I Domenica di
Quaresima1
- Anno B - 22 febbraio 2015.
Rito Romano
Gen
9,8-15; Sal 24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15
Rito Ambrosiano
Is
57,15-58,4a; Sal 50; 2Cor 4,16b-5,9; Mt 4,1-11
1) Gesù, il nuovo Adamo ed il nuovo Mosè.
La
Quaresima dura quaranta
giorni in ricordo del digiuno di Gesù, nostro Signore e fratello,
nel deserto dove fu tentato, come oggi leggiamo nel Vangelo, che ce
ne fa un racconto sintetico2.
Scrivendo che Gesù è “sospinto” nel deserto, possiamo
interpretare che l’evangelista Marco parla di Gesù come di un
nuovo Adamo e di un nuovo Mosè. Il
vecchio Adamo fu spinto fuori dal giardino terrestre ed entrò nel
deserto della vita. A questo riguardo Sant’Ambrogio di Milano
commenta: “Bisogna ricordarti come il primo Adamo è stato cacciato
fuori dal paradiso nel deserto, perché la tua attenzione sia
richiamata sul modo in cui il secondo Adamo torna dal deserto al
paradiso. Vedi infatti come la prima condanna viene sciolta nello
stesso modo in cui era stata legata, e come i benefici divini sono
ristabiliti sulle tracce degli antichi. Adamo viene da una terra
vergine, Cristo viene dalla Vergine; quello è stato fatto a immagine
di Dio, questo è l’Immagine di Dio (Col 1,15). Mediante una donna
è venuta la stoltezza, mediante una vergine, la sapienza ; la morte
è venuta da un albero, la vita dalla croce.
Adamo
è stato cacciato nel deserto, Cristo viene nel deserto: infatti
sapeva dove trovare il condannato che sarebbe stato ricondotto al
paradiso, liberato dalla sua colpa… Senza guida, come avrebbe
potuto ritrovare nel deserto la strada smarrita, colui che nel
paradiso aveva perso per mancanza di una guida, la strada che stava
seguendo?”
3.
Seguiamo
dunque Cristo che non solo è il nuovo Adamo, ma anche il nuovo Mosè,
e potremo tornare dal deserto al paradiso.
Seguiamo Cristo che,
andando nel deserto, si inserisce nella storia
della salvezza del suo popolo, del popolo eletto e dell’umanità.
Dopo
l’uscita dall’Egitto, quella storia prosegue con una migrazione
di quarant’anni nel deserto. In questi quarant’anni di esodo si
trovano i giorni dell’incontro con Dio: i quaranta giorni che Mosè
passò sul monte, nel digiuno assoluto, lontano dal suo popolo, nella
solitudine della nube, sulla cima della montagna (Es
24,18). Ritroviamo questa durata di quaranta giorni nella vita di
Elia: perseguitato dal re Acab, egli cammina quaranta giorni nel
deserto, tornando all’origine dell’alleanza, alla voce di Dio,
per una nuova tappa della storia della salvezza (1 Re
19,8).
Nel
suo stare nel deserto, Gesù rivisse le tentazioni del suo popolo, le
tentazioni di Mosè. Come Mosè, si offrì in santo e amoroso
scambio: essere cancellato dal libro della vita per salvare il suo
popolo (cfr Es
32,32). Gesù infatti divenne l’Agnello di Dio, per portare i
peccati del mondo. Lui è il vero Mosè, che è veramente “nel seno
del Padre” (Gv
1,18) faccia a faccia con lui, per rivelarlo. Nei deserti del mondo,
è veramente la fonte dell’acqua viva (cfr. Gv
7,38), colui che non si limita a parlare, ma è, in persona, la
Parola di vita vera (cfr. Gv
14,6). Dall’alto della croce, ci diede l’alleanza nuova. Lui, il
nuovo e vero Mosè, è entrato mediante la sua risurrezione nella
vera Terra promessa, il cui accesso è stato rifiutato a Mosè e, con
la chiave della croce, ce ne apre la porta.
2) Il nuovo
Popolo guidato dal nuovo Mosè nel deserto.
