II
Domenica del Tempo Ordinario – Anno A - 19 gennaio 2020
Rito
Romano
Is
49, 3. 5-6; Sal 39; 1 Cor 1, 1-3; Gv 1, 29-34
Rito
Ambrosiano – II Domenica dopo l’Epifania
Nm
20, 2. 6-13; Sal 94; Rm 8, 22-27; Gv 2, 1-11
1)
Incontrare lo straordinario di Cristo nella nostra vita
ordinaria.
Con
questa Domenica inizia il Tempo ordinario1,dell'anno
liturgico, durante il quale la Chiesa non
celebra un particolare mistero della vita del Signore e della storia
della salvezza, ma il mistero di Cristo nella sua totalità.
In
questo tempo ordinario la liturgia ci invita a seguire
quotidianamente il Redentore e lo fa prendendo le mosse dal battesimo
di Gesù nel Giordano. In questo anno A, ci propone il resoconto che
fa l’apostolo Giovanni, in cui si racconta che da ogni parte della
Giudea la gente andava numerosa da Giovanni il Battista per
ascoltarlo e farsi battezzare da lui nel Giordano, confessando i
propri peccati. La fama di questo “più che profeta” battezzatore
era così aumentata che molti si domandavano se fosse lui il Messia.
Ma lui rispondeva con fermezza: “Io non sono il Cristo”
(Gv 1,20). Egli comunque resta il primo “testimone” di Gesù,
avendone ricevuto indicazione dal Cielo: “L’uomo sul quale vedrai
scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito
Santo” (Gv 1,33). Questo precisamente accadde quando Gesù,
ricevuto il battesimo, uscì dall’acqua: Giovanni vide scendere su
di Lui lo Spirito come una colomba. Fu allora che “conobbe” la
piena realtà di Gesù di Nazareth, e iniziò a farlo "conoscere
a Israele" (Gv 1,31), indicandolo come Figlio di Dio,
redentore dell’uomo, e dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio, che
toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Proprio da questo
versetto inizia la lettura evangelica di oggi, che ci offre la
testimonianza del Battista che indica con il dito e dice con la bocca
chi è Cristo, l’Agnello che porta su di sé, che porta via il male
del mondo e libera l’uomo.
La
testimonianza parte sempre da un dire, da un dire che è un punto di
arrivo di un’esperienza.
Al
dire corrisponde un’altra cosa: l’udire. Una parola se è detta,
ma non ascoltata, non esiste; se la parola è come un seme,
l’orecchio è come il grembo materno che l’accoglie, come la
terra. Il discepolo è colui che ascolta la parola. E cosa succede
quando ascoltiamo? Capiamo la parola, quindi la parola dà delle
informazioni alla nostra intelligenza. Nel caso se la cosa sia vera e
ci interessi, la amiamo. Dunque, la parola non solamente informa
l’intelligenza, ma anche il cuore, l’amore e la volontà e poi
passiamo all’azione: la parola informa il nostro agire.
Dall’ascolto
per l’uomo viene tutto: viene la sua intelligenza, la sua volontà,
la sua azione. Quindi, la parola ci determina totalmente, diventiamo
la parola che ascoltiamo e i discepoli ascoltano questa parola,
ascoltare è il secondo termine fondamentale, senza ascolto non c’è
nulla.
2)
L’Agnello di Dio.
Per
una comprensione più approfondita di questi avvenimenti, la Liturgia
di oggi ce li fa esaminare alla luce della divinità di Gesù, la cui
incarnazione rende la vita santuario della divinità. Non solo la sua
vita è divina. Con la salvezza da lui portata portando via i
peccati, la nostra vita quotidiana, il nostro lavoro, le nostre gioie
e tenerezze diventano l’ambito della santità divina.
In
Gesù, Agnello di Dio2,
la santità si rivela come formidabile promozione della vita e
dell’uomo. E l’uomo, perdonato, è trasfigurato, è reso figlio
di Dio et artigiano di luce con le sue mani.
Nel
giorno della sua ordinazione, il prete riceve la consacrazione delle
mani. E’ un fatto magnifico. Ma nel Cristo tutte le mani sono
sante, tutte le mani sono consacrate, tutte le mani possono diventare
mani di luce.
Nel
Cristo tutti i corpi sono chiamati a diventare Tempio dello Spirito
Santo e Membra di Gesù Cristo. Il Tempio che noi siamo è molto più
bello di ogni chiesa fatta di pietra e Dio è in noi più che in una
chiesa, perché è in quella chiesa per essere in noi.
Nel
Vangelo tutti i volti sono chiamati a irradiare il Volto di Cristo.
La vocazione che Lui offre quando ci è presentato come Agnello di
Dio non è una chiamata ad entrare in un ambito proibito. Per
raccoglierci in unità ci invita alla mensa, dove “molto
semplicemente” si mangia del pane e del vino, che il sacramento ha
reso il corpo ed il sangue dell’Agnello di Dio, perciò diventiamo
Colui che mangiamo.
3)
L’Agnello di Dio che perdona.
