5
– 6 gennaio 2020 Epifania1
Rito
Romano
Is
60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12
Rito
Ambrosiano
Is
60, 1-6; Sal 71; Tt 2, 11-3, 2; Mt 2, 1-12
1)
Il Dono e i doni.
Nella
domenica che precedeva il Natale abbiamo visto come Giuseppe,
israelita, entra a far parte della promessa sposando Maria e
accettando il bambino da lei concepito per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe accolse Gesù come Dono di Dio.
Oggi
vediamo come noi, i pagani, perché per la maggior parte non veniamo
dal giudaismo, entriamo nella salvezza. Come Re Magi entriamo appunto
a far parte del dono fatto da Dio a Israele e a tutti i popoli. Nei
Re Magi si descrive il cammino di fede del non giudeo per accostarsi
al Cristo, quindi è descritto il nostro cammino di fede.
Questo
cammino è iniziato, prosegue e arriva alla meta perché come i Re
Magi abbiamo lo sguardo alzato al cielo, non siamo ripiegati su noi
stessi e teniamo il cuore e la mente aperti all’orizzonte di Dio,
che sempre ci sorprende e si lascia incontrare in una grotta che
risplende di gloria più di una reggia. “Pastori e i Magi sono
molto diversi tra loro; una cosa però li accomuna: il cielo. Nella
notte di Natale Gesù si è manifestato ai pastori, uomini umili e
disprezzati, alcuni briganti, dicono. I pastori di Betlemme accorsero
subito a vedere Gesù non perché fossero particolarmente buoni, ma
perché vegliavano di notte e, alzando gli occhi al cielo, videro un
segno, ascoltarono il suo messaggio e lo seguirono. Così pure i
Magi: scrutavano i cieli, videro una nuova stella, interpretarono
correttamente il segno e si misero in cammino” (Papa Francesco)
Infine,
seppero riconoscere il Re dei re in un bambino. In effetti, Arrivati
a Betlemme, i Magi incontrarono un bambino ma seppero riconoscere che
era il divino Bambino e Gli offrirono doni simbolici. In questo
incontro, in risposta ai loro doni ricevono in dono Gesù, che
trasforma la loro vita confermandoli nella “logica del dono”.
2)
Epifania ai Magi, saggi Pellegrini del Cielo.
Quando
si dice “epifania” pensiamo soprattutto alla manifestazione di
Gesù Cristo a tutte le genti, rappresentate dai Re Magi2,
che si prostrarono davanti al Re Bambino e lo adorarono. Tuttavia e
di per sé, l’Epifania celebra tre manifestazioni: quella ai
Re-Magi, che esprimono l’adorazione del mondo al vero Re dei Re;
quella sulle rive del
Giordano, dove il Salvatore viene battezzato ed indicato come figlio
prediletto dal Padre e come agnello che togli i peccati del mondo, e
quella delle nozze di Cana, che –penso- possiamo considerare un
simbolo delle nozze di Cristo con la Chiesa. Scrivo questo perché mi
è suggerito dall’antifona al “Benedictus” della Liturgia delle
Lodi di questa solennità dell’Epifania: “Oggi
la Chiesa,
lavata dalla colpa nel fiume Giordano,
si unisce a
Cristo, suo Sposo,
accorrono i magi con doni alle nozze regali
e
l'acqua cambiata in vino rallegra la mensa, alleluia”.
Procediamo
per gradi e contempliamo la manifestazione di Gesù ai tre saggi
venuti da lontano, che lo adorano riconoscendo Dio in un povero
bambino.
Grazie
agli occhi del cuore brucianti di desiderio di luce poterono andare
oltre a quello che gli occhi del corpo vedevano. Grazie al cuore
dilatato dall’incontro con il Re dei Re poterono inginocchiarsi in
una stalla e farGli regali importanti, sono dei doni regali (da re).
Questo “povero” bambino è Re e i tre Re Saggi gli rendono
l’omaggio degno di un Re: s'inginocchiarono
dinanzi a colui, che sottometterà la Scienza delle parole e dei
numeri alla nuova Sapienza dell'Amore: la loro scienza si umiliò
davanti all’Innocenza.