La Quaresima è il
tempo di penitenza che precede la Pasqua e dura quaranta giorni in
ricordo del digiuno di nostro Signore nel deserto. L’immagine
del deserto è una immagine assai eloquente della condizione umana.
Il Libro dell’Esodo narra l’esperienza del popolo di Israele che,
uscito dall’Egitto, peregrina nel deserto del Sinai per
quarant’anni prima di giungere alla terra promessa. Durante quel
lungo viaggio, gli ebrei sperimentarono tutta la forza e l’insistenza
del tentatore, che li spingeva a perdere la fiducia nel Signore e a
tornare indietro; ma, al tempo stesso, grazie alla mediazione di
Mosè, impararono ad ascoltare la voce di Dio, che li chiamava a
diventare il suo popolo santo. Seguendo Cristo, il nuovo Mosè,
possiamo comprendere che per realizzare pienamente la vita nella
libertà occorre superare la prova che la stessa libertà comporta,
cioè la tentazione. Solo liberata dalla schiavitù della menzogna e
del peccato, la persona umana, grazie all’obbedienza della fede che
la apre alla verità, trova il senso pieno della sua esistenza e
raggiunge la pace, l’amore e la gioia. Dunque, il deserto è il
luogo della purificazione, è il “luogo austero, la terra arida
senza acqua” in cui Dio conduce il suo popolo o colui al quale egli
vuole rivelarsi, colui col quale vuole parlare.
Per aiutare a capire e
vivere il deserto come luogo “indispensabile” per la vita nostra,
presento un elenco di alcuni personaggi biblici, per i quali il
deserto fu un luogo davvero indispensabile.
Abramo. Per
questo Patriarca il deserto fu partire dalla casa paterna, dal luogo
della sua sicurezza materiale e fisica, per inoltrarsi in un mondo a
lui ignoto, in un luogo di cui non conosceva neppure il nome:
“Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre,
verso il Paese che io ti indicherò”(Gn 12, 1).
Mosè ebbe la
vita segnata dal deserto. Infatti, il deserto segnò il luogo della
sua chiamata e il momento determinante della sua vita: “Mosè
stava pascolando il gregge di Jetro, suo suocero, sacerdote di
Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di
Dio, l’Oreb” (Es 3, 1).
Elia “se
ne andò per salvarsi, giunse a Betsabea di Giuda. Là fece sostare
il suo ragazzo. Egli invece si inoltrò nel deserto per una giornata
di cammino” (1 Re 19, 3-4).
Per il profeta Osea,
uno dei più travagliati profeti, il deserto rappresenta il luogo
dell’incontro in cui Dio dice parole di amore: “Perciò
ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto perché è là che
io voglio parlare al suo cuore”. (Os 2, 16)
Ma questa esperienza
del deserto non è limitata agli uomini dell'Antico Testamento, essa
è pure esperienza dei grandi personaggi del Nuovo Testamento e di
Gesù stesso.
Il Precursore:
“In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare
nel deserto della Giudea; egli portava un vestito di peli di cammello
ed una cintura di pelle attorno ai fianchi e suo cibo erano locuste e
miele selvatico”.(Mt 3, 1-4).
Gesù stesso.
“Subito dopo lo Spirito Lo condusse nel deserto e vi rimase
per quaranta giorni”. (Mc 1, 12).“Al mattino
Gesù si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò
in un luogo deserto e là pregava”.(Mc 1, 35)
I discepoli di
Cristo. Il deserto è il luogo a cui il Signore li invita per
stare con lui e discorrere del loro lavoro: “Gli Apostoli si
riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano
fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, in un
luogo solitario, e riposatevi un po' ". Allora partirono sulla
barca verso un luogo solitario, in disparte”. (Mc 6, 30-32)
Nella Bibbia, il
deserto dunque rappresenta un momento privilegiato dell' incontro con
Dio. Facciamo di questa Quaresima un momento di deserto perché anche
per noi sia un luogo di silenzio, cioè di capacità di tacere noi
per ascoltare Dio che parla al nostro cuore.
