venerdì 19 ottobre 2012

XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 21 ottobre 2012

Rito Romano
Is. 53,10-11; Sal 32; Eb. 4,14 – 16; Mc. 10,35-45
Il servizio dell’amore.

Rito Ambrosiano
Dedicazione del Duomo di Milano
Is 26,1-2.4.7-8; 54,12-14a opp. Ap 21,9a.c-27; Sal 67; 1Cor 3,9-17; Gv 10, 22-30
Dare gloria a Dio nel suo santuario.

1) Una prospettiva nuova: il servizio come carriera.
Oggi, San Marco nel Vangelo ci presenta i discepoli Giacomo e Giovanni che domandano a Gesù di concedere loro di poter sedere vicino a lui uno alla sua destra e uno alla sua sinistra nel suo Regno di Gloria. Gesù risponde loro preannunciando la sua passione e morte, e fa loro una domanda: “Potete voi bere il calice che io devo bere ed essere battezzati come io sono battezzato?” Alla risposta affermativa dei discepoli Gesù replica che un posto vicino a lui non può concederlo, perché è destinato a coloro per i quali è stato creato. Poi, sentito che fra i dieci restanti discepoli c'era un certo malcontento, disse a tutti loro che colui, che vuole essere il primo, deve essere l'ultimo. 

Il brano evangelico di oggi (Mc 10,35-45) non fa un discorso nuovo. Riprende parole che Gesù ha già detto tempo prima: «Chi vuole essere grande si faccia servo di tutti»: cfr. Mc. 9,35 – (Si veda il commento di domenica 23 settembre 2012), che però i discepoli continuano a non comprendere.
Per far meglio comprendere il suo pensiero ai discepoli, Gesù si serve di due paragoni, uno negativo e uno positivo. Li invita a non esercitare la loro autorità come fanno i principi del mondo (questo è il paragone negativo), poi continua chiedendo loro di comportarsi come Lui, che è «il Figlio dell'uomo (ecco il paragone positivo) il quale non è venuto a farsi servire, ma a servire e dare la propria vita in riscatto per le moltitudini».

2) Servizio come autorità perché servizio d’amore.
Servire non vuol dire semplicemente e solamente fare delle cose a chi ce le chiede o perché pagati o perché obbligati, la parola latina “servus” poi vuol dire “schiavo”. Servire vuol dire essere utili in modo gratuito, senza calcolo, disinteressatamente. Servire significa organizzare la propria intera esistenza in modo da prendersi a carico l’altro fino al completo dono di sé. Servire con autorità vuol dire mettersi a disposizione della persona amata perché cresca (autorità viene dal latino ‘augere’ che vuol dire far crescere). E’ un servizio d’amore che opera «in riscatto» della moltitudine, come fanno, in modo meraviglioso i missionari.
L'espressione «in riscatto» non va intesa anzitutto come se significasse «per saldare il debito», bensì come «solidale con» o «al posto di»: cioè l'idea prevalente non è quella del debito, che deve assolutamente essere pagato, costi quello che costi, bensì l'idea della solidarietà che intercorre tra il Figlio dell'uomo e le moltitudini (Gesù, in altre parole, è il Fratello maggiore, buono –nulla impedisce di pensare con Benedetto XVI che ci sia un terzo figlio oltre ai due, di cui parla la parabola del Padre Misericordioso- che si sente coinvolto e prende sulle proprie spalle la situazione del fratello minore, prodigo). Il Figlio di Dio e dell'uomo è venuto per vivere questa solidarietà, divenendo in tal modo la trasparenza visibile, toccabile con mano, dell'amore di Dio e della sua alleanza. E come mi diceva una volta un missionario: “La più grande solidarietà, la più grande carità che noi possiamo fare agli altri è di annunciare loro che Cristo è risorto” e cambia la vita, perché l’amore di Cristo risorto non è “qualcosa di individualistico, unicamente spirituale, riguarda la carne, riguarda il mondo e deve trasformarlo” (Benedetto XVI, 28 giugno 2007). Il primato della carità e della verità che il Papa ha è soprattutto un essere il primo nell’amore di Cristo (“Pietro, mi ami più degli altri”. “Sì, Signore”. “Pasci le mie pecore”). Pascere il gregge di Cristo e amare il Signore sono la stessa cosa. E’ l’amore di Cristo che guida le pecore sulla strada buona e vera. “L’essenza del Cristianesimo è Cristo, non una dottrina, ma una persona, ed evangelizzare è condurre all’amicizia con Cristo, ad una comunione di amore con il Signore, che è vera luce della nostra vita” (J. Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, p. 132).
La questione, quindi, non è il desiderio di grandezza, ma la domanda di vera grandezza e di come ottenerla. 
Non è un male voler esser i primi, basta che diventiamo primi a perdonare, primi ad accorgerci di chi sta male, primi nel dare una mano a chi ne ha bisogno. Perciò se pensiamo che la grandezza venga dal potere che schiaccia il prossimo, allora siamo fuori dal Vangelo e siamo opposti alla logica di Gesù. Se invece cerchiamo la via della grandezza e della realizzazione di noi stessi nell’amore a Cristo, nel servizio del prossimo amandolo anche con il dono della vita, allora siamo nella scia di Gesù, il quale ha insegnato questa strada con le parole e con l'esempio. E questo non ci mette accanto a Gesù, alla sua destra o sua sinistra, ma ci mette "in" Gesù, ci fa essere come lui, ci fa essere lui, come dice San Paolo: “Non sono più io che vivo è Cristo che vive in me”. Non è facile servire ogni giorno, custodire germogli, vegliare sui primi passi della luce, benedire ciò che nasce. Il cuore è subito stanco. Non resta che lasciarsi abitare da lui e irradiare di vangelo. Basta dire come la Madonna: “Ecco la Serva del Signore. Avvenga di me secondo la tua Parola”.
3) Autorevolezza dell’amore, servizio della speranza.
Dio, attraverso l’annuncio dell’Angelo, rivelò il suo amore alla Vergine Maria. La Madre di Dio e di ciascuno di noi -grazie alla sua fede- non solo diede carne a questo amore, ma visse per esso e in esso. Si fece serva dell’amore, accogliendolo senza riserve, portandolo in sé e nelle case del mondo (si pensi a quando andò a visitare la cugina Elisabetta), lo accompagnò per le strade del mondo (si pensi alla fuga in Egitto ed alla Via Crucis). E, pur nelle avversità, fu lieta, perché aveva creduto alle parole dell’Angelo che le aveva detto “Non temere, tu porterai in te il Figlio dell’Altissimo”, non avere paura perché la tua vita è destinata a portare in sé la salvezza di Dio, la speranza della vita del mondo intero. Fu sempre lieta, la Madonna, perché credette al fatto di essere voluta bene. La gioia per Lei non era uno stato d’animo, un’emozione, era l’esperienza di appartenere all’Amore e di avere la missione di donarlo al mondo.
Se ci sforzeremo di immedesimarci con la memoria della Madonna, con la coscienza di questa giovane donna, che viveva la consapevolezza di portare il Destino buono per lei, per il suo popolo e per il mondo intero, saremo come lei missionari lieti del vangelo della gioia.
Preghiamo la Madonna di essere liberi e sinceri come quando lei ha detto “sì”, e diventeremo anche noi grandi di una grandezza vera, divina. Il Signore nel Vangelo di oggi e con l’esempio di Maria Vergine ci insegna che non dobbiamo forzare noi stessi a pensare a cose grandi, tanto meno a farle, perché diventiamo ridicoli nella nostra presuntuosità. Dobbiamo riconoscere e accettare la presenza di un Altro nella nostra vita e offrirla al mondo intero come ha fatto la Mamma di Gesù, testimone servizievole dell’amore.
Al n. 17 del Rituale della Consacrazione delle Vergini, la donna che si consacra fa suo il sì di Maria in questo modo: “Vuoi perseverare per tutta la tua vita nella tua decisione di verginità consacrata al servizio del Signore nella sua Chiesa?”, “Sì, lo voglio”. Vuoi seguire Cristo secondo il Vangelo in modo tale che la tua vita appaia come testimonianza di amore e segno del Regno che verrà?”. “Sì, voglio”. La consacrazione non è semplicemente una cerimonia, ripetendo preghiere prefabbricate. Ci si consacra non tanto per salvarsi, ma per salvare il mondo offrendosi a Dio perché faccia di noi semplici e umili strumenti della sua carità, secondo la sua Parola di Verità.

