Rito
Romano
Is.
53,10-11; Sal 32; Eb. 4,14 – 16; Mc. 10,35-45
Il
servizio dell’amore.
Rito
Ambrosiano
Dedicazione
del Duomo di Milano
Is
26,1-2.4.7-8; 54,12-14a opp. Ap
21,9a.c-27; Sal 67; 1Cor 3,9-17; Gv 10, 22-30
Dare
gloria a Dio nel suo santuario.
1)
Una prospettiva nuova: il servizio come carriera.
Oggi,
San Marco nel Vangelo ci presenta i discepoli Giacomo e Giovanni che
domandano a Gesù di concedere loro di poter sedere vicino a lui uno
alla sua destra e uno alla sua sinistra nel suo Regno di Gloria. Gesù
risponde loro preannunciando la sua passione e morte, e fa loro una
domanda: “Potete voi
bere il calice che io devo bere ed essere battezzati come io sono
battezzato?” Alla
risposta affermativa dei discepoli Gesù replica che un posto vicino
a lui non può concederlo, perché è destinato a coloro per i quali
è stato creato. Poi, sentito che fra i dieci restanti discepoli
c'era un certo malcontento, disse a tutti loro che colui, che vuole
essere il primo, deve essere l'ultimo.
Il
brano evangelico di oggi (Mc 10,35-45) non fa un discorso nuovo.
Riprende parole che Gesù ha già detto tempo prima: «Chi
vuole essere grande si faccia servo di tutti»:
cfr. Mc. 9,35 – (Si veda il commento di domenica 23 settembre 2012),
che però i discepoli continuano a non comprendere.
Per
far meglio comprendere il suo pensiero ai discepoli, Gesù si serve
di due paragoni, uno negativo e uno positivo. Li invita a non
esercitare la loro autorità come fanno i principi del mondo (questo
è il paragone negativo), poi continua chiedendo loro di comportarsi
come Lui, che è «il
Figlio dell'uomo (ecco
il paragone positivo)
il quale non è venuto a farsi servire, ma a servire e dare la
propria vita in riscatto per le moltitudini».
2)
Servizio come autorità perché servizio d’amore.
Servire
non vuol dire semplicemente e solamente fare delle cose a chi ce le
chiede o perché pagati o perché obbligati, la parola latina
“servus” poi vuol dire “schiavo”. Servire vuol dire essere
utili in modo gratuito, senza calcolo, disinteressatamente. Servire
significa organizzare la propria intera esistenza in modo da
prendersi a carico l’altro
fino al completo dono di sé. Servire con autorità vuol dire
mettersi a disposizione della persona amata perché cresca (autorità
viene dal latino ‘augere’ che vuol dire far crescere). E’ un
servizio d’amore che opera «in riscatto» della moltitudine, come
fanno, in modo meraviglioso i missionari.
L'espressione
«in riscatto» non va intesa anzitutto come se significasse «per
saldare il debito», bensì come «solidale con» o «al posto di»:
cioè l'idea prevalente non è quella del debito, che deve
assolutamente essere pagato, costi quello che costi, bensì l'idea
della solidarietà che intercorre tra il Figlio dell'uomo e le
moltitudini (Gesù, in altre parole, è il Fratello maggiore, buono
–nulla impedisce di pensare con Benedetto XVI che ci sia un terzo
figlio oltre ai due, di cui parla la parabola del Padre
Misericordioso- che si sente coinvolto e prende sulle proprie spalle
la situazione del fratello minore, prodigo). Il Figlio di Dio e
dell'uomo è venuto per vivere questa solidarietà, divenendo in tal
modo la trasparenza visibile, toccabile con mano, dell'amore di Dio e
della sua alleanza. E come mi diceva una volta un missionario: “La
più grande solidarietà, la più grande carità che noi possiamo
fare agli altri è di annunciare loro che Cristo è risorto”
e cambia la vita, perché l’amore di Cristo risorto non è
“qualcosa di
individualistico, unicamente spirituale, riguarda la carne, riguarda
il mondo e deve trasformarlo”
(Benedetto XVI, 28 giugno 2007). Il primato della carità e della
verità che il Papa ha è soprattutto un essere il primo nell’amore
di Cristo (“Pietro, mi ami più degli altri”. “Sì, Signore”.
“Pasci le mie pecore”). Pascere il gregge di Cristo e amare il
Signore sono la stessa cosa. E’ l’amore di Cristo che guida le
pecore sulla strada buona e vera. “L’essenza
del Cristianesimo è Cristo, non una dottrina, ma una persona, ed
evangelizzare è condurre all’amicizia con Cristo, ad una comunione
di amore con il Signore, che è vera luce della nostra vita”
(J. Ratzinger, Introduzione
al Cristianesimo, p.
132).
La questione, quindi, non è il
desiderio di grandezza, ma la domanda di vera
grandezza e di come ottenerla.
Non è un male voler esser i primi,
basta che diventiamo primi a perdonare, primi ad accorgerci di chi
sta male, primi nel dare una mano a chi ne ha bisogno. Perciò se
pensiamo che la grandezza venga dal potere che schiaccia il prossimo,
allora siamo fuori dal Vangelo e siamo opposti alla logica di Gesù.
Se invece cerchiamo la via della grandezza e della realizzazione di
noi stessi nell’amore a Cristo, nel servizio del prossimo amandolo
anche con il dono della vita, allora siamo nella scia di Gesù, il
quale ha insegnato questa strada con le parole e con l'esempio. E
questo non ci mette accanto a Gesù, alla sua destra o sua sinistra,
ma ci mette "in" Gesù, ci fa essere come lui, ci fa essere
lui, come dice San Paolo: “Non
sono più io che vivo è Cristo che vive in me”.
