Rito
Romano – XXVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 12
ottobre 2014
Is
25,6-10; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14
Rito
Ambrosiano – VII Domenica dopo il martirio di San Giovanni il
Precursore
Is
65,8-12; Sal 80; 1Cor 9,7-12; Mt 13,3b-23
1) Invito
costante a fare festa, cioè a vivere la vita come celebrazione di
gioia.
Fra
le parabole narrate da Gesù c'è quella che parla di un re che offre
un pranzo di nozze al quale gli invitati aventi diritto non vogliono
partecipare. Questo rifiuto spinge il re ad ampliare l’invito a
tutti. Gesù ci presenta il Padre come colui che “invita il mondo
intero alle nozze di suo Figlio”.
Credo
sia corretto affermare che l’occupazione principale di questo Re è
quella di condividere la gioia per le nozze di suo Figlio con quanti
sono chiamati, cioè tutti. Infatti se leggiamo la parabola accanto
al passo di Isaia (25, 6-10 – Prima lettura) lo spunto da
sottolineare è l’invito universale alla familiarità gioiosa con
Dio. Questo grande profeta parla di un grande raduno di tutti i
popoli. Se l’immagine è quella del banchetto: “Un convito di
carni grasse e di vini pregiati”, la nota più sottolineata è
l’universalità: “per tutti i popoli”. Si tratta di un convito
di pace e libertà, in cui “il canto dei tiranni si affievolisce”
e si celebra la vittoria dell’Amore. Questa grandiosa speranza di
Isaia non poggia sull’uomo, ma unicamente su Dio. È la solidità
della sua Parola (“una roccia perpetua”: 26,4), che autorizza a
sperare anche in tempi di disperazione. E queste pagine di Isaia
furono infatti scritte in tempo di disperazione.
La
Parola fatta carne, nel vangelo di oggi, mostra che la salvezza viene
dall’accoglimento dell’invito a partecipare alla festa dell’Amore
nuziale, ad accogliere la verità della vita. Cristo attira
l’attenzione che su quello che è un paradosso: il popolo di Dio
rifiuta il Messia e il Suo Vangelo, mentre gli altri, i lontani, lo
cercano e lo accolgono. Questo paradosso racchiude (ed è così che
noi oggi lo dobbiamo leggere) un severo e pressante avvertimento per
noi cristiani: l’appartenenza alla Chiesa non ci pone al sicuro.
Può accadere anche oggi che i vicini rifiutino Cristo, mentre i
lontani lo cerchino. Può succedere anche oggi che quelli che sono
stati chiamati per primi, con il loro rifiuto, non vogliono
assurdamente partecipare alla gioia. Allora Lui offre il posto a
tutti gli altri.
Oggi,
dunque, il messaggio principale è che il Dio della gioia si
qualifica per il suo continuo “chiamare”: Dio è Colui che ama e
chiama. L'uso ripetuto del verbo non lascia spazio a dubbi: Dio
“chiama” continuamente alla sua festa. Il bello è che non si
arrende quando i “chiamati” declinano il suo invito. Dio riparte
alla carica e “chiama” altri, cattivi e buoni, pur di raggiungere
l’obiettivo di avere invitati alla festa.
Il
Re dei re non cede, non desiste: continua ad invitare, a mandare
messaggeri ai crocicchi delle strade. Stupenda questa espressione:
siamo mandati, noi credenti in Cristo, agli incroci delle strade. Là
dove si incontrano i punti cardinali, là dove s’intersecano le
culture e i popoli sconfinano: l’invito a nozze è per tutti, in
ogni crocevia del tempo e dello spazio, in ogni periferia geografica
ed esistenziale. Usciamo dalle nostre chiese con il desiderio di
abitare i crocicchi delle strade, di intersecarci con le questioni di
questo mondo, di lottare perché ai crocevia della vita nessuno si
perda.
2)
Due domande con una sola risposta.
Alla
luce di quanto stiamo meditando nascono due domande.
La
prima: perché rifiutare l’invito a partecipare alla festa che
celebra l’Amore come, purtroppo, hanno fatto i primi invitati?
La
seconda: perché partecipare alla festa, senza condividere pienamente
la gioia del re, cioè senza indossare l’abito nuziale, il vestito
della festa?
