venerdì 26 ottobre 2012

XXX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 28 ottobre 2012

Rito Romano
Ger 31,7-9; Sal 125 (126); Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
La fede è il principio, la carità il compimento

Rito Ambrosiano
I Domenica dopo la Dedicazione
At 8,26-39; Sal 65; 1Tm 2,1-5; Mc 16,14b-20
La salvezza del Signore è per tutti i popoli

1) Bartimeo, un cieco salvato, non solo guarito.
Il Vangelo di oggi è preparato dalla prima lettura tratta dal libro della consolazione di Geremia: sono pagine pervase da una speranza profonda. Dio annuncia al profeta ciò che sembra impossibile al cuore umano: il popolo in esilio potrà ritornare sui monti di Samaria. Ecco li riconduco dal paese del settentrione e li raduno all'estremità della terra;
fra di essi sono il cieco e lo zoppo,
la donna incinta e la partoriente;
ritorneranno qui in gran folla (Ger. 31,8). E’ Dio che agisce in prima persona, è Dio che guida, che conduce. Per assicurare che è opera Sua, Dio specifica che in questo popolo di salvati non spiccano i potenti e i nobili, ma piuttosto i sofferenti, (i ciechi, gli storpi), i deboli e coloro che, nella loro semplicità, racchiudono in sé il futuro del popolo: le donne incinte e le partorienti.
Nel brano evangelico poi ci propone l’esperienza del cieco Bartimeo, che quando “sente” Gesù, gli grida “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” e, essendo cieco, salta a tentoni nel buio verso Cristo gettando anche il poco che aveva: il mantello. E passò dalla cecità alla vista, quella vista grandiosa che è la fede nell’uomo (Figlio di Davide) in Gesù Cristo, Figlio di Dio salvatore.
Anche oggi passa Gesù di Nazareth per nostre strade di non vedenti. Ciechi siamo e, se non indifferenti alla realtà di Dio, distratti e disabituati a porre le stesse domande di senso e di destino, presi come siamo dalla corsa della vita. 
Eppure sentiamo che qualcosa ci manca: se la scienza e la tecnica ci hanno reso più comoda la vita, non le hanno però dato il significato, né hanno risolto l'interrogativo sul mistero e sul nostro futuro. Siamo come ciechi che "a tentoni nel buio" vogliono vederci chiaro, scavalcare i limiti del proprio orizzonte troppo piccolo e soffocante, aprirsi alla dimensione del divino che sentiamo in qualche misura connaturato a noi stessi da sempre.
Il cieco Bartimeo non è stato solo guarito, è stato salvato grazie alla sua fede. La fede fa camminare l'anima, anzi le fa fare passi da gigante: quanta strada ha fatto l'anima di Bartimeo! Grazie alla sua fede ha ottenuto addirittura la guarigione del corpo! E quanta strada farebbe la nostra anima se avessimo più fede: giungerebbe fino al cuore di Dio: e varcherebbe la soglia di ciò che è umanamente irraggiungibile. Ed è per questo che Dio si è incarnato, si è fatto prossimo all’intera umanità.

2) Il miracolo dei miracoli: Dio è nostro prossimo.
Cristo è l’Emmanuele, il Dio con noi, che ci da occhi per vedere Dio e un cuore per amarLo. Ecco allora che possiamo guardare al vedente Bartimeo come modello di credente. Il vangelo odierno di San Marco non vuole tanto raccontarci un miracolo, quanto parlarci di un cammino di fede che nasce dall'ascolto e, passando per il riconoscimento della propria infermità e impossibilità di farcela da soli, chiede pietà. Ma c'è di più: il neo-vedente risponde ad una chiamata lasciando d’impeto tutte le sue sicurezze (il mantello), per incontrare il Signore e, poi, seguirlo per le strade della carità missionaria. Travolto dalla pietà che aveva implorato, colmo della carità di Dio che si era fatto a lui prossimo, Bartimeo si mette al seguito di Cristo.
Con la vista e la luce Bartimeo aveva ricevuto Cristo, “per conoscere a un tempo Dio e l'uomo" (Clemente d'Alessandria, Esortazione ai pagani, 11) e gli è ovvio seguire Gesù "sulla strada" della passione, morte e resurrezione a Gerusalemme. 
Bartimeo rappresenta in questo contesto la "creazione che soffre e geme per le doglie del parto" (Rm 8) e che nel suo lamento produce un urlo di dolore che sale a Dio perché l'ascolti. Il "conoscere a un tempo Dio e l'uomo" di Clemente alessandrino sta così a ricordarci che è proprio dell'uomo implorare la guarigione, la nascita dell'uomo nuovo divinizzato dallo Spirito e dunque ritenere il pellegrinaggio terreno necessario a tal fine, mentre è proprio di Dio, il più prossimo di ogni nostro prossimo, ascoltare il gemito che gli proviene dalla più perfetta delle sue creature che necessita della grazia per portare a compimento il suo destino.

3) Un destino di amore.
Nella misura in cui noi guarderemo a Cristo, e affascinati Lo seguiremo sul suo cammino, ci trasformeremo in Lui. Saremo dono di amore: dono di amore a Dio, dono di amore agli altri. Ecco perché il matrimonio va celebrato davanti all'altare, ecco perché il matrimonio è un Sacramento: perché impegna l'uomo e la donna all'amore e questo amore vero diventa santo quando viene elevato nel cuore di Dio, che se ne fa anche il custode e il garante.
L'amore può nascere da una passione sensibile, da un istinto naturale (così l'amore di un ragazzo verso una ragazza), ma non sarà mai un amore che assicura la fedeltà, che assicura il dono di sé nella pazienza, nell'umiltà, che purifica ed eleva l’amore umano. Il dono vero di sé non è possibile, se Dio non vive nel cuore dell'uomo. 
Per questo il matrimonio deve essere un Sacramento che ci assicura la grazia; se non è un Sacramento, nell'unione dell'uomo con la donna si vive soltanto l'egoismo, e allora l'unione fatalmente si spezza. Solo il cuore di Dio è il nido della fedeltà.
Naturalmente anche le persone consacrate sono chiamate all’amore, sono destinate all’amore “sponsale” di Dio. Non sono handicappate dell’amore, anzi come disse Benedetto XVI alle partecipanti al Congresso dell’ "ORDO VIRGINUM", il 15 maggio 2008 : “Il vostro ideale, in se stesso veramente alto, non esige tuttavia alcun particolare cambiamento esteriore. Normalmente ciascuna consacrata rimane nel proprio contesto di vita. È una via che sembra priva delle caratteristiche specifiche della vita religiosa, soprattutto dell’obbedienza. Ma per voi l’amore si fa sequela: il vostro carisma comporta una donazione totale a Cristo, una assimilazione allo Sposo che richiede implicitamente l’osservanza dei consigli evangelici, per custodire integra la fedeltà a Lui (cfr RCV, 47)”.

4) Un amore di verità per tutti.
Il brano del Vangelo di San Marco proposto oggi nella liturgia ambrosiana consente di ribadire l’importanza, anzi la necessità dell’essere missionari, ossia portatori di Cristo e della sua amorosa verità a tutto il mondo. La caratteristica specifica dell’invio missionario in Mc 16,9-20 sta nel fatto che viene riportata una serie di segni che accompagneranno coloro che credono: tra essi i più importanti sono quelli di scacciare i demoni e guarire i malati. San Marco in questo brano sottolinea che effettivamente è avvenuto così. Questa sottolineatura mostra chiaramente che la salvezza annunziata dai missionari si manifesta fin d’ora in un cambiamento che riguarda sia la società (espulsione dei demoni) che l’individuo (guarigione). È proprio questa trasformazione che testimonia l’attendibilità del vangelo e in ultima analisi garantisce la presenza in questo mondo del Risorto, il quale dimostra così di essere diventato veramente partecipe del potere stesso di Dio.


Tre consigli pratici:
1 – Pregare davanti al Crocifisso.
Se preghiamo frequentemente davanti a Cristo in Croce, con gli occhi fissi sul suo costato trafitto, faremo l’esperienza della gioia di essere amati, del desiderio di amare e di essere strumento di misericordia e riconciliazione (Cfr Benedetto XVI, Angelus della Giornata Mondiale Missionaria 2006).
2 - Meditiamo spesso questo racconto di Bartimeo: ci aiuterà ad andare oltre le difficoltà. Tutti noi, nella vita, che tante volte si presenta come un difficile cammino su una strada che non conosciamo, siamo messi alla prova se abbiamo o no la fede-fiducia di Bartimeo. 
Ci sono per tutti momenti o fatti in cui pare che Dio si nasconda fino a farci dubitare della sua esistenza. Sono quei momenti che i santi, tutti, a cominciare da S. Teresina del Bambino Gesù, chiamano 'la notte dell'anima'. 
Non è che il Padre non sia presente, ma semplicemente ci mette alla prova. 
Ecco perché Bartimeo, cieco, si presenta oggi a noi come esempio di fede assoluta, cieca, e commuove Gesù. 
Non dobbiamo avere paura della cecità di certi momenti, ma conservare la serenità interiore, sicuri che Dio ci è vicino come non mai, attendendo la nostra domanda.


3 – Con Sant’Agostino preghiamo spesso così:
"Signore Gesù, conoscermi conoscerTi,
non desidero null'altro da Te. 

Odiarmi ed amarTi: agire solo per amor tuo, 
abbassarmi per farTi grande, non avere altri che Te nella mente. 

Morire a me stesso per vivere di Te.
Tutto ricevere da Te. 

Rinunciare a me stesso per seguirTi, desiderare di accompagnarTi sempre.
Fuggire da me stesso, rifugiarmi in Te per essere da Te difeso. 

Temere me e temerTi per essere fra i tuoi eletti. 

Diffidare di me stesso, confidare solo in Te, voler obbedire a causa tua: 
non attaccarmi a null'altro che a Te, essere povero per Te.
Guardami e Ti amerò, chiamami perché Ti veda e goda di Te per sempre".

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