III
Domenica del Tempo Ordinario – Anno A - 26 gennaio 2020
Rito
Romano
Is
8,23b - 9,3; Sal 26; 1 Cor 1,10-13. 17; Mt 4,12-23
Gesù,
Luce del mondo
Rito
Ambrosiano – Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Sir
7, 27-30. 32-36; Sal 127; Col 3, 12-21; Lc 2, 22-33
1)
Seguire Cristo è la prima conversione.
Il
punto centrale del vangelo di oggi è chiaro: seguire Gesù Cristo,
che chiama alla comunione con lui.
In
effetti, dopo aver annunciato il regno e la conversione, la prima
cosa che il Redentore del mondo fa è quella di mostrarci come si
realizza il regno di Dio. La modalità principale di questa
realizzazione del regno di Dio è seguire Gesù Cristo, perché
seguendo lui diventiamo ciò che siamo: figli nel e con il Figlio.
Facendo il cammino del Figlio, realizziamo pienamente la nostra
verità di figli. Ed è proprio nel camminare di Cristo davanti a
noi e nel nostro andargli dietro, magari seguendolo a tentoni e
sbagliando, che nasce l’uomo nuovo.
Va
tenuto presente che questo cammino di conversione esige non solo una
“conversione morale”, che implica un cambiamento di vita. Esso
esige una “conversione intellettuale”, che implica un
cambiamento nel modo di pensare e di sentire. Esige, infine, una
“conversione esistenziale”, che implica vivere della presenza di
Cristo, seguito con amorosa fiducia e totale abbandono.
Dunque
la conversione non è riducibile ad un piccolo aggiustamento del
nostro cammino, ma è una vera e propria inversione di marcia.
Conversione è andare controcorrente, dove la “corrente” è lo
stile di vita superficiale, incoerente ed illusorio, che spesso ci
trascina, ci domina e ci rende schiavi del male o comunque
prigionieri della mediocrità morale, intellettuale ed esistenziale.
E’
seguendo il Figlio di Dio che la fede diventa realtà, diventa
rapporto personale con Lui. Questa relazione non è solo rapporto di
amicizia ma di prassi: lo seguiamo, facciamo lo stesso cammino e
diventiamo figli in Lui. E’ proprio nel seguire Gesù che si
realizza tutto. Seguire Gesù, però, non è un’iniziativa nostra.
Lo seguiamo perché chiamati. Il seguire è la nostra risposta alla
sua proposta di convertirci, di credere a Lui, di vivere in relazione
con Lui e di vivere come Lui, seguendolo
Nel
brano di oggi l’Evangelista e Apostolo Matteo ci narra che Gesù
lasciò Nazareth, dove nel nascondimento aveva vissuto una vita
quotidiana così normale che nessuno dei suoi compaesani1
avevano visto in Lui qualcuno di eccezionale, e andò a Cafarnao per
portare la luce
di Dio. Andò in un luogo, dove c’era una grande mescolanza di
ebrei e di altri popoli e per questo era chiamato dai Giudei “Galilea
delle genti”, ossia “provincia dei pagani”.
La
logica umana si sarebbe aspettata che l’annuncio messianico
partisse dal cuore del giudaismo, cioè da Gerusalemme2,
ed eccolo invece partire da una regione periferica, la Galilea,
generalmente disprezzata e ritenuta contaminata dal paganesimo. Ma
proprio ciò che costituisce una sorpresa è per San Matteo il
compimento di un'antica profezia e il segno rivelatore di Gesù: il
Messia universale che frantuma ogni forma di particolarismo.
Gesù
incominciò da questa “apparente” periferia3
per illuminare sia la Città santa che il mondo e il suo annuncio è
riassunto da San Matteo in una formula concisa: “Il
Regno di Dio è vicino, convertitevi”.
Queste
prime parole di Gesù sono semplici, poche. San Marco scrive: “Il
tempo è compiuto; il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete
al Vangelo”
(Mc
1,15).