Inginocchiati,
dentro ai lussuosi mantelli reali, sulla paglia sparsa sul pavimento
della stalla,
loro, i potenti, i dotti, offrirono anche sé stessi come pegno
dell'obbedienza del mondo. Facciamo altrettanto, celebrando la
festa dell’Epifania, nella liturgia e quindi nella vita, come
impegno non solamente a donare qualcosa di prezioso a Dio, ma a
donarci al Verbo di Dio perché Egli assuma noi e attraverso di noi
tutte le cose. Doniamoci a Lui. È la festa dei Magi: anche noi
dobbiamo portare i nostri doni a Lui. Tutto quello che siamo, tutto
quello che abbiamo. Ciò che noi tratteniamo per noi e non doniamo a
Lui, tutto questo imputridisce e non ha vita. Si salva soltanto
quello che Egli assume. Doniamoci e rinnoviamo oggi la nostra
consacrazione al Signore, la nostra donazione a Lui.
3)
Epifania: Natale della Chiesa.
La
manifestazione che Gesù fa di Sé ai magi, ai pagani venuti da
lontano, diventa la nascita della Chiesa, la quale è chiamata
“universale” alla salvezza. Più nessuno oramai doveva stare
fuori dal cuore di Dio e quindi del suo Regno. Ecco perché gli
Ortodossi considerano l'Epifania il Natale della Chiesa e lo
celebrano con grande solennità. Ed è il nostro Natale.
Dovremmo
ascoltare oggi, come dette a noi le parole di Isaia profeta: “Alzati
rivestiti di luce, perché viene la luce, la gloria del Signore
brilla su di te. Poiché ecco le tenebre ricoprono la terra, nebbia
fitta avvolge le nazioni: ma su di te risplende il Signore, la sua
gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re
allo splendore del tuo sorgere”
(Is
60, 1-3).
I
Magi, primizie dei pagani, furono introdotti presso il gran Re che
cercavano, e noi tutti oggi li seguiamo. Il Bambino come ha sorriso a
loro, sorride a noi oggi e così tutte le fatiche del lungo viaggio
che porta a Dio sono dimenticate: l’Emmanuele rimane con
noi, e noi con lui. Betlemme, che ci
ha ricevuti, ci custodisce per sempre, perché a Betlemme riceviamo
in dono il Bambino,
e Maria la Madre sua.
Nel momento in cui ci avviciniamo all'altare verso il quale la Stella
della fede ci conduce, preghiamo questa Madre incomparabile di
presentarci il Figlio che è la nostra luce, il nostro amore, il
nostro Pane di vita. Offriamo al Neonato il nostro oro, il nostro
incenso e la nostra mirra. Lui gradisce questi doni di bontà, segno
del dono di noi stessi. Dopo la Messa usciremo dalla Chiesa come i
Magi lasciarono la grotta, come loro lasceremo i nostri cuori sotto
il dominio d’amore del divino Re bambino, e anche noi per un’altra
strada, per una via del tutto nuova, rientreremo a casa nostra,
patria temporanea, mortale dove siamo chiamati a vivere fino al
giorno in cui la vita e la luce eterna verranno a far sparire in noi
tutto ciò che vi è di ombra e di caducità.
Fratelli
e sorelle, amici miei carissimi, seguiamo i magi, lasciamo le nostre
abitudini “pagane”. Andiamo! Facciamo un lungo viaggio per vedere
Cristo. Se i Magi non fossero partiti lontano dal loro Paese, non
avrebbero visto Cristo. Finché restavano nel loro Paese, non
vedevano nulla se non la stella;
quando invece hanno lasciato la loro patria, hanno visto il Sole di
giustizia (Mt
3,20). Diciamo meglio: se non avessero intrapreso generosamente il
loro viaggio, non avrebbero nemmeno visto la
stella (cfr San Giovanni
Crisostomo (circa 345-407), Omelie su
Matteo, 7-8).
Anche noi alziamoci dunque, e anche se a
Gerusalemme tutti restano turbati, corriamo là dove si trova il
Bambino e vedremo Dio in terra e l’Uomo in cielo e noi con Lui, che
è il Dio con noi: l’Emmanuele.
Non
importante che cosa possiamo regalarGli, Gesù Cristo non ha bisogno
dell’oro, della mirra, dell’incenso che noi possiamo portargli.
Ma anche qui è il Cristo che dona alla nostra attività il suo
valore perché, se non ci riporta a Cristo, ogni attività umana
diviene di per sé tale da compromettere la vita, tale da
compromettere l’unità della persona umana, tale da compromettere
il risultato ultimo e finale della storia del mondo.
I
Re Magi se ne andarono a mani vuote? No. Avevano trovato la perla
preziosa: Cristo. Facciamo altrettanto!