La
risposta a tutte e due le domande è una sola: perché il cuore
nostro è duro e fa resistenza alla conversione. In effetti, il Re di
questa parabola se la prende con chi, anche se ha risposto
positivamente al suo invito, ma non ha messo l’abito nuziale,
perché non è cambiato. Non si è vestito con “la veste di lino
che sono le opere giuste dei santi” (Ap 5,7), vale a dire non ha
cambiato il cuore con l’impegno concreto per una vita fraterna, per
sentieri di giustizia e di pace. Cambiarsi d’abito, mettere l'abito
nuziale, significa cambiare vita, rivoltare i propri stili di vivere
ed indossare il nostro abito, Cristo stesso.
La
parte della parabola che parla dell’"abito nuziale” è un
avvertimento per i cristiani che possono anche loro essere puniti per
indegno comportamento (mancano dell'abito nuziale), come i primi che
hanno rifiutato l’invito alla gioia. La vocazione cristiana non
comporta automaticamente, per se stessa la salvezza finale e non è
per i credenti una garanzia magica di partecipazione al Regno.
Non
possiamo vivere il nostro banchetto nuziale senza un riscontro nel
nostro modo di essere, nel nostro vivere virtuoso. Come nel giorno
del nostro battesimo abbiamo ricevuto una veste bianca, così ogni
giorno dobbiamo rivestirci di Cristo, accogliendo l’invito
dell’Apostolo Paolo: “Spogliatevi dell'uomo vecchio e rivestitevi
dell’uomo nuovo”, cioè di Cristo. Se ci rivestiamo di Lui,
impariamo ad amare come Lui, a guardare come lui.
Il
giorno del nostro battesimo fu messa su ciascuno di noi una piccola
veste bianca. Questo gesto era (ed è ancor oggi) accompagnato con le
parole:“Ora sei rivestito di Cristo, questa veste bianca sia segno
della tua nuova dignità”. Da allora il nostro abito della festa
che non finisce mai è Cristo. Dunque dobbiamo passare la vita a
rivestirci di Lui, a fare nostri i Suoi gesti, le Sue parole, il Suo
sguardo, le Sue mani, i Suoi sentimenti; a preferire coloro che egli
preferiva.
L'abito
nuziale è come quello indossato dalla Donna dell'Apocalisse: vestita
di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di
stelle, che indossa l’abito dato da Dio, l’abito da festa del
creato, che è la luce, il primo di tutti i simboli di Dio. Sotto il
manto della Madonna c’è posto per ciascuno di noi, cercatore di
quella luce che vince le paure e le ombre che invecchiano il cuore.
La
parabola ci invita a convertirci a Lui, che amandoci ci chiama. Noi
lo pensiamo come un Re che ci chiama a servirlo e invece è Lui che
ci serve e mette a disposizione la Sua casa per la festa. Noi Lo
temiamo come il Dio dei sacrifici e Lui è il Dio cui sta a cuore la
nostra gioia. Lui ci offre il pane di vita e il calice della carità,
noi accostiamoci alla sua mensa con umiltà, purezza e semplicità.
Noi
Lo pensiamo come un Dio lontano, separato, invece Lui è dentro la
sala della vita, la sala del mondo vero, come una promessa di
felicità, una scala di luce posata sul cuore e che sale verso il
cielo.
Accettando l’invito
di Dio, il regalo della sua gioia, evitiamo di cadere nell’errore
di quelli che non hanno risposto alla Sua chiamata, perché oltre ad
aver perso la gioia del cuore, la cercano dietro le cose da possedere
e gli affari da fare. Convertiamoci a questo Dio che, quando è
rifiutato, invece di abbassare le attese le alza: “Chiamate tutti”;
e dai molti invitati passa a tutti invitati: tutti quelli che
troverete, cattivi o buoni, fateli entrare. Notate: prima i cattivi e
poi i buoni... Noi non siamo chiamati perché siamo buoni e ce lo
meritiamo, ma perché diventiamo buoni, lasciandoci incontrare e
incantare da una proposta di vita bella, buona e felice da parte di
Dio.
In
ciò guardiamo l’esempio delle Vergini consacrate. Le persone
consacrate nel mondo si sforzano ci “conciliare armoniosamente la
vita interiore e il lavoro nell’impegno evangelico della
conversione morale e nella pratica assidua della meditazione della
Parola, della vita liturgia e della preghiera” (cfr Giovanni Paolo
II, Esort. Ap. Post-sinodale, Vita consecrata, 25 marzo 1996,
n.6).
La
loro consacrazione è una forma stabile di conversione verso il
Padre, con il desiderio di cercare filialmente la sua volontà in una
conversione continua, dove l’obbedienza è la fonte della libertà,
dove la castità esprime la tensione di un cuore che nessun amore
finito può soddisfare, dove lo spirito di povertà nutre la fame
e sete di giustizia che Dio ha promesso di colmare (cf. Mt
5, 6).
