venerdì 28 novembre 2014

L’Avvento: tempo di attesa nella gioia

Rito Romano
1ª Domenica di Avvento - Anno B - 30 novembre 2014
Is 63,16-17.19; 64,2-7; Sal 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37

Rito Ambrosiano
3ª Domenica di Avvento – Le profezie adempiute
Is 51,1-6; Sal 45; 2Cor 2,14-16a; Gv 5,33-39

1) L’attesa permette l’incontro con l’Amato.
L’Avvento, questo tempo liturgico forte che nel rito romano comincia oggi, ci invita a sostare in silenzio per accogliere e capire la presenza di Cristo. E’ un invito a comprendere che i singoli eventi della giornata sono cenni che Dio ci rivolge, segni dell’attenzione che ha per ognuno di noi. L’Avvento ci invita e ci stimola a contemplare il Signore presente. La certezza della sua presenza ci aiuta a vedere il mondo con occhi diversi; a considerare tutta la nostra esistenza come “visita” di Dio, che ci viene vicino, che ci resta accanto in ogni situazione. Perché questo ci accada “la liturgia dell’Avvento ci ripete costantemente che dobbiamo destarci dal sonno dell’abitudine e della mediocrità, dobbiamo abbandonare la tristezza e lo scoraggiamento; occorre che rinfranchiamo i nostri cuori perché ‘il Signore è vicino’” (Benedetto XVI).
Se vivremo l’Avvento come il Papa emerito suggerisce, il Natale non sarà solamente una festa per ricordare un fatto del passato, ma la presente e viva attuazione di un evento. In effetti, ciò che è accaduto una volta nella storia si fa evento nella vita del credente oggi. Come più di duemila anni fa, il Signore è venuto per tutti, Lui viene sempre e di nuovo per ciascuno di noi. Per questo, ognuno di noi deve sperimentare l’attesa e l’arrivo, perché per ciascuno di noi nasca la salvezza.
Dunque, il primo atteggiamento che qualifica il tempo dell’Avvento è quello dell’attesa. Normalmente si attende con gioia una persona conosciuta e questo periodo di quattro settimane ci è dato per familiarizzarci con la persona di Cristo, il Salvatore reale. Lui viene quale amico che di più grande non possiamo trovare al mondo: Lui viene come amico vero perché non pensa tanto a se stesso quanto agli amici.
Dovremmo vivere l’attesa della venuta del bambino Gesù come una madre attende il figlio che porta in grembo: meditando il miracolo dell’imminente venuta di una persona desiderata ma sconosciuta, magari anche un po’ temuta anche se si tratta di una persona piccina quindi bisognosa di tenerezza, frutto di un amore da accogliere a cuore aperto e senza timore.
Se il cuore non è ottuso, può e deve essere teso a Cristo. Dovremmo avere una viva attenzione al Signore. Lui viene sempre, ma spesso l’incontro non avviene perché viviamo una vita spirituale superficiale, con una certa distrazione. Purtroppo raramente siamo nelle condizioni spirituali di percepire questa “venuta” di Dio.
L’importante è vivere l’avvento come attesa sicura della “venuta” di Dio, come la Madre per eccellenza ha vissuto l’attesa della venuta del Figlio, Gesù.
Io penso che Maria Vergine passò i mesi dell’attesa –in primo luogo- cercando, pensando e leggendo tutto ciò che poteva arricchire il suo sapere sull’Atteso delle genti, sul Figlio dell’Altissimo da Lei concepito, con umiltà e abbandono.
In secondo luogo, la Madre di Dio pregò intensamente, cioè chiese che lo Spirito di Dio La illuminasse nella ricerca del volto di suo Figlio e suo Signore. Allora Lui, il Dio vicino, instaurò tra Sé e la Madonna un legame di fedeltà, di fiducia, di accordo, in una parola sola: di fede obbediente.
In terzo luogo, la Vergine Madre si esercitò ad amare il Figlio che portava nel grembo. Ma come si può amare Uno che non si conosce. Mise in pratica quello che anni più tardi San Giovanni Apostolo scrisse nella sua prima lettera: “Chi non ama il proprio fratello che non vede, non può amare Dio che non vede”, e andò a visitare la cugina Elisabetta, il cui figlio così ricevette la visita del Figlio di Dio. Maria amò non a parole, ma con dei fatti; non con sentimenti, ma con l’agire, facendosi pellegrina di carità, della pietà di Dio.

