venerdì 5 ottobre 2012

XXVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 7 ottobre 2012

Rito Romano
Gen 2, 18-24; Sal 127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16  
Amore di sposi e di bambini.

Rito Ambrosiano
VI Domenica dopo il Martirio di Giovanni il Precursore
Is 45,20-24a; Sal 64; Ef 2,5c-13; Mt 20,1-16
Mostraci, Signore, la tua misericordia

1) Domanda sincera o un tranello?
Nelle domeniche precedenti ci è stato proposto l’insegnamento di Gesù sul servizio, sull'accoglienza e sullo scandalo. Oggi abbiamo un'istruzione sul matrimonio e sui piccoli.
In effetti, nel Vangelo di oggi (Rito romano) ascoltiamo i farisei che fanno a Cristo una domanda all’apparenza giuridica, di fatto è un domanda-tranello, per spingere Gesù a schierarsi a favore di una delle varie interpretazioni della legge sul divorzio. Dunque gli chiedono: "E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?"
A questo riguardo va ricordato che la Torah, la legge mosaica, consentiva il divorzio in certi casi, ma le scuole rabbiniche non erano unanimi nello stabilire quali fossero le condizioni richieste per farlo: l'infedeltà coniugale era il fattore determinante e ammesso da tutti. Ma c'erano anche posizioni più radicali che non ritenevano legittima questa prassi e paragonavano il divorzio all'adulterio. I farisei comunque ammettevano il divorzio e il tranello teso a Gesù consisteva proprio nel volergli far dire un sì o un no. Se diceva sì, perdeva il favore del popolo o, perlomeno, gli risultava sgradito. Se diceva no, perdeva il favore dei potenti come era accaduto non molto tempo prima a Giovanni Battista con Erode.
Gesù non dà una risposta giuridica e, come tutte le altre volte in cui è coinvolto in un dibattito, Lui supera i termini angusti in cui gli uomini pongono il problema e va alla radice. Nel caso di oggi, Cristo non dice come deve essere interpretato di preciso il passo di Mosè, ma spiega quale è l'intenzione originaria e fondamentale di Dio. Non basta appellarsi alle tradizioni, bisogna valutarle in base a quella intenzione iniziale che le ha generate e che esse a modo loro e per il loro tempo (ma spesso anche pagando il tributo alla debolezza degli uomini e alla loro poca fede) hanno cercato di esprimere.
La prima lettura, presa dal libro della Genesi, mostra questa intenzione originaria del Creatore che ha fatto l'uomo e la donna uguali e complementari per accogliere l’amore, per essere icona dell’Amore: sempre nel libro della Genesi leggiamo: "Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza: maschio e femmina li creò".
Brano biblico che mi pare ben illuminato dal profeta Osea: “Così dice il Signore: Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore.” (Os 2,16-17b.21-22)
 
La fedeltà dell'uomo e della donna deriva dalla fedeltà di Dio, che non ritratta mai l'alleanza conclusa con i suoi una volta per sempre. 

Dio non ha pensato a uomini e donne fuori del comune, ma a persone come ciascuno di noi che solo con la sua grazia possono realizzare la fedeltà nel sacramento che hanno celebrato e che celebrano ancora ogni giorno.
 Insomma, la fedeltà ha il suo nido nel cuore di Dio.
Questo amore è amore nuziale. Una madre può anche amare e non chiedere amore, ma uno sposo non può amare se l’altra non ama. L’amore di uno sposo, l’amore di una ragazza che si dona a un altro, esige una risposta. L’amore nuziale è sempre un amore vicendevole che implica il dono dell’uno all’altro. Questo è l’amore fedele che Dio offre e chiede a ciascuno di noi: preti, suore, laici sposati e non, giovani o vecchi che siamo. Un amore che perdona e chiede di perdonare, per essere così l’icona della tenerezza di Dio. Un amore fecondo, che deve essere praticato castamente anche da chi ha fatto il voto di verginità. Infatti il voto di castità non vuol dire rispondere ad una vocazione di infecondità, di sterilità, ma di fare della vita consacrata la culla del Dio vivente, il quale poi rende padri e madri nello spirito. Non è una pura e semplice formalità ecclesiastica chiamare la suora o il prete: madre o padre. E ciò vale per tutti, non solo per Madre Teresa di Calcutta o per Padre Pio da Pietrelcina.
Rispondendo alla loro vocazione: La vostra vita sia una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro” (RCV, 30), le Vergini consacrate fanno in modo che la loro persona irradi sempre la dignità dell’essere sposa di Cristo, esprima la novità dell’esistenza cristiana e l’attesa serena della vita futura. Così, con la loro vita retta, possono essere stelle che orientano il cammino del mondo e si identificano con quella sposa che, insieme allo Spirito, invoca la venuta del Signore: “Lo Spirito e la sposa dicono ‘Vieni’ (Ap 22,17).

