Presentazione
del Signore al Tempio – L’Ipapante1
– 2 febbraio 2020
Rito
Romano
Ml
3,1-4; Sal 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40
Gesù
offerto a Suo Padre
Rito
Ambrosiano
Ml
3,1-4a; Sal 23; Rm 15,8-12; Lc 2,22-40
Il
Signore nel suo Tempio santo
1)
Incontro di Gesù con il Padre e con i fratelli.
Quaranta
giorni sono già passati dal Natale, giorno in cui Cristo è entrato
nel modo e la liturgia ci chiede di celebrare la presentazione di
Gesù al Tempio. La celebrazione di questo fatto è detta “Festa
dell’incontro”: perché celebra l’incontro tra il Dio bambino,
che porta novità, e l’umanità in attesa, che è rappresentata
dagli anziani Simeone e Anna nel Tempio. Questo bambino divino entra
umilmente in Casa sua ed è accolto da Simeone e da Anna. I sacerdoti
del Tempio non lo accolgono perché non sanno riconoscere Dio in un
povero Bambino.
Quali
sono le disposizioni che permettono questo riconoscimento? L’umiltà
di Simeone e la pietà di Anna. Invochiamo lo Spirito Santo perché
anche noi possiamo riconoscere il Redentore del mondo e accettare che
questo Bambino sia la salvezza nostra e del mondo intero.
Nella
sua debolezza, umiltà e povertà il bambino Gesù giudica e condanna
il mondo, che non è povero, che è orgoglioso, che crede nella
forza. Salva invece Simeone e Anna, due vecchi poveri e deboli a
causa del corpo infiacchito dagli anni. Questi due sono salvi. Dio
non ha bisogno di grandi manifestazioni, di grandi avvenimenti per
mostrare la sua gloria; la sua presenza ci giudica. Se siamo simili a
Lui, lo vediamo e lo riconosciamo. Se invece siamo pieni di orgoglio
non abbiamo nulla in comune con Lui, siamo esclusi dalla sua luce.
Con la presentazione al Tempio (ma non solo lì) Dio
si fa presente, ma si fa riconoscere soltanto dalle anime umili, che
non hanno peso nel mondo, che gli uomini dimenticano e non sanno che
cosa possono contare, ma solo loro riconoscono il Cristo. Dio è un
Infante, che non sa né parlare né camminare, o è un uomo che pende
da una Croce. La rivelazione suprema di Dio è il supremo
abbassamento (Se vogliamo usare il termine evangelico è la kénosis)
Contempliamo
questo abbassamento guardando Maria e Giuseppe che vanno al Tempio di
Gerusalemme, per offrire Gesù al Signore “come
è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio che apre il grembo
sarà chiamato santo per il Signore e per dare in sacrificio, secondo
quanto è detto nella legge del Signore, una coppia di tortore o due
pulcini di colomba” (Lc
2, 24-25). Così ci viene ridetta la povertà dei genitori, che non
hanno la possibilità di offrire l’agnello.
Tuttavia con il cuore pieno di commozione essi offrono tutto quello
che hanno: due uccelli piccoli, innocenti e puri. Non sanno ancora
che hanno tra le braccia Colui, che Giovanni il Battista indicherà
come “Agnello di Dio”.
L'offerta
di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua totale
offerta sulla croce.
Questo atto di obbedienza a un rito legale,
al compimento del quale né Gesù né Maria erano tenuti, costituisce
anche una lezione di umiltà, ulteriore a quella che ci è stata data
a Natale, quando abbiamo contemplato il Figlio di Dio e la sua Madre
nella commovente, povera e umile cornice del presepio.
Dio
si manifesta nella debolezza, nella povertà, nell'innocenza
dell'infanzia e nella purezza, e solamente i puri di cuore vedono
Dio. Quelli cioè che hanno gli occhi tersi, puliti perché hanno
cambiato la mente. Chi è pentito e purificato, la persona pia che ha
rinunciato al modo di vedere e di pensare umano può “vedere”
Dio, che si manifesta nella vita degli uomini, e capire quello che
Dio compie.
