Stupiti
dalla Luce, dalla Gioia e dalla Semplicità 1
Rito
Romano e Ambrosiano: Messa della notte,
dell'aurora, del giorno di Natale
- Il Presepe vivente: noi.
Un
anonimo ha scritto: “ Il nostro corpo è il Presepe vivente nei
luoghi dove siamo chiamati a vivere e a lavorare. Le nostre gambe,
come quelle degli animali che hanno riscaldato Gesù la notte del Suo
natale. Il nostro ventre, come quello di Maria che ha accolto e fatto
crescere Gesù. Le nostre braccia. Come quelle di Giuseppe che hanno
cullato, sollevato, abbracciato Gesù e per Lui hanno lavorato. La
nostra voce, come quella degli angeli per lodare il Verbo che si è
fatto carne. I nostri occhi, come di tutti quelli che la notte
l’hanno visto nella mangiatoia. Le nostre orecchie, come quelle dei
pastori che hanno ascoltato –stupefatti- il canto angelico
proveniente dal cielo. La nostra intelligenza, come quella dei Re
Magi che hanno seguito la stella fino alla “casa” di Gesù: la
grotta. Il nostro cuore come la mangiatoia che ha accolto l’Eterno
che si è fatto piccolo e povero come uno di noi”.
Andiamo
dunque al presepe per diventare noi sempre più Presepe vivente che
rivela l’Uomo e Dio. L’Uomo che non siamo ancora ma che siamo
chiamati ad essere e Dio che non può manifestarsi che in una umanità
diafana, che fa passare attraverso di essa questo Amore che è
unicamente Amore.
Se
andiamo al presepe è perché il Natale è il centro della Storia
universale. E’ in rapporto al Natale che tutti i secoli sono
contati.
Se
andiamo al presepe è perché nella nascita di Cristo c’è la
nostra nascita, la nostra dignità, la nostra grandezza e la nostra
libertà.
Se
andiamo al presepe è perché lì Dio si rivela non più come un
padrone che ci domina, che rivendica dei diritti su di noi, ma come
un Amore dolce, che si vuole nascondere in noi, e che non smette di
aspettarci perché la “sola” cosa che può fare sempre è di
amarci.
2)
Natale: un fatto, non un’emozione e tantomeno una favola.
Nella Messa della
notte e dell’aurora la liturgia di Natale propone la narrazione
della nascita di Gesù secondo Luca (2,1-20). Nella Messa del giorno
le affermazioni del prologo (introduzione) del Vangelo di San
Giovanni sull’origine divina del Verbo, non sono fine a se stesse,
ma necessarie per capire l’incarnazione, per capire Gesù nel suo
ruolo di rivelatore. Il centro del prologo (introduzione) è
l’affermazione: “La Parola è divenuta carne” (1,14).
Il racconto di San
Luca inizia con un inquadramento storico: data, luogo, persone e
cause prossime del fatto2.
Nella notte di questo
giorno di Natale, dal ventre gentile di Maria nasce al mondo l’Amore,
incarnato nella carne dell'uomo. La nascita di Gesù è un evento
storico, accaduto in un tempo e in un luogo preciso. E quando questo
fatto è annunciato ai pastori, questi si dicono tra di loro “Andiamo
fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha
fatto conoscere” (Lc
2,15).
I
pastori di Betlemme si dicono l’un l’altro “andiamo al di là”3
a vedere il Bambino. Si tratta proprio di “attraversare” la notte
ed il cuore, di andare al di là, osare il passo che va oltre, la
“traversata”, con cui usciamo dalle nostre abitudini di pensiero
e di vita e oltrepassiamo il mondo puramente materiale per giungere
all’essenziale.
Andare
al di là significa, ultimamente, cambiare il nostro rapporto malato
con il tempo e con le persone. I pastori si affrettarono. Una
santa curiosità e una santa gioia li spingevano. Tra noi forse
accade molto raramente che ci affrettiamo per le cose di Dio. Oggi
Dio non fa parte delle realtà urgenti. Le cose di Dio, così
pensiamo e diciamo, possono aspettare. Eppure Egli è la realtà più
importante, l’Unico che, in ultima analisi, è veramente
importante.
E,
quando dopo la traversata arrivarono alla grotta, cosa videro i
pastori?
Un
bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia come gli Angeli
avevano annunciato loro. È la meraviglia del Natale: ad essere
proclamato Signore, il Principe della pace, Messia e Salvatore è un
bambino che ha, come trono, una mangiatoia e, come palazzo reale, una
grotta. La totale semplicità del primo presepe stupisce. Il
particolare che più meraviglia è l’assenza di ogni tratto
meraviglioso nella grotta. I pastori sono sì avvolti e intimoriti
dalla gloria di Dio, ma il segno che ricevono dagli Angeli è
semplicemente: “Troverete un bambino avvolto in fasce e deposto
nella mangiatoia”. E quando giungono a Betlemme non vedono altro
che “un bambino deposto nella mangiatoia”.
