Rito
Romano
Ger
31,7-9; Sal 125 (126); Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
La
fede è il principio, la carità il compimento
Rito
Ambrosiano
I
Domenica dopo la Dedicazione
At
8,26-39; Sal 65; 1Tm 2,1-5; Mc 16,14b-20
La
salvezza del Signore è per tutti i popoli
1)
Bartimeo, un cieco salvato, non solo guarito.
Il
Vangelo di oggi è preparato dalla prima lettura tratta dal libro
della consolazione di Geremia: sono pagine pervase da una speranza
profonda. Dio annuncia al profeta ciò che sembra impossibile al
cuore umano: il popolo in esilio potrà ritornare sui monti di
Samaria. “Ecco
li riconduco dal paese del settentrione
e
li raduno
all'estremità della terra;
fra di essi sono il cieco e lo
zoppo,
la donna incinta e la partoriente;
ritorneranno qui in
gran folla”
(Ger.
31,8). E’ Dio che
agisce in prima persona, è Dio che guida, che conduce. Per
assicurare che è opera Sua, Dio specifica che in
questo popolo di salvati non spiccano i potenti e i nobili, ma
piuttosto i sofferenti, (i ciechi, gli storpi), i deboli e coloro
che, nella loro semplicità, racchiudono in sé il futuro del popolo:
le donne incinte e le partorienti.
Nel
brano evangelico poi ci propone l’esperienza del cieco Bartimeo,
che quando “sente” Gesù, gli grida
“Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” e, essendo cieco,
salta a tentoni nel buio verso Cristo gettando anche il poco che
aveva: il mantello. E
passò dalla cecità alla vista, quella vista grandiosa che è la
fede nell’uomo (Figlio di Davide) in Gesù Cristo, Figlio di Dio
salvatore.
Anche
oggi passa Gesù di Nazareth per nostre strade di non vedenti. Ciechi
siamo e, se non indifferenti alla realtà di Dio, distratti e
disabituati a porre le stesse domande di senso e di destino, presi
come siamo dalla corsa della vita.
Eppure sentiamo
che qualcosa ci manca: se la scienza e la tecnica ci hanno reso più
comoda la vita, non le hanno però dato il significato, né hanno
risolto l'interrogativo sul mistero e sul nostro futuro. Siamo come
ciechi che "a tentoni nel buio" vogliono vederci chiaro,
scavalcare i limiti del proprio orizzonte troppo piccolo e
soffocante, aprirsi alla dimensione del divino che sentiamo in
qualche misura connaturato a noi stessi da sempre.
Il
cieco Bartimeo non è stato solo guarito, è stato salvato grazie
alla sua fede. La fede fa camminare l'anima, anzi le fa fare passi da
gigante: quanta strada ha fatto l'anima di Bartimeo! Grazie alla sua
fede ha ottenuto addirittura la guarigione del corpo! E quanta strada
farebbe la nostra anima se avessimo più fede: giungerebbe fino al
cuore di Dio: e varcherebbe la soglia di ciò che è umanamente
irraggiungibile. Ed è per questo che Dio si è incarnato, si è
fatto prossimo all’intera umanità.
2)
Il miracolo dei miracoli: Dio è nostro prossimo.
Cristo
è l’Emmanuele, il Dio con noi, che ci da occhi per vedere Dio e un
cuore per amarLo. Ecco allora che possiamo guardare al vedente
Bartimeo come modello di credente. Il vangelo odierno di San Marco
non vuole tanto raccontarci un miracolo, quanto parlarci di un
cammino di fede che nasce dall'ascolto e, passando per il
riconoscimento della propria infermità e impossibilità di farcela
da soli, chiede pietà. Ma c'è di più: il neo-vedente risponde ad
una chiamata lasciando d’impeto tutte le sue sicurezze (il
mantello), per incontrare il Signore e, poi, seguirlo per le strade
della carità missionaria. Travolto dalla pietà che aveva implorato,
colmo della carità di Dio che si era fatto a lui prossimo, Bartimeo
si mette al seguito di Cristo.
Con
la vista e la luce Bartimeo aveva ricevuto Cristo, “per conoscere a
un tempo Dio e l'uomo" (Clemente d'Alessandria, Esortazione
ai pagani, 11) e gli è
ovvio seguire Gesù "sulla strada" della passione, morte e
resurrezione a Gerusalemme.
Bartimeo rappresenta in questo
contesto la "creazione che soffre e geme per le doglie del
parto" (Rm 8) e che nel suo lamento produce un urlo di dolore
che sale a Dio perché l'ascolti. Il "conoscere a un tempo Dio e
l'uomo" di Clemente alessandrino sta così a ricordarci che è
proprio dell'uomo implorare la guarigione, la nascita dell'uomo nuovo
divinizzato dallo Spirito e dunque ritenere il pellegrinaggio terreno
necessario a tal fine, mentre è proprio di Dio, il più prossimo di
ogni nostro prossimo, ascoltare il gemito che gli proviene dalla più
perfetta delle sue creature che necessita della grazia per portare a
compimento il suo destino.
Nella
misura in cui noi guarderemo a Cristo, e affascinati Lo seguiremo sul
suo cammino, ci trasformeremo in Lui. Saremo dono di amore: dono di
amore a Dio, dono di amore agli altri. Ecco perché il matrimonio va
celebrato davanti all'altare, ecco perché il matrimonio è un
Sacramento: perché
impegna l'uomo e la donna all'amore e questo amore vero diventa santo
quando viene elevato nel cuore di Dio, che se ne fa anche il custode
e il garante.
L'amore può nascere da una
passione sensibile, da un istinto naturale (così l'amore di un
ragazzo verso una ragazza), ma non sarà mai un amore che assicura la
fedeltà, che assicura il dono di sé nella pazienza, nell'umiltà,
che purifica ed eleva l’amore umano. Il dono vero di sé non è
possibile, se Dio non vive nel cuore dell'uomo.
Per questo il
matrimonio deve essere un Sacramento che ci assicura la grazia; se
non è un Sacramento, nell'unione dell'uomo con la donna si vive
soltanto l'egoismo, e allora l'unione fatalmente si spezza. Solo il
cuore di Dio è il nido della fedeltà.
Naturalmente
anche le persone consacrate sono chiamate all’amore, sono destinate
all’amore “sponsale” di Dio. Non sono handicappate dell’amore,
anzi come disse Benedetto XVI alle partecipanti al
Congresso dell’ "ORDO VIRGINUM", il 15 maggio 2008 :
“Il vostro ideale, in
se stesso veramente alto, non esige tuttavia alcun particolare
cambiamento esteriore. Normalmente ciascuna consacrata rimane nel
proprio contesto di vita. È una via che sembra priva delle
caratteristiche specifiche della vita religiosa, soprattutto
dell’obbedienza. Ma per voi l’amore si fa sequela: il vostro
carisma comporta una donazione totale a Cristo, una assimilazione
allo Sposo che richiede implicitamente l’osservanza dei consigli
evangelici, per custodire integra la fedeltà a Lui
(cfr RCV, 47)”.
4)
Un amore di verità per tutti.
Il
brano del Vangelo di San Marco proposto oggi nella liturgia
ambrosiana consente di ribadire l’importanza, anzi la necessità
dell’essere missionari, ossia portatori di Cristo e della sua
amorosa verità a tutto il mondo. La caratteristica specifica
dell’invio missionario in Mc
16,9-20
sta nel fatto che viene riportata una serie di segni che
accompagneranno coloro che credono: tra essi i più importanti sono
quelli di scacciare i demoni e guarire i malati. San Marco in questo
brano sottolinea che effettivamente è avvenuto così. Questa
sottolineatura mostra chiaramente che la salvezza annunziata dai
missionari si manifesta fin d’ora in un cambiamento che riguarda
sia la società (espulsione dei demoni) che l’individuo
(guarigione). È proprio questa trasformazione che testimonia
l’attendibilità del vangelo e in ultima analisi garantisce la
presenza in questo mondo del Risorto, il quale dimostra così di
essere diventato veramente partecipe del potere stesso di Dio.
Tre
consigli pratici:
1
– Pregare davanti al Crocifisso.
Se
preghiamo frequentemente davanti a Cristo in Croce, con gli occhi
fissi sul suo costato trafitto, faremo l’esperienza della gioia di
essere amati, del desiderio di amare e di essere strumento di
misericordia e riconciliazione (Cfr Benedetto XVI, Angelus della
Giornata Mondiale Missionaria 2006).
2
- Meditiamo spesso questo racconto di Bartimeo: ci aiuterà ad andare
oltre le difficoltà. Tutti noi, nella vita, che tante volte si
presenta come un difficile cammino su una strada che non conosciamo,
siamo messi alla prova se abbiamo o no la fede-fiducia di Bartimeo.
Ci sono per tutti momenti o fatti in cui pare che Dio si nasconda
fino a farci dubitare della sua esistenza. Sono quei momenti che i
santi, tutti, a cominciare da S. Teresina del Bambino Gesù, chiamano
'la notte dell'anima'.
Non è che il Padre non sia presente, ma
semplicemente ci mette alla prova.
Ecco perché Bartimeo, cieco,
si presenta oggi a noi come esempio di fede assoluta, cieca, e
commuove Gesù.
Non dobbiamo avere paura della cecità di certi
momenti, ma conservare la serenità interiore, sicuri che Dio ci è
vicino come non mai, attendendo la nostra domanda.
3
– Con Sant’Agostino preghiamo spesso così:
"Signore
Gesù, conoscermi conoscerTi,
non
desidero null'altro da Te.
Odiarmi
ed amarTi: agire solo per amor tuo,
abbassarmi per farTi grande,
non avere altri che Te nella mente.
Morire
a me stesso per vivere di Te.
Tutto
ricevere da Te.
Rinunciare
a me stesso per seguirTi, desiderare di accompagnarTi sempre.
Fuggire
da me stesso, rifugiarmi in Te per essere da Te difeso.
Temere
me e temerTi per essere fra i tuoi eletti.
Diffidare
di me stesso, confidare solo in Te, voler obbedire a causa tua:
non
attaccarmi a null'altro che a Te, essere povero per Te.
Guardami
e Ti amerò, chiamami perché Ti veda e goda di Te per sempre".
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