Nel
deserto di questa quaresima facciamo pratiche di pietà (preghiere) e
di carità (elemosine) affinché Dio “
grazie al nostro il digiuno quaresimale,
vinca le nostre passioni, elevi lo spirito, infonda la forza e doni
il premio” della vita con Lui per sempre”(prefazio
IV di Quaresima)
Non dimentichiamo però
che la penitenza è pura formalità o solo rimorso se non è fatta
per amore. Se digiuniamo senza unirci di cuore a Cristo, imitandolo,
e pregandolo che voglia far suo il nostro digiuno, che lo voglia
associare al suo, cosicché noi possiamo essere in lui e lui in noi.
3) Le vergini
consacrate e il deserto.
Non
consideriamo cosa difficile vivere per 40 giorni quello che le
Vergini consacrate nel mondo sono chiamate a fare per tutta la vita.
E’ in questo senso che il Vescovo eleva la preghiera di
consacrazione su di loro: “Sii tu per loro la gioia, l’onore e
l’unico volere; sii tu il sollievo nell’afflizione; sii tu il
consigliere nell’incertezza; sii tu la difesa nel pericolo, la
pazienza nella prova, l’abbondanza nella povertà, il cibo nel
digiuno.” (RCV, n 38).
La verginità induce a
fuggire ogni forma di attaccamento, in un atteggiamento di ascesi e
di penitenza. Al tempo stesso, la maternità spirituale richiede
l’impegno a condividere con generosità ciò che si ha a
disposizione per il bene dei fratelli, testimoniando in modo
particolare la carità di Cristo. Le vergini consacrate vivono nella
solitudine, perché hanno rinunciato ad avere una famiglia naturale,
ma con Cristo, loro Sposo, non si isolano, non si separano dal
mondo. Con Lui loro sono nel mondo senza essere del mondo. Per essere
fedeli a questa vocazione tengono sempre presente l’invito del
Vescovo: “Nutrite la vostra vita religiosa con il corpo di Cristo,
fortificatela con il digiuno e la penitenza, alimentatela con la
meditazione della Parola, con l’assidua preghiera e con le opere di
misericordia” (Proposta di omelia del RCV). E
così testimoniano una vita veramente umana e piena, perché
rinnovata dall’Amore. Queste donne consacrate all’Amore di Dio
testimoniano che il cuore umano è “da
Dio” e dunque “per Dio”, e che possiede una grandezza che gli
viene direttamente da Colui che l’ha fatto, Dio origine
e termine d’ogni amore. Esse
dimostrano la solidità e la tenerezza dell’amore di Dio.
1
Tre
sono in particolare i temi, che ci vengono proposti dalla liturgia
quaresimale:
1.
Il tema pasquale. Poiché la Quaresima è preparazione alle
celebrazioni pasquali, il tema morte-vita assumono un'importanza
primaria. Comincia fin dalla seconda domenica (la Trasfigurazione)
e si fa più esplicito nelle ultime due settimane.
2.
Il tema battesimale. La Quaresima nella sua struttura fondamentale
si formò attorno al sacramento del Battesimo amministrato agli
adulti durante la veglia pasquale. I cristiani prendono maggior
coscienza del proprio battesimo.
3.
Il tema penitenziale. Viene sviluppato soprattutto all'inizio della
Quaresima (mercoledì delle ceneri e il vangelo delle tentazioni di
Gesù della prima domenica). Nella Quaresima la Chiesa, sposa del
Cristo che soffre e muore, vive più intensamente l'aspetto
penitenziale.
2
Vangelo
della I Domenica di Quaresima::
“In
quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto
rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie
selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu
arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio,
e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc
1,12-15).
Lettura
Patristica
San
Girolamo
Commento
al Vangelo di Marco 1.2
"E
subito lo Spirito lo spinse nel deserto"
(Mc
1,12).
È lo Spirito che era disceso sotto forma di colomba. «Vide - dice
Marco - i cieli aperti e lo Spirito come colomba discendere e
fermarsi su di lui». Considerate quanto dice: fermarsi, cioè
restare con lui, non sostare e poi andarsene. Giovanni stesso dice in
un altro Vangelo: "E
chi mi ha mandato mi ha detto: - Colui sul quale vedrai discendere e
fermarsi lo Spirito Santo"
(Jn
1,33).