Nel
brano evangelico di questa domenica (Gv 1,29-34) troviamo una
professione di fede in Cristo che si articola in tre affermazioni:
“Ecco
l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” (1,29),
l’Agnello che conduce alla sorgente della vita, della felicità, e
asciuga ogni lacrima dai nostri occhi (cfr. Ap 7,14-17);
“Ho
contemplato lo Spirito discendere come una colomba e fermarsi su di
Lui”(1,32);
E
“il Figlio di Dio” (1,34).
La
dichiarazione su cui mi soffermo in particolare è la prima: “Ecco
l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, mettendoli su
di sé. L’Immacolato, il quale cancella il peccato del mondo con le
sue sofferenze e con la sua morte, svela il Suo Cuore a questo mondo
che vuole misurare tutto, persino Dio e il suo dono. Oggi, come ad
ogni Messa, ci è chiesto di accogliere questa affermazione come di
fatto è: indicazione del dono eucaristico di Dio a noi e di
rispondervi come la liturgia ci chiede: “Signore, non sono degno
di partecipare alla tua mensa: ma di' soltanto una parola e io sarò
salvato”. L’Agnello, che il prete mostra elevando l’ostia,
è da adorare nella sua divina umiltà e da mangiare nella comunione
alla sua infinita carità.
Per
capire bene il brano del Vangelo di oggi, riandiamo alla scena che
esso descrive. Trascorsi i quaranta giorni nel deserto dove era
andato dopo il battesimo di Giovanni, Gesù ritorna dal Battista.
Questi deve essere rimasto sconvolto dal vedere il Figlio di Dio
tornare da lui e per di più con un aspetto di uomo provato dal
digiuno e dalle tentazioni subite nel deserto. Giovanni sa che l’uomo
che gli viene incontro di nuovo è il Figlio di Dio, l’Amato. Vede
il Messia, che è della tribù di Giuda, ma in lui non percepisce il
Leone di Giuda, vede l’Agnello di Dio, la vittima che si offriva
liberamente in sacrificio perché il mondo fosse redento.
Riconobbe
tra la moltitudine dei peccatori lo splendore innocente
dell’Uomo-Dio, che aveva lasciato la gloria del Cielo per andare al
macello sulla Terra e lo indicò ai discepoli come persona da seguire
al suo posto.
I
discepoli non capirono, non erano in grado di capire cosa volesse
dire il loro maestro Giovanni indicando il Maestro Gesù come
l’Agnello, immagine non chiaramente nota agli ebrei per indicare il
liberatore tanto atteso. Noi invece sappiamo (o almeno possiamo
saperlo) che nel Nuovo Testamento agnello ricorre quattro volte3
e sempre in riferimento a Gesù. In effetti fin dagli inizi la
Chiesa guardò Gesù come Gesù vedeva se stesso, e cioè come il
servo di Dio - innocente, sofferente e paziente - come un agnello,
condotto al macello. Inoltre in aramaico “talja” significa sia
“agnello” che “servo”. Infine secondo Giovanni4
Gesù è paragonato all'agnello pasquale, come si deduce dal fatto
che la crocifissione ebbe luogo in coincidenza con la Pasqua ebraica
e addirittura con l'ora stessa in cui nel tempio venivano immolati
gli agnelli per il sacrificio pasquale (Come si può leggere anche
nel libro Gesù
di Nazareth
di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Milano 2007, pp
446).
Il
Vangelo di oggi ci mette di fronte alla missione di tenerezza di
Cristo che domanda la collaborazione del nostro amore. Questo Vangelo
ci fa mettere i nostri passi nei passi di Gesù e ci domanda di
accompagnarlo fino alla fine, di realizzare questo piano misterioso
in cui il trionfo di Dio deve compiersi nella “sconfitta” della
Croce affinché sappiamo che non si tratta per noi di aspettare a
braccia conserte la realizzazione di un destino che si compie senza
di noi. Al contrario noi siamo coinvolti nel lavoro per costruire con
Dio un mondo fondato sull’amore, un mondo la cui dimensione
creatrice è una dimensione di generosità e di dono di sé, con
Cristo, per Cristo e in Cristo.
La
Chiesa conserva sempre nel suo cuore il Cuore dello Sposo e nel cuore
della Chiesa è sempre possibile vivere la santità e divenire la
sposa bella dell’Agnello immolato.
In
ciò ci sono di esempio le Vergini consacrate. Esse hanno risposto di
sì a Cristo sposo e grazie a quel sì la loro presenza nella Chiesa
e nel mondo è un Vangelo vivente,
una testimonianza di Dio, che loro offrono, rivelano e comunicano
senza bisogno di parlare. La loro vita è vita di comunione
d'amore con Cristo, che chiama, perdona e dimora con noi conformando
noi a Lui: “Nella vita consacrata, dunque, non si tratta solo di
seguire Cristo con tutto il cuore, amandolo «più del padre e della
madre, più del figlio o della figlia» (cfr Mt 10, 37), come
è chiesto ad ogni discepolo, ma di vivere ed esprimere ciò con
l'adesione «conformativa» a Cristo dell'intera esistenza ,
in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel
tempo e secondo i vari carismi, la perfezione escatologica”. (San
Giovanni Paolo II, Es. Ap. Post-Sin. Vita Consecrata, N.16).
