V
Domenica di Quaresima – Anno C - 17 marzo 2013
Rito
Romano
Is
43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
Rito
Ambrosiano
V
Domenica di Quaresima di Lazzaro
Dt
6,4a;26,5-11; Sal 104; Rm 1,18-23a; Gv 11,1-53
1) L'amore perdona
Ancora un Vangelo di
misericordia. Domenica scorsa, abbiamo contemplato l'abbraccio del
Padre misericordioso, che, col suo amore, stringe a sé e riabilita
il figlio prodigo che era andato lontano da casa, e aveva sciupato,
non solo l’eredità pretesa in anticipo, ma anche la sua dignità
d’uomo.
Oggi, contempliamo Gesù
che scrive sulla sabbia i peccati dell’umanità fragile e sul cuore
di una donna assetata di vita il suo perdono.
In questa contemplazione
immaginiamoci di essere presenti alla scena descritta nel Vangelo
romano di oggi. Vediamo Gesù nel tempio al mattino e la gente che va
da lui. Lui si siede (il testo greco usa kathizo: gesto del maestro
che si siede in cattedra per insegnare) ed ecco che arrivano alcuni
scribi e farisei con una donna, gliela buttano ai suoi piedi e gli
chiedono “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante
adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne
come questa. Tu che ne dici?”. I farisei e gli scribi vogliono che
le pietre della lapidazione “rimbalzino” dall’adultera a
Cristo, che non risponde immediatamente alla domanda che Gli è posta
come trappola mortale.
In effetti, se avesse
contestato la legge mosaica, per salvare la sua reputazione di uomo
buono, mansueto come un agnello (la passione è vicina), avrebbero
lapidato anche Lui come anti-Dio.
Se avesse confermato la
condanna, avrebbe messo delle pietre tombali sul suo messaggio di
misericordia.
Inoltre, se da una parte
Gesù non poteva legittimare il peccato, dall’altra –credo- che
detestasse l’accanimento degli spietati, l’impudenza dei
peccatori che volevano ergersi a giudici dei peccati degli altri.
Cristo non cade nel
tranello e risolve il dilemma tra giustizia e condono: Lui perdona.
Lui non rinnega la Legge, svela il volto di tenerezza e di
misericordia di un Dio che ama il suo popolo perché a sua volta
impari ad essere misericordioso. Così fa risplendere ancor di più
la vera e lieta notizia del Vangelo che è misericordia, cioè
giustizia che ricrea.
Per insegnare la
misericordia, Gesù scrive sulla sabbia, come per indicare che le
parole degli accusatori hanno per lui l’inconsistenza della
polvere, mentre incide il suo perdono sul cuore dell’adultera e
oggi sul nostro cuore che è diventato di carne grazie al dolore del
peccato. E, Lui, il solo senza peccato, dice “Chi è senza peccato,
scagli la prima pietra”, per dire che chi vuole l’applicazione
della legge, deve prima applicarla a se stesso, per ricordare che
pure gli accusatori erano peccatori. Quando la donna fu portata da
Gesù, Lui chinò gli occhi per non ferire l’adultera neppure con
lo sguardo. Dopo averla perdonata, volse i Suoi occhi verso di lei e
questa adultera capì che Cristo, che Lui vedeva in lei una grandezza
ed una dignità che il peccato non può distruggere, e l’interpellò
con il titolo che usava per Sua madre, Maria: “Donna”, alle nozze
di Cana e sulla Croce, segno supremo della misericordia di Dio.
2) Una questione di
sguardo.
Per imparare questa
misericordia, dobbiamo guardare a Cristo con gli occhi pieni di
riconoscenza come certamente fece questa donna peccatrice salvata
dallo stupefacente perdono assoluzione del Redentore: “Donna, non
ti condanno”. In questo modo anche a ciascuno di noi Gesù dirà:
“Va' in pace e non peccare più”. Gli occhi puri di Cristo e
quelli imploranti dell’adultera si sono incrociati. Cristo ha visto
in lei la bellezza originaria della sua anima, anche se offuscata dal
peccato. La donna, i cui occhi dell’anima erano stati resi puri dal
perdono, ha visto il cielo, di cui gli occhi del Salvatore sono le
finestre.
Alla luce di questo
incontro facciamo nostra la preghiera d’inizio della Messa di oggi,
con la quale il Sacerdote prega così: “Signore che rinnovi in
Cristo tutte le cose” compresa la nostra miseria, fa’ fiorire
“nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia”.