Lo Spirito Santo discese su Cristo e si fermò su di lui: quando
invece discende sugli uomini non sempre si ferma. Infatti nel libro
di Ezechiele, che raffigura in immagine il Salvatore (nessun altro
profeta, e mi riferisco ai maggiori, viene chiamato «Figlio
dell’uomo», come Ezechiele), si legge: "La
parola del Signore fu diretta a Ezechiele profeta"
(Ez
1,3).
Qualcuno dirà: - Perché tanto spesso citi il profeta? Perché lo
Spirito Santo discendeva sul profeta, ma di nuovo se ne allontanava.
Quando si dice che «la parola del Signore fu diretta» si intende
chiaramente che lo Spirito Santo di nuovo tornava dopo essersene
andato. Quando siamo colti dall’ira, quando offendiamo qualcuno,
quando siamo presi da tristezza mortale, quando i nostri pensieri
sono prigionieri della carne, crediamo forse che lo Spirito Santo
rimanga in noi? Possiamo forse sperare che lo Spirito Santo sia in
noi quando odiamo il nostro fratello, o quando meditiamo qualche
ingiustizia? Dobbiamo invece sapere che, quando ci applichiamo ai
buoni pensieri o alle buone opere, allora abita in noi lo Spirito
Santo: ma quando al contrario siamo colti da un pensiero malvagio, è
segno che lo Spirito Santo ci ha abbandonato. Per questa ragione, a
proposito del Salvatore sta scritto: «Colui sul quale vedrai
discendere e fermarsi lo Spirito Santo, quegli è...».
«E
subito lo Spirito lo spinse nel deserto». È lo Spirito Santo che
spinge nel deserto i monaci che vivono con i loro parenti, se tale
Spirito è sceso e si è fermato su di loro. È lo Spirito Santo che
li spinge a uscire dalla casa e li conduce nella solitudine. Lo
Spirito Santo non abita volentieri laddove c’è folla e ci sono
discussioni e risse: lo Spirito Santo ha la sua dimora nella
solitudine. Per questo il nostro Signore e Salvatore, quando voleva
pregare, "solo" - dice Luca -, "si
ritirava sul monte e ivi pregava tutta la notte"
(Lc
6,12).
Di giorno stava con i discepoli, di notte dedicava la sua preghiera
al Padre per noi. Perché ho detto tutto questo? Perché parecchi
fratelli sono soliti dire: - Se resterò nel convento, non potrò
pregare da solo. Forse che nostro Signore mandava via i discepoli?
No, egli stava sempre con i discepoli, ma quando voleva pregare più
intensamente si ritirava da solo. Anche noi, se vogliamo pregare più
intensamente di quanto facciamo assieme ad altri, abbiamo a nostra
disposizione la cella, abbiamo i campi, abbiamo il deserto. Possiamo
fruire della compagnia e delle virtù dei fratelli, ma possiamo anche
godere della solitudine...
"Dopo
la cattura di Giovanni ritornò Gesù in Galilea"
(Mc
1,14).
Il racconto è noto, e appare chiaro agli ascoltatori, anche senza la
nostra spiegazione. Preghiamo però colui che ha la chiave di David,
colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre (Ap
3,7),
affinché ci apra la recondita via del Vangelo, ed anche noi si possa
dire insieme a David: "Mostrati
ai miei occhi, e io contemplerò le bellezze della tua legge"
(Ps
118,18).
Alle folle il Signore parlava in parabole, e parlava esteriormente.
Non parlava nell’intimo, cioè nello spirito; parlava con il
linguaggio esteriore, secondo la lettera. Preghiamo noi il Signore,
affinché ci introduca nei suoi misteri, ci faccia entrare nel suo
segreto abitacolo, e possiamo anche noi dire, insieme con la sposa
del Cantico dei Cantici: "Il
re mi ha introdotto nel suo ricettacolo"
(Ct
1,3).
L’apostolo dice che un velo fu posto sugli occhi di Mosè (2Co
3,13).