Le parole riportate nel Vangelo di oggi sono ancora più scarne:
“Convertitevi,
perché il regno dei cieli è vicino”
(Mt
4,17) e, forse, non chiare per noi moderni per la loro stessa
sobrietà. Per capirle, e capire pure la differenza tra il messaggio
di Giovanni e l’annuncio di Gesù, ne propongo una spiegazione nel
linguaggio nostro, cercando di far emergere il loro eternamente vivo
significato.
“Il
Tempo è compiuto”. Il Tempo aspettato, profetato, annunziato è
giunto a pienezza. E’ compiuto il tempo di vivere senza conoscere
la bellezza della vita con Cristo. E’ compiuto il tempo degli
inganni. E' tempo di farci aprire gli occhi da Dio e contemplare il
Suo volto, che poi diventa in parte il nostro.
“Il
Regno è vicino”.
Giovanni il Battista diceva che un Re sarebbe venuto presto a fondare
un nuovo regno: il Regno dei Cieli. Gesù dà la lieta notizia che
il Re è venuto e che le porte del Regno sono aperte. Il Regno non è
la fantasia sorpassata di un povero Ebreo di venti secoli fa; non è
una cosa antiquata, una memoria morta, un sogno infranto. II Regno
dei cieli è in noi. Comincia da subito: è anche opera nostra, per
la felicità nostra, in questa vita, su questa terra. Dipende anche
dalla nostra volontà, dal nostro rispondere sì o no alla vocazione
di Cristo, che ci chiama ad essere santi, cioè a guardare il cielo,
a desiderare il cielo e sperare di vivere sempre in cielo. Il Regno
di Dio è pace e gioia4.
“Convertitevi”
aggiunge Gesù. “Convertitevi”: anche questa “vecchia” parola
è stata distorta dal suo senso autentico. La parola del Vangelo in
greco “Metanoèite” non si può tradurre in latino con
“poenitemini” o in italiano con “fate penitenza”. Metànoia è
propriamente il cambiamento del modo di pensare, il cambiamento della
mente, la trasformazione dell'anima. Metamorfosi è un mutare la
forma; metanoia un mutare lo spirito, è cambiare mentalità.
Giustamente la traduzione dice “conversione”, che è il
rinnovamento dell'uomo interiore. L’idea di “pentimento” e di
“penitenza” non sono che applicazioni e illustrazioni dell’invito
di Gesù a girarsi verso di Lui, a muoversi verso la luce.
Il
Messia ci invita a convertirci alla luce della verità ed alla
beatitudine dell'amore.
Amandolo
lo conosceremo meglio, e conoscendolo meglio Lo ameremo ancora di
più: si ama bene soltanto quel che si conosce; l'amore fa
trasparente chi s’ama. La prima conversione consiste nel credere,
nel credere al Verbo di Amore. “La fede in quanto legata alla
conversione, è l’opposto dell’idolatria; è
separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un
incontro personale. Credere significa affidarsi a un amore
misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta
l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di
raddrizzare le storture della nostra storia. La fede consiste nella
disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata
di Dio.” (Francesco, Lett. Enc. Lumen Fidei, n. 13).
3)
Una chiamata nella chiamata.
Il
brano dell’Enciclica di Papa Francesco permette di passare al
commento della seconda parte del Vangelo odierno che parla della
chiamata dei primi discepoli. Questa proposta a seguirLo Gesù la fa
sulla riva del lago di Cafarnao, dove Lui stava predicando e dove gli
uomini erano intenti al loro lavoro.
Nessuna
cornice eccezionale per la chiamata dei primi discepoli: un porto in
riva ad un lago, luogo di lavoro per dei pescatori.
Cerchiamo
di far emergere i tratti essenziali di questo racconto di vita.
Gesù
è il protagonista. Lui è il personaggio centrale. Sua è
l'iniziativa (“vide due fratelli” – Pietro e Andrea –
“e disse loro: seguitemi”; “vide altri due fratelli”
– Giacomo e Giovanni di Zebedeo – “e li chiamò”).