1
Il
tempo ordinario è costituito da 33 o 34 settimane, distribuite tra
la festa del Battesimo del Signore e l’inizio della Quaresima
(primo periodo), e tra la settimana dopo Pentecoste e la Solennità
di Cristo Re (secondo periodo).
Due
elementi sono fondamentali per cogliere il significato e
l’importanza del tempo ordinario: il lezionario, che con la
lettura semicontinua dei vangeli sinottici ritma il cammino delle
domeniche e dei giorni feriali, e la domenica, come giorno del
Signore e primo giorno della settimana. Di domenica, in ogni ciclo
annuale, si legge un diverso evangelista. Nell’anno A Matteo,
nell’anno B Marco, nell’anno C Luca. Le prime letture tratte
dall’Antico Testamento sono scelte in base al brano evangelico, in
modo che ci sia un rapporto di promessa-compimento,
profezia-realizzazione. Le seconde letture invece seguono la lettura
semicontinua dell’epistolario paolino, della lettera di Giacomo e
della lettera agli Ebrei. Anche nei giorni feriali si segue il
criterio della lettura semicontinua dei testi biblici. Si leggono
ogni anno i tre vangeli sinottici: Marco (settimane 1-9); Matteo
(settimane 10-22); Luca (settimane 23-34).
2
E’ sorprendente la caratterizzazione di Gesù come “l'Agnello di
Dio che toglie il peccato del mondo”, frase che si può tradurre
anche così: ‘che porta su di sè il peccato del mondo’.
La parola greca significa ‘allontanare, levar via', e per fare ciò
naturalmente ciò che dev'essere portato via dev'essere caricato
sulle spalle.
Per
togliere il peccato del mondo l'Agnello prende su di sé le
conseguenze del peccato espiando al nostro posto, e così toglie
ogni effetto al peccato, o meglio alla colpa del peccato, lo mette
da parte. Perciò l'espressione riunisce in sè le due cose,
l'assunzione del peso e la sua eliminazione. Questa esegesi illustra
bene l’ambivalenza dell'espressione greca ho airon ten
hamartian tou kosmou (lat. qui tollit peccatum mundi), il
cui verbo greco airo, al pari del latino tollere
significa sia portar via, sia prendere su di sé,
caricarsi sulle spalle (mentre purtroppo questa ambivalenza di
significato non si riscontra nella traduzione italiana togliere).
Non è erudizione filologica fine a se stessa. Con questa
espressione, infatti, il Vangelo si riferisce sia al quarto carme
del Servo del Signore (Is 53,1-12), sia all'agnello
espiatorio di Levitico 14, 12-13, sia infine all'agnello pasquale
(Es 12, 1-14; Gv 19,36) che diventa il simbolo della redenzione.
3
Gv
1,29.36; At
8,32; 1Pt 1,19.
4
Gv 19,36.
Lettura
Patristica
San
Gregorio Nazianzeno (330-390),
Vescovo,
Dottore della Chiesa
Discorso
teologico 4
Seguire
l'Agnello di Dio
“Gesù
è Figlio dell'uomo, a motivo di Adamo e a motivo della Vergine da
cui discende... Egli è Cristo, l'Unto, il Messia, a motivo della sua
divinità; questa divinità è l'unzione della sua umanità...,
presenza totale di Colui che così lo consacra... Egli è la Via,
perché lui in persona ci conduce. È la Porta, perché ci introduce
nel Regno. È il Pastore, perché guida il suo gregge ai pascoli
erbosi e lo fa bere ad un'acqua dissetante; gli indica la via da
percorrere e lo difende dalle bestie selvatiche; riporta la pecora
smarrita, ritrova la pecora perduta, fascia la pecora ferita,
custodisce le pecore in buona salute e grazie alle parole che gli
ispira la sua scienza di Pastore, le raduna nell'ovile di
lassù.
Egli
è anche la pecora, perché è la vittima. È l'Agnello, perché è
senza difetto. È il Sommo sacerdote, perché offre il Sacrificio. È
Sacerdote alla maniera di Melchisedek, perché è senza madre nel
cielo, senza padre sulla terra, senza genealogia lassù. Infatti,
dice la Scrittura: «Chi dirà la sua generazione». È anche
Melchisedek perché è Re di Salem, Re della Pace, Re della
giustizia... Questi sono i nomi del Figlio, Gesù Cristo, lo stesso
«ieri, oggi e sempre», corporalmente e spiritualmente, e lo sarà
per sempre. Amen.
riferimenti biblici : Mt 24,27 ; Mt 1,16 ; Gv
14,6 ; Gv 10,9 ; Gv 11 ; Sal 22 ; Is 53,7 ; Gv 1,29 ; Eb 6,20 ; Eb
6,20 ; Eb 7,3; Is 53,8 ; Eb 7,2 ; Eb 13,8)
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