Io dico che non soltanto nella legge, ma anche nel Vangelo c’è un
velo sugli occhi di chi non sa. Il giudeo lo ascoltò, ma non lo
capì: per lui c’era un velo sul Vangelo. I gentili ascoltano,
ascoltano gli eretici, ma anche per loro c’è il velo. Abbandoniamo
la lettera insieme ai giudei, e seguiamo lo spirito con Gesù: e non
perché dobbiamo condannare la lettera del Vangelo (tutto ciò che fu
scritto s’è avverato), ma per poter salire gradualmente verso le
cose più elevate.
«Dopo
la cattura di Giovanni, ritornò Gesù in Galilea». Domenica scorsa
dicemmo che Giovanni è la legge, mentre Gesù è il Vangelo.
Giovanni infatti dice: "Viene
dopo di me uno che è più forte di me, e io non sono degno,
abbassandomi, di sciogliergli la correggia dei calzari".
E altrove: "Egli
deve crescere, io scemare"
(Jn
3,30).
Il paragone tra Giovanni e Gesù, è il paragone tra la legge e il
Vangelo. Dice ancora Giovanni: "Io
battezzo con acqua"
(ecco la legge), mentre "egli
vi battezzerà nello Spirito Santo"
(Mc
1,8):
questo è il Vangelo. Dunque Gesù torna, perché Giovanni è stato
chiuso in carcere. La legge è rinchiusa, non ha più la passata
libertà: ma dalla legge noi passiamo al Vangelo. State attenti a
quanto dice Marco: «Dopo la cattura di Giovanni ritornò Gesù in
Galilea». Non andò in Giudea né a Gerusalemme, ma nella Galilea
dei gentili. Gesù torna, insomma, in Galilea: Galilea nella nostra
lingua traduce il greco Katakyliste.
Perché prima dell’avvento del Salvatore non vi era in quella
regione niente di elevato, ma, anzi, ogni cosa precipitava in basso:
dilagava la lussuria, l’abiezione, l’impudicizia e gli uomini
erano preda dei vizi e dei piaceri bestiali.
"Predicando
la buona novella del regno di Dio"
(Mc
1,14).
Per quanto io mi ricordo, non ho mai sentito parlare del regno dei
cieli nella legge, nei profeti, nei salmi, ma soltanto nel Vangelo. È
infatti dopo l’avvento di colui che ha detto: "E
il regno di Dio è tra voi"
(Lc
17,21),
che il regno di Dio è aperto per noi. Gesù venne dunque predicando
la buona novella del regno di Dio. "Dai
giorni di Giovanni Battista il regno dei cieli è oggetto di
violenza, e i violenti se ne fanno padroni"
(Mt
11,12):
prima dell’avvento del Salvatore e prima della luce del Vangelo,
prima che Cristo aprisse al ladrone la porta del paradiso, tutte le
anime dei santi erano condotte all’inferno. Dice Giacobbe:
"Piangendo
e gemendo discenderò all’inferno"
(Gn
37,35).
Chi non va all’inferno, se Abramo è all’inferno? (Lc
16,22).
Nella legge, Abramo è condotto all’inferno: nel Vangelo, il
ladrone va in paradiso. Noi non disprezziamo Abramo, nel cui seno
tutti desidereremmo riposare: ma ad Abramo preferiamo Cristo, alla
legge preferiamo il Vangelo. Leggiamo che, dopo la risurrezione di
Cristo, molti santi apparvero nella città santa. Il nostro Signore e
Salvatore ha predicato in terra e ha predicato all’inferno: e
quando è morto, è disceso all’inferno per liberare le anime che
laggiù erano prigioniere.
"Predicando
la buona novella del regno di Dio e dicendo: È compiuto"
il tempo della legge, viene il principio del Vangelo, "si
avvicina il regno di Dio"
(Mc
1,14-15).
Non disse: è già venuto il regno di Dio; ma disse che il regno si
avvicinava. E cioè: Prima che io soffra la passione, prima che io
versi il mio sangue, non si aprirà il regno di Dio; per questo, esso
ora si avvicina, ma non è qui perché ancora non ho sofferto la
passione.
"Pentitevi
e credete alla buona novella"
(Mc
1,15):
non credete più alla legge, ma al Vangelo, o, meglio, credete al
Vangelo per mezzo della legge, così come sta scritto: "Dalla
fede alla fede"
(Rm
1,17).
La fede nella legge rafforza la fede nel Vangelo.
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