III
Domenica di
Quaresima -
Anno B
– 8 marzo
2015.
Rito Romano
Es 20,1-17; Sal 18;
1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25
Es 32,78-13b; Sal 105;
1Ts 2,20-3,8; Gv 8,31-59
1)
Il
Tempio
di
Cristo.
Dopo
le
prime
due
Domeniche
di
Quaresima,
durante
le
quali
abbiamo
meditato
le
tentazioni
e
della
trasfigurazione
di
Gesù,
che
quest’anno
abbiamo
letto
secondo
il
racconto
che
ne
fa
San
Marco,
la
Liturgia
ci
fa
continuare
il
nostro
itinerario
verso
Pasqua
con
alcuni
brani
del
vangelo
di
Giovanni.
In
questa
III
domenica
di
Quaresima
(ciclo
B)
il
brano
del
Vangelo
è
preso
da
Gv
2,13-25,
che
descrive
la
cacciata
dal
tempio
dei
venditori
e
la
promessa
da
parte
di
Gesù
di
un
nuovo
Tempio2:
Lui
stesso.
“Non
sono
pochi
coloro
i
quali
affermano
che
il
Dio-Uomo
è
nato
dal
seno
verginale
che
lo
Spirito
del
grande
Dio
ha
formato,
costruendo
un
tempio
puro
al
tempio.
La
Madre,
infatti,
è
il
tempio
di
Cristo;
questi
a
sua
volta
è
il
Tempio
del
Verbo”
(San
Gregorio
di
Nazianzo).
Dopo
il
suo
ritorno
al
Padre,
per
il
quarto
vangelo
(quello
di
Giovanni),
la
stessa
persona
di
Gesù
sarà
il
nuovo
tempio,
l’ambiente
vitale
dell’inabitazione
reciproca
del
Padre
e
del
Figlio,
il
vero
luogo
della
comunione
intima
con
il
Dio
trinitario,
a
cui
sono
chiamati
tutti
i
credenti
(cf.
14,2;
1
Gv
1,3).
In
effetti, l’evangelista
Giovanni non
si accontenta
di presentarci
Gesù che,
al modo
degli antichi
profeti, ci
richiama al
vero culto.
Afferma che
Gesù -
e precisamente
il Cristo
morto e
risorto -
è il
vero tempio:
“Egli parlava
del tempio
del suo
corpo”.
Che
significa affermare
che Gesù
è il
vero tempio?
Duplice era
il significato
del tempio
nell’Antico
Testamento: luogo
dell'incontro con
Dio e
luogo del
raduno delle
tribù. Dunque
una dimensione
verticale e
una orizzontale.
Gesù è
tutto questo,
afferma il
vangelo di
Giovanni. È
in Lui
che possiamo
fare un’autentica
esperienza di
incontro con
Dio ed
è in
Lui che
possiamo fare
un’autentica
esperienza di
fraternità.
Incontrare
Dio è
il desiderio
di tutta
la Bibbia,
l’interrogativo
che la
percorre da
un capo
all’altro:
dove e
come posso
incontrare il
Signore? In
Gesù, risponde
l’evangelista
Giovanni. A
Filippo che
gli chiedeva
“Signore, mostraci
il Padre”,
Gesù risponde:
“È tanto
tempo che
sei con
me e
ancora non
lo sai?
Chi vede
me vede
il Padre”
(14,8-9). E
il desiderio
della Bibbia
(e di
ogni uomo)
è anche
un altro:
uscire dalla
dispersione e
incontrarci insieme,
abbandonare le
contrapposizioni e
vivere da
fratelli. Ma
dove e
come è
possibile? Attorno
al Cristo
e alla
sua Croce,
risponde Giovanni:
“Quando sarò
innalzato da
terra, cioè
in Croce,
attirerò tutti
a me”.
“Tutti” dice
l’universalità
più completa.
E “attirare”
non dice
una forza
che ci
costringe, ma
una bellezza
che ci
attira con
il suo
fascino.
Il Crocifisso
innalzato svela
che l’amore,
che tante
volte appare
sconfitto, è
in realtà
vittorioso, capace
persino di
vincere la
morte. Questa
è una
lieta notizia
che ogni
uomo vorrebbe
sempre sentire
e farne
esperienza.
