modo disse: costui è veramente Figlio di Dio”. È sulla Croce che si conosce veramente chi è Gesù e in che senso Lui è Messia e Figlio. Possiamo dire che il centurione pagano è un esempio di vero credente.
Ma c’è pure un tipo di fede spinta dall’amore. E’ la fede di una figlia sconosciuta di Israele che ha creduto in Gesù e lo onorò amorosamente e santamente. Il gesto di pietà di questa donna avvenne prima della Festa delle Palme, a Betania, dove troviamo Gesù a casa di Simone il lebbroso, qui, “..mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato, di nardo genuino, di gran valore: ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo....”. Questo gesto, uno di quei segni d’amore di cui solo le donne sono capaci, provocò la reazione dei commensali, che lo giudicarono uno spreco.
Se si considera questo gesto dal punto di vista del puro e semplice buon senso umano sicuramente fu uno spreco, un eccesso. Ma con l’immolazione della Croce siamo messi davanti ad un altro eccesso, e questa volta da parte di Dio, che nel Figlio Gesù, compie un gesto d’amore estremo, spezzando il suo corpo e versando, non olio profumato, ma il suo stesso sangue.
Il Maestro ha accolto, gradito l’omaggio di quella donna, e lo ha indicato come gesto profetico: “Ella ha compiuto verso di me un’opera buona;... Ella ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il Vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che lei ha fatto”. Un’opera buona.
In quell’anonima donna sono riassunte tutte le donne, sono loro l’unico conforto nei giorni della passione, intrepide nell’amore, come la leggendaria Veronica, fedeli nella vicinanza, come la tradizione le presenta lungo il cammino verso il Calvario, forti ai piedi della croce, assieme alla Madre: “...c’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, e Salomè, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme...”.
Una presenza, questa delle donne, che è anche un segno, una vocazione, una missione.
A questa vocazione sono chiamate in modo particolare le vergine consacrate, che donando totalmente la vita a Cristo la mettono a sua disposizione per la Sua appassionata opera di salvezza.
Queste donne sono segno che la grande commozione che invade il cuore, alla lettura della Passione di Gesù, non può restare solamente emozione, ma una mozione di adesione a Cristo. Aderendo a Lui e testimoniandoLo, mostrano che Dio è un “movimento di dono di sé”.
Quando la Vergine Maria ricevette l’annuncio dal Figlio in Croce che sarebbe stata la madre di Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio”, fu commossa almeno quanto lo fu il giorno dell’Annunciazione dell’Angelo. Le lacrime di gioia del primo annuncio e le lacrime di dolore del secondo annuncio non fecero ripiegare su se stessa la Vergine Madre. Rinnovò il suo “fiat”, il suo sì, e la Parola dell’Amore prese di nuovo dimora in lei e condivise la passione di Cristo per il mondo.
Come la Madonna stette sotto la Croce e divenne Madre dell’umanità, le Vergini Consacrate nel mondo stanno sotto la Croce in preghiera, scelgono uno Sposo crocifisso per vivere con Lui il dono di se stesse al mondo. La Verginità è lasciarsi afferrare completamente da Cristo, perché “l’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza nuova, che non delude” (Papa Francesco, Lumen fidei, 53).

1 Con la Domenica delle Palme inizia la Grande Settimana, che i Padri della Chiesa chiamavano al modo ebraico la Settimana delle Settimane che significa la Settimana per eccellenza, il cui punto focale sarà la notte di veglia che vivremo sabato prossimo, quando risuonerà l’ “alleluia pasquale”. Nel rito Ambrosiano questa settima è chiamata Settimana Autentica.
Una settimana in cui facciamo memoria di quella Prima Settimana di oltre due mila anni or sono che ha fatto del tempo un'eternità temporale e dell'eternità un tempo senza fine. Noi riviviamo i giorni della passione, della morte e della risurrezione del Signore Gesù ché si fa maestro e compagno di viaggio per ciascuno di noi.

2 E’ il Messia (= Cristo), annunciato, atteso da secoli, ma cavalca un asinello e non un cavallo da battaglia come lo attendevano i Giudei. Messia mansueto che porta la pace, che illumina con la Sua presenza quanti praticano la giustizia e solleva i poveri dalla miseria. In questo giorno di festa di circa duemila anni fa, gli fu attribuito il nome che è diventato suo: Cristo, che vuoi dire Messia, l’Unto, il Consacrato da Dio; e che è poi il nome nostro, poiché ci chiamiamo cristiani.


3 Quest’anno (2015) si legge il racconto della passione del Signore secondo l’evangelista Marco. Per questo Evangelista sono queste le cose importanti ed eloquenti, sono i fatti e non le parole.

4 Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido. Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me» (Sal 21(22), 2-3).

Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
Consenso Evangelico, 308

Dice Matteo: Sopra la sua testa collocarono in iscritto il motivo: Costui è Gesù, re dei Giudei (Mt 27,27). Marco prima di darci questa notizia scrive: Era l'ora terza allorché lo crocifissero (Mc 15,25) ; e quanto al motivo della crocifissione, egli ne parla dopo che ha parlato delle vesti che i soldati si divisero fra loro. E un problema che bisogna trattare con la massima attenzione per non cadere in gravi errori. Ci sono infatti degli eruditi che collocano la crocifissione del Signore all'ora terza, ritenendo poi che all'ora sesta scese quel buio che perduro fino all'ora nona, con la conseguenza che quando scese il buio il Signore era in croce già da tre ore. E la cosa potrebbe andare benissimo, se non ci fosse Giovanni a dirci che verso l'ora sesta Pilato si sedette in tribunale sul posto chiamato Litostrotos, in ebraico Gabbatà (Jn 19,13). Ecco le sue parole: Era la Parasceve della Pasqua, intorno all'ora sesta. Pilato disse ai Giudei: " Ecco il vostro re! ". Ma quelli gridarono: " Crocifiggilo, crocifiggilo! ". Disse Pilato: " Metterò in croce il vostro re? ". Risposero i sommi sacerdoti: " Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare ". Allora lo consegno loro perché fosse crocifisso (Jn 19,14-16). Se pertanto verso l'ora sesta Pilato si sedette in tribunale e consegno Gesù ai Giudei perché lo mettessero in croce, come può dirsi che all'ora terza Gesù fu crocifisso, come ritennero alcuni che non avevano capito bene le parole di Marco ? (Mc 15,33)

41. Vediamo prima a che ora il Signore poté essere crocifisso, poi vedremo per qual motivo Marco afferma che lo crocifissero all'ora terza. Quand'egli fu consegnato ai Giudei per esser crocifisso, Pilato, come è stato notato, si assise in tribunale; ed era circa l'ora sesta. Non era l'ora sesta piena ma si era sull'ora sesta; era cioè terminata l'ora quinta e anche dell'ora sesta ne era trascorso un pochino. Gli autori sacri non usano mai dire: Cinque e un quarto, o un terzo, o cinque e mezzo, o frasi simili; ma la Scrittura è solita indicare, specie nella cronologia, il tutto per la parte. Parlando, ad esempio, degli otto giorni alla fine dei quali Gesù sali sul monte (Lc 9,28), Matteo e Marco, considerando i giorni intermedi, dicono: Dopo sei giorni (Mt 17,1 Mc 9,1). E qui è da sottolinearsi come la frase di Giovanni è molto sfumata, in quanto non dice: "Sesta", ma: Verso l'ora sesta (Jn 19,14). Ma anche se non si fosse espresso cosi e avesse detto senz'altro "ora sesta", noi potremmo intendere la frase nel modo consueto della Scrittura di cui parlavo sopra e cioè prendere il tutto per la parte. Ne risulterebbe che, quando accadde ciò che gli evangelisti riferiscono sulla crocifissione del Signore, era terminata l'ora quinta e l'ora sesta era da poco iniziata, finché, al termine della medesima ora sesta, mentre il Signore pendeva ancora dalla croce, scesero le tenebre menzionate concordemente dai tre evangelisti Matteo, Marco e Luca (Mt 27,45 Mc 15,33 Lc 23,44).

42. Come conseguenza necessaria ci si presenta comunque un'indagine ulteriore sulle parole di Marco. Egli ricorda che quei tali che misero in croce Gesù se ne divisero le vesti tirando a sorte quel che toccava a ciascuno, e continuando aggiunge: Era l'ora terza e lo crocifissero (Mc 15,24-25). Aveva già detto che, avendolo messo in croce, se ne spartirono le vesti; ed è quanto sottolineano anche gli altri evangelisti. Dopo la sua crocifissione vennero divise dunque le sue vesti, e se Marco avesse voluto soltanto indicare il tempo in cui avvenne il fatto gli sarebbe bastato dire: Era l'ora terza. Perché aggiungere: E lo crocifissero? Se scrive cosi, lo fa servendosi del metodo della ricapitolazione e con le sue parole vuole significarci qualcosa che troveremo solo se lo cerchiamo. Leggendosi infatti il suo scritto in un tempo in cui tutta la Chiesa sapeva a che ora il Signore era stato inchiodato al patibolo, un simile errore poteva essere corretto e, se fosse stata una falsità, poteva essere smentita. L'affermazione pertanto è da leggersi secondo l'intenzione dell'evangelista, il quale, sapendo certamente che il Signore non fu crocifisso dai Giudei ma dai soldati - come asserisce chiaramente Giovanni (Jn 19,23)-, si propone di mettere in risalto, anche senza dirlo a parole, che a crocifiggerlo furono quelli che gridando ne ottennero la sentenza di morte più che non quegli altri che, fedeli al loro incarico, eseguirono l'ordine del loro principale.


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