La meraviglia del
Natale sta qui. Senza la rivelazione degli angeli non capiremmo che
quel bambino deposto in una mangiatoia è il Signore. È la
meraviglia del Natale: ad essere proclamato Signore, Messia e
Salvatore è un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia.
Senza
il bambino deposto nella mangiatoia non capiremmo che la gloria del
vero Dio è diversa dalla gloria dell’uomo. E la gloria di Dio è
la vita in pace dell’uomo (cfr Sant’Ireneo): “Gloria a Dio
nell’altro dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama”. La
pace fra gli uomini è la trascrizione terrestre di quanto avviene
nel cielo. Grazie al Natale si può davvero fare nostro il canto
degli angeli annuncianti che nell’alto dei cieli c’è la gloria e
che in terra fra gli uomini c’è la pace. Se dunque si vuole dare
gloria a Dio, occorre costruire la pace.
Immedesimiamoci nei
pastori, che furono i primi adoratori del Corpo del Verbo di Dio
incarnato. Andiamo da Gesù bambino con la stessa fede dei pastori,
che credettero subito all’Angelo, imitiamoli nella loro generosità
umile, che esercitarono offrendo il poco che avevano: “latte e
panni di lana bianca”. Seguiamoli nel loro sincero amore a Cristo:
quando sono dovuti tornare alle loro case ed ai loro greggi hanno
lasciato il loro cuore a Betlemme. Cuore che il bambino Gesù ridonò
loro arricchito di amore e così poterono camminare sulla via del
vita, perché per avanzare nella vita non basta il pensiero, è
l’amore che spinge in avanti, al di là.
3) “La
Parola è divenuta carne” (Gv 1,14) a
Betlemme.
Facendosi carne la
Parola di Dio si è fatta visibile: Parola che non solo si sente, ma
si vive e fa vivere. “Carne” significa anche che il Verbo non si
è sottratto all'opacità della storia, ma al contrario vi è
entrato, condividendola. La Parola di Dio si comunica all’uomo
mediante una profonda condivisione di esperienze, inserendosi nelle
contraddizioni dell'uomo: nella sua morte e nel suo dolore, nelle sue
domande e nelle sue sconfitte. Gesù è così veramente un Dio fra di
noi, compagno della nostra esistenza. Gesù Cristo è l’evento in
cui l’alleanza voluta da Dio con ciascuno di noi si compie sotto i
nostri occhi in un modo esemplare.
Anche questo è la
bellezza del Natale di Betlemme.
Betlemme!
Nella lingua ebraica la città dove secondo le Scritture è nato Gesù
significa “casa del pane”. Là, dunque, nacque il Messia, che
avrebbe detto di sé: “Io sono il pane della vita” (Gv
6,35.48).
A
Betlemme è nato Colui che, nel segno del pane spezzato, avrebbe
lasciato il memoriale della sua Pasqua. L’adorazione del Bambino
Gesù in questa Notte Santa prosegua nell’adorazione eucaristica.
Adoriamo il Signore, fattosi Carne per salvare la carne nostra,
fattosi Pane vivo per dare la vita ad ogni essere umano.
Riconosciamo, come nostro unico Dio, questo fragile Bambino che sta
inerme nel presepe. “Nella pienezza dei tempi, ti sei fatto uomo
tra gli uomini per unire la fine al principio, cioè l’uomo a Dio”
(cfr S. Ireneo, Adv. haer.,
IV, 20,4). Nel Figlio della Vergine, “avvolto in fasce” e deposto
“in una mangiatoia” (Lc
2,12), riconosciamo e adoriamo “il Pane disceso dal cielo” (Gv
6,41.51), il Redentore venuto sulla terra per dare la vita al mondo.
4)A
Betlemme Maria ha dato la vita alla Vita.
Anche noi, in questo
Natale, ci diciamo l’un l’altro: andiamo - o meglio, torniamo - a
Betlemme. Torniamo alla semplicità e alla purezza delle origini;
riscopriamo la culla in cui siamo nati. Troppo ci siamo allontanati
da Betlemme; la nostra fede si è sovraccaricata di ragionamenti
complicati e qualche volta astrusi che stonano con lo spettacolo di
questo “bambino nella mangiatoia”.
A-
Concretamente, che cosa significa per noi oggi andare a
Betlemme?
Non basta andare al
Presepe della Chiesa o a quello, che abbiamo fatto in casa dove c’è
una capanna e contemplare il mistero di Gesù bambino con vicino
Maria, Giuseppe, il bue, l’asino, i pastori e i Re Magi. Dobbiamo
fare in modo che tutto quello che siamo e abbiamo serva per portare
il lieto annuncio di questo mistero di gioia e di pace agli uomini, e
in particolare ai poveri.
Questo Mistero è un
fatto che continua, non una leggenda per bambini. La memoria soccorre
la fede, ma più che la memoria, è il vedere come il Signore entra
tutti i momenti nel nostro mondo per rimanere con noi.
Ogni giorno c’è un
povero “Cristo” che si ferma con noi, che scende nella nostra
povertà, e accetta la nostra ospitalità.