Secondo
me capirono e credettero che quel Bambino era il primogenito di tanti
fratelli, che Dio ama tutti i popoli e ama ognuno di noi di un amore
infinito.
Dio
è il Padre di ciascuno di noi. Davanti a Lui non siamo più
stranieri o schiavi: siamo suoi figli nel Figlio che “oggi” ci ha
donato per sempre.
Chiediamo
la grazia
di comprendere e di vivere questa verità, come ci insegna un breve
racconto del 17° secolo che narra di una pastorella francese e di
una sua coetanea, nobile e ben educata. Questa povera, giovane
pastorella sembrava così stupida che una nobildonna, giovane come
lei ma pia e istruita, le si offrì di insegnarle il catechismo.
Allora la pastorella le rispose umilmente: “Grazie. Dunque, per
favore insegnami a terminare il ‘Padre Nostro’. Infatti, ogni
volta che comincio questa preghiera, quando penso che una povera
creatura come me può chiamare Padre il Dio di ogni potenza e
santità, il mio cuore scoppia di riconoscenza e io non posso andare
oltre queste due parole: Padre
Nostro, e così passo tutto il
giorno a piangere di gioia guardando le mie pecorelle”. Allora, la
nobildonna capì che la sua povera coetanea non aveva bisogno del suo
insegnamento. Approfittiamo anche noi di questa lezione e invocando
il Padre del Cielo che è Nostro Padre comprenderemo che il corteo
dei Magi ci conduce al Dio vivente, che è presente nelle nostre
anime: luce splendida dell’Amore in cui ciascuno e ciascuna di noi
ha la sua culla.
Anche
le Vergini consacrate3
hanno trovato questo Tesoro, al quale hanno donato tutto mediante il
dono della verginità. Dio le ha sedotte come ha detto di sé il
profeta Geremia: “Tu
mi hai sedotto o mio signore mio Dio ed io mi sono lasciato sedurre
da te”
(Ger
20, 7). Per aver la Perla preziosa hanno offerto a Cristo tutte se
stesse e la loro persona, che ha accolto Cristo totalmente, si
consuma come un’ostia, perché tutto il popolo di Dio viva in
Cristo e Cristo viva, ora e per l’eternità, in questo popolo di
peccatori redenti. Vive
chi cammina verso ciò che ama e cammina con chi lo ama nella
misericordia e fedeltà.
1
Il
termine “epifania” deriva dal greco
antico,
dal verbo ἐπιφαίνω,
epifàino
(che significa “mi rendo manifesto”) e dal discendente
sostantivo femminile ἐπιφάνεια,
epifàneia
(che può significare manifestazione,
apparizione,
venuta,
presenza
divina).
In San
Giovanni Crisostomo
Έπιφάνια
assume la valenza ulteriore di “Natività di Cristo”.
2
La
parola ‘mago’ che si usa per indicare questi personaggi non va
identificata con il significato che oggi noi diamo. Il vocabolo
deriva dal greco ‘magoi’ e sta ad indicare in primo luogo i
membri di una casta sacerdotale persiana (in seguito anche
babilonese) che si interessava di astronomia e astrologia. Potremo
meglio nominarli: studiosi dei fenomeni celesti.
I
Magi sono stati interpretati come Re
Magi
per l'influsso di Isaia
60,3,
e sono stati attribuiti loro i loro nomi di Melchiorre, Gaspare e
Baldassarre. Secondo il Vangelo
di Matteo
(2,2) i Magi (non precisati nel numero), guidati in Giudea da una
stella (ἀστέρα,
da ἀστήρ,
stella od astro), portano in dono a Gesù bambino, riconosciuto come
“re dei Giudei”, oro
(omaggio alla sua regalità), incenso
(omaggio alla sua divinità) e mirra
(anticipazione della sua futura sofferenza e morte redentrici) e lo
adorano.
3
Nella
Chiesa, con il permanere delle vocazioni verginali - attraverso il
segno della rinuncia
al matrimonio e
della
conseguente solitudine
e
apparente
infecondità
- si
trasmette
vitalmente e sperimentalmente la certezza che:
-
il cuore dell’essere umano può essere riempito soltanto da Dio, e
la sua ultima solitudine può essere colmata solo dalla sua
“compagnia”;
-
Gesù Cristo, vivo e vero, qui e ora, è Dio incarnato che ha
offerto e offre il suo vero amore;
-
in quest’amore è contenuto e richiesto ogni altro amore: si ama,
infatti, indissolubilmente “Cristo e ciò che è suo”;
-
e si tratta di un amore la cui particolare fecondità è
destinata ad essere visibile anche in questa vita.