La luce degli occhi di
Cristo si rifletterà nei nostri e noi avremmo sguardi puri e grati,
come è chiesto alla Vergini consacrate, la cui presenza fa alzare lo
sguardo, richiama alla realtà più vera verso la quale tutti siamo
incamminati. Le Vergini consacrate si donano a Dio e ci ricordano che
è importante avere uno sguardo contemplativo. Con loro e con tutta
la Chiesa preghiamo perché anche per noi con gli occhi alzati siamo
riempiti di luce e di riconoscenza, che si fa donazione di amore,
servizio di amore (RCV n 24, verso la fine della preghiera di
consacrazione).
3) L’amore
risuscita.
Se il Vangelo scelto
dalla liturgia romana di oggi ci fa celebrare l’amore che perdona,
quello scelto dalla liturgia ambrosiana ci insegna l’amore che fa
risuscitare, proponendoci l’episodio della risurrezione di
Lazzaro.
Gesù e Lazzaro si
volevano fraternamente bene. Il Messia andava spesso a casa di
quest’uomo e delle sue due sorelle, Marta e Maria, e con loro
consumava dei pasti, in vera amicizia. Stranamente - dal nostro punto
di vista - quando dicono a Gesù che Lazzaro si era ammalato, Lui
aspetta un paio di giorni prima di andare a casa dell’amico e
quando arriva questi è morto. Le due sorelle del morto rimproverano
Gesù, ripetendo una dopo l’altra: “Se tu fossi stato qui, mio
fratello non sarebbe morto”. Cristo, più che per il rimprovero,
resta addolorato per la poca fede di persone che gli sono care e,
piangendo chiede: “Dove l’avete messo?”. Insieme andarono al
sepolcro e Gesù, fatta togliere la pietra tombale, richiamò alla
vita l’amico.
Per quel che sappiamo dai
Vangeli e se non vado errato, tre solamente sono i morti risuscitati
da Cristo: il figlio della vedova di Naim, la figlia di Giairo e
Lazzaro. E compie questi tre miracoli non tanto per manifestare la
sua potenza e impressionare la gente. Mi pare che Gesù sia mosso
unicamente dal dolore straziante di chi amava quei morti: per
consolare una madre, un padre e due sorelle. Un’altra osservazione,
secondo me, importante: in tutte e tre i casi Gesù parla del morto
non come se fosse morto ma soltanto addormentato. Del figlio della
vedova, non ha tempo di parlare perché la decisione è troppo
immediate. Ma anche a lui dice, come a un ragazzo pigro che resta a
letto passata l’ora: “Ragazzo, dico a te: levati!”. Quando gli
dicono che la bambina di Giairo è morta, risponde: “Non è morta,
ma dorme”. Quando gli confermano la morte di Lazzaro, insiste: “Non
è morto, ma dorme”. La Morte per Lui non è che un Sonno. Un sonno
più profondo del sonno comune e giornaliero, ma così profondo che
soltanto un Amore sovrumano lo rompe. Amore interpellato dall’amore
dei sopravvissuti. Amore di uno che piange quando vede il pianto di
quelli che ama. Chiamando i morti “dormienti”, ci insegna che la
morte con lui non ha più l’ultima parola sulla vita, perché il
“sonno” non blocca definitivamente la vita. Ci insegna pure che
il Suo Amore unito all’amore di chi soffre è più forte della
morte e ridesta i “dormenti”.
La
consolante affermazione di San Giovanni della Croce: “Alla sera
della vita saremo giudicati sull’amore” potrebbe essere
completata così: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore
e ridestati dall’Amore nel giorno senza fine”. Dunque, con la
preghiera, il digiuno e l’elemosina apriamo sempre più gli occhi
del cuore per riconoscere quanto può l’Amore, che è Provvidenza
per noi e per il mondo intero. Preghiamo più spesso la Madonna e
prepariamoci a vivere con lei la Pasqua di Risurrezione di suo
Figlio, fratello nostro, Lui che è solo Amore.
Lettura
patristica
S.
Agostino d’Ippona.
OMELIA
33
La
donna adultera.
Il
Signore ha condannato il peccato, non l'uomo. Bisogna tenerne conto
per non separare, nel Signore, la verità dalla bontà. Il Signore è
buono e retto. Amalo perché è buono, temilo perché è retto.