Non è facile servire ogni giorno, custodire germogli, vegliare sui
primi passi della luce, benedire ciò che nasce. Il cuore è subito
stanco. Non resta che lasciarsi abitare da lui e irradiare di
vangelo. Basta dire come la Madonna: “Ecco
la Serva del Signore. Avvenga di me secondo la tua Parola”.
3)
Autorevolezza dell’amore, servizio della speranza.
Dio,
attraverso l’annuncio dell’Angelo, rivelò il suo amore alla
Vergine Maria. La Madre di Dio e di ciascuno di noi -grazie alla sua
fede- non solo diede
carne a questo amore, ma visse per esso e in esso. Si fece serva
dell’amore, accogliendolo senza riserve, portandolo in sé e nelle
case del mondo (si pensi a quando andò a visitare la cugina
Elisabetta), lo accompagnò per le strade del mondo (si pensi alla
fuga in Egitto ed alla Via Crucis). E, pur nelle avversità, fu
lieta, perché aveva creduto alle parole dell’Angelo che le aveva
detto “Non temere, tu
porterai in te il Figlio dell’Altissimo”,
non avere paura perché la tua vita è destinata a portare in sé la
salvezza di Dio, la speranza della vita del mondo intero. Fu sempre
lieta, la Madonna, perché credette al fatto di essere voluta bene.
La gioia per Lei non era uno stato d’animo, un’emozione, era
l’esperienza di appartenere all’Amore e di avere la missione di
donarlo al mondo.
Se
ci sforzeremo di immedesimarci con la memoria della Madonna, con la
coscienza di questa giovane donna, che viveva la consapevolezza di
portare il Destino buono per lei, per il suo popolo e per il mondo
intero, saremo come lei missionari lieti del vangelo della gioia.
Preghiamo
la Madonna di essere liberi e sinceri come quando lei ha detto “sì”,
e diventeremo anche noi grandi di una grandezza vera, divina. Il
Signore nel Vangelo di oggi e con l’esempio di Maria Vergine ci
insegna che non dobbiamo forzare noi stessi a pensare a cose grandi,
tanto meno a farle, perché diventiamo ridicoli nella nostra
presuntuosità. Dobbiamo riconoscere e accettare la presenza di un
Altro nella nostra vita e offrirla al mondo intero come ha fatto la
Mamma di Gesù, testimone servizievole dell’amore.
Al
n. 17 del Rituale della
Consacrazione delle Vergini,
la donna che si consacra fa suo il sì di Maria in questo modo: “Vuoi
perseverare
per tutta la tua vita nella tua decisione di verginità consacrata al
servizio del Signore nella sua Chiesa?”,
“Sì, lo voglio”.
Vuoi seguire Cristo secondo il Vangelo in modo tale che la tua vita
appaia come testimonianza di amore e segno del Regno che verrà?”.
“Sì, voglio”. La
consacrazione non è semplicemente una cerimonia, ripetendo preghiere
prefabbricate.
Ci si consacra non
tanto per salvarsi, ma per salvare il mondo offrendosi a Dio perché
faccia di noi semplici e umili strumenti della sua carità, secondo
la sua Parola di Verità.
4)
Il Tempio di Dio.
Oggi
per la liturgia ambrosiana è la festa della Dedicazione del Duomo.
Il che mi spinge ad usare le parole del salmo 121(122) che al
versetto 1 proclama “Quale
gioia, quando mi dissero: ‘Andremo alla Casa del Signore’”.
In effetti, è fonte di gioia il saperci attesi nella Casa del
Padre, dove riceviamo la Sua pace. Pace che al versetto 8 è
invocata: “Per i miei
fratelli e i miei amici io dirò su te : ‘Su di te sia pace!’”,
e al versetto 9 è unita al bene: “Per
la casa del Signore nostro Dio chiederò per te il bene”.
Andiamo alla Casa di Dio, alla dimora della Carità e avremo pace e
bene, gioia e amore.
Dio
ci ha rivelato il suo Amore, la Madonna ha dato carne a questo Amore,
divenendone l’umile serva. Per credere a questo amore e dargli
carne abbiamo bisogno di un luogo, che è la Chiesa. Il tempio della
potenza umana è il lavoro, il tempio di Dio è il credente, pietra
viva impiegata nella costruzione dell’edificio spirituale (cfr 1 Pt
2,5).
“In
un edificio una pietra sostiene l’altra, perché si mette una
pietra sopra l’altra e chi sostiene un altro è a sua volta
sostenuto da un altro. Così, proprio così nella santa Chiesa
ciascuno sostiene ed è sostenuto. I più vicini si sostengono a
vicenda, e così si innalza l’edificio della carità”(San
Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, 2,1,5), che è vissuta,
celebrata, edificata nel Duomo e in ogni chiesa del mondo.
Nelle
chiese, cattedrali o parrocchiali che siano, si ascolta Dio, si loda
Dio, si contempla Dio e si diventa “teologi” non tanto perché si
parla di Dio, ma perché ciascuno di noi diventa una parola di Dio,
una pietra vivente della Chiesa, Casa di Dio, dove la fede è
imparata, celebrata e praticata in una trama di fraternità e di
condivisione. “Il
primo amore è desiderare la verità per chi si ama”
(Luigi Giussani) e fargliela incontrare nella Chiesa.
Consigli
pratici:
- Recitare l’Angelus Domini al mattino, per ricordare il sì di Maria Vergine alla Risurrezione, a mezzogiorno per dire di sì a Cristo in Croce, alla sera per far nascere in noi Cristo, come Betlemme.
- Meditare l’inno di dedicazione della Chiesa “Christe cunctorum”, magari con l’aiuto del commento fatto da Mons. Luigi Giussani, per es., in Il tempo e il tempio. Dio e l’uomo, Milano 1995, pp. 128.
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