2) La gioia per la presenza del Dio vicino.
Se viviamo l’Avvento di Cristo, come Maria Vergine visse l’attesa della di lui nascita, educheremo il nostro cuore ad una attesa reale, quotidiana, nella tensione alla presenza di Chi si è fatto uomo per noi, per salvare la nostra vita. E saremo nella gioia, perché -come la Madonna- avremo la certezza che Dio è vicino: era in Lei ed è in noi, sempre: nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, come amico e sposo fedele. E questa gioia rimane anche nella prova, nella stessa sofferenza, e rimane non in superficie, ma nel profondo della persona che a Dio si affida e in Lui confida.
Gesù nascendo portò la gioia a Maria, a Giuseppe, ai pastori, ai Re Magi e, poi alle persone che lo accolsero. quindi anche a noi. Ciò nonostante, nasce spontanea questa domanda: “E’ possibile questa gioia anche oggi?”. La risposta ce la danno, con la loro vita, uomini e donne di ogni età e condizione sociale, felici di consacrare la loro esistenza agli altri per amore di Cristo, incarnato per noi. La beata Madre Teresa di Calcutta non è stata forse, nei nostri tempi, una testimone indimenticabile della vera gioia evangelica? Viveva quotidianamente a contatto con la miseria, il degrado umano, la morte. La sua anima ha conosciuto la prova della notte oscura della fede, eppure ha donato a tutti il sorriso di Dio. Una volta, Madre Teresa di Calcutta ha detto: “Noi aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c’è Dio, ma è in nostro potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento. Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui, dare come Lui, servire come Lui”.
La gioia entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio prende dimora - come la prese nel grembo della Madonna - nella grotta, nella casa di Nazareth - e l’anima è nella gioia. Se invece si fa della felicità un idolo, si sbaglia strada ed è veramente difficile trovare la gioia di cui parla Gesù. E’ questa, purtroppo, la proposta delle culture che pongono la felicità individuale al posto di Dio, mentalità che trova un suo effetto emblematico nella ricerca del piacere ad ogni costo. Anche a Natale si può sbagliare strada, scambiare la vera festa con quella che non apre il cuore alla gioia di Cristo, e riduca tutto ad uno scambio di doni materiali.
3) L'Avvento è Gesù che viene.
Quanti secoli di attesa e quante anime consumate nel desiderio dell’attesa! Che Gesù venga! “La Chiesa sposa aspetta il suo sposo! Dobbiamo chiederci però, con molta sincerità: siamo davvero testimoni luminosi e credibili di questa attesa, di questa speranza? Le nostre comunità vivono ancora nel segno della presenza del Signore Gesù e nell’attesa calorosa della sua venuta, oppure appaiono stanche, intorpidite, sotto il peso della fatica e della rassegnazione? Corriamo anche noi il rischio di esaurire l’olio della fede, e l’olio della gioia? Stiamo attenti! Invochiamo la Vergine Maria, madre della speranza e regina del cielo, perché ci mantenga sempre in un atteggiamento di ascolto e di attesa, così da poter essere già ora permeati dell’amore di Cristo e aver parte un giorno alla gioia senza fine, nella piena comunione di Dio e non dimenticatevi, mai dimenticare: «E così per sempre saremo con il Signore!»” (1Ts 4,17)” (Papa Francesco, 14 ottobre 2014).
Sorge allora un’altra domanda: “Come discernere i segni del “Veniente”? “Ed accostatisi a Lui i Farisei e i Sadducei gli chiedevano di mostrar loro un segno dal cielo. Ma Egli, rispondendo, dice loro: - Quando si fa sera, voi dite: bel tempo, perché il cielo rosseggia! E la mattina dite: oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo. L’aspetto del cielo lo sapete dunque discernere e i segni dei tempi non arrivate a discernerli? » (Mt 16). “Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è vicino, è proprio alle porte”. (Mt 24, 33).
Il rimprovero vale anche per noi, perché la sensibilità cristiana incarnata e redentrice è in diminuzione. Si corre dietro a fatti emozionanti, miracolisti e non si riconosce l’eccezionalità della reale presenza di Cristo nell’Ostia consacrata. Molti di noi vogliono vedere folle inginocchiate e oranti, miracoli di ogni tipo: sono fatti che hanno il loro significato, ma non sono gli unici segni del Veniente. Bisogna avere un cuore proteso verso le voci più delicate e quasi impercettibili della nostra generazione, che, accanto ai violenti distacchi, conosce gli spasimi ineffabili di un'attesa che, se non ha ancor un nome, dà però tanta speranza a chi può vedere.
Le Vergini consacrate nel mondo, imitando più da vicino la Vergine Maria, sono chiamate ad incarnare lo spirito dell’Avvento, fatto di ascolto di Dio, di desiderio profondo di fare la sua volontà, di gioioso servizio al prossimo. Lasciamoci guidare dal loro esempio, perché il Dio che viene non ci trovi chiusi o distratti, ma possa, in ognuno di noi, estendere un po’ il suo regno di amore, di giustizia e di pace.
Con il loro esempio proclamano a un mondo spesso disorientato, ma in realtà sempre più alla ricerca d'un senso, che Dio è il Signore dell'esistenza, che la sua “grazia val più della vita2 (Sal 62,4). Scegliendo l’obbedienza, la povertà e la castità per il Regno dei cieli, mostrano che ogni attaccamento ed amore alle cose e alle persone è incapace di saziare definitivamente il cuore; che l’esistenza terrena è un’attesa più o meno lunga dell’incontro "faccia a faccia" con lo Sposo divino, attesa da vivere con cuore sempre vigile per essere pronti a riconoscerlo e ad accoglierlo quando verrà. Per natura sua, dunque, la vita consacrata costituisce una risposta a Dio totale e definitiva, incondizionata e appassionata (cfr Vita consecrata, 17).
Infine non dimentichiamo di pregare per tutte le persone consacrate, perché in questa prima Domenica di Avvento 2014 si apre l’Anno della Vita consacrata1, che terminerà il 2 febbraio 2016. In quest’anno tutti i fedeli sono invitati a riscoprire l’importanza di questa forma di vita per la vita della Chiesa e per i circa 800.000 consacrati sarà un’opportunità per approfondire il senso del loro impegno di essere “Vangelo, Profezia e Speranza” per la Chiesa e per il Mondo intero.