Non è l'uomo che si autoproclama discepolo, ma è Gesù che
converte l'uomo e lo chiama ad essere suo discepolo, scegliendolo con
amore. Il discepolo, poi, non è chiamato in primo luogo ad imparare
una dottrina ma a vivere con una Presenza, che è il centro affettivo
della sua vita di chiamato Al primo posto c'è l'attaccamento alla
persona di Gesù.
Questa
adesione esige un profondo distacco. Giacomo e Giovanni, Pietro e
Andrea lasciano le reti, la barca e il padre. Lasciano, in altre
parole, il mestiere e la famiglia. Il mestiere garantisce sicurezza e
stima sociale, il padre rappresenta le proprie radici. Si tratta di
un distacco radicale.
Questo
distacco permette di rispondere all'appello di Gesù mediante una
sequela totale e gratuita. I due verbi “lasciare” e “seguire”
che indicano uno spostamento del centro della vita della persona
chiamata. L'appello di Gesù non è in vista di una sistemazione
sociale, non colloca in uno stato, ma mette in cammino per una
missione.
Infine
si vede che le caratteristiche del discepolo sono almeno due: la
comunione con Cristo (“seguitemi”)
e un andare verso l’umanità (“vi
farò pescatori di uomini”).
La seconda nasce dalla prima. Gesù non colloca i suoi discepoli in
uno spazio separato, chiuso: li manda per le strade del mondo. A
questo riguardo anche Papa Francesco, parlando del Santo Pietro
Favre, gesuita francese, invita a imitare questo “Compagno di Gesù”
lasciando che “Cristo
occupi il centro del cuore”5.
Anche
le Vergini consacrate vivono questa “centralità” di Cristo,
seguendolo in pieno abbandono e amorosa fiducia. Imitando i primi 4
apostoli scelti da Gesù. Non è un caso che fossero pescatori. Il
pescatore, che vive gran parte dei suoi giorni nella pura solitudine
dell'acqua, è la persona che sa aspettare. È la persona paziente,
che non ha fretta, che cala la sua rete e si affida in Dio. L'acqua
fa i suoi capricci, il lago ha le sue bizzarrie e i giorni non sono
mai eguali. Partendo par andare al largo in cerca di pesci, il
pescatore non sa se tornerà con la barca colma o senza neanche un
pesce da mettere al fuoco per il suo pasto. Si rimette nelle mani del
Signore che manda l’abbondanza e la carestia; si consola del giorno
cattivo pensando al buono che venne e a quello che verrà.
Con
il genio e sensibilità femminile capace di dedizione suprema, le
Vergini Consacrate vivono l’analoga chiamata degli
apostoli-pescatori, l’analogo cammino di santità di chi va dietro
a Cristo con il cuore dilatato, l’analoga umiltà della santa
Famiglia di Nazareth (come richiama la liturgia ambrosiana di oggi),
della quale evidentemente Gesù era il centro e dove evidentemente la
casa dell’uno era l’affetto dell’Altro.
Maria
e Giuseppe custodirono e aiutarono a crescere Gesù non solo perché
da grande avrebbe detto parole di vita eterna, ma perché sapevano
nella fede che Lui era la Parola di Vita per sempre.
1
“Non
è costui il figlio di Giuseppe?” (Lc 4, 22). Marco e Matteo
aggiungono: “Non è costui il figlio di Maria, il fratello di
Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E la sue sorelle non stanno
qui da noi? E si scandalizzavano di lui” (Mc
6,3; cf Mt
13,55).
2
Ai
tempi della vita terrena di Cristo Gerusalemme
era il centro religioso per un fedele ebreo, ma politicamente si
poteva considerare marginale rispetto al potere romano.
3
Va
tenuto presente che Cafarnao, lontana dal Tempio, è più vicina al
mare Mediterraneo e sulla rotta delle carovane dei mercanti, e
diventa il crocevia di una nuova storia, quella della salvezza.
