Rito
Romano – XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 19
ottobre 2014.
Is
45,1.4-6 Sal 95 1Ts 1,1-5b Mt 22,15-21
Rito
Ambrosiano – Solennità del Signore
Bar
3,24-38;oppure Ap 1,10;21,2-5; Sal 86; 2Tm 2,19-22; Mt 21,10-17
1)
Cesare e Dio.
Nel
Vangelo di oggi viene riportata la nota frase di Cristo: “Date a
Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Frase
questa ripetuta a proposito e a sproposito, quando si parla del
rapporto tra il cristianesimo e le istituzioni, il potere politico.
Per
offrire una meditazione evangelica che non sia ridotta ad una anche
se breve lezione sui rapporti Stato-Chiesa, ritengo importante
spiegare il contesto in cui questa frase è pronunciata da Gesù.
Poichè
hanno visioni diverse dell’occupazione romana ai tempi della vita
terrena di Cristo, i Farisei e gli Erodiani vogliono tendere un
tranello a Gesù. Quando un profeta diventa scomodo, bisogna in
qualche misura coglierlo in errore, dimostrare che si contraddice. La
domanda “Di’ a noi il tuo parere: è lecito o no, pagare il
tributo a Cesare?”.
Se
a questa domanda circa la liceità per gli Ebrei di pagare le tasse a
Roma, Gesù avesse risposto di no lo avrebbero accusato proprio
presso i Romani di essere loro nemico e ribelle; nel caso avesse
risposto di sì, avrebbero avuto buon gioco nel denunciarlo davanti a
tutti come traditore del suo stesso popolo.
Gesù
non cade nel tranello, prende un’altra strada non prevista dai
farisei ed erodiani, che avevano fatto una domanda ambigua e invita i
suoi interlocutori a prendere la moneta del tributo. Essi mostrano la
moneta con l'immagine di Tiberio Cesare. A quel punto, Lui prima
domanda se tale immagine è di Cesare, poi fa l’affermazione che ho
citato all’inizio.
L’insegnamento
che se ne ricava, abitualmente e abbastanza giustamente, è quello di
ribadire la distinzione tra Stato e Chiesa e di affermare che è
essenziale saper distinguere tra ciò che è di Cesare e ciò che è
di Dio, e che comunque il primato di ogni realtà è sempre legato a
Dio.
Il
cristiano è colui che è chiamato a vivere da cittadino nella
propria patria, rispettando le leggi del suo Stato. Paga la tasse,
interviene nelle assemblee, partecipa da credente alla vita politica,
ma sa che ogni realtà può e deve essere riferita solamente a Dio.
2)
Dio e la sua immagine.
“Date
a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio”. Queste
parole in genere vengono interpretate nel senso della distinzione tra
Stato e Chiesa. Ed è certamente lecito fare ciò. Tuttavia questa
frase ci spinge più lontano e richiama una verità più profonda
sull’uomo. Perché se sulla moneta è impressa l’immagine di
Cesare, su di noi è “impressa” l’immagine di Dio o, meglio,
noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio.
Alla
domanda di Gesù di chi siano sulla moneta il ritratto e il titolo
che l’individua, Gli rispondono: “di Cesare”. E Gesù replica:
“Restituite dunque a Cesare quel ch'è di Cesare e a Dio quel ch’è
di Dio”. La risposta sconcerta gli ascoltatori. In ogni caso
dobbiamo chiederci cosa sia di Cesare e cosa di Dio. Nella risposta
di Gesù è chiaro cosa appartiene a Cesare: solo quella moneta della
zecca di Roma su cui è incisa l'immagine” dell'imperatore. Questa
pertanto andava restituita al proprietario. Il Vangelo va oltre e
dice di dare a Dio quello che è di Dio. Ma cosa è di Dio? Il
termine “immagine”, usato da Gesù per la moneta, rimanda alla
frase biblica posta proprio all'inizio della Bibbia: “Dio creò
l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò” (Gn 1,
27). Ciò vuol dire che oggi, come ai tempi della vita terrena di
Gesù resta vero quello che iniziò con la creazione dell’uomo.