1 l’Em.mo Card. João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha affermato “Prima di tutto va detto che questo Anno della vita consacrata è stato pensato nel contesto dei 50 anni del Concilio Vaticano II, e più in particolare nella ricorrenza dei 50 anni dalla pubblicazione del Decreto conciliare Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita consacrata.

La vita consacrata, come ricordava il Papa Francesco nell’incontro con i Superiori generali, “è complessa, è fatta di peccato e di grazia”. In questo Anno si vuole riconoscere e confessare la debolezza di chi si è consacrato, ma anche "gridare" al mondo con forza e con gioia la santità e la vitalità che sono presenti nella vita consacrata. Quanta santità, tante volte nascosta ma non per questo meno feconda, nei monasteri, nei conventi, nelle case dei consacrati, che porta questi uomini e donne ad essere “icone viventi” del Dio.

Il secondo obiettivo di questo Anno è di abbracciare il futuro con speranza. Di fronte a tanti "profeti di sventura" le persone consacrate vogliono rimanere uomini e donne di speranza; una speranza che non si basa sulle nostre forze umane, sui numeri dei vari membri delle varie forme di vita religiosa, ma su Colui nel quale i consacrati hanno riposto la loro fiducia. In Lui nessuno ci ruberà la nostra speranza.

Il terzo obiettivo di questo Anno della vita consacrata è quello di vivere il presente con passione. La passione parla di innamoramento, di vera amicizia, di profonda comunione… Di tutto questo si tratta quando parliamo di vita consacrata, ed è questo che dà bellezza alla vita di tanti uomini e donne che professano i consigli evangelici e seguono "più da vicino" Cristo in questo stato di vita. L’Anno della vita consacrata sarà un momento importante per "evangelizzare" la propria vocazione e testimoniare la bellezza della sequela Christi nelle molteplici forme in cui si esprime la nostra vita. I consacrati raccolgono il testimone lasciato loro dai rispettivi fondatori e fondatrici. Spinti anche dal Papa Francesco, in questo Anno vogliono «svegliare il mondo» con la loro testimonianza profetica, particolarmente con la loro presenza nelle periferie esistenziali della povertà e del pensiero.