4
“Il regno di
Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia,
pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste
cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini”(Rm
14, 17-18).
5
“Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le
periferie del mondo! E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle
frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: «pare che sia
nato per non stare fermo da nessuna parte» (MI, Epistolae I, 362).
Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il
Signore. Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo
bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso,
chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro,
che torni ad affascinarci: quel fascino del Signore che portava
Pietro a tutte queste “pazzie” apostoliche.” (Francesco,
Omelia nella Chiesa del Gesù a Roma, 3 febbraio 2014).
Lettura
Patristica
Dal
Commento al vangelo di Matteo
di
Cromazio di Aquileia
Avendo
saputo che Giovanni era stato arrestato, si ritirò in Galilea [e
ciò che segue fino a] su quelli che dimoravano nell’ombra di
morte una luce si è levata. Lasciata, dunque, Nazaret, il
Signore e Salvatore nostro illuminando con la sua presenza diversi
luoghi della Giudea, che si era degnato di visitare, giunse nel
territorio di Zabulon e di Neftali per adempiere la predizione
profetica e cacciato l’errore tenebroso, infondere la luce della
sua conoscenza in coloro che credevano in lui, non solo Giudei, ma
anche gentili. Questo fatto l’evangelista ricorda nel presente
passo, richiamandosi alle parole del profeta col dire: Al di là
del Giordano il popolo di Galilea delle genti, che dimorava nelle
tenebre, vide una grande luce. In quali tenebre? Certamente nel
profondo errore dell’ignoranza. Qual è la grande luce che vide?
Quella di cui sta scritto: Era la luce vera che illumina ogni uomo
che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Di ciò diede testimonianza
il giusto Simeone nel Vangelo, dicendo: Luce che hai preparato per
illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele (Lc 2,
31-32). Che questa luce si doveva levare un giorno nelle tenebre
aveva predetto anche Davide, dicendo: È sorta nelle tenebre una
luce per i retti di cuore (Sal 111, 4). Anche Isaia parla di
questa luce che sarebbe sorta per illuminare la Chiesa, dicendo:
Rivestiti di luce, rivestiti di luce, Gerusalemme, perché giunge
la tua luce e la maestà del Signore è sorta in te (Is 60, 1)
[…].
2.
Di
questa luce, dunque, nel presente passo è stato detto: Il popolo,
che dimorava nelle tenebre, ha visto una grande luce. Ha visto,
però, non con la vista del corpo, perché è una luce invisibile, ma
con gli occhi della fede e con la visione dello spirito… Prosegue,
quindi: Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: Fate
penitenza, perché il regno dei cieli è vicino. Affinché queste
parole del Signore, con le quali esorta a convertirsi, fossero
ascoltate, lo Spirito Santo, in precedenza, anche per bocca di
Davide, aveva invitato il popolo alla penitenza, dicendo: Se
ascolterete oggi la sua voce, non indurite i vostri cuori, come per
metter alla prova, quando mi tentarono nel deserto (Sal 94, 8-9).
In questo stesso salmo poco sopra, per invitare il popolo peccatore
alla penitenza e suggerire sentimenti di compunzione, così si
esprime: Venite, prostriamoci davanti a lui e innalziamo suppliche
al cospetto del Signore che ci ha creati, perché egli è il nostro
Dio. Il Signore esorta alla penitenza, lui che promette il
perdono del peccato, lui che dice per bocca d’Isaia: Sono io,
sono io che cancello le tue iniquità e non ricorderò i tuoi
peccati. Ma tu ricordatene, accusa tu per primo le tue colpe, per
essere giustificato (Is 43, 25-26)… Giustamente dunque, il
Signore esorta il popolo alla penitenza dicendo: Fate penitenza,
perché il regno dei cieli è vicino, affinché, in seguito a
questa confessione del loro peccato, diventassero degni del regno dei
cieli che si avvicinava. Uno, infatti, non può ricevere la grazia
del Dio del cielo, se non sarà purificato da ogni sozzura di peccato
mediante la confessione di penitenza, mediante il dono del battesimo
della salvezza del Signore e Salvatore nostro.