2)
Noi,
Chiesa,
Tempio
di
Cristo.
La
Chiesa è
il Corpo
reale di
Cristo, ne
è quindi
il Tempio,
che però
necessità di
purificazione.
Mi spiego in modo meno
sintetico.
La
prima
volta
che
Gesù
chiama
Dio
Padre
mio
è
quando
a
Gerusalemme
caccia
i
venditori
dal
tempio
(Gv
2,14-17)
e
fa
seguire
alla
sua
coraggiosa
azione
nella
casa
di
Dio
il
rimprovero:
“Non
fate
della
casa
del
Padre
mio
una
casa
di
mercato”
(v.
16).
Due
aspetti
meritano
di
essere
sottolineati
in
questa
espressione.
Anzitutto,
Gesù
si
proclama
“Figlio
di
Dio”
e
chiama
Dio
con
l’appellativo
di
Padre
mio.
Il
gesto
profetico
e
le
chiare
parole
rivolte
ai
venditori
costituiscono
una
novità
assoluta
nella
religiosità
ebraica3.
Inoltre,
Gesù parla
del tempio
d’Israele
come della
“casa” del
Padre suo.
Questa particolarità
di Giovanni
rispetto ai
tre Vangeli
Sinottici (di
Marco, di
Matteo e
di Luca),
che parlano
invece del
tempio come
“casa di
preghiera” (cf.
Mt 21,13;
Mc 11,
17; Lc
19,46), è
di grande
valore spirituale
e teologico.
Nell’Antico
Testamento il
tempio era
considerato la
casa di
Dio (cf.
Es 25,40;
1 Re
6,1; Sal
122, 1)
e il
centro del
culto dell’Altissimo.
Per Gesù
il tempio
è la
“casa” del
Padre suo,
che egli,
come Figlio,
prima di
prenderne possesso,
deve purificare
dalla profanazione
del commercio.
Se
Dio è
Padre, è
assurdo onorarlo,
con offerte
materiali, come
il bestiame
o il
denaro. Il
Padre esige
solo il
culto spirituale
e interiore
da vivere
nell’amore,
rifiutando un
culto del
tempio, contrario
alle esigenze
dell’alleanza
stipulata fra
Dio e
il suo
popolo (cf.
1 Re
19,10.14).
In
questo episodio
della cacciata
dei mercanti
dal tempio
(Gv
2,13-25) noi
oggi apprezziamo
il gesto
fortemente provocatorio
di Gesù,
che “fece
una sferza,
cacciò tutti
dal tempio,
rovesciò per
terra le
monete dei
cambiavalute”.
Tuttavia, non
credo che
questo gesto
voglia semplicemente
significare che
il culto
debba svolgersi
con decoro:
non come
un chiassoso
mercato, ma
nel silenzio
e nel
raccoglimento. Troppo
poco. Il
gesto polemico
di Gesù
si riallaccia
ai profeti,
i quali
hanno spesso
polemizzato con
il culto
che si
svolgeva al
tempio, non
certo per
abolirlo, ma
per purificarlo.
I profeti
ricordavano continuamente
che il
culto non
è solo
adorazione: è
–al tempo
stesso- conversione
e missione.
All'avvicinarsi
della Pasqua,
questo gesto
di Cristo,
e le
parole che
lo interpretano,
risuonano come
forte invito
a non
fare della
casa del
Padre nostro
un mercato.
Del tempio
di Gerusalemme,
di ogni
chiesa, ma
soprattutto del
cuore. A
ognuno di
noi Gesù
ripete il
suo avvertimento:
non fare
mercato
della fede.
Non adottare
con Dio
la legge
scadente
della compravendita
di favori,
secondo la
quale diamo
qualcosa a
Dio (una
Messa, un’offerta,
una candela...)
perché lui
dia qualcosa
a noi.
Se facciamo
così, se
crediamo di
coinvolgere
Dio in
questo gioco
mercantile, siamo
solo dei
cambiamonete, e
Gesù rovescia
il nostro
tavolo: Dio
non si
compra.
Non si
compra neanche
a prezzo
della moneta
più pura.