Ogni giorno, per chi
crede, è Natale.
Cristo nasce anche
oggi. Andiamo a vederlo.
Che cosa Gli possiamo
dire? Tutto, perché un bambino non fa soggezione. Perfino i
mendicanti parlano ai bambini che incontrano per la strada: perfino
la gente che non sa o non osa rivolgere la parola ad anima viva,
davanti a un bambino si fa coraggio. Un bambino capisce ogni lingua.
Che cosa Gli possiamo
chiedere? Tutto. Oppure niente: chiediamoGli “solamente” che
resti con noi. Noi possiamo ancora essere cattivi, ma se Lui resta
con noi, il male è vinto e allora sentiremo meno male al cuore.
Oggi, c’è già qualche cosa di nuovo: c’è Lui.
B-
Concretamente, ora, come possiamo andare via dal presepe, che
custodisce il Bambino Gesù?
Imitando i pastori che
se ne tornarono ai loro ovili ed alle loro case (cioè alla vita
quotidiana), glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano
udito e visto. Noi siamo chiamati ora a fare lo stesso: a glorificare
Dio per la parola che abbiamo udita, per il pane che egli ora ci
spezza, per la gioia che ci ha moltiplicato nel cuore. Siamo
chiamati, tornando a casa, a dire ad altri ciò che abbiamo appreso
non da un bambino, ma da questo Bambino, che a Betlemme Maria ha dato
alla luce. Una giovane donna ha dato alla luce la Luce, che entra nel
mondo per rimanere con noi, sempre, come ce lo insegna San Giovanni
Evangelista quando racconta il Natale del Verbo: “E il Verbo si è
fatto carne e prese dimora in mezzo a noi”.
C-
Concretamente, come possiamo essere la dimora di Cristo?
Imitando la Madonna.
Se vogliamo dire di sì a Dio come ha fatto Lei, vuol dire che in
fondo al nostro cuore almeno un po’ di generosità è ancora viva.
Come la Vergine Maria vogliamo che Dio dimori sempre in noi e ciò
accade ogni volta che umilmente, silenziosamente accogliamo Cristo
nel più profondo del nostro cuore.
Guardando il Presepe e
vedendo il Bambino affidato a Maria, capisco perché l’Onnipotente
si fa bambino: perché l’onnipotenza si veste della più grande
impotenza facendosi “difendere” da un’umile donna, e chiede a
tutti, ed ha bisogno di tutto, anche di una misera stalla, del fiato
di un bue e di un asino, di un po' di paglia, di una grotta, che è
la casa del Condiscendente. Il Presepe è la scuola che
confonde i sapienti e depone i potenti, che porta la pace con l’amore
che fa vivere, perché è povera forza la forza che uccide. La carità
di Dio è così grande, che non ha bisogno della forza per proporsi.
Nel Presepe Maria
diventa l’ostensorio che mostra l’amore di Gesù. Le Vergini
consacrate nel mondo, e noi con loro, sono chiamate ad essere la
culla del vero Adamo, dove il mondo intero è messo al mondo nella
comunione divina. “Mi aspetto pertanto che la ‘spiritualità
della comunione’, indicata da San Giovanni Paolo II, diventi realtà
e che voi siate in prima linea nel cogliere ‘la grande sfida che ci
sta davanti’ in questo nuovo millennio: fare della Chiesa la casa e
la scuola della comunione” (Papa Francesco, Lettera in occasione
dell’Anno della Vita consacrata, novembre 2014).
1
La
liturgia eucaristica di questa domenica di Natale è ricca di testi
per le diverse celebrazioni: della vigilia, della notte, dell'aurora
e del giorno; tutti momenti significativi e anche suggestivi.
Quindi, tento di offrire con umiltà una riflessione sui tre momenti
per meditare insieme la verità del Natale e contemplarne la
bellezza.
2
“In
quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il
censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto
quando Quirino era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi
censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla
Galilea, dalla città di Nazareth, salì in Giudea alla città di
Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla
famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa,
che era incinta” (Lc
2,1-5).
3
Questa
è la traduzione letterale dal greco dielthomen,
e in latino transeamus
donde la parola transito.
Lettura Patristica
Disc. 1 per il Natale,
1-3; PL 54, 190-193
Riconosci,
cristiano, la tua dignità
Il nostro Salvatore,
carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la
tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la
paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è
escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti
perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non
avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la
liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio;
gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda
coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Il Figlio di Dio
infatti, giunta la pienezza dei tempi che l'impenetrabile disegno
divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la
natura umana, l'assunse lui stesso in modo che il diavolo,
apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che
prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli
angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e
pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi vedono che
la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di
questa opera ineffabile dell'amore divino, di cui tanto gioiscono gli
angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l'umanità
nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo
del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita
misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi, «e,
mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con
Cristo» (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova
opera delle sue mani.
Deponiamo dunque «l'uomo vecchio con la
condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della
generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci,
cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non
voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna.
Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro.
Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato
trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del
battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in
fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non
sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il
prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.
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