3
Prosegue,
poi: Passando lungo il mare vide due fratelli [e ciò che
segue fino a] e subito, lasciata la barca e il padre loro,
seguirono. O felici questi pescatori che il Signore scelse per
primi al ministero della predicazione divina e alla grazia
dell’apostolato tra tanti dottori della Legge e scribi, tra tanti
sapienti del mondo! E certamente degna del Signore nostro e
conveniente alla sua predicazione fu tale scelta, per ottenere che
nella predicazione del suo nome nascesse un’ammirazione che avrebbe
suscitato una lode tanto più grande, quanto più meschini nel mondo
e umili nel secolo ne fossero stati i predicatori. Questi non
avrebbero conquistato il mondo per mezzo della sapienza della parola,
ma avrebbero liberato il genere umano da un errore mortale mediante
la semplice predicazione della fede, come dice l’Apostolo: Perché
la vostra fede non sia fondata sulla sapienza degli uomini, ma sulla
potenza di Dio. E ancora: Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto,
per confondere i sapienti, e ha scelto ciò che nel mondo è debole,
per confondere i forti, e ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e
disprezzabile e ciò che è nulla, per distruggere le cose che sono
(1 Cor 1, 2-5). Non scelse, dunque, i nobili del mondo o i
ricchi, perché la predicazione non destasse sospetto, non i sapienti
della terra così che si potesse credere che aveva persuaso il genere
umano mediante la sapienza mondana, ma scelse i pescatori,
illetterati, inesperti, ignoranti, perché fosse evidente la grazia
del Salvatore. Umili, è vero, nel mondo anche per l’esercizio
della loro arte, ma veramente eccelsi per la fede e per l’ossequio
del loro animo devoto, spregevoli per la terra, ma graditissimi al
cielo, ignobili per il mondo, ma nobili per Cristo, non iscritti
nell’albo del senato di questa terra, ma iscritti nell’albo degli
angeli in cielo, poveri per il mondo, ma ricchi per Dio. Infatti il
Signore sa chi scegliere lui che conosce i segreti del cuore, quelli
certamente che non cercavano la sapienza del secolo, ma desideravano
la sapienza Dio, né bramavano le ricchezze del mondo, ma aspiravano
ai tesori celesti. Perciò, come sentirono il Signore dire: Venite
dietro di me, subito, lasciate le loro reti e il padre e ogni
loro bene, lo seguirono. E in ciò si dimostrarono veramente figli di
Abramo perché sul suo esempio, udita la voce di Dio, seguirono il
Salvatore. Rinunciarono, infatti, subito ai proventi materiali, per
conseguire il guadagno eterno, lasciarono il padre terreno, per avere
un Padre celeste, e perciò, non a torto, meritarono di essere
scelti.
4
Il
Signore, dunque, scelse dei pescatori che, mutando in meglio il
mestiere della pesca, dalla pesca terrena passarono a quella celeste,
per catturare come pesci dal profondo gorgo dell’errore il genere
umano per la sua salvezza, conforme a ciò che lo stesso Signore
disse loro: Venite dietro di me e vi farò pescatori di uomini.
Questa stessa cosa aveva precedentemente promesso, per bocca del
profeta Geremia, dicendo: Ecco, io manderò molti pescatori, dice
il Signore, e li pescheranno. E dopo di ciò manderò dei cacciatori,
e li cattureranno (Ger 16, 16). Perciò, sappiamo che gli
apostoli furono chiamati non solo pescatori, ma anche cacciatori:
pescatori, perché per mezzo delle reti della predicazione evangelica
catturano dal mondo tutti i credenti come pesci; cacciatori, poi,
perché, per la loro salvezza, catturano, come una caccia voluta dal
cielo, gli uomini che vagano nell’errore di questo mondo come in
una selva e vivono a guisa delle fiere… Mediante la predicazione
apostolica, pertanto, ogni giorno i credenti sono catturati per
vivere. E guarda quant’è diversa questa celeste pesca degli
apostoli dalla pesca di questa terra. I pesci, infatti, quando sono
catturati, muoiono. Gli uomini, invece, sono catturati perché
vivano, secondo ciò che il Signore disse Pietro, quando aveva preso
una grande quantità di pesci: Non temere: d’ora in poi sarai
colui che dà la vita agli uomini.
