Rito
Romano
2Re
4,42-44; Sal 144; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15
Rito
Ambrosiano
IX
Domenica dopo Pentecoste
2Sam
6,12b-22; Sal 131; 1Cor 1,25-31; Mt 8,247-38
1)
Il poco dell’uomo ed il tanto di Dio
Nel
vangelo della liturgia romana di oggi siamo invitati a contemplare il
miracolo per cui Cristo con 5 pani e due pesci sfama la moltitudine
di persone, che l’aveva seguito non tanto per i profondi
insegnamenti ma soprattutto per i suoi miracoli.
Lui,
che quale nuovo e vero Mosé sale sulla montagna e si siede in
cattedra, alza gli occhi dagli apostoli verso la folla e la vede
affamata di vita. Quindi non c’è che da sfamarli nel corpo e nella
mente. Questa gente, e noi pure, vogliamo vivere e Lui dona il pane
per vivere ora e per l’eternità, il pane per amare ora e per
l’eternità.
Ma
per fare il miracolo di saziare la duplice fame, quella corporale e
quella spirituale, vuole il contributo dell’uomo.
Con
il poco che un giovane uomo gli mette a disposizione, Lui fa tanto,
con abbondanza inimmaginabile. Gli basta il poco dell'uomo per dare
il tanto del Suo.
Ma
che cosa anima il cuore di Gesù quando offre questo pranzo? Nel suo
commento al Vangelo di Giovanni, S. Tommaso d’Aquino, offre questa
risposta: “Da una parte l’umiltà,
dall’altra l’azione di grazie”
(Commento a Giovanni,
40).
“L’umiltà
–continua l’Aquinate-
perché sono pani ricevuti quelli che distribuì”.
Certo, al momento di fare il miracolo, Gesù avrebbe potuto nutrire
la folla con pane creato da nulla. Ma Lui, che voleva avere bisogno
dell’uomo per rifare le forze dell’uomo, moltiplicò pani già
esistenti.
Ma,
continua S. Tommaso d’Aquino, “l’anima
di Cristo è anche nell’azione di grazie: rese grazie per mostrare
che tutto quello che condivide lo riceve da un altro, dal Padre”.
Così ci insegna che, cominciando un pasto ma anche all’inizio di
altri momenti della nostra giornata, dobbiamo ringraziare Dio. Se la
nostra vita, la vita nostra quotidiana si fa umile ringraziamento e
condivisione, diventeremo santi.
Par fare ciò basta vivere l’offerta come insegna questo
racconto circa un bambino: “In una
chiesa africana, durante la raccolta dei doni all’Offertorio, gli
incaricati passavano con un largo vassoio di vimini, uno di quelli
che servono per la raccolta della manioca.
Nell’ultima
fila di banchi della chiesa era seduto un ragazzino che guardava con
aria pensosa il paniere che passava di fila in fila. Sospirò al
pensiero di non avere assolutamente niente da offrire al Signore. Il
paniere arrivò davanti a lui. Allora, in mezzo allo stupore di tutti
i fedeli, il ragazzino si sedette nel paniere dicendo: ‘La sola
cosa che possiedo, la dono in offerta al Signore’”.
2)
Il pane non basta, la parola neppure.
Non
è una mia provocazione, Gesù stesso ha detto: “Non
di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di
Dio” (Lc 4,4).
Andiamo
un po’ più in profondità.
Ci
deve stare a cuore la verità di Dio e della nostra vita. Spesso si
sente dire: “Non c’è la verità” che è un modo ambiguo per
dire; “A noi non importa la verità”. A chi con “certezza”
parla così, rispondiamo: “Non lo dite, perché neppur voi riuscite
a vivere di solo pane. Del pane ce n'è: qui in Europa, nel
cosiddetto Occidente ce n’è fin troppo”. Solgenitsin, dopo la
sua liberazione dal gulag (campo di concentramento in russo), fu
portato in Occidente e, fra le altre cose, gli fecero visitare un
Supermercato. Alla vista di un numero incredibile di prodotti da
consumare, lui che per anni era vissuto con pezzi di pane di un solo
tipo, esclamò: “Al desiderio di
infinito hanno risposto con una infinità di cose”.