2) I bambini nel Vangelo.
Nella seconda parte del brano evangelico odierno vediamo che Gesù Cristo, dopo essere andato contro la mentalità corrente degli adulti, va contro la mentalità dei suoi apostoli, per i quali i bambini non sono importanti per la missione del Maestro. Eppure aveva già detto loro che occorre diventare come bambini (si veda la riflessione proposta per la XXV domenica – 23 settembre 2012). L'episodio di oggi mostra che gli apostoli non hanno ancora capito l’insegnamento che Gesù aveva dato in precedenza: «I discepoli sgridarono i bambini ... Gesù vedendo ciò, si indignò...». Con grande e rinnovata meraviglia dei discepoli, Gesù accoglie i bambini, “perde tempo con loro?!?!”. No, non perde tempo, continua coerentemente quello che cominciò a fare dalla nascita a Betlemme. In questo episodio Gesù è adulto ma ricorda che il giorno di Natale a Lui “bambino tutti gli possono parlare: qualche cosa tutti Gli dicono, perché quand'Egli nasce «nel mezzo della notte si fa un gran silenzio, e alla Parola onnipotente che discende dalle sue sedi regali» le povere voci create s'accostano e parlano.
Volete che non Gli parlino il bue, l'asino, le pecore del Presepio? E la paglia del suo giaciglio non Gli dirà nulla? E gli Angeli non volete che Gli portino il desiderio delle stelle e i sospiri della notte?
Capisco adesso perché l'Onnipotente si fa bambino e sta coi bambini: perché l'onnipotenza si veste della più grande impotenza, e chiede a tutti, ed ha bisogno di tutto, anche di una stalla abbandonata, del fiato di un asino, di un po' di paglia, di una taverna ...Capisco adesso perché il Signore entra nella taverna di Emmaus. La taverna, come il Presepio, è la casa dell'Accondiscendente, la scuola che confonde i savi e depone i potenti. Che strana maniera di confonderci e di deporci!
Che povera forza una forza che uccide! Mentre il Forte si veste di povera carne, una carne che ha freddo, che ha fame. Già piange, già sanguina questa povera carne di un Dio fatto bambino, di un Dio fatto pellegrino”(Primo Mazzolari, Tempo di Credere, pp. 194-195), che –fortunatamente- ha tempo per i bambini, sempre.
Gesù ci propone il bambino non solo e non tanto come modello di innocenza, ma come esemplare del povero, di colui che non conta, non ha potere, ricchezza, considerazione, di colui che è debole e indifeso. Ecco perché il bambino diventa qui l'emblema del discepolo, chiamato ad essere povero "in ispirito". Egli è cosciente della propria povertà e dipendenza da Dio a tutti i livelli. Si lascia amare, si lascia servire da Dio, accogliendo in tal modo il suo amore. Il suo sguardo non è rivolto a sé, ma a Dio, ed è capace - come la Vergine - di ammirarne le opere, che trova meravigliose, e di esaltarsi per la gratuità e la bellezza del suo amore.
Come suggerisce la liturgia ambrosiana di oggi, non ci resta che restare appesi a questo cardine dell’amore di Dio misericordioso, che ricompensa con vera giustizia tutti, compresi gli operai dell’ultima ora.

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