1.
La vostra Carità ricorda che nel precedente discorso, prendendo
spunto dal brano evangelico, vi abbiamo parlato dello Spirito Santo.
Il Signore aveva invitato i credenti in lui a bere lo Spirito Santo,
parlando in mezzo a coloro che avevano intenzione di prenderlo e
volevano ucciderlo, ma non ci riuscivano perché egli ancora non
voleva. Appena ebbe detto queste cose, nacque tra la folla un forte
dissenso intorno a lui. Alcuni sostenevano che egli era il Cristo,
mentre altri facevano osservare che il Cristo non poteva venire dalla
Galilea. Coloro poi che erano stati mandati ad arrestarlo,
ritornarono con le mani pulite e pieni di ammirazione per lui.
Resero, anzi, testimonianza alla sua divina dottrina, quando alla
domanda di quelli che li avevano mandati: Perché non lo avete
condotto?, essi risposero: Nessun uomo ha mai parlato come parla
costui. Egli infatti aveva parlato così perché era Dio e uomo.
Tuttavia i farisei, rifiutando la testimonianza delle guardie,
replicarono: Anche voi siete stati sedotti? Vediamo infatti che vi
siete deliziati dei suoi discorsi. C'è forse alcuno dei capi o dei
farisei che gli abbia creduto? Ma questa gentaglia, che non conosce
la legge, è maledetta! (Gv 7, 45-49). Quelli che non conoscevano la
legge, credevano in colui che aveva dato la legge; egli invece veniva
disprezzato da quelli che insegnavano la legge, affinché si
adempisse ciò che il Signore stesso aveva detto: Io sono venuto
perché vedano quelli che non vedono e quelli che vedono diventino
ciechi (Gv 9, 39). Ciechi infatti son diventati i dottori farisei,
mentre sono stati illuminati i popoli che non conoscevano la legge,
ma che hanno creduto nell'autore della legge.
2.
Tuttavia uno dei farisei, Nicodemo - quello che si era recato da Gesù
di notte, e che probabilmente non era incredulo ma soltanto timido, e
perciò si era avvicinato alla luce di notte, perché voleva essere
illuminato pur avendo paura di essere riconosciuto -, rispose ai
Giudei: La nostra legge giudica forse un uomo prima di averlo
ascoltato e di sapere ciò che fa? Perversi com'erano, volevano
condannarlo prima di conoscerlo. Nicodemo infatti sapeva, o almeno
era persuaso, che se essi avessero avuto soltanto la pazienza di
ascoltarlo, probabilmente avrebbero fatto come quelli che, mandati
per arrestarlo, avevano preferito credere in lui. Gli risposero,
seguendo i pregiudizi del loro animo: Saresti anche tu galileo? Cioè,
anche tu sei stato sedotto dal Galileo? Il Signore infatti era
chiamato Galileo, perché i suoi genitori erano di Nazaret. Ho detto
genitori riferendomi a Maria, non al padre: Gesù ha cercato in terra
solo una madre, poiché aveva già in cielo il Padre. La sua nascita
infatti fu mirabile in ambedue i sensi: divina senza madre e umana
senza padre. E cosa dissero quei sedicenti dottori della legge a
Nicodemo? Studia le Scritture, e vedrai che non sorge profeta dalla
Galilea. Ma il Signore dei profeti era sorto proprio dalla Galilea. E
ciascuno - nota l'evangelista - tornò a casa sua (Gv 7, 50-53).
3.
Gesù, poi, se ne andò al monte degli Ulivi, al monte dei frutti, al
monte dell'olio, al monte dell'unzione. Poteva trovare, il Cristo,
per insegnare, luogo più adatto del monte degli Ulivi? Il nome
Cristo infatti viene dalla parola greca chrisma, che tradotto
significa "unzione". Egli infatti ci ha unti per fare di
noi dei lottatori contro il diavolo. All'alba, però, era di nuovo
nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, seduto, insegnava
ad essi (Gv 8, 1-2). E nessuno poteva prenderlo perché non era
ancora giunta l'ora della sua passione.
[Verità,
bontà e giustizia.]
4.