Nella
comunità cristiana, le due vocazioni – quella alla verginità
consacrata e quella al matrimonio - vanno comprese ed educate non in
alternativa, ma in complementarietà, ricordando tuttavia che ognuna
di essa è una vocazione totale e totalizzante, e affermando
chiaramente che la verginità meglio testimonia lo splendore della
sollecitudine e della definitività dell’amore dovuto a Cristo.
Per
quanto riguarda la famiglia, consiglio vivamente il recente libro di
Mons. Livio Melina, La roccia e la Casa – socialità,
bene comune e famiglia, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo,
2013, pp 180. E’ un testo profondo e chiaro, che si legge con
facilità e profitto.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona (354 – 430)
Discorso
200 sull’Epifania del Signore
Epifania:
manifestazione di Cristo.
1.
1. I magi vennero dall'Oriente
per adorare il bambino nato dalla Vergine. Oggi celebriamo questa
ricorrenza, alla quale diamo la dovuta solennità e paghiamo il
debito di un discorso. Questo giorno rifulse per primo ai magi, a noi
ritorna con festosa ricorrenza annuale. I magi erano le primizie dei
pagani, noi siamo il popolo dei pagani. A noi questo giorno è stato
annunciato dalla parola degli Apostoli, ai magi dalla stella, come
fosse parola dei cieli; e anche a noi gli Apostoli, come fossero
cieli, hanno narrato la gloria di Dio. Come infatti non riconosceremo
in essi quei cieli, essi che son diventati sede di Dio? Come sta
scritto: L'anima del giusto è
la sede della sapienza. Per opera di
questi cieli il creatore e abitatore dei cieli fece sentire la sua
voce; il mondo tremò al tuono della sua voce ed ora è divenuto
credente. Grande sacramento! Giaceva in una mangiatoia e guidava i
magi dall'Oriente. Era nascosto in una stalla e veniva riconosciuto
in un segno celeste perché, riconosciuto nel segno celeste, venisse
ritrovato nella stalla. E così questo giorno si chiamò "Epifania"
che in latino si può tradurre con manifestazione. Ci si manifestano
insieme la sua grandezza e la sua umiltà: mentre si manifestava
nell'immensità del cielo con i segni degli astri, si faceva trovare,
dopo essere stato cercato, in un angusto rifugio; debole nelle carni
di un bambino, avvolto in panni da bambino veniva adorato dai magi e
temuto dai malvagi.
La
paura di Erode.
1.
2. Ebbe infatti paura di lui il
re Erode, quando i magi glielo annunziarono, mentre stavano ancora
cercando il bambino che tramite il segno celeste che avevano
ricevuto, sapevano già nato. Che cosa sarà il tribunale di Dio
giudice se la culla di Dio bambino ha incusso terrore a superbi re?
Molto più assennatamente ora i re non cercano di ucciderlo, come ha
tentato Erode, ma piuttosto volentieri lo adorano, come i magi; ora
soprattutto che ha sostenuto dai nemici, anche per gli stessi nemici,
quella morte che il nemico Erode desiderava dargli e che, ucciso, ha
ucciso la morte nel suo corpo. Ora sì, abbiano i re più timore di
colui che siede alla destra del Padre e del quale l'empio re Erode
ebbe paura quando ancora succhiava dal seno della madre. Ascoltino
quanto è scritto: E ora, o re,
abbiate senno; rinsavite voi che siete gli arbitri della terra:
servite il Signore con timore; con tremore esultate davanti a lui.
Quel sommo re, che punisce i re empi e sostiene i pii, non è nato
come nascono i re del mondo; anch'egli è nato, ma il suo regno non è
di questo mondo. La nobiltà del figlio fu la verginità della madre,
la nobiltà della madre fu la divinità del figlio. Mentre erano
stati tanti i re dei Giudei già nati e defunti, i magi non cercarono
nessuno di essi per adorarlo, perché di nessuno di essi il cielo
aveva loro parlato.
L'incredulità
dei Giudei.
2.
