venerdì 20 febbraio 2015

Il deserto come tempio.


I Domenica di Quaresima1 - Anno B - 22 febbraio 2015.



Rito Romano

Gen 9,8-15; Sal 24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15



Rito Ambrosiano

Is 57,15-58,4a; Sal 50; 2Cor 4,16b-5,9; Mt 4,1-11

1) Gesù, il nuovo Adamo ed il nuovo Mosè.

La Quaresima dura quaranta giorni in ricordo del digiuno di Gesù, nostro Signore e fratello, nel deserto dove fu tentato, come oggi leggiamo nel Vangelo, che ce ne fa un racconto sintetico2. Scrivendo che Gesù è “sospinto” nel deserto, possiamo interpretare che l’evangelista Marco parla di Gesù come di un nuovo Adamo e di un nuovo Mosè. Il vecchio Adamo fu spinto fuori dal giardino terrestre ed entrò nel deserto della vita. A questo riguardo Sant’Ambrogio di Milano commenta: “Bisogna ricordarti come il primo Adamo è stato cacciato fuori dal paradiso nel deserto, perché la tua attenzione sia richiamata sul modo in cui il secondo Adamo torna dal deserto al paradiso. Vedi infatti come la prima condanna viene sciolta nello stesso modo in cui era stata legata, e come i benefici divini sono ristabiliti sulle tracce degli antichi. Adamo viene da una terra vergine, Cristo viene dalla Vergine; quello è stato fatto a immagine di Dio, questo è l’Immagine di Dio (Col 1,15). Mediante una donna è venuta la stoltezza, mediante una vergine, la sapienza ; la morte è venuta da un albero, la vita dalla croce. Adamo è stato cacciato nel deserto, Cristo viene nel deserto: infatti sapeva dove trovare il condannato che sarebbe stato ricondotto al paradiso, liberato dalla sua colpa… Senza guida, come avrebbe potuto ritrovare nel deserto la strada smarrita, colui che nel paradiso aveva perso per mancanza di una guida, la strada che stava seguendo?‬‬‬‬‬ 3‬.

Seguiamo dunque Cristo che non solo è il nuovo Adamo, ma anche il nuovo Mosè, e potremo tornare dal deserto al paradiso.

Seguiamo Cristo che, andando nel deserto, si inserisce nella storia della salvezza del suo popolo, del popolo eletto e dell’umanità.

Dopo l’uscita dall’Egitto, quella storia prosegue con una migrazione di quarant’anni nel deserto. In questi quarant’anni di esodo si trovano i giorni dell’incontro con Dio: i quaranta giorni che Mosè passò sul monte, nel digiuno assoluto, lontano dal suo popolo, nella solitudine della nube, sulla cima della montagna (Es 24,18). Ritroviamo questa durata di quaranta giorni nella vita di Elia: perseguitato dal re Acab, egli cammina quaranta giorni nel deserto, tornando all’origine dell’alleanza, alla voce di Dio, per una nuova tappa della storia della salvezza (1 Re 19,8).

Nel suo stare nel deserto, Gesù rivisse le tentazioni del suo popolo, le tentazioni di Mosè. Come Mosè, si offrì in santo e amoroso scambio: essere cancellato dal libro della vita per salvare il suo popolo (cfr Es 32,32). Gesù infatti divenne l’Agnello di Dio, per portare i peccati del mondo. Lui è il vero Mosè, che è veramente “nel seno del Padre” (Gv 1,18) faccia a faccia con lui, per rivelarlo. Nei deserti del mondo, è veramente la fonte dell’acqua viva (cfr. Gv 7,38), colui che non si limita a parlare, ma è, in persona, la Parola di vita vera (cfr. Gv 14,6). Dall’alto della croce, ci diede l’alleanza nuova. Lui, il nuovo e vero Mosè, è entrato mediante la sua risurrezione nella vera Terra promessa, il cui accesso è stato rifiutato a Mosè e, con la chiave della croce, ce ne apre la porta.