Osservate ora fino a che punto i suoi nemici misero alla prova la
mansuetudine del Signore. Allora gli scribi e i farisei gli conducono
una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono:
Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora
Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidarle queste tali. Tu che
cosa dici? Questo dicevano per metterlo alla prova, onde avere di che
accusarlo (Gv 8, 3-6). Accusarlo di che? Forse che avevano sorpreso
pure lui in qualche delitto, oppure si poteva dire che quella donna
aveva avuto a che fare con lui? In che senso allora essi volevano
metterlo alla prova, per avere di che accusarlo? Abbiamo modo di
ammirare, o fratelli, la straordinaria mansuetudine del Signore.
Anche i suoi avversari fecero esperienza della sua grande mitezza,
della sua mirabile mansuetudine, secondo quanto di lui era stato
predetto: Cingiti la spada al fianco, potentissimo; e maestoso
t'avanza, cavalca, per la causa della verità e della mansuetudine e
della giustizia (Sal 44, 4-5). Egli ci ha apportato la verità come
dottore, la mansuetudine come liberatore, la giustizia come giudice.
Per questo il profeta aveva predetto che il suo regno sarebbe stato
totalmente sotto l'influsso dello Spirito Santo. Quando parlava,
trionfava la verità; quando non reagiva agli attacchi dei nemici,
risaltava la mansuetudine. E siccome i suoi nemici, per invidia e per
rabbia, non riuscivano a perdonargli né la verità né la
mansuetudine, inscenarono uno scandalo per la terza cosa, cioè per
la giustizia. Che cosa fecero? Siccome la legge ordinava che gli
adulteri fossero lapidati, e ovviamente la legge non poteva ordinare
una cosa ingiusta, chiunque sostenesse una cosa diversa da ciò che
la legge ordinava, si doveva considerare ingiusto. Si dissero dunque:
Egli si è considerato amico della verità e passa per mansueto;
dobbiamo imbastirgli uno scandalo sulla giustizia; presentiamogli una
donna sorpresa in adulterio, ricordiamogli cosa stabilisce in simili
casi la legge. Se egli ordinerà che venga lapidata, non darà prova
di mansuetudine; se deciderà che venga rilasciata, non salverà la
giustizia. Ma per non smentire la fama di mansuetudine che si è
creata in mezzo al popolo, certamente - essi pensavano - dirà che
dobbiamo lasciarla andare. Così noi avremo di che accusarlo, e,
dichiarandolo colpevole di aver violato la legge, potremo dirgli: sei
nemico della legge, devi rispondere di fronte a Mosè, anzi, di
fronte a colui che per mezzo di Mosè ci ha dato la legge; sei reo di
morte e devi essere lapidato anche tu assieme a quella. Con tali
parole e proposito, s'infiammava l'invidia, ardeva il desiderio di
accusarlo, si eccitava la voglia di condannarlo. Ma tutto questo
contro chi? Era la perversità che tramava contro la rettitudine, la
falsità contro la verità, il cuore corrotto contro il cuore retto,
la stoltezza contro la sapienza. Ma come gli avrebbero potuto
preparare dei lacci in cui non sarebbero essi stessi caduti per
primi? Il Signore, infatti, risponde in modo tale da salvare la
giustizia senza smentire la mansuetudine. Non cade nella trappola che
gli è stata tesa, ci cadono invece quegli stessi che l'hanno tesa:
gli è che non credevano in colui che li avrebbe potuti liberare da
ogni laccio.
[La
miseria e la misericordia.]
5.
Cosa rispose dunque il Signore Gesù? Cosa rispose la verità? Cosa
rispose la sapienza? Cosa rispose la stessa giustizia contro la quale
era diretta la calunnia? Non disse: Non sia lapidata! Si sarebbe
messo contro la legge. Ma si guarda bene anche dal dire: Sia
lapidata! Egli era venuto, non a perdere ciò che aveva trovato, ma a
cercare ciò che era perduto (cf. Lc 19, 10). Cosa rispose dunque?