Noi siamo
salvi perché
riceviamo.
Non dimentichiamo
che “tutto
è grazia”
(Bernanos).
Casa
di Dio
è l’uomo:
non facciamo
mercato della
vita. Non
immiseriamola
applicando ad
esse le
leggi dell’economia
e della
finanza.
Non vendiamo
la dignità,
la verità
e la
libertà in
cambio di
cose. Non
vendiamo il
cuore riducendo
i suoi
sogni a
oro e
argento. Non
facciamo
mercato del
cuore.
Casa
di Dio
è la
nostra persona
di battezzati
che vivono
in comunione:
tempio fragile,
ma bellissimo
e aperto
all’infinito
amore di
Dio. L’importante
che su
di noi,
“pietre vive
e purificate”
dal digiuno,
dalla preghiera
e dall’elemosina,
Cristo posi
la sua
Luce.
Lui
è il
Redentore, venuto
ad illuminare
l’uomo
con la
Luce della
Verità, a
purificare il
tempio, a
riaprire la
ragione all’orizzonte
grande di
Dio. Lui
è la
Verità, che
Crocifissa il
Venerdì santo,
vedremo splendere
il giorno
di Pasqua
e accoglierci
dentro il
nuovo Tempio
del Suo
Corpo. Perciò
“mentre i
Giudei chiedono
segni e
i Greci
cercano sapienza,
noi predichiamo
Cristo Crocifisso,
scandalo per
i Giudei
e stoltezza
per i
pagani; ma
per coloro
che sono
chiamati […]
potenza di
Dio e
sapienza di
Dio” (1Cor 1,23-24).
Un
modo di
predicare Cristo
crocifisso è
quello delle
Vergini consacrate
nel mondo
che con
la loro
piena donazione
al Redentore
fanno trasparire
la Sua
luce. In
effetti queste
donne mostrano
che la
fede non
è un
salto nel
buio, ma
nella luce.
Nella luce
di Dio
che irradia
il mattino
e la
sera, “fa
sorgere oltre
la morte,
nello splendore
dei cieli,
il giorno
senza tramonto”.
(Liturgia
delle Ore,
Inno di
nona)
Loro
hanno creduto
all’Amore
e sono
speciale testimonianza
di un
amore ricevuto,
che rende
liberi e
gioiosi, capaci
di amare
gli altri
senza legarli
a se
stessi, ma
a Dio.
La
verginità è
la modalità
d’amore
che meglio
lascia trasparire
l’amore
di Cristo,
tenendo viva
la luce
della lampada
che hanno
ricevuto il
giorno della
loro consacrazione
(RCV 20).
In questo
modo le
lor persone
, nell’umiltà
della vita
quotidiana, ci
introducono nel
mistero
di Cristo,
“Luce del
mondo”.
Infatti
Gesù si
è presentato
agli uomini
con
queste parole:
“Io
sono la
luce del
mondo; chi
segue me,
non camminerà
nelle tenebre,
ma avrà
la luce
della vita”
(Gv
8,12).
1
Nel
Rito
Ambrosiano
le
domeniche
di
quaresima
sono
chiamate:
- domenica all’inizio della Quaresima o I di Quaresima (il catecumeno deve rinunciare a Satana se vuole diventare cristiano)
- domenica della Samaritana o II di Quaresima (il Battesimo quale acqua di vita che ci dà la vita eterna)
- domenica di Abramo o III di Quaresima (il Battesimo quale professione di verità che ci inserisce tra i veri figli di Dio)
- domenica del Cieco o IV di Quaresima (il Battesimo quale illuminazione miracolosa delle nostre tenebre spirituali)
- domenica di Lazzaro o V di Quaresima (il Battesimo quale morte e sepoltura con Cristo per poter con Lui risorgere)
- domenica delle Palme o VI di Quaresima (il Battesimo quale unzione santificante).
2
Il
corpo
di
Cristo,
nuovo
tempio.
Nel
Quarto
Vangelo,
come
nell’Apocalisse,
il
Cristo
trafitto
dai
peccati
degli
uomini
occupa
il
centro
della
storia
religiosa
del
mondo.