La
loro consacrazione è pure volgersi stabilmente verso il Figlio, con
il quale tendono a vivere una comunione di vita intima, profonda e
gioiosa. Infine è un volgersi verso lo Spirito Santo, che “consacra
il loro cuore e le anima della sua forza per il servizio di Dio e
della Chiesa” (Rituale di consacrazione delle Vergini, n.
37).
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
(+ 430)
DISCORSO
90, 1 5-6, PL 38, 559 561-562.
SULLE
NOZZE DEL FIGLIO DEL RE (Mt 22, 1-14)
Il
banchetto del Signore sulla terra e in cielo.
Tutti
i fedeli conoscono le nozze del figlio del re e il banchetto
apprestato da lui; la tavola del Signore è preparata per tutti
coloro che vogliano prendervi parte. È però importante sapere chi
vi si accosta, dato che non gli viene proibito d'accostarvisi. Le
Sacre Scritture infatti c'insegnano ch'esistono due banchetti del
Signore: l'uno è quello al quale partecipano i buoni e i cattivi,
l'altro è quello dal quale sono esclusi i cattivi. Ecco perché il
banchetto del Signore, di cui abbiamo sentito parlare durante la
lettura del Vangelo, comprende precisamente buoni e cattivi. Tutti
coloro che si scusarono dal partecipare a quel banchetto sono i
cattivi; ma non tutti quelli che vi presero parte sono i buoni. Mi
rivolgo dunque a voi che siete buoni e state a tavola in questo
banchetto, a tutti voi che riflettete a ciò ch'è detto: Chi
mangia il corpo del Signore e beve il suo sangue in modo indegno,
mangia e beve la propria condanna 1.
Ammonisco tutti voi che siete buoni a non cercare i buoni fuori di
questo banchetto e a tollerare i cattivi che sono dentro.
Qual
è l'abito di nozze.
Di
che si tratta dunque? Desidero che voi tutti i quali vi accostate
alla mensa del Signore, che si trova qui, non siate con quelli che
saranno cacciati fuori, ma con i pochi che saranno salvati. Come
potrete ottenere ciò? Prendete l' abito di nozze. "Spiegaci -
mi si dirà - che cos'è l'abito di nozze". Esso è senza dubbio
l'abito che hanno solo i buoni, che saranno lasciati nel banchetto e
saranno riservati per il banchetto, al quale non accederà nessun
cattivo, e vi saranno condotti per grazia di Dio; sono essi che hanno
l'abito di nozze. Esaminiamo dunque, fratelli miei, tra i fedeli
quelli che hanno qualche virtù propria di cui sono privi i cattivi,
e quella sarà l'abito di nozze. Se parliamo di sacramenti, voi
vedete come sono comuni ai cattivi e ai buoni. È forse il battesimo?
Senza il battesimo nessuno per verità arriva a Dio; ma non tutti
quelli che hanno il battesimo arrivano a Dio. Non posso quindi
prendere il battesimo come l'abito di nozze, cioè il sacramento da
solo, poiché tale abito lo vedo nei buoni ma anche nei cattivi.
Forse è l'altare o ciò che si riceve dall'altare. Noi vediamo che
molti mangiano, ma essi mangiano e bevono la propria condanna. Che
cos'è dunque? È forse far digiuno? Fanno digiuno anche i cattivi. È
forse frequentare la chiesa? Ma la frequentano anche i cattivi.
Infine è forse fare miracoli? Ma questi li fanno non solo i buoni e
i cattivi, ma talora i buoni non li fanno. Ecco, a proposito
dell'antico popolo israelitico facevano miracoli i maghi del faraone
e non li facevano gl'israeliti; tra gl'israeliti li facevano solo
Mosè e Aronne, mentre
tutti gli altri non li facevano, ma li vedevano, temevano e
credevano. Erano forse migliori i maghi del faraone i quali facevano
miracoli che il popolo d'Israele non era capace di fare, e tuttavia
era il popolo che apparteneva a Dio? A proposito della stessa Chiesa,
ascolta l'Apostolo che dice: Sono forse tutti profeti? Hanno forse
tutti il dono di compiere guarigioni? Sanno forse parlare in tutte le
lingue conosciute?
L'abito
di nozze è la carità.