2) Il nuovo Popolo guidato dal nuovo Mosè nel deserto.

La Quaresima è il tempo di penitenza che precede la Pasqua e dura quaranta giorni in ricordo del digiuno di nostro Signore nel deserto. L’immagine del deserto è una immagine assai eloquente della condizione umana. Il Libro dell’Esodo narra l’esperienza del popolo di Israele che, uscito dall’Egitto, peregrina nel deserto del Sinai per quarant’anni prima di giungere alla terra promessa. Durante quel lungo viaggio, gli ebrei sperimentarono tutta la forza e l’insistenza del tentatore, che li spingeva a perdere la fiducia nel Signore e a tornare indietro; ma, al tempo stesso, grazie alla mediazione di Mosè, impararono ad ascoltare la voce di Dio, che li chiamava a diventare il suo popolo santo. Seguendo Cristo, il nuovo Mosè, possiamo comprendere che per realizzare pienamente la vita nella libertà occorre superare la prova che la stessa libertà comporta, cioè la tentazione. Solo liberata dalla schiavitù della menzogna e del peccato, la persona umana, grazie all’obbedienza della fede che la apre alla verità, trova il senso pieno della sua esistenza e raggiunge la pace, l’amore e la gioia. Dunque, il deserto è il luogo della purificazione, è il “luogo austero, la terra arida senza acqua” in cui Dio conduce il suo popolo o colui al quale egli vuole rivelarsi, colui col quale vuole parlare.

Per aiutare a capire e vivere il deserto come luogo “indispensabile” per la vita nostra, presento un elenco di alcuni personaggi biblici, per i quali il deserto fu un luogo davvero indispensabile.

Abramo. Per questo Patriarca il deserto fu partire dalla casa paterna, dal luogo della sua sicurezza materiale e fisica, per inoltrarsi in un mondo a lui ignoto, in un luogo di cui non conosceva neppure il nome: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre, verso il Paese che io ti indicherò”(Gn 12, 1).

Mosè ebbe la vita segnata dal deserto. Infatti, il deserto segnò il luogo della sua chiamata e il momento determinante della sua vita: “Mosè stava pascolando il gregge di Jetro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb(Es 3, 1).

Elia se ne andò per salvarsi, giunse a Betsabea di Giuda. Là fece sostare il suo ragazzo. Egli invece si inoltrò nel deserto per una giornata di cammino(1 Re 19, 3-4).

Per il profeta Osea, uno dei più travagliati profeti, il deserto rappresenta il luogo dell’incontro in cui Dio dice parole di amore: Perciò ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto perché è là che io voglio parlare al suo cuore”. (Os 2, 16)

Ma questa esperienza del deserto non è limitata agli uomini dell'Antico Testamento, essa è pure esperienza dei grandi personaggi del Nuovo Testamento e di Gesù stesso.

Il Precursore: In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea; egli portava un vestito di peli di cammello ed una cintura di pelle attorno ai fianchi e suo cibo erano locuste e miele selvatico”.(Mt 3, 1-4).

Gesù stesso. Subito dopo lo Spirito Lo condusse nel deserto e vi rimase per quaranta giorni”. (Mc 1, 12).Al mattino Gesù si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava”.(Mc 1, 35)

I discepoli di Cristo. Il deserto è il luogo a cui il Signore li invita per stare con lui e discorrere del loro lavoro: “Gli Apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po' ". Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte”. (Mc 6, 30-32)

Nella Bibbia, il deserto dunque rappresenta un momento privilegiato dell' incontro con Dio. Facciamo di questa Quaresima un momento di deserto perché anche per noi sia un luogo di silenzio, cioè di capacità di tacere noi per ascoltare Dio che parla al nostro cuore.