Egli
è
il
nuovo
Tempio
di
cui
parlava
il
Quarto
Vangelo
al
capito
3
dove,
in
occasione
della
Purificazione
del
Tempio,
Gesù
esclama:
«Distruggete
questo
tempio
e
in
tre
giorni
lo
farò
risorgere».
Gli
dissero
allora
i
Giudei:
«Questo
tempio
è
stato
costruito
in
quarantasei
anni
e
tu
in
tre
giorni
lo
farai
risorgere?».
Subito
l'Evangelista
annota:
«Ma
egli
parlava
del
tempio
del
suo
corpo».
3
Nell’Antico
Testamento,
nessun
israelita
osava
chiamare
Dio
suo
Padre
in
senso
personale,
e
quindi
dirsi
suo
figlio.
Dio
era
considerato
come
il
Padre
del
popolo
per
le
grandi
gesta
da
lui
compiute
nella
storia
di
Israele
(cf.
Es
4,22;
Nm
11,12;
Is
1,2ss.;
Ger
3,14.19;
31,20).
Gesù
soltanto
parla
di
Dio
in
modo
unico
e
nuovo,
chiamandolo:
il
Padre
mio.
Il
Dio
di
Gesù
è
un
Padre
che
salva
e
non
condanna,
libera
e
invita
alla
comunione
in
un
cammino
di
fede
attraverso
il
Figlio.
I
discepoli,
infatti,
potranno
parlare
di
Dio
come
Padre
dopo
la
risurrezione,
quando
Gesù
rivelerà
a
Maria
di
Magdala
che
il
Padre
suo
è
diventato
veramente
il
Padre
di
tutti,
naturalmente
non
per
natura
ma
per
grazia:
“Ascendo
al
Padre
mio
e
Padre
vostro,
al
Dio
mio
e
Dio
vostro”
(20,17).
In
questa
luce
il
senso
trascendente
e
dinamico
di
questa
espressione,
usata
da
Gesù,
appare,
in
modo
sempre
più
chiaro,
quando
si
analizzano
tutti
i
testi
in
cui
egli
parla
dei
suoi
rapporti
con
il
Padre
suo
(cf.
5,17-26;
6,32.37.40;
10,30;
14,
10).
Lettura Patristica
SANT'AGOSTINO
(354 -430)
Esposizione
sul SALMO
130, CCL
40, 1899-1900.
Il credente è
tempio di Dio e membro del corpo di Cristo.
1. Nel
presente
salmo
ci
si
inculca
l'umiltà
di
quel
fedele
servo
di
Dio
dalla
cui
voce
esso
è
cantato
e
che
è
l'intero
corpo
di
Cristo.
Spesse
volte
infatti
abbiamo
richiamato
alla
vostra
attenzione
che
la
voce
di
chi
canta
[nel
salmo]
non
deve
intendersi
come
voce
di
un
singolo
individuo
ma
come
voce
di
tutti
i
componenti
il
corpo
di
Cristo.
E
siccome
questi
"
tutti
"
sono
compaginati
nel
suo
corpo,
possono
parlare
come
un
solo
uomo:
in
effetti
i
molti
e
l'uno
sono
una
stessa
entità.
In
se
stessi
sono
molti,
nell'unità
dell'unico
[Cristo]
sono
uno
solo.
E
questo
corpo
di
Cristo
è
anche
tempio
di
Dio,
secondo
le
parole
dell'Apostolo: Santo
è
il
tempio
di
Dio
e
questo
siete
voi, voi cioè
che
credete
in
Cristo
con
quella
fede
che
comporta
l'amore.
Credere
in
Cristo
è
infatti
la
stessa
cosa
che
amare
Cristo.
Non
come
credevano
i
demoni, senza
amore
cioè,
sicché
pur
credendo
dicevano: Che
c'è
in
comune
fra
noi
e
te,
o
figlio
di Dio? Noi
dobbiamo
credere
in
modo
tale
che
la
nostra
fede
in
Cristo
sia
un
tratto
di
amore.
La
nostra
parola
non
deve
essere: Cosa
c'è
in
comune
fra
noi
e
te? ma:
Noi
siamo
tuoi,
avendoci
tu
riscattati.
