Rito
Romano
Gen
2, 18-24; Sal 127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16
Amore
di sposi e di bambini.
Rito
Ambrosiano
VI
Domenica dopo il Martirio di Giovanni
il Precursore
Is
45,20-24a;
Sal
64; Ef 2,5c-13; Mt 20,1-16
Mostraci,
Signore, la tua misericordia
1)
Domanda sincera o un tranello?
Nelle
domeniche precedenti ci è stato proposto l’insegnamento di Gesù
sul servizio, sull'accoglienza e sullo scandalo. Oggi abbiamo
un'istruzione sul matrimonio e sui piccoli.
In
effetti, nel Vangelo di oggi (Rito romano) ascoltiamo i farisei che
fanno a Cristo una domanda all’apparenza giuridica, di fatto è un
domanda-tranello, per spingere Gesù a schierarsi a favore di una
delle varie interpretazioni della legge sul divorzio. Dunque gli
chiedono: "E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?"
A
questo riguardo va ricordato che la Torah, la legge mosaica,
consentiva il divorzio in certi casi, ma le scuole rabbiniche non
erano unanimi nello stabilire quali fossero le condizioni richieste
per farlo: l'infedeltà coniugale era il fattore determinante e
ammesso da tutti. Ma c'erano anche posizioni più radicali che non
ritenevano legittima questa prassi e paragonavano il divorzio
all'adulterio. I farisei comunque ammettevano il divorzio e il
tranello teso a Gesù consisteva proprio nel volergli far dire un sì
o un no. Se diceva sì, perdeva il favore del popolo o, perlomeno,
gli risultava sgradito. Se diceva no, perdeva il favore dei potenti
come era accaduto non molto tempo prima a Giovanni Battista con
Erode.
Gesù
non dà una risposta giuridica e, come tutte le altre volte in cui è
coinvolto in un dibattito, Lui supera i termini angusti in cui gli
uomini pongono il problema e va alla radice. Nel caso di oggi, Cristo
non dice come deve essere interpretato di preciso il passo di Mosè,
ma spiega quale è l'intenzione originaria e fondamentale di Dio.
Non basta appellarsi alle tradizioni, bisogna valutarle in base a
quella intenzione iniziale che le ha generate e che esse a modo loro
e per il loro tempo (ma spesso anche pagando il tributo alla
debolezza degli uomini e alla loro poca fede) hanno cercato di
esprimere.
La
prima lettura, presa dal libro della Genesi, mostra questa intenzione
originaria del Creatore che ha fatto l'uomo e la donna uguali e
complementari per accogliere l’amore, per essere icona dell’Amore:
sempre nel libro della Genesi leggiamo: "Dio
creò l'uomo a sua immagine e somiglianza: maschio e femmina li
creò".
Brano
biblico che mi pare ben illuminato dal profeta Osea: “Così
dice il Signore: Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e
parlerò al suo cuore. Là canterà come nei giorni della sua
giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. Ti farò mia sposa
per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella
benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu
conoscerai il Signore.”
(Os 2,16-17b.21-22)
La
fedeltà dell'uomo e della donna deriva dalla fedeltà di Dio, che
non ritratta mai l'alleanza conclusa con i suoi una volta per sempre.
Dio non ha pensato a uomini e donne fuori del comune, ma a
persone come ciascuno di noi che solo con la sua grazia possono
realizzare la fedeltà nel sacramento che hanno celebrato e che
celebrano ancora ogni giorno.
Insomma, la fedeltà ha il suo nido
nel cuore di Dio.
Questo
amore è amore nuziale. Una madre può anche amare e non chiedere
amore, ma uno sposo non può amare se l’altra non ama. L’amore di
uno sposo, l’amore di una ragazza che si dona a un altro, esige una
risposta. L’amore nuziale è sempre un amore vicendevole che
implica il dono dell’uno all’altro. Questo è l’amore fedele
che Dio offre e chiede a ciascuno di noi: preti, suore, laici sposati
e non, giovani o vecchi che siamo. Un amore che perdona e chiede di
perdonare, per essere così l’icona della tenerezza di Dio. Un
amore fecondo, che deve essere praticato castamente anche da chi ha
fatto il voto di verginità. Infatti il voto di castità non vuol
dire rispondere ad una vocazione di infecondità, di sterilità, ma
di fare della vita consacrata la culla del Dio vivente, il quale poi
rende padri e madri nello spirito. Non è una pura e semplice
formalità ecclesiastica chiamare la suora o il prete: madre o padre.