Nel deserto di questa quaresima facciamo pratiche di pietà (preghiere) e di carità (elemosine) affinché Dio “ grazie al nostro il digiuno quaresimale, vinca le nostre passioni, elevi lo spirito, infonda la forza e doni il premio” della vita con Lui per sempre”(prefazio IV di Quaresima)

Non dimentichiamo però che la penitenza è pura formalità o solo rimorso se non è fatta per amore. Se digiuniamo senza unirci di cuore a Cristo, imitandolo, e pregandolo che voglia far suo il nostro digiuno, che lo voglia associare al suo, cosicché noi possiamo essere in lui e lui in noi.



3) Le vergini consacrate e il deserto.

Non consideriamo cosa difficile vivere per 40 giorni quello che le Vergini consacrate nel mondo sono chiamate a fare per tutta la vita. E’ in questo senso che il Vescovo eleva la preghiera di consacrazione su di loro: “Sii tu per loro la gioia, l’onore e l’unico volere; sii tu il sollievo nell’afflizione; sii tu il consigliere nell’incertezza; sii tu la difesa nel pericolo, la pazienza nella prova, l’abbondanza nella povertà, il cibo nel digiuno.” (RCV, n 38).

La verginità induce a fuggire ogni forma di attaccamento, in un atteggiamento di ascesi e di penitenza. Al tempo stesso, la maternità spirituale richiede l’impegno a condividere con generosità ciò che si ha a disposizione per il bene dei fratelli, testimoniando in modo particolare la carità di Cristo. Le vergini consacrate vivono nella solitudine, perché hanno rinunciato ad avere una famiglia naturale, ma con Cristo, loro Sposo, non si isolano, non si separano dal mondo. Con Lui loro sono nel mondo senza essere del mondo. Per essere fedeli a questa vocazione tengono sempre presente l’invito del Vescovo: “Nutrite la vostra vita religiosa con il corpo di Cristo, fortificatela con il digiuno e la penitenza, alimentatela con la meditazione della Parola, con l’assidua preghiera e con le opere di misericordia” (Proposta di omelia del RCV). E così testimoniano una vita veramente umana e piena, perché rinnovata dall’Amore. Queste donne consacrate all’Amore di Dio testimoniano che il cuore umano è “da Dio” e dunque “per Dio”, e che possiede una grandezza che gli viene direttamente da Colui che l’ha fatto, Dio origine e termine d’ogni amore. Esse dimostrano la solidità e la tenerezza dell’amore di Dio.


1 Tre sono in particolare i temi, che ci vengono proposti dalla liturgia quaresimale:
1. Il tema pasquale. Poiché la Quaresima è preparazione alle celebrazioni pasquali, il tema morte-vita assumono un'importanza primaria. Comincia fin dalla seconda domenica (la Trasfigurazione) e si fa più esplicito nelle ultime due settimane.
2. Il tema battesimale. La Quaresima nella sua struttura fondamentale si formò attorno al sacramento del Battesimo amministrato agli adulti durante la veglia pasquale. I cristiani prendono maggior coscienza del proprio battesimo.
3. Il tema penitenziale. Viene sviluppato soprattutto all'inizio della Quaresima (mercoledì delle ceneri e il vangelo delle tentazioni di Gesù della prima domenica). Nella Quaresima la Chiesa, sposa del Cristo che soffre e muore, vive più intensamente l'aspetto penitenziale.


2 Vangelo della I Domenica di Quaresima::
“In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. 
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,12-15).