Quanti
credono
in
questa
maniera
sono,
per
così
dire,
le
pietre
vive
con
le
quali
è
costruito
il
tempio
di
Dio;
sono
il
legno
incorruttibile
con
cui
fu
formata
l'arca
che
le
acque
del
diluvio
non
riuscirono
a
sommergere.
Essi
sono
ancora
il
tempio
di
Dio
-
si
tratta
ovviamente
sempre
di
uomini!
-
nel
quale
Dio
viene
pregato
e
dal
quale
egli
esaudisce.
Chi
prega
Dio
al
di
fuori
di
questo
tempio
non
viene
esaudito
col
conseguimento
della
pace
propria
della
Gerusalemme
celeste,
sebbene
venga
esaudito
quanto
a
certe
richieste
di
beni
temporali
che
Dio
elargisce
anche
ai
pagani.
In
tal
senso
una
volta
furono
esauditi
anche
i
demoni,
quando
fu
loro
concesso
di
entrare
nei
porci.
Ben
altra
cosa
è
l'essere
esaudito
in
ordine
alla
vita
eterna,
e
questo
non
è
concesso
se
non
a
chi
prega
nel
tempio
di
Dio.
Ora
nel
tempio
di
Dio
prega
soltanto
colui
che
prega
nella
pace
della
Chiesa,
nell'unità
del
corpo
di
Cristo.
Questo
corpo
di
Cristo
consta
di
molti
credenti
sparsi
su
tutta
la
terra,
ed
è
per
questo
che
chi
prega
nel
tempio
viene
esaudito.
Chi
prega
nella
pace
della
Chiesa
prega
in
spirito
e
verità,
né
la
sua
preghiera
è
fatta
in
quel
tempio
che
era
solamente
una
figura.
Il peccato è una
fune che avvince il colpevole.
2. Aveva
valore
figurativo
il
gesto
del
Signore
quando
cacciò
dal
tempio
quella
gente
intenta
ai
loro
affari,
che
cioè
era
andata
al
tempio
per
vendere
e
comprare.
Se
pertanto
quel
tempio
era
un
simbolo,
ne
segue
chiaramente
che
anche
nel
corpo
di
Cristo
-
che
è
il
vero
tempio,
mentre
l'altro
ne
era
una
figura
-
c'è
tutto
un
miscuglio
di
compratori
e
di
venditori,
di
gente
cioè
che
cerca
i
propri
interessi
e
non
quelli
di
Gesù
Cristo.
Essi
però
vengono
scacciati
con
flagelli
di
corda.
La
corda
infatti
rappresenta
i
peccati,
come
è
detto
dal
profeta: Guai
a
coloro
che
si
trascinano
appresso
i
loro
peccati
come
una
lunga
fune. A
trascinarsi
dietro
i
peccati
come
una
lunga
fune
son
coloro
che
aggiungono
peccati
a
peccati,
coloro
che
per
coprire
un
peccato
ne
fanno
un
altro.
Per
fare
una
corda
infatti
si
uniscono
fili
a
fili,
non
disponendoli
l'uno
appresso
l'altro
ma
attorcigliandoli
insieme;
così
[nell'uomo]
ogni
cosa
diviene
tortuosa
quando
a
peccato
si
aggiunge
peccato,
e
dal
peccato
trae
origine
un
nuovo
peccato,
che
a
sua
volta
si
collega
a
un
terzo
sino
a
farne
una
lunga
fune.
Gente
siffatta
cammina
per
vie
tortuose
e
per
nulla
diritto
è
il
suo
procedere.
Alla
fine
però
a
che
cosa
approderà
una
fune
di
questo
tipo,
se
non
a
legare
mani
e
piedi
il
colpevole
e
a
cacciarlo
nelle
tenebre
esteriori?