I consacrati e le consacrate sono coscienti che, oltre a raccontare la grande storia che hanno scritto nel passato, sono chiamati a scrivere una non meno bella e grande storia nel futuro (cf. Vita Consecrata 110). Tutto questo porterà i religiosi e i consacrati a continuare il rinnovamento proposto dal Concilio, potenziando la loro relazione con il Signore, la vita fraterna in comunità, la missione, e curando una formazione adeguata alle sfide del nostro tempo, in modo da «riproporre con coraggio» e con «fedeltà dinamica» e creativa (cf. Vita Consecrata 37) l’esperienza dei loro fondatori e fondatrici.”


Lettura Patristica
Beda il Venerabile2
In Evang. Marc., 4, 13, 33-37
La vigilanza cristiana

       "State attenti! Vegliate e pregate, perché non sapete quando verrà il momento" (Mc 13,33-34).
       «È come un uomo che, partito per un lungo viaggio, ha lasciato la sua casa e ha conferito ai suoi servi l’autorità di compiere le diverse mansioni, e ordini al guardiano di vigilare. Chiaramente rivela il perché delle parole: «Riguardo poi a quel giorno o a quell’ora nessuno sa nulla, né gli angeli che sono in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre". Non giova agli apostoli saperlo affinché, stando nell’incertezza, credano con assidua attesa che stia sempre per venire quel giorno di cui ignorano il momento dell’arrivo. Inoltre non ha detto "noi non sappiamo" in quale ora verrà il Signore, ma "voi non sapete" (Mt 24,42). Coll’esempio del padrone di casa spiega con maggiore chiarezza perché taccia sul giorno della fine. Questo è quanto dice:
       "Vigilate dunque; non sapete infatti quando viene il padrone di casa, se di sera, se a mezzanotte, se al canto del gallo, se di mattina; questo affinché, venendo all’improvviso, non vi trovi a dormire (Mc 13,35-36).
       «L’uomo - che è partito per un viaggio e ha lasciato la sua casa, - non v’è dubbio che sia Cristo, il quale, ascendendo vittorioso al Padre dopo la risurrezione, ha abbandonato col suo corpo la Chiesa, che tuttavia mai è abbandonata dalla sua divina presenza poiché egli rimane in lei per tutti i giorni fino alla fine dei secoli. Il luogo proprio della carne è infatti la terra, ed essa viene guidata come in un paese straniero quando è condotta e alloggiata in cielo dal nostro Redentore» (Mt 28,20).
       Egli ha dato ai suoi servi l’autorità per ogni mansione, in quanto ha donato ai suoi fedeli, con la grazia concessa dello Spirito Santo, la facoltà di compiere opere buone. Ha ordinato poi al guardiano di vegliare, in quanto ha stabilito che incombe alla categoria dei pastori e delle guide spirituali di prendersi cura con abile impegno della Chiesa loro affidata.
       "Ciò che dico a voi, lo dico a tutti: Vigilate!" (Mc 13,37).
       Non solo agli apostoli e ai loro successori, che sono le guide della Chiesa, ma anche a tutti noi ha ordinato di vigilare. Ha ordinato a tutti noi con insistenza di custodire le porte dei nostri cuori, per evitare che in essi irrompa l’antico nemico con le sue malvagie suggestioni. Ed affinché il Signore, venendo, non ci trovi addormentati, dobbiamo tutti stare assiduamente in guardia. Ciascuno infatti renderà a Dio ragione di se stesso.
       «Ma veglia chi tiene aperti gli occhi dello spirito per guardare la vera luce; veglia chi conserva bene operando ciò in cui crede; veglia chi respinge da sé le tenebre del torpore e della negligenza. Per questo Paolo dice: Vegliate giusti e non peccate; e aggiunge È ormai il momento di destarci dal sonno» (1Co 15,34 Rm 13,11).



2 Il Venerabile Beda nacque verso il 673. Dall’età di otto anni, trascorse tutta la sua vita nel monastero di Jarrow nella Northumbria in Inghilterra, dedito alla meditazione e alla spiegazione delle Scritture; tra l’osservanza della disciplina monastica e l’esercizio quotidiano del canto in chiesa. A 30 anni fu ordinato prete e divenne celebre per la sua erudizione. E’ conosciuto soprattutto per le sue opere storiche che gli valsero il titolo di Padre della Storia d'Inghilterra. Mori nel 735.








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