E ciò vale per tutti, non solo per Madre Teresa di Calcutta o per
Padre Pio da Pietrelcina.
Rispondendo
alla loro vocazione: “La
vostra vita sia una particolare testimonianza di carità e segno
visibile del Regno futuro”
(RCV,
30), le Vergini consacrate fanno in modo che la loro persona irradi
sempre la dignità dell’essere sposa di Cristo, esprima la novità
dell’esistenza cristiana e l’attesa serena della vita futura.
Così, con la loro vita retta, possono essere stelle che orientano il
cammino del mondo e si identificano con quella sposa che, insieme
allo Spirito, invoca la venuta del Signore: “Lo
Spirito e la sposa dicono ‘Vieni’”
(Ap
22,17).
2)
I bambini nel Vangelo.
Nella
seconda parte del brano evangelico odierno vediamo che Gesù Cristo,
dopo essere andato contro la mentalità corrente degli adulti, va
contro la mentalità dei suoi apostoli, per i quali i bambini non
sono importanti per la missione del Maestro. Eppure aveva già detto
loro che occorre diventare come bambini (si veda la riflessione
proposta per la XXV domenica – 23 settembre 2012). L'episodio di
oggi mostra che gli apostoli non hanno ancora capito l’insegnamento
che Gesù aveva dato in precedenza: «I discepoli sgridarono i
bambini ... Gesù vedendo ciò, si indignò...». Con grande e
rinnovata meraviglia dei discepoli, Gesù accoglie i bambini, “perde
tempo con loro?!?!”. No, non perde tempo, continua coerentemente
quello che cominciò a fare dalla nascita a Betlemme. In questo
episodio Gesù è adulto ma ricorda che il giorno di Natale a Lui
“bambino tutti gli
possono parlare: qualche cosa tutti Gli dicono, perché quand'Egli
nasce «nel mezzo della notte si fa un gran silenzio, e alla Parola
onnipotente che discende dalle sue sedi regali» le povere voci
create s'accostano e parlano.
Volete
che non Gli parlino il bue, l'asino, le pecore del Presepio? E la
paglia del suo giaciglio non Gli dirà nulla? E gli Angeli non volete
che Gli portino il desiderio delle stelle e i sospiri della notte?
Capisco
adesso perché l'Onnipotente si fa bambino e
sta coi bambini: perché
l'onnipotenza si veste della più grande impotenza, e chiede a tutti,
ed ha bisogno di tutto, anche di una stalla abbandonata, del fiato di
un asino, di un po' di paglia, di una taverna ...Capisco adesso
perché il Signore entra nella taverna di Emmaus. La taverna, come il
Presepio, è la
casa dell'Accondiscendente,
la scuola che
confonde i savi e depone i potenti. Che strana maniera di confonderci
e di deporci!
Che
povera forza una forza che uccide! Mentre il Forte si veste di povera
carne, una carne che ha freddo, che ha fame. Già piange, già
sanguina questa povera carne di un Dio fatto bambino, di un Dio fatto
pellegrino”(Primo
Mazzolari, Tempo di
Credere, pp. 194-195),
che –fortunatamente- ha tempo per i bambini, sempre.
Gesù
ci propone il bambino non solo e non tanto come modello di innocenza,
ma come esemplare del povero, di colui che non conta, non ha potere,
ricchezza, considerazione, di colui che è debole e indifeso. Ecco
perché il bambino diventa qui l'emblema del discepolo, chiamato ad
essere povero "in ispirito". Egli è cosciente della
propria povertà e dipendenza da Dio a tutti i livelli. Si lascia
amare, si lascia servire da Dio, accogliendo in tal modo il suo
amore. Il suo sguardo non è rivolto a sé, ma a Dio, ed è capace -
come la Vergine - di ammirarne le opere, che trova meravigliose, e di
esaltarsi per la gratuità e la bellezza del suo amore.
Come
suggerisce la liturgia ambrosiana di oggi,
non ci resta che restare appesi
a questo cardine dell’amore di Dio misericordioso, che ricompensa
con vera giustizia tutti, compresi gli operai dell’ultima ora.
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