3 Sant’Ambrogio (circa 340-397), Vescovo di Milano e Dottore della Chiesa.






Lettura Patristica

San Girolamo

Commento al Vangelo di Marco 1.2





       "E subito lo Spirito lo spinse nel deserto" (Mc 1,12). È lo Spirito che era disceso sotto forma di colomba. «Vide - dice Marco - i cieli aperti e lo Spirito come colomba discendere e fermarsi su di lui». Considerate quanto dice: fermarsi, cioè restare con lui, non sostare e poi andarsene. Giovanni stesso dice in un altro Vangelo: "E chi mi ha mandato mi ha detto: - Colui sul quale vedrai discendere e fermarsi lo Spirito Santo" (Jn 1,33). Lo Spirito Santo discese su Cristo e si fermò su di lui: quando invece discende sugli uomini non sempre si ferma. Infatti nel libro di Ezechiele, che raffigura in immagine il Salvatore (nessun altro profeta, e mi riferisco ai maggiori, viene chiamato «Figlio dell’uomo», come Ezechiele), si legge: "La parola del Signore fu diretta a Ezechiele profeta" (Ez 1,3). Qualcuno dirà: - Perché tanto spesso citi il profeta? Perché lo Spirito Santo discendeva sul profeta, ma di nuovo se ne allontanava. Quando si dice che «la parola del Signore fu diretta» si intende chiaramente che lo Spirito Santo di nuovo tornava dopo essersene andato. Quando siamo colti dall’ira, quando offendiamo qualcuno, quando siamo presi da tristezza mortale, quando i nostri pensieri sono prigionieri della carne, crediamo forse che lo Spirito Santo rimanga in noi? Possiamo forse sperare che lo Spirito Santo sia in noi quando odiamo il nostro fratello, o quando meditiamo qualche ingiustizia? Dobbiamo invece sapere che, quando ci applichiamo ai buoni pensieri o alle buone opere, allora abita in noi lo Spirito Santo: ma quando al contrario siamo colti da un pensiero malvagio, è segno che lo Spirito Santo ci ha abbandonato. Per questa ragione, a proposito del Salvatore sta scritto: «Colui sul quale vedrai discendere e fermarsi lo Spirito Santo, quegli è...».



       «E subito lo Spirito lo spinse nel deserto». È lo Spirito Santo che spinge nel deserto i monaci che vivono con i loro parenti, se tale Spirito è sceso e si è fermato su di loro. È lo Spirito Santo che li spinge a uscire dalla casa e li conduce nella solitudine. Lo Spirito Santo non abita volentieri laddove c’è folla e ci sono discussioni e risse: lo Spirito Santo ha la sua dimora nella solitudine. Per questo il nostro Signore e Salvatore, quando voleva pregare, "solo" - dice Luca -, "si ritirava sul monte e ivi pregava tutta la notte" (Lc 6,12). Di giorno stava con i discepoli, di notte dedicava la sua preghiera al Padre per noi. Perché ho detto tutto questo? Perché parecchi fratelli sono soliti dire: - Se resterò nel convento, non potrò pregare da solo. Forse che nostro Signore mandava via i discepoli? No, egli stava sempre con i discepoli, ma quando voleva pregare più intensamente si ritirava da solo. Anche noi, se vogliamo pregare più intensamente di quanto facciamo assieme ad altri, abbiamo a nostra disposizione la cella, abbiamo i campi, abbiamo il deserto. Possiamo fruire della compagnia e delle virtù dei fratelli, ma possiamo anche godere della solitudine...



       "Dopo la cattura di Giovanni ritornò Gesù in Galilea" (Mc 1,14). Il racconto è noto, e appare chiaro agli ascoltatori, anche senza la nostra spiegazione. Preghiamo però colui che ha la chiave di David, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre (Ap 3,7), affinché ci apra la recondita via del Vangelo, ed anche noi si possa dire insieme a David: "Mostrati ai miei occhi, e io contemplerò le bellezze della tua legge" (Ps 118,18). Alle folle il Signore parlava in parabole, e parlava esteriormente. Non parlava nell’intimo, cioè nello spirito; parlava con il linguaggio esteriore, secondo la lettera. Preghiamo noi il Signore, affinché ci introduca nei suoi misteri, ci faccia entrare nel suo segreto abitacolo, e possiamo anche noi dire, insieme con la sposa del Cantico dei Cantici: "Il re mi ha introdotto nel suo ricettacolo" (Ct 1,3). L’apostolo dice che un velo fu posto sugli occhi di Mosè (2Co 3,13). Io dico che non soltanto nella legge, ma anche nel Vangelo c’è un velo sugli occhi di chi non sa. Il giudeo lo ascoltò, ma non lo capì: per lui c’era un velo sul Vangelo. I gentili ascoltano, ascoltano gli eretici, ma anche per loro c’è il velo. Abbandoniamo la lettera insieme ai giudei, e seguiamo lo spirito con Gesù: e non perché dobbiamo condannare la lettera del Vangelo (tutto ciò che fu scritto s’è avverato), ma per poter salire gradualmente verso le cose più elevate.