5
Anche
Ezechiele, riferendosi apertamente a questi pescatori evangelici in
quanto catturano i pesci perché abbiano la vita: E là ci sarà,
disse, una gran quantità di pesce, perché là è venuta
quest’acqua e sarà salvo e vivrà ogni uomo a cui giungerà questo
fiume, e sederanno i pescatori e in disparte asciugheranno le
reti, e i suoi pesci saranno come pesci di un grande mare, una
quantità abbondantissima. Mirabile, dunque, è questa pesca e
meravigliosi i pescatori, che pescano non perché ne muoiano quelli
che catturano, ma perché vivano. Secondo quanto avviene su questa
terra vivono i pesci che non sono catturati, in questa pesca, invece
muoiono quelli che non meritavano di essere catturati. Come, appunto,
la pesca di questi pescatori catturi per dare la vita quelli che
cattura mostra chiaramente il profeta nella citazione riportata più
sopra: Poiché là è venuta quest’acqua e vivrà il pesce a cui
giungerà questo fiume. Certamente il profeta non parla di
quest’acqua comune né di un fiume terreno, ma dell’acqua del
battesimo della salvezza e del fiume della predicazione del Vangelo,
dal quale i credenti traggono l’alimento della vita. Vuoi sapere
qual è quest’acqua che risana, che cura, che dà la vita? Ascolta:
il Signore che dice nel Vangelo: Chi berrà dell’acqua che do io
non avrà sete in eterno, ma in lui ci sarà una fonte di acqua
zampillante per la vita eterna (Gv 4, 13-14). Vuoi sapere anche
che cosa sia questo fiume nel quale si ha la vita? Ascolta il profeta
che dice: L’impeto del fiume rallegra la città di Dio (Sal
45, 5). Così, dunque, mentre costoro pescano siamo catturati dal
mare di questo mondo, siamo tratti dal gorgo dell’errore, per
rinascere nell’acqua del battesimo e, purificati dal fiume del
Vangelo, rimanere in vita.
6
Prosegue,
poi: E Gesù percorreva tutta la Galilea [e ciò che segue
fino a] e al di là del Giordano. Che questo sarebbe avvenuto
aveva predetto Isaia dicendo: Egli ha preso su di sé nostre
sofferenze e ha guarito la nostra pena. Per questo, infatti era
venuto il maestro di vita e il medico celeste, Cristo Signore, cioè
per istruire gli uomini col suo insegnamento, fonte di vita, e per
guarire con la medicina celeste i mali del corpo e dell’anima, per
liberare i corpi posseduti dal diavolo e ricondurre alla vera e
completa salute coloro che erano affetti da ogni sorta d’infermità.
Infatti, curava le malattie fisiche con la parola della potenza
divina e con la medicina dell’insegnamento celeste risanava le
ferite dell’anima. E Davide mostra con chiarezza che tali ferite
dell’anima sono guarite solo da Dio, quando dice: Benedici,
anima mia, il Signore e non dimenticare tutti i suoi benefici. E
aggiunse: Egli perdona tutte le tue colpe e guarisce tutte le tue
malattie (Sal 102, 2-3). Vero, dunque, e perfetto medico è
quello che dona sanità del corpo e rende la salute dell’anima, il
Signore e Salvatore nostro, che è benedetto nei secoli dei secoli.
Amen. (Cromazio di Aquileia, Commento a Matteo, Trattati
15-16).
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