Guardate che risposta piena di giustizia, e insieme piena di
mansuetudine e di verità! Chi di voi è senza peccato - dice -
scagli per primo una pietra contro di lei (Gv 8, 7). O risposta della
Sapienza! Come li costrinse a rientrare subito in se stessi! Essi
stavano fuori intenti a calunniare gli altri, invece di scrutare
profondamente se stessi. Si interessavano dell'adultera, e intanto
perdevano di vista se stessi. Prevaricatori della legge, esigevano
l'osservanza della legge ricorrendo alla calunnia, non sinceramente,
come fa chi condanna l'adulterio con l'esempio della castità. Avete
sentito, o Giudei, avete sentito, farisei e voi, dottori della legge,
avete sentito tutti la risposta del custode della legge, ma non avete
ancora capito che egli è il legislatore. Che altro vuol farvi
capire, scrivendo in terra col dito? La legge, infatti, fu scritta
col dito di Dio, e fu scritta sulla pietra per significare la durezza
dei loro cuori (cf. Es 31, 18). Ed ora il Signore scriveva in terra,
perché cercava il frutto. Avete dunque sentito il verdetto? Ebbene,
si applichi la legge, si lapidi l'adultera! E' giusto, però, che la
legge della lapidazione venga eseguita da chi dev'essere a sua volta
colpito? Ciascuno di voi esamini se stesso, rientri in se stesso, si
presenti al tribunale della sua anima, si costituisca davanti alla
propria coscienza, costringa se stesso alla confessione. Egli sa chi
è, poiché nessun uomo conosce le cose proprie dell'uomo, fuorché
lo spirito dell'uomo che è in lui (cf 1 Cor 2, 11). Ciascuno,
rivolgendo in sé lo sguardo, si scopre peccatore. Proprio così.
Quindi, o voi lasciate andare questa donna, o insieme con lei subite
la pena della legge. Se dicesse: Non lapidate l'adultera! verrebbe
accusato come ingiusto; se dicesse: Lapidatela! non si mostrerebbe
mansueto. Ascoltiamo la sentenza di colui che è mansueto ed è
giusto: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra
contro di lei. Questa è la voce della giustizia: Si punisca la
peccatrice, ma non ad opera dei peccatori; si adempia la legge, ma
non ad opera dei prevaricatori della legge. Decisamente, questa è la
voce della giustizia. E quelli, colpiti da essa come da una freccia
poderosa, guardandosi e trovandosi colpevoli, uno dopo l'altro, tutti
si ritirarono (Gv 8, 9). Rimasero soltanto loro due: la misera e la
misericordia. E il Signore, dopo averli colpiti con la freccia della
giustizia, non si fermò a vederli cadere, ma, distolto lo sguardo da
essi, si rimise a scrivere in terra col dito (Gv 8, 8).
6.
Quella donna era dunque rimasta sola, poiché tutti se ne erano
andati. Gesù levò gli occhi verso di lei. Abbiamo sentito la voce
della giustizia, sentiamo ora la voce della mansuetudine. Credo che
più degli altri fosse rimasta colpita e atterrita da quelle parole
che aveva sentito dal Signore: Chi di voi è senza peccato, scagli
per primo una pietra contro di lei. Quelli, badando ai fatti loro e
con la loro stessa partenza confessandosi rei, avevano abbandonato la
donna col suo grande peccato a colui che era senza peccato. E poiché
essa aveva sentito quelle parole: Chi di voi è senza peccato, scagli
per primo una pietra contro di lei, si aspettava di essere colpita da
colui nel quale non si poteva trovar peccato. Ma egli, che aveva
respinto gli avversari di lei con la voce della giustizia, alzando
verso di lei gli occhi della mansuetudine, le chiese: Nessuno ti ha
condannato? Ella rispose: Nessuno, Signore. Ed egli: Neppure io ti
condanno, neppure io, dal quale forse hai temuto di esser condannata,
non avendo trovato in me alcun peccato. Neppure io ti condanno. Come,
Signore? Tu favorisci dunque il peccato? Assolutamente no. Ascoltate
ciò che segue: Va' e d'ora innanzi non peccare più (Gv 8, 10-11).
Il Signore, quindi, condanna il peccato, ma non l'uomo. Poiché se
egli fosse fautore del peccato, direbbe: neppure io ti condanno; va',
vivi come ti pare, sulla mia assoluzione potrai sempre contare;
qualunque sia il tuo peccato, io ti libererò da ogni pena della
geenna e dalle torture dell'inferno. Ma non disse così.
7.
Ne tengano conto coloro che amano nel Signore la mansuetudine, e
temano la verità. Infatti dolce e retto è il Signore (Sal 24, 8).