3. Non bisogna neanche
tralasciare di dire che questa illuminazione dei magi costituì una
prova irrefutabile della cecità dei Giudei. I magi cercavano nel
paese dei Giudei colui che i Giudei non riuscirono a riconoscere pur
essendo in mezzo a loro. In mezzo ai Giudei i magi trovarono il
bambino che essi poi non accettarono quando insegnava in mezzo a
loro. I magi, pellegrini in queste terre da paesi lontani, adorarono
il Cristo bambino che ancora non parlava; i suoi concittadini lo
crocifissero, in età ancora giovane, mentre operava prodigi. I magi
riconobbero Dio in quel corpicino; questi, pur davanti ai prodigi,
non lo risparmiarono neanche come uomo. Come se fosse stato più
strepitoso vedere una nuova stella che ha brillato alla sua nascita,
anziché il sole che ha pianto nella sua morte. La stella, che
condusse i magi al luogo dove si trovava con la vergine madre il Dio
bambino, certamente poteva condurli direttamente a quella città;
tuttavia si nascose e non apparve loro di nuovo se non quando ebbero
interrogato i Giudei sulla città in cui doveva nascere il Cristo -
perché fossero essi ad indicarla seguendo la profezia della divina
Scrittura - ed essi risposero: In
Betlemme di Giuda. Così infatti è stato scritto dal profeta: E tu,
Betlemme, terra di Giuda, non sei certo la minore fra le città di
Giuda, perché da te uscirà un capo che guiderà Israele, mio
popolo. Tutto questo che cosa ha
significato nei disegni della divina Provvidenza se non che presso i
Giudei sarebbero rimaste soltanto le divine Scritture, con le quali i
pagani si sarebbero istruiti e i Giudei accecati? Che le avrebbero
conservate non come aiuto alla propria salvezza, ma come
testimonianza della nostra salvezza? Infatti oggi, quando riferiamo
queste antiche profezie riguardanti il Cristo, rese chiare ed
evidenti alla luce degli eventi già avvenuti, se per caso dei
pagani, che noi vogliamo convertire, dicessero che sono state
inventate da noi, che non sono state pronunciate prima ma
posteriormente agli eventi accaduti, così da credere che siano state
profetizzate cose già avvenute; noi, per fugare il dubbio di questi
pagani, presentiamo i codici dei Giudei. I pagani erano rappresentati
già da quei magi, ai quali i Giudei, tramite le parole divine,
indicavano la città in cui è nato Cristo. I Giudei però né lo
cercavano né lo riconoscevano.
L'unico
nuovo popolo.
3.4. Ora
dunque, carissimi, figli ed eredi della grazia, considerate
la vostra chiamata e aderite
con tenacissimo amore al Cristo che si è manifestato ai Giudei e ai
pagani come pietra angolare. Si è manifestato già fin dalla culla
della sua infanzia a quelli che erano vicini e a quelli che erano
lontani: ai Giudei nei vicini pastori ai pagani nei lontani magi. Si
pensa che i pastori siano venuti a lui nello stesso giorno in cui è
nato, i magi invece in questo giorno. Si è manifestato ai primi,
benché non fossero dotti e agli altri benché non fossero giusti. La
caratteristica infatti della rozzezza dei pastori è l'ignoranza, e
delle pratiche sacrileghe dei magi è l'empietà. Quella pietra
angolare congiunse ambedue a sé: infatti è venuto a scegliere ciò
che è stolto per il mondo per confondere i sapienti e a
chiamare non i giusti ma i peccatori, affinché nessuno, per quanto
importante, s'insuperbisca e nessuno per quanto miserabile, si
disperi. Per questo gli scribi e i farisei, stimandosi troppo dotti e
troppo giusti, scartarono dalla loro costruzione questa pietra di cui
avevano indicato la città natale leggendo le parole dei profeti. Ma
egli è divenuto testata d'angolo e quanto indicò nella nascita
lo completò nella passione. Congiungiamoci a lui insieme all'altra
parete comprendente il resto d'Israele, che si è salvato per
gratuita elezione. Quei pastori prefiguravano questo resto che si
sarebbe congiunto a lui da vicino, affinché anche noi - la cui
chiamata da lontano era significata dalla venuta dei magi - fossimo
non più pellegrini e ospiti ma diventassimo concittadini dei santi e
membri della famiglia di Dio, costruiti insieme sopra il fondamento
degli Apostoli e dei profeti, avendo per pietra angolare lo stesso
Cristo Gesù. Egli ha fatto dei due un popolo solo, affinché in
quest'uno amassimo l'unità e avessimo una infaticabile premura di
raccogliere i rami che, pur innestati da un olivo selvatico, spezzati
dalla superbia, sono diventati eretici. Dio infatti ha il potere di
innestarli di nuovo.
Nessun commento:
Posta un commento