4) Il Tempio di Dio.
Oggi per la liturgia ambrosiana è la festa della Dedicazione del Duomo. Il che mi spinge ad usare le parole del salmo 121(122) che al versetto 1 proclama “Quale gioia, quando mi dissero: ‘Andremo alla Casa del Signore’”. In effetti, è fonte di gioia il saperci attesi nella Casa del Padre, dove riceviamo la Sua pace. Pace che al versetto 8 è invocata: “Per i miei fratelli e i miei amici io dirò su te : ‘Su di te sia pace!’”, e al versetto 9 è unita al bene: “Per la casa del Signore nostro Dio chiederò per te il bene”. Andiamo alla Casa di Dio, alla dimora della Carità e avremo pace e bene, gioia e amore.
Dio ci ha rivelato il suo Amore, la Madonna ha dato carne a questo Amore, divenendone l’umile serva. Per credere a questo amore e dargli carne abbiamo bisogno di un luogo, che è la Chiesa. Il tempio della potenza umana è il lavoro, il tempio di Dio è il credente, pietra viva impiegata nella costruzione dell’edificio spirituale (cfr 1 Pt 2,5).
In un edificio una pietra sostiene l’altra, perché si mette una pietra sopra l’altra e chi sostiene un altro è a sua volta sostenuto da un altro. Così, proprio così nella santa Chiesa ciascuno sostiene ed è sostenuto. I più vicini si sostengono a vicenda, e così si innalza l’edificio della carità”(San Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, 2,1,5), che è vissuta, celebrata, edificata nel Duomo e in ogni chiesa del mondo.
Nelle chiese, cattedrali o parrocchiali che siano, si ascolta Dio, si loda Dio, si contempla Dio e si diventa “teologi” non tanto perché si parla di Dio, ma perché ciascuno di noi diventa una parola di Dio, una pietra vivente della Chiesa, Casa di Dio, dove la fede è imparata, celebrata e praticata in una trama di fraternità e di condivisione. “Il primo amore è desiderare la verità per chi si ama” (Luigi Giussani) e fargliela incontrare nella Chiesa.


Consigli pratici:
  1. Recitare l’Angelus Domini al mattino, per ricordare il sì di Maria Vergine alla Risurrezione, a mezzogiorno per dire di sì a Cristo in Croce, alla sera per far nascere in noi Cristo, come Betlemme.
  2. Meditare l’inno di dedicazione della Chiesa “Christe cunctorum”, magari con l’aiuto del commento fatto da Mons. Luigi Giussani, per es., in Il tempo e il tempio. Dio e l’uomo, Milano 1995, pp. 128.

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