Il
cuore e gli occhi puri permettono a Simeone
di riconoscere in quel bambino, portato
da un’umile coppia, il Messia promesso, l'unto del Signore
annunciato dai profeti e atteso da secoli. Il vecchio Simeone,
uomo giusto e pio, che aspetta la consolazione di Israele
(cfr. Lc
2,25) e che, mosso dallo Spirito Santo, si reca in tempio, accoglie
tra le braccia il bambino e con animo commosso benedice Dio, perché
è arrivata la salvezza per lui, per il suo popolo e per tutte le
genti. Con i suoi occhi e col suo cuore purificati dall’attesa, il
vecchio profeta riconosce in quel bambino il Salvatore. Ma profetizza
anche che quella luce
tanto attesa e invocata sarà per molti segno di contraddizione e non
di risurrezione, perché non riusciranno ad accogliere la luce della
sua parola che svela i pensieri di ogni cuore umano.
L’altra
umile persona che accoglie Dio che visita il suo Tempio è Anna.
Per grazia di Dio questa donna ha la felicità, la fortuna di vedere
il volto di Dio nel bambino Gesù. Credo sia legittimo guardare a
questa donna come rappresentante di tutta l’umanità,
il cui destino è vedere il Volto di Dio e riflettere in sé tale
Volto. Questa vedova rappresenta
tutta l’umanità che è vedova perché non ha lo sposo, la sua
“altra parte”. L’altra parte
dell’uomo è Dio. Questa donna ha
la grazia di vederlo faccia a faccia e di gioire per la
presenza dello sposo, come lo sposo
gioisce della presenza della sposa. Anna finalmente celebra Dio,
mentre prima digiunava con suppliche, digiuna
notte e giorno nel tempio, e celebra Dio parlando del
Bambino, che è la liberazione di tutti. Dunque questa donna
rappresenta le nozze finali della Gerusalemme
celeste, quando l’umanità si incontrerà con lo Sposo.
Sostanzialmente siamo tutti “vedove”
in attesa delle nozze, dell’incontro con Dio-Amore.
Si
tratta di incontro umile e non appariscente come quello del neonato
Figlio di Dio portato nella Casa di Suo Padre. Infatti, non dobbiamo
pensare alla Presentazione al Tempio
come ad un avvenimento grandioso con una grande processione. Non
dobbiamo immaginare l’ammirazione del Sommo Sacerdote che accoglie
Gesù a bocca aperta, con e magari i leviti e gli altri sacerdoti
tutti intorno. Non è avvenuto nulla di tutto questo, nessuno si è
accorto di nulla, fuorché il vecchio Simeone, che ha cantato a Dio
il suo canto di ringraziamento perché aveva visto la salvezza, e
questa vedova di 84 anni. Ecco a chi è apparso il Signore, a chi si
è rivelato, ed ecco coloro che sono i primi messaggeri in Israele
dell'avvenimento divino. Guardate che è una cosa molto importante
questa. In generale gli evangelisti vedono in Giovanni Battista colui
che annuncia, anzi indica il Salvatore del mondo: «Ecco l'agnello di
Dio». Ma prima di san Giovanni Battista ci furono Simeone e Anna la
profetessa. Se saremo umili e ricchi di pietà potremo fare
altrettanto: indicare Cristo con gioia per una vita compiuta, piena
di anni e di grazia.
2)
Due persone portano il Bambino per offrirlo.
Abbiamo
presentato due persone che hanno accolto il Figlio di Dio che
“visitava” casa sua, e che hanno saputo riconoscerlo in un
piccolo bambino portato da due povere e umili persone: Giuseppe e
Maria, che offrivano il “loro” Figlio a Dio. Ora volgiamo lo
sguardo a San Giuseppe e, soprattutto, a Maria che è la Madre
vergine offerente: “La Chiesa ha
intuito nel cuore della Vergine che porta il Figlio a Gerusalemme per
presentarlo al Signore, una volontà oblativa, che superava il senso
ordinario del rito” (S. Giovanni
Paolo II, Marialis Cultus,
n. 20). È questa dimensione oblativa che dobbiamo cogliere come
messaggio della festa di oggi, per sviluppare in noi quella che
potremmo chiamare la spiritualità dell'offerta, che spinge ciascuno
di noi a vivere la vita nel dono totale di sé a Dio come il Tutto
della propria vita.