E’ solo l’infinito di Dio che può saziare il nostro cuore. Come
non ricordare la nota frase di S. Agostino: “Il mio cuore è
inquieto fin che non riposa in te”. E’ perché c’è poca
verità che il pane è come se non ci fosse.
“Abbiamo
moltiplicato il pane e non moltiplicato la gioia. Abbiamo troppi
maestri di menzogna e troppi idoli, nel nome dei quali giuriamo sicut
in verbo magistri. «Essi
hanno occhi e non vedono: orecchi e non intendono: piedi e non
camminano... E tali ci siam fatti ancor noi che confidiamo in
essi...». Ma tu, Signore, avrai
pietà di noi e ci farai «vedere» la tua Parola”
(Don Primo Mazzolari).
Però
la parola non ci basta. «Né a noi
né a Dio è bastata la Parola. Troppa fame ha l'uomo e Dio ha dovuto
dare la sua carne e il suo sangue»
(Divo Barsotti). «Ecco il mio corpo», ha detto Gesù, e non, come
ci saremmo aspettati: «ecco la mia anima, il mio pensiero, la mia
divinità, ecco il meglio di me», semplicemente, poveramente: «ecco
il corpo».
Cristo
dà il suo corpo, perché vuole che la nostra fede si appoggi non su
delle idee, ma su di una Persona, assorbendone storia, sentimenti,
piaghe, gioie, luce; dà, perché il dare è la legge della vita,
unica strada per una felicità che sia di tutti.
3)
A scuola del silenzio.
Se
la parola e il pane non bastano, occorre mettersi alla scuola del
silenzio dell’ostensorio.
Il
monaco eremita Laurentius: “Mi fu detto: tutto deve essere accolto
senza parole e trattenuto nel silenzio. Allora mi accorsi che forse
tutta la mia esistenza sarebbe trascorsa nel rendermi conto di ciò
che mi era accaduto. E il Tuo ricordo mi riempie di silenzio”.
Come imitare Cristo?
Come seguirlo? Prendendo sul serio l’invito del Redentore: “Se
qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la
perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del
Vangelo, la salverà.” (Mc 8. 34-36 – Vangelo della liturgia
ambrosiana di oggi).
La Croce fu il primo
ostensorio del Corpo di Cristo. Nel silenzio contempliamolo e saliamo
prendiamo questo ostensorio.
La
Parola eterna si è incarnata e si è lasciata mettere in Croce, che
l’ha spinta al silenzio. Non al silenzio della morte, ma a quello
del dono di sé, commosso, umile, misericordioso, totale.
Il silenzio del cuore è
ciò che ci permette di essere lucidi, vigilanti ed accoglienti verso
noi stessi, verso gli altri e verso Dio.
Nell’Ostia, Dio tace,
ma è presente. Quando la nostra preghiera diventa sguardo, quando
taciamo, non ci resta che stampare i nostri occhi su questa Presenza
immacolata. Questa attenzione d’amore all’amore crocifisso,
questo tendere alla Presenza infinita, che dopo essere entrata
attraverso le orecchi, attraverso le bocca, entra tramite gli occhi,
gli occhi del cuore, fa sì che non ricadiamo su noi stessi.
“Il silenzio non è
un comando o una disciplina che si impone, il silenzio è Qualcuno
che guardiamo, in cui viviamo, Qualcuno che respiriamo e la cui
presenza suscita stupore e rispetto” (Maurice Zundel).
Cristo è la Verità messa in Croce. Impariamola contemplando il
Crocifisso nel silenzio. Conoscendo questa Verità saremo liberi,
liberi davvero. In Cristo-Verità la nostra vita diventa una storia
di verità e di amore: di gioia condivisa.