Se lo ami perché è dolce, devi temerlo perché è retto. In quanto
è mansueto dice: Ho taciuto; ma in quanto è giusto aggiunge: Forse
che sempre tacerò? (Is 42, 14 sec. LXX). Il Signore è
misericordioso e benigno. Certamente. Aggiungi: longanime, e ancora:
molto misericordioso, ma tieni conto anche di ciò che è detto alla
fine del testo scritturale, cioè verace (Sal 85, 15). Allora infatti
giudicherà quanti l'avranno disprezzato, egli che adesso sopporta i
peccatori. Forse che disprezzi le ricchezze della sua bontà, della
sua pazienza, della sua longanimità, non comprendendo che questa
bontà di Dio ti spinge solo al pentimento? Con la tua ostinatezza e
con il tuo cuore impenitente accumuli sul tuo capo l'ira per il
giorno dell'ira, quando si manifesterà il giusto giudizio di Dio, il
quale renderà a ciascuno secondo le sue opere (Rm 2, 4-6). Il
Signore è mansueto, il Signore è longanime, è misericordioso; ma è
anche giusto, è anche verace. Ti dà il tempo di correggerti; ma tu
fai assegnamento su questa dilazione, senza impegnarti a correggerti.
Ieri sei stato cattivo? oggi sii buono. Anche oggi sei caduto nel
male? almeno domani cambia. Tu invece rimandi sempre e ti riprometti
moltissimo dalla misericordia di Dio, come se colui che ti ha
promesso il perdono in cambio del pentimento, ti avesse anche
promesso una vita molto lunga. Che ne sai cosa ti porterà il domani?
Giustamente dici in cuor tuo: quando mi correggerò, Dio mi perdonerà
tutti i peccati. Non possiamo certo negare che Dio ha promesso il
perdono a chi si corregge e si converte; è vero, puoi citarmi una
profezia secondo cui Dio ha promesso il perdono a chi si corregge;
non puoi, però, citarmi una profezia secondo cui Dio ti ha promesso
una vita lunga.
[Tra
la speranza e la disperazione.]
8.
Gli uomini corrono due pericoli contrari, ai quali corrispondono due
opposti sentimenti: quello della speranza e quello della
disperazione. Chi è che s'inganna sperando? chi dice: Dio è buono e
misericordioso, perciò posso fare ciò che mi pare e piace, posso
lasciare le briglie sciolte alle mie cupidigie, posso soddisfare
tutti i miei desideri; e questo perché? perché Dio è
misericordioso, buono e mansueto. Costoro sono in pericolo per abuso
di speranza. Per disperazione, invece, sono in pericolo quelli che
essendo caduti in gravi peccati, pensano che non potranno più essere
perdonati anche se pentiti, e, considerandosi ormai destinati alla
dannazione, dicono tra sé: ormai siamo dannati, perché non facciamo
quel che ci pare? E' la psicologia dei gladiatori destinati alla
morte. Ecco perché i disperati sono pericolosi: non hanno più
niente da perdere, e perciò debbono essere vigilati. La disperazione
li uccide, così come la presunzione uccide gli altri. L'animo
fluttua tra la presunzione e la disperazione. Devi temere di essere
ucciso dalla presunzione: devi temere, cioè, che contando unicamente
sulla misericordia di Dio, tu non abbia ad incorrere nella condanna;
altrettanto devi temere che non ti uccida la disperazione; che
temendo, cioè, di non poter ottenere il perdono delle gravi colpe
commesse, non ti penti e così incorri nel giudizio della Sapienza
che dice: anch'io, a mia volta, godrò della vostra sventura (Prv 1,
26). Come si comporta il Signore con quelli che sono minacciati
dall'uno o dall'altro male? A quanti rischiano di cadere nella falsa
speranza dice: Non tardare a convertirti al Signore, né differire di
giorno in giorno; perché d'un tratto scoppia la collera di lui, e
nel giorno del castigo tu sei spacciato (Sir 5, 8-9). A quanti sono
tentati di cadere nella disperazione cosa dice? In qualunque momento
l'iniquo si convertirà, dimenticherò tutte le sue iniquità (cf. Ez
18, 21-22 27). A coloro dunque che sono in pericolo per disperazione,
egli offre il porto del perdono; per coloro che sono insidiati dalla
falsa speranza e si illudono con i rinvii, rende incerto il giorno
della morte. Tu non sai quale sarà l'ultimo giorno; sei un ingrato;
perché non utilizzi il giorno che oggi Dio ti dà per convertirti?
E' in questo senso che il Signore dice alla donna: Neppure io ti
condanno: non preoccuparti del passato, pensa al futuro. Neppure io
ti condanno: ho distrutto ciò che hai fatto, osserva quanto ti ho
comandato, così da ottenere quanto ti ho promesso.
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