Infatti,
portato nel Tempio da Maria accompagnata dal suo sposo Giuseppe, Gesù
è offerto. Come ricorda il Vangelo, la Madonna è stata certamente
mossa a fare questo dall’antica prescrizione mosaica, in forza
della quale ogni primogenito apparteneva al Signore. Ma nell’offerta
di Cristo, quella prescrizione non solamente è osservata; essa è
perfettamente adempiuta. In forza della sua partecipazione alla
nostra umanità, il Verbo di Dio è divenuto “il primogenito di
molti fratelli” ed offre se stesso per la loro salvezza. “Per
questo, entrando nel mondo, Cristo dice: tu non hai voluto né
sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato… Allora ho
detto: Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà”
(Eb
10,5-7). Immergiamoci
oggi nella contemplazione di quest’atto di volontà con cui Gesù
Cristo, presentato al tempio, fa della sua vita e della sua umanità
un “sacrificio a Dio gradito”.
Oggi,
infine, celebriamo i divini misteri soprattutto perché vogliamo
ringraziare il Padre per un dono particolare, frutto prezioso
dell’offerta di Cristo: la vita
consacrata. Nel dono che Cristo ha
fatto di se stesso sulla croce sta la radice del fatto che ci siano
uomini e donne che seguono Cristo, amandolo con cuore indiviso,
pienamente liberati mediante la pratica dei consigli evangelici.
Guardando
alle Vergini Consacrate noi siamo profondamente assicurati che Cristo
è morto e risorto per noi: queste donne lo dicono non tanto con le
parole quanto con la loro esistenza consacrata. Qual’ è infatti il
“nucleo essenziale” della decisione esistenziale di queste
persone? E’ l’aver deciso di appartenere esclusivamente e
totalmente alla persona di Cristo: la loro vita è una vita
consacrata e lo è per sempre. Qualifica questa della loro esistenza
che esprime la radicalità del loro essere state afferrate da Cristo
e del loro lasciarsi afferrare, senza porre alcuna resistenza. Queste
persone consacrate vogliono riposare solamente in Cristo e a
Lui totalmente aderire (cfr RCV, n 24),
seguendo il loro modello per eccellenza Maria che ha detto: “Ecco
l’ancella del Signore, avvenga in me secondo la tua parola”
(Lc
1,38).
Radicate
in tale appartenenza radicale, completa a Cristo, queste persone
consacrate diventano l’espressione perfetta di ogni vita cristiana,
la quale consiste nel conformarsi pienamente al Signore Gesù.
L’augurio da fare loro è che siano fedeli alla loro vocazione,
perché in essa tutti i fedeli, gli sposi ed i pastori della Chiesa
vedono svelata la profonda natura della vita cristiana come tale.
In
ogni caso, secondo me, oggi si celebra soprattutto la festa del primo
incontro di Gesù con il Padre, a cui viene offerto, e subito
riscattato, come ogni primogenito. Chiediamoci se siamo davvero
pronti a offrire, assieme a Lui, il meglio di noi stessi a Dio,
nostro Padre, per poi, “ridonati a noi stessi”, passare nel mondo
come benedizione, che illumina il cammino degli uomini in cerca di
Dio dà pace e gioia. “Gioia che non consiste nell’avere tante
cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri
e nel volersi bene” (Benedetto XVI, Angelus del 13.12.2009).
Benedizione da chiedere a Dio e condividere con i fratelli come fece
Papa Francesco nel momento del primo incontro con la Chiesa e il
mondo appena dopo la sua elezione a Vescovo di Roma.
1
La Festa della Presentazione
del Signore, dai Cristiani
d’Oriente è chiamata Ipapánte,
cioè Incontro,
perché 40 giorni dopo il suo Natale, Gesù fu condotto da Maria e
Giuseppe al Tempio, sia per adempiere la legge mosaica, sia
soprattutto per incontrare il suo popolo credente ed esultante, luce
per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele. Con
il titolo di “incontro” (hypapànte) la Chiesa
bizantina in questa festa vuol soprattutto sottolineare l’incontro
di Gesù con l’anziano Simeone, cioè l’Uomo nuovo con l’uomo
vecchio, è la festa dell’incontro di Dio, per mezzo
dell’incarnazione del Figlio, con l’umanità, con ogni uomo.
Questo incontro ha luogo nel Tempio, cioè nella vita ecclesiale di
ogni cristiano, di ognuno di noi. In Simeone ed Anna, è
rappresentata l’attesa