Qual
è dunque l'abito di nozze? Il fine del precetto - dice
l'Apostolo - è la carità che sgorga da un cuore puro, da una
buona coscienza e da una fede sincera. Questo è l'abito di
nozze. Non si tratta però d'una carità qualsiasi, poiché spesso
sembra che si amino tra loro anche individui che hanno in comune una
cattiva coscienza. Coloro che compiono insieme rapine e delitti, che
sono tifosi degl'istrioni, che insieme incitano con urla i guidatori
dei cocchi in lizza e i cacciatori del circo, per lo più si amano
tra loro, ma non hanno la carità che sgorga da un cuore puro, da
una buona coscienza e da una fede sincera. È siffatta carità
l'abito di nozze. Se io sapessi parlare le lingue degli uomini e
degli angeli, ma non possedessi la carità, sarei - dice
l'Apostolo - come una campana che suona o un tamburo che rimbomba.
Sono arrivati al banchetto individui parlanti solo le lingue ma loro
vien detto: "Perché siete entrati senza aver l'abito di
nozze?". Se avessi - dice ancora - il dono della
profezia e quello di svelare tutti i segreti, se avessi il dono di
tutta la scienza, e avessi tanta fede da smuovere i monti, ma non
avessi la carità, non varrei nulla. Ecco qui i miracoli delle
persone che per lo più non hanno l'abito di nozze. "Se avessi
tutti questi doni - dice l'Apostolo - e non avessi Cristo, non varrei
nulla". Non varrei nulla, dice. La profezia, dunque, non
vale nulla? La conoscenza dei segreti dunque non vale nulla? "No,
non sono questi doni che non valgono nulla, ma sono io che non varrei
nulla, se li possedessi ma non avessi la carità". Quanti beni
non giovano a nulla se ne manca uno solo! "Se non avrò la
carità, anche se distribuirò elemosine ai poveri e se, per rendere
testimonianza al nome di Cristo, arriverò fino al sangue, arriverò
fino a farmi bruciare, queste azioni possono farsi anche per amore
della gloria e allora sono inutili". Poiché dunque queste
azioni possono diventare anche inutili, se fatte per amore della
gloria, e non in virtù della carità fecondissima d'amore verso Dio,
l'Apostolo ricorda anche queste stesse azioni; ascoltale: Se
distribuirò tutti i miei beni ai poveri e lascerò bruciare il mio
corpo, ma non avrò la carità, non mi gioverà a nulla. Ecco
l'abito delle nozze! Esaminate voi stessi: se lo avete, voi starete
sicuri al banchetto del Signore. In un unico individuo esistono due
impulsi dell'anima: la carità e la cupidigia. Nasca in te la carità,
se non è ancora nata, e se già è nata, venga allevata, venga
nutrita e cresca. Per quanto riguarda la cupidigia, al contrario, in
questa vita non può essere eliminata del tutto - poiché se
diremo di non avere peccati, inganniamo noi stessi e in noi non c'è
la verità-; ma noi commettiamo dei peccati nella misura in cui
abbiamo la cupidigia; facciamo sì che cresca la carità e diminuisca
la cupidigia affinché quella, cioè la carità, venga portata un
giorno alla perfezione, e la cupidigia venga ridotta all'estinzione.
Indossate l'abito delle nozze; rivolgo quest'esortazione a voi che
non l'avete ancora. Voi siete già dentro la Chiesa, vi siete già
accostati al convito, ma non avete ancora l'abito da indossare in
onore dello sposo, poiché andate ancora in cerca dei vostri
interessi, non di quelli di Cristo. L'abito di nozze infatti
s'indossa in onore dei coniugi, cioè dello sposo e della sposa. Voi
conoscete lo sposo: è Cristo; conoscete la sposa: è la Chiesa.
Recate onore allo sposo e alla sposa. Se onorerete come si deve gli
sposi, voi ne sarete figli. Fate quindi progressi a questo riguardo.
Amate il Signore e con questo sentimento imparate ad amarvi tra voi;
in tal modo quando vi amerete tra voi amando il Signore, amerete
sicuramente il prossimo come voi stessi. Quando infatti non trovo uno
che ami se stesso, in qual modo gli potrò affidare il prossimo
perché lo ami come se stesso? "E chi è - domanderà qualcuno -
che non ami se stesso?". Ecco chi è: Chi ama l'iniquità,
odia l'anima propria. Ama forse se stesso chi ama la propria
carne e odia la propria anima con suo danno e con danno della propria
anima e della propria carne? Chi è colui che ama la propria anima?
Colui che ama Dio con tutto il cuore e con tutta la sua anima. A una
persona di tal genere posso dunque affidare il prossimo. Amate il
prossimo come voi stessi.
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