Rito
romano
Sap.
7, 7-11; Sal 89; Eb. 4,12-13; Mc. 10,17-30
Seguire
il Signore è il migliore affare della vita.
Rito
ambrosiano
VII
Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
Is
43,10-21;
Sal
120; 1Cor 3,6-13; Mt 13,24-43
La
Parola di Dio è il Seme buono da accogliere con amore.
1)
La povertà è un investimento.
Domenica
scorsa abbiamo riflettuto sulla creazione dell’uomo e della donna.
Dio li creò maschio e femmina, li creò l’uno per l’altra ed
uguali in dignità, perché formassero nel mondo la famiglia a
immagine della Trinità. “Il
matrimonio, costituisce in se stesso un Vangelo,
una Buona Notizia per il mondo di oggi, in particolare per il mondo
scristianizzato. L’unione dell’uomo e della donna, il loro
diventare «un’unica carne» nella carità, nell’amore fecondo e
indissolubile, è segno che parla di Dio con forza, con un’eloquenza
che ai nostri giorni è diventata maggiore” (Benedetto XVI, 7
ottobre 2012). Poi
nella seconda parte del vangelo di domenica scorsa abbiamo visto
l’importanza che Gesù dà ai bambini, che con la loro semplicità
meritano di entrare nel Regno dei Cieli.
Oggi,
il Vangelo di San Marco ci presenta un giovane che corre incontro a
Gesù e, chiamandolo "Maestro buono", gli chiede cosa deve
fare per avere la vita eterna, poiché sempre, fin dall’adolescenza,
ha osservato i comandamenti.
Gesù
lo guarda e lo "ama" e gli dice che gli manca una cosa sola
per avere la vita eterna, la vita
vera: "Va',
vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi".
Per qual motivo questo giovane uomo respinge le parole di Colui che
pochi istanti prima aveva chiamato “Maestro buono”? Perché il
giovane aveva molti beni.
L’invito
di Gesù a lasciare tutto e la severità del suo giudizio sulle
ricchezze suscitano anche nei suoi discepoli paura e perplessità:
«E chi mai si può salvare?». In effetti, la risposta che Gesù dà
al giovane ricco salta -come spesso Lui fa - i passaggi intermedi e
va al nocciolo della questione: “Solo affidandosi completamente a
Dio, abbandonandosi a lui totalmente, possiamo entrare nel suo
Regno”.
I discepoli hanno -in un certo senso- ragione: se questa è
l’esigenza del Regno, non è possibile all'uomo salvarsi. Essi
commettono l'errore di considerare il problema da una prospettiva
sbagliata: la prospettiva della conquista anziché del dono,
dell'uomo abbandonato a se stesso anziché dell'uomo animato dallo
Spirito di Dio. Non c'è modo di salvarsi, ma c'è modo di essere
salvati. Se così, tutto si riduce a una questione di fede. I grandi
santi che hanno abbandonato tutto per il Regno non erano più
coraggiosi di noi: avevano più fede.
Il discepolo ha un secondo
interrogativo da porre: se lascio tutto, che cosa avrò? (10,28).
L'interrogativo tradisce il timore che il distacco richiesto sia un
prezzo troppo alto da pagare. La risposta di Gesù non potrebbe
essere più netta, quasi una sfida: la vita eterna nel futuro e il
centuplo nel tempo presente. Infatti, Gesù dice: “Una cosa sola ti
manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro
in cielo; e vieni! Seguimi!” (Mc 10,18).
Forse
se Cristo avesse detto al ricco: “Dammi i tuoi averi”, Glieli
avrebbe consegnati. Sarebbe stato in investimento sensato. Ma credere
che dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati era fare
un prestito a Dio non è così logicamente evidente.
Sant’Agostino
insegna:
“Nessuno sia
esitante a dare l’elemosina ai poveri, nessuno creda che la riceva
colui del quale vede la mano; la riceve Colui che ha comandato di
darla. Non affermiamo ciò in base a un nostro sentimento o a una
congettura umana; ascolta Colui che non solo ti esorta a farlo, ma ti
firma anche la garanzia. Avevo
fame - è detto - e
mi avete dato da mangiare.
Dopo l’enumerazione dei loro servizi [i giusti] chiederanno [al
Signore]: Quando
mai ti abbiamo visto affamato?
ed egli risponderà: Tutto
ciò che avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, lo
avete fatto a me”
(Discorso 86, 3,3)
E'
un problema di fede. Ma non solo di una fede che crede a ciò che
Gesù insegna, ma all’amore che lui ci dona. Il problema è credere
all’amore. Credera a Cristo, Amore incarnato, misericordia offerta,
pace stabilmente donata. Cristo chiede di entrare in comunione con
lui.
Il
Salvatore, il Maestro buono insegna che la vita eterna consiste nella
comunione con Dio e con i fratelli.
Gesù propone all'uomo ricco
la comunione, ma egli preferisce la solitudine. Cristo propone un
tesoro di persone che vivono insieme per lodare Dio, per seguire
Cristo, ma l’uomo ricco preferisce essere ricco di cose. Il
Redentore propone se stesso: «segui me, la mia vita è sorgente di
vita buona, bella e beata». Ma l'uomo segue la ricchezza, vuole
l’avere, non l’essere, preferisce il buon senso a Cristo senso
della vita.
L’uomo,
ciascuno di noi fa molta fatica a capire che si può essere senza
avere. Ma Gesù dice: “Tutto è possibile presso Dio”. L’amore
infinito e appassionato di Dio è moltiplicare per cento quel poco
che abbiamo e che Gli offriamo, quel nulla che siamo e riempirci la
vita con il centuplo e l’eternità.
Gesù
non ci chiede di vivere in povertà, ci chiede di vivere mettendo lui
al primo posto nella nostra vita. Se al centro del nostro cuore
mettiamo il Cristo, sarà facile amare e troveremo posto anche per
tutti i nostri cari: non esisterà in noi l'egoismo. Le ricchezze di
per sé non sono un male, altrimenti Gesù avrebbe lodato solo la
povera vedova che aveva offerto nel Tempio ciò che le restava, e non
anche Zaccheo che gli offriva metà dei suoi beni. Il male sta
nell'accumulare per possedere senza condividere soprattutto con chi è
meno fortunato di noi.
Esistono poi anche coloro che pur non
avendo ricchezze sono però ricchi di cultura e per questa loro
caratteristica si sentono su di un piedistallo, un metro più su
degli altri, si appagano del loro sapere e non riescono a creare la
vera comunità.
Un esempio
di come vivere la povertà ci viene dall’Ordo Virginum, le cui
appartenenti professano la loro confessio
laudis, nella quale
esprimono la loro sequela a Cristo (accogliendo la croce) donando il
loro quotidiano con le sue povertà per amore di Cristo Risorto.
Con la verginità la Vergini consacrate sono chiamate a vivere anche
la sobrietà di vita, la condivisione con i poveri e l’obbedienza,
che vuol dire abbandono alla volontà divina e apertura alle esigenze
della Chiesa universale e della Chiesa locale, la propria diocesi.
2)
La fede nell’amore.
Tutta
la vita cristiana è nel credere di essere amati, scrisse una volta
il Card. Giacomo Biffi. E don Divo Barsotti aggiunse: “Noi
dobbiamo cercare di comprendere come tutta la vita cristiana
veramente ha il suo fondamento nella fede, e la fede è soltanto la
fede nell'amore di Dio.
Non lasciamoci turbare da nulla. Non
permettiamo che il timore, l'angoscia debbano prendere il nostro
cuore, debbano turbare il nostro spirito. Dio ci ama ed è con noi.
Dio ci ama e non ci abbandona. Si tratta dunque di credere
nell'amore.” Come? Vivendo nella gioia, perché chi vuol vivere la
vita Cristiana, non può, senza rinunciare ad essere Cristiano,
abbandonarsi alla tristezza e al timore, non può. Lo dice anche san
Giovanni; la carità getta via, allontana da sé ogni timore, esige
l'abbandono di tutto l'essere nostro in un Dio che è presente e ci
ama! Questo dobbiamo vivere, soltanto questo. È una cosa semplice.”
Sì! Avere fede nell’Amore è semplice, ma non vuol dire che sia
facile, ma rende certamente
felici.
Impariamo
dalla parabola del Figlio prodigo, che per essere felice chiese i
soldi dell’eredità al Padre. Li usò così male che si trovò a
fare il custode di porci. Allora si ricordò della sua dignità di
figlio e tornò con abiti e cuore di mendicante da suo Padre. Questi
gli corse incontro. Abbracciò il figlio che, in ginocchio, aveva
messo il suo capo sulle ginocchia paterne e, secondo me, ci fu questo
dialogo: “Figlio mio, ti ho aspettato tanto e finalmente sei
tornato!”. “Papà, come hai fatto ad aspettarmi, se io fuggivo da
te?". "Dove tu fuggivi, io ero già là ad aspettarti!” E
il figlio visse nella gioia di questa rinnovata esperienza di
sentirsi amato.
In
effetti il figlio prodigo ha creduto all’amore del Padre, e tornò
a casa sua, dimora felice di vita beata. Se il figlio del Padre
misericordioso non avesse creduto nell’amore di Chi gli aveva dato
vita e soldi, non sarebbe tornato a casa e la sua vita sarebbe stata
un’avventura infelice, come successe al giovane ricco che triste
lasciò Cristo, perché non voleva lasciare le ricchezze che aveva.
Noi
dobbiamo essere come ci insegna il vangelo ambrosiano di oggi che
parla del seme buono di Dio e della zizzania del diavolo. Dobbiamo
avere la massima fiducia
nella verità della parola di Dio, nonostante la persistenza del male
nel mondo. La chiesa non va immaginata come una comunità di perfetti
separati dal mondo, ma di peccatori salvati nel mondo dalla
misericordia di Dio, che è paziente nel
dare a tutti la
possibilità di tornare a casa, felici per sempre.
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