       «Dopo la cattura di Giovanni, ritornò Gesù in Galilea». Domenica scorsa dicemmo che Giovanni è la legge, mentre Gesù è il Vangelo. Giovanni infatti dice: "Viene dopo di me uno che è più forte di me, e io non sono degno, abbassandomi, di sciogliergli la correggia dei calzari". E altrove: "Egli deve crescere, io scemare" (Jn 3,30). Il paragone tra Giovanni e Gesù, è il paragone tra la legge e il Vangelo. Dice ancora Giovanni: "Io battezzo con acqua" (ecco la legge), mentre "egli vi battezzerà nello Spirito Santo" (Mc 1,8): questo è il Vangelo. Dunque Gesù torna, perché Giovanni è stato chiuso in carcere. La legge è rinchiusa, non ha più la passata libertà: ma dalla legge noi passiamo al Vangelo. State attenti a quanto dice Marco: «Dopo la cattura di Giovanni ritornò Gesù in Galilea». Non andò in Giudea né a Gerusalemme, ma nella Galilea dei gentili. Gesù torna, insomma, in Galilea: Galilea nella nostra lingua traduce il greco Katakyliste. Perché prima dell’avvento del Salvatore non vi era in quella regione niente di elevato, ma, anzi, ogni cosa precipitava in basso: dilagava la lussuria, l’abiezione, l’impudicizia e gli uomini erano preda dei vizi e dei piaceri bestiali.



       "Predicando la buona novella del regno di Dio" (Mc 1,14). Per quanto io mi ricordo, non ho mai sentito parlare del regno dei cieli nella legge, nei profeti, nei salmi, ma soltanto nel Vangelo. È infatti dopo l’avvento di colui che ha detto: "E il regno di Dio è tra voi" (Lc 17,21), che il regno di Dio è aperto per noi. Gesù venne dunque predicando la buona novella del regno di Dio. "Dai giorni di Giovanni Battista il regno dei cieli è oggetto di violenza, e i violenti se ne fanno padroni" (Mt 11,12): prima dell’avvento del Salvatore e prima della luce del Vangelo, prima che Cristo aprisse al ladrone la porta del paradiso, tutte le anime dei santi erano condotte all’inferno. Dice Giacobbe: "Piangendo e gemendo discenderò all’inferno" (Gn 37,35). Chi non va all’inferno, se Abramo è all’inferno? (Lc 16,22). Nella legge, Abramo è condotto all’inferno: nel Vangelo, il ladrone va in paradiso. Noi non disprezziamo Abramo, nel cui seno tutti desidereremmo riposare: ma ad Abramo preferiamo Cristo, alla legge preferiamo il Vangelo. Leggiamo che, dopo la risurrezione di Cristo, molti santi apparvero nella città santa. Il nostro Signore e Salvatore ha predicato in terra e ha predicato all’inferno: e quando è morto, è disceso all’inferno per liberare le anime che laggiù erano prigioniere.



       "Predicando la buona novella del regno di Dio e dicendo: È compiuto" il tempo della legge, viene il principio del Vangelo, "si avvicina il regno di Dio" (Mc 1,14-15). Non disse: è già venuto il regno di Dio; ma disse che il regno si avvicinava. E cioè: Prima che io soffra la passione, prima che io versi il mio sangue, non si aprirà il regno di Dio; per questo, esso ora si avvicina, ma non è qui perché ancora non ho sofferto la passione.



       "Pentitevi e credete alla buona novella" (Mc 1,15): non credete più alla legge, ma al Vangelo, o, meglio, credete al Vangelo per mezzo della legge, così come sta scritto: "Dalla fede alla fede" (Rm 1,17). La fede nella legge rafforza la fede nel Vangelo.





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