Ricordate
infatti
quel
che
si
dice
nel
Vangelo
nei
riguardi
di
un
certo
peccatore: Legatelo
per
le
mani
e
per
i
piedi
e
gettatelo
nelle
tenebre
esteriori:
ivi
sarà
pianto
e
stridore
di
denti. Non
gli
si
sarebbero
potute
legare
le
mani
e
i
piedi
se
lui
stesso
non
si
fosse
preparato
la
corda;
come
in
un
altro
passo
scritturale
è
detto
nella
maniera
più
esplicita: Ogni
empio
è
legato
con
le
funi
dei
propri
peccati. In
conclusione,
gli
uomini
sono
castigati
dal
loro
stesso
peccato,
e
fu
per
questo
motivo
che
il
Signore
fece
un
flagello
di
corde
e
con
esso
scacciò
dal
tempio
quanti
cercavano
il
proprio
interesse
non
gli
interessi
di
Gesù
Cristo.
L'assemblea dei
fedeli è tempio e corpo di Cristo.
3. Nel
salmo
[che
stiamo
trattando]
risuona
la
voce
di
questo
tempio.
Come
ho
detto,
infatti,
è
in
questo
tempio
che
si
invoca
Dio
in
spirito
e
verità
e
lì
egli
esaudisce:
non
nel
tempio
materiale
[del
giudaismo],
dove
c'era
soltanto
un'immagine
rappresentativa
di
ciò
che
sarebbe
avvenuto
più
tardi.
L'antico
tempio
è
stato
abbattuto;
ma
forse
che
per
questo
è
rovinata
anche
la
casa
della
nostra
preghiera?
Tutt'altro!
Non
si
può
infatti
chiamare
casa
della
nostra
preghiera
il
tempio
che
venne
abbattuto,
se
di
questa
casa
della
preghiera
dice
la
Scrittura: La
mia
casa
sarà
chiamata
casa
della
preghiera
per
tutte
le
genti. E
voi
avete
ascoltato
le
parole
pronunciate
a
sua
volta
dal
nostro
Signore
Gesù
Cristo: Sta
scritto:
La
mia
casa
sarà
chiamata
casa
della
preghiera
per
tutte
le
genti:
ma
voi
l'avete
fatta
spelonca
di
ladri. Ma
questi
tali
che
vollero
fare
della
casa
di
Dio
una
spelonca
di
ladri
riuscirono
forse
a
distruggere
il
tempio?
Lo
stesso
è
da
dirsi
di
quanti
nella
Chiesa
cattolica
menano
una
vita
riprovevole:
per
quanto
sta
in
loro
vorrebbero
ridurre
la
casa
di
Dio
a
una
spelonca
di
ladri,
ma
non
per
questo
riusciranno
ad
abbattere
il
tempio.
Verrà
infatti
il
tempo
quando
saranno
scacciati
fuori
mediante
la
fune
dei
loro
peccati.
Quanto
invece
al
tempio
di
Dio,
cioè
al
corpo
di
Cristo,
all'assemblea
dei
fedeli,
una
sola
ne
è
la
voce,
e
come
un
solo
uomo
così
canta
nel
salmo.
Questa
voce
già
l'abbiamo
udita
in
parecchi
salmi,
ascoltiamola
anche
in
questo.
Se
lo
vogliamo,
sarà
anche
la
nostra
voce;
se
lo
vogliamo,
potremo
insieme
ascoltare
il
cantore
ed
essere
noi
stessi
nel
nostro
cuore
dei
cantori.
Se
al
contrario
non
lo
vogliamo,
saremo
dentro
quel
tempio
come
gente
che
compra
e
vende:
saremo
cioè
persone
che
cercano
se
stesse.
Entreremo
nella
Chiesa
ma
non
per
compiervi
ciò
che
piace
agli
occhi
di
Dio.
Ognuno
di
voi
pertanto
esamini
con
quali
disposizioni
ascolti
[il
salmo]:
se
l'ascolta
per
deriderlo,
se
l'ascolta
per
buttarselo
dietro
le
spalle,
ovvero
se
l'ascolta
per
sintonizzarsi
con
esso,
se
cioè
vi
riconosce
la
propria
voce
e
agli
accenti
del
salmo
unisce
gli
accenti
del
proprio
cuore.
Sta
di
fatto
comunque
che
alla
voce
del
salmo
non
si
può
imporre
di
tacere.
Chi
può,
o
meglio
chi
vuole,
si
lasci
istruire;
chi
non
vuole
non
frapponga
ostacoli.
Lasciamoci
inculcare
l'umiltà,
poiché
con
tale
raccomandazione
comincia.
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