All’inizio della storia del mondo, Adamo ed Eva sono frutto di un
atto di amore di Dio, fatti a sua immagine e somiglianza, e la loro
vita e il loro rapporto con il Creatore coincidevano.
Già
nel IV secolo, un Autore anonimo scriveva: “L’immagine di Dio non
è impressa sull’oro, ma sul genere umano. La moneta di Cesare è
oro, quella di Dio è l’umanità … Pertanto da’ la tua
ricchezza materiale a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica
della tua coscienza, dove Dio è contemplato … Cesare, infatti, ha
richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo,
che egli ha creato, per riflettere la sua gloria” (Anonimo, Opera
incompleta su Matteo, Omelia 42). E Sant’Agostino ha utilizzato
più volte questo riferimento nelle sue omelie: “Se Cesare reclama
la propria immagine impressa sulla moneta - afferma -, non esigerà
Dio dall’uomo l’immagine divina scolpita in lui?” (En. in
Ps., Salmo 94, 2). E ancora: “Come si ridà a Cesare la moneta,
così si ridà a Dio l’anima illuminata e impressa dalla luce del
suo volto … Cristo infatti abita nell’uomo interiore” (Ibid,
Salmo 4, 8).
Quindi
questa indicazione di Gesù non può essere ridotta al solo ambito
politico. Il compito della Chiesa in questo caso non è quello di
limitarsi a ricordare agli uomini la giusta distinzione tra la sfera
di autorità di Cesare e quella di Dio, tra l’ambito politico e
quello religioso. Il compito della Chiesa, che prosegue la missione
di Gesù, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua
sovranità di Padre, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani
che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò
che gli appartiene, cioè la nostra vita che in Lui diventa santa,
vera. La verità di noi, come di tutti gli esseri umani, sta nel
fatto che siamo anzitutto figli di Dio. E che a Dio apparteniamo.
Questa è la radice della libertà e della dignità dell’uomo, che
vanno difese, curate e restituite a ciascuno. Si tratta cioè di far
emergere sempre più chiara quell’impronta di Dio che è stata
plasmata nel più profondo di ogni essere umano e che lo rende santo.
In
effetti, c’è una “santità” che appartiene ad ogni persona
umana, non per suo merito ma per dono, perché ognuno di noi è stato
creato a immagine di Dio. Sant’Ireneo scrisse
che il Verbo e lo Spirito sono le due mani con cui l’uomo fu
plasmato all'inizio e con cui viene plasmato oggi secondo l’immagine
di Dio.
Sempre,
ma specialmente all’inizio di questa vita di santità, ogni
credente non ha altro dovere che la docilità all’azione dello
Spirito. Ma come riconoscere l’azione dello Spirito Santo e farle
spazio nella nostra vita? Tenendo vivo in noi il santo desiderio di
Dio e vivendo la perseveranza, mediante la domanda di Cristo in ogni
istante della nostra vita. Diceva Suor Elisabetta della Trinità:
“Com’è serio ogni istante! Costa il Sangue di Cristo!”. Ogni
istante costa Dio stesso, perché il prezzo del tempo è Dio: in ogni
istante lo riceviamo, dobbiamo riceverlo. In ogni istante, purtroppo,
possiamo anche chiuderci a Lui e rifiutarLo, e Lo rifiutiamo nella
misura che non ci abbandoniamo a questa grazia. Lo rifiutiamo e ci
chiudiamo a Lui nella misura in cui non siamo docili a Lui, non Lo
ascoltiamo o non Lo accogliamo in noi, discepoli suoi.
Come
discepoli di Gesù dobbiamo operare perché in ogni uomo risplenda
quell’icona (immagine) di Dio che gli è impressa nel cuore.
Non
solo noi dobbiamo adorare Dio che è presente nell’anima nostra,
non soltanto dobbiamo renderci conto che siamo tempio vivente di Dio.
Dobbiamo anche renderci conto che tutto quello che abbiamo ricevuto
da Lui deve essere istante per istante da Lui mosso, da Lui usato, da
Lui adoperato.
Dobbiamo essere non soltanto il tempio di Dio, ma lo strumento della sua azione, perché Dio non abita in noi statico, fermo; non abita in noi solamente perché lo adoriamo. Egli abita in noi per agire, soprattutto per trasformarci e renderci simili a Lui, di cui noi siamo immagine.
Dobbiamo essere non soltanto il tempio di Dio, ma lo strumento della sua azione, perché Dio non abita in noi statico, fermo; non abita in noi solamente perché lo adoriamo. Egli abita in noi per agire, soprattutto per trasformarci e renderci simili a Lui, di cui noi siamo immagine.
Siamo
invitati a domandare con la preghiera e l’azione di essere fatti
conformi all’immagine del Figlio di Dio. Spesso questa
immagine è deturpata, offesa, umiliata, frantumata, per colpe
personali o per opera altrui. Deturpando noi stessi o gli altri,
deturpiamo l’immagine di Dio che è in noi, sfiguriamo l’immagine
che le “due mani” creative di Dio hanno realizzato. Oggi, Gesù
ci esorta a “restituire” a Dio quello che a Lui appartiene: tutto
e tutti: noi stessi insieme tutta l’umanità e la creazione.
Però
non dobbiamo dimenticare che, rispetto a tutte le altre creature,
l’uomo è l’unico che Dio ha voluto per sé (Gaudium et spes
12; Catechismo della Chiesa Cattolica 356); ovvero non è una
cosa fra le cose, ma è un essere capace di autocoscienza e decisione
libera. È una persona, capace di relazione con Dio e con le altre
persone. In questo sta l’immagine-somiglianza con Dio: non siamo
una cosa inglobata nelle leggi del cosmo (pensate all’evoluzione
che porta alla presenza dell’uomo: gli scienziati dicono circa 3
miliardi di anni), ma abbiamo coscienza, libertà, possiamo
interpretare questo nostro essere al mondo dandogli un senso.1
L’uomo
così appare come il vertice della creazione, il punto in cui il
creato diventa cosciente e capace di risposta libera a Dio, capace di
relazione2.
Un
Ordine di persone che vive questa relazione di comunione sponsale con
Dio e fraterna con gli uomini è quello delle Vergini Consacrate nel
mondo.
Mediante la loro
consacrazione, queste donne testimoniano alla Chiesa e al mondo, che
l’essere umano è riflesso dell’amore Dio e che è chiamato a
essere nel mondo visibile un portavoce della gloria di Dio, e, in un
certo senso, una parola della sua Gloria.
Le
vergini manifestano e rendono pubblica la perfetta verginità della
stessa loro Madre la Chiesa, e la santità dei loro vincoli
strettissimi con Cristo. Queste donne inoltre
offrono un segno mirabile della fiorente santità e di quella
spirituale fecondità propria della Chiesa. A questo proposito sono
magnifiche le espressioni di san Cipriano: “La verginità è un
fiore che germoglia dalla Chiesa, decoro e ornamento della grazia
spirituale, gioia della natura, capolavoro di lode e di gloria,
immagine di Dio che riverbera la santità del Signore, porzione più
eletta del gregge di Cristo. Se ne rallegra la chiesa, la cui
gloriosa fecondità in esse abbondantemente fiorisce: e quanto più
cresce la schiera delle vergini tanto più grande è la gioia della
Madre” (Cipriano, De habitu virginum, 3: PL 4,
443).
A
ciò con saggezza si ispirano le espressioni del Celebrante nel rito
della consacrazione delle vergini e nelle preghiere rivolte al
Signore: “Affinché vi siano anime più sublimi che, disdegnando
nel matrimonio i piaceri della carne, ne cerchino il significato
recondito, e invece di imitare ciò che si fa nel matrimonio, amino
quanto in esso è simboleggiato”.(Pontificale Romano, Consacrazione
delle Vergini).
1
Nel secondo racconto biblico della creazione (Gen 2,4a-25) l’uomo
(adam)
è tratto dalla polvere (adamah),
in cui Dio soffia il suo alito
di vita
(neshamah),
che lo rende un essere vivente (nefesh).
Ciò che fa la differenza tra noi e le altre creature è lo spirito,
la capacità di essere liberi, di attribuire un significato al fatto
che siamo qualcosa.
2
La relazione non è un’appendice della natura umana, ma
l’espressione più piena dell’essere persona.
Lettura
Patristica
Sant’Ambrogio
di Milano (340 -397)
Exp.
Ev. sec. Luc. 9, 34-36
"Di
chi è l’immagine e l’iscrizione?"
(Lc
20,24).
In questo passo Egli c’insegna che dobbiamo essere cauti nel
respingere le accuse degli eretici oppure dei Giudei. In un altro
punto ha detto: "Siate
astuti come i serpenti".
Questo, diversi lo interpretano così: poiché la croce di Cristo fu
preannunciata nel serpente levato in alto, affinché venisse
distrutto il veleno serpigno degli spiriti del male, parrebbe che si
debba essere accorti come il Cristo, e semplici come lo Spirito. Ecco
dunque chi è il serpente che tiene sempre protetto il capo, ed evita
così le ferite mortali. Quando i Giudei gli chiedevano se avesse
ricevuto dal Cielo la sua autorità, Egli rispose: "Il
battesimo di Giovanni di dov’era, dal Cielo o dagli uomini?"
(Mt
20,4).
E lo scopo era che essi, non osando negare che era dal Cielo, si
convincessero da soli della propria demenza nel negare che Colui che
lo dava era dal Cielo. Egli chiede un didramma e domanda di chi è
l’effigie: infatti diversa è l’effigie di Dio, diversa l’effigie
del mondo. Per questo anche colui ci ammonisce: "E
come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo
l’immagine dell’uomo celeste"
(1Co
15,49).
Cristo non ha
l’immagine di Cesare, perché Egli è "l’immagine
di Dio".
Pietro non ha l’immagine di Cesare, perché ha detto: Noi
abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito"
(Mt
19,27).
Non si trova l’immagine di Cesare in Giacomo o in Giovanni, perché
sono i figli del tuono, ma essa si trova nel mare, dove vi sono sulle
acque quei mostri dalle teste fracassate, e lo stesso mostro
principale, col capo mozzo, vien dato come cibo ai popoli degli
Etiopi. Ma se non aveva l’immagine di Cesare, perché mai ha pagato
il tributo? Non l’ha pagato del suo, ma ha restituito al mondo ciò
che apparteneva al mondo. E se anche tu non vuoi esser tributario di
Cesare, non possedere le proprietà del mondo. Però hai le
ricchezze: e allora sei tributario di Cesare. Se non vuoi esser
assolutamente debitore del re della terra, abbandona ogni tua cosa e
segui Cristo.
E giustamente Egli
ordina di dare prima a Cesare ciò che è di Cesare, perché nessuno
può appartenere al Signore, se prima non ha rinunziato al mondo.
Tutti, certo, rinunziamo a parole, ma non rinunziamo col cuore;
infatti, quando riceviamo i sacramenti, facciamo la rinunzia. Che
pesante responsabilità è promettere a Dio, e poi non soddisfare il
debito! "È
meglio non fare voti",
sta scritto, "piuttosto
che farne e non mantenerli"
(Qo
5,4).
L’obbligo della fede è più forte di quello pecuniario. Rendi
quanto hai promesso, finché sei in questo corpo, prima che giunga
l’esecutore "e
questi ti getti in prigione. In verità ti dico che non ne uscirai
prima di aver pagato fino all’ultimo spicciolo";(Lc
12,58
Mt
5,25s).
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