venerdì 12 ottobre 2012

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 14 ottobre 2012.

Rito romano
Sap. 7, 7-11; Sal 89; Eb. 4,12-13; Mc. 10,17-30
Seguire il Signore è il migliore affare della vita.

Rito ambrosiano
VII Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
Is 43,10-21; Sal 120; 1Cor 3,6-13; Mt 13,24-43
La Parola di Dio è il Seme buono da accogliere con amore.


1) La povertà è un investimento.
Domenica scorsa abbiamo riflettuto sulla creazione dell’uomo e della donna. Dio li creò maschio e femmina, li creò l’uno per l’altra ed uguali in dignità, perché formassero nel mondo la famiglia a immagine della Trinità. “Il matrimonio, costituisce in se stesso un Vangelo, una Buona Notizia per il mondo di oggi, in particolare per il mondo scristianizzato. L’unione dell’uomo e della donna, il loro diventare «un’unica carne» nella carità, nell’amore fecondo e indissolubile, è segno che parla di Dio con forza, con un’eloquenza che ai nostri giorni è diventata maggiore” (Benedetto XVI, 7 ottobre 2012). Poi nella seconda parte del vangelo di domenica scorsa abbiamo visto l’importanza che Gesù dà ai bambini, che con la loro semplicità meritano di entrare nel Regno dei Cieli.
Oggi, il Vangelo di San Marco ci presenta un giovane che corre incontro a Gesù e, chiamandolo "Maestro buono", gli chiede cosa deve fare per avere la vita eterna, poiché sempre, fin dall’adolescenza, ha osservato i comandamenti.
Gesù lo guarda e lo "ama" e gli dice che gli manca una cosa sola per avere la vita eterna, la vita vera: "Va', vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi".

 Per qual motivo questo giovane uomo respinge le parole di Colui che pochi istanti prima aveva chiamato “Maestro buono”? Perché il giovane aveva molti beni.
L’invito di Gesù a lasciare tutto e la severità del suo giudizio sulle ricchezze suscitano anche nei suoi discepoli paura e perplessità: «E chi mai si può salvare?». In effetti, la risposta che Gesù dà al giovane ricco salta -come spesso Lui fa - i passaggi intermedi e va al nocciolo della questione: “Solo affidandosi completamente a Dio, abbandonandosi a lui totalmente, possiamo entrare nel suo Regno”.
I discepoli hanno -in un certo senso- ragione: se questa è l’esigenza del Regno, non è possibile all'uomo salvarsi. Essi commettono l'errore di considerare il problema da una prospettiva sbagliata: la prospettiva della conquista anziché del dono, dell'uomo abbandonato a se stesso anziché dell'uomo animato dallo Spirito di Dio. Non c'è modo di salvarsi, ma c'è modo di essere salvati. Se così, tutto si riduce a una questione di fede. I grandi santi che hanno abbandonato tutto per il Regno non erano più coraggiosi di noi: avevano più fede. 
Il discepolo ha un secondo interrogativo da porre: se lascio tutto, che cosa avrò? (10,28). L'interrogativo tradisce il timore che il distacco richiesto sia un prezzo troppo alto da pagare. La risposta di Gesù non potrebbe essere più netta, quasi una sfida: la vita eterna nel futuro e il centuplo nel tempo presente. Infatti, Gesù dice: “Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” (Mc 10,18).
Forse se Cristo avesse detto al ricco: “Dammi i tuoi averi”, Glieli avrebbe consegnati. Sarebbe stato in investimento sensato. Ma credere che dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati era fare un prestito a Dio non è così logicamente evidente.
Sant’Agostino insegna: “Nessuno sia esitante a dare l’elemosina ai poveri, nessuno creda che la riceva colui del quale vede la mano; la riceve Colui che ha comandato di darla. Non affermiamo ciò in base a un nostro sentimento o a una congettura umana; ascolta Colui che non solo ti esorta a farlo, ma ti firma anche la garanzia. Avevo fame - è detto - e mi avete dato da mangiare. Dopo l’enumerazione dei loro servizi [i giusti] chiederanno [al Signore]: Quando mai ti abbiamo visto affamato? ed egli risponderà: Tutto ciò che avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me” (Discorso 86, 3,3)
E' un problema di fede. Ma non solo di una fede che crede a ciò che Gesù insegna, ma all’amore che lui ci dona. Il problema è credere all’amore. Credera a Cristo, Amore incarnato, misericordia offerta, pace stabilmente donata. Cristo chiede di entrare in comunione con lui.
Il Salvatore, il Maestro buono insegna che la vita eterna consiste nella comunione con Dio e con i fratelli. 
Gesù propone all'uomo ricco la comunione, ma egli preferisce la solitudine. Cristo propone un tesoro di persone che vivono insieme per lodare Dio, per seguire Cristo, ma l’uomo ricco preferisce essere ricco di cose. Il Redentore propone se stesso: «segui me, la mia vita è sorgente di vita buona, bella e beata». Ma l'uomo segue la ricchezza, vuole l’avere, non l’essere, preferisce il buon senso a Cristo senso della vita.
L’uomo, ciascuno di noi fa molta fatica a capire che si può essere senza avere. Ma Gesù dice: “Tutto è possibile presso Dio”. L’amore infinito e appassionato di Dio è moltiplicare per cento quel poco che abbiamo e che Gli offriamo, quel nulla che siamo e riempirci la vita con il centuplo e l’eternità.
Gesù non ci chiede di vivere in povertà, ci chiede di vivere mettendo lui al primo posto nella nostra vita. Se al centro del nostro cuore mettiamo il Cristo, sarà facile amare e troveremo posto anche per tutti i nostri cari: non esisterà in noi l'egoismo. Le ricchezze di per sé non sono un male, altrimenti Gesù avrebbe lodato solo la povera vedova che aveva offerto nel Tempio ciò che le restava, e non anche Zaccheo che gli offriva metà dei suoi beni. Il male sta nell'accumulare per possedere senza condividere soprattutto con chi è meno fortunato di noi. 

Esistono poi anche coloro che pur non avendo ricchezze sono però ricchi di cultura e per questa loro caratteristica si sentono su di un piedistallo, un metro più su degli altri, si appagano del loro sapere e non riescono a creare la vera comunità.

Un esempio di come vivere la povertà ci viene dall’Ordo Virginum, le cui appartenenti professano la loro confessio laudis, nella quale esprimono la loro sequela a Cristo (accogliendo la croce) donando il loro quotidiano con le sue povertà per amore di Cristo Risorto. Con la verginità la Vergini consacrate sono chiamate a vivere anche la sobrietà di vita, la condivisione con i poveri e l’obbedienza, che vuol dire abbandono alla volontà divina e apertura alle esigenze della Chiesa universale e della Chiesa locale, la propria diocesi.

2) La fede nell’amore.
Tutta la vita cristiana è nel credere di essere amati, scrisse una volta il Card. Giacomo Biffi. E don Divo Barsotti aggiunse: “Noi dobbiamo cercare di comprendere come tutta la vita cristiana veramente ha il suo fondamento nella fede, e la fede è soltanto la fede nell'amore di Dio.
 Non lasciamoci turbare da nulla. Non permettiamo che il timore, l'angoscia debbano prendere il nostro cuore, debbano turbare il nostro spirito. Dio ci ama ed è con noi. Dio ci ama e non ci abbandona. Si tratta dunque di credere nell'amore.” Come? Vivendo nella gioia, perché chi vuol vivere la vita Cristiana, non può, senza rinunciare ad essere Cristiano, abbandonarsi alla tristezza e al timore, non può. Lo dice anche san Giovanni; la carità getta via, allontana da sé ogni timore, esige l'abbandono di tutto l'essere nostro in un Dio che è presente e ci ama! Questo dobbiamo vivere, soltanto questo. È una cosa semplice.” Sì! Avere fede nell’Amore è semplice, ma non vuol dire che sia facile, ma rende certamente felici.
Impariamo dalla parabola del Figlio prodigo, che per essere felice chiese i soldi dell’eredità al Padre. Li usò così male che si trovò a fare il custode di porci. Allora si ricordò della sua dignità di figlio e tornò con abiti e cuore di mendicante da suo Padre. Questi gli corse incontro. Abbracciò il figlio che, in ginocchio, aveva messo il suo capo sulle ginocchia paterne e, secondo me, ci fu questo dialogo: “Figlio mio, ti ho aspettato tanto e finalmente sei tornato!”. “Papà, come hai fatto ad aspettarmi, se io fuggivo da te?". "Dove tu fuggivi, io ero già là ad aspettarti!” E il figlio visse nella gioia di questa rinnovata esperienza di sentirsi amato.
In effetti il figlio prodigo ha creduto all’amore del Padre, e tornò a casa sua, dimora felice di vita beata. Se il figlio del Padre misericordioso non avesse creduto nell’amore di Chi gli aveva dato vita e soldi, non sarebbe tornato a casa e la sua vita sarebbe stata un’avventura infelice, come successe al giovane ricco che triste lasciò Cristo, perché non voleva lasciare le ricchezze che aveva.
Noi dobbiamo essere come ci insegna il vangelo ambrosiano di oggi che parla del seme buono di Dio e della zizzania del diavolo. Dobbiamo avere la massima fiducia nella verità della parola di Dio, nonostante la persistenza del male nel mondo. La chiesa non va immaginata come una comunità di perfetti separati dal mondo, ma di peccatori salvati nel mondo dalla misericordia di Dio, che è paziente nel dare a tutti la possibilità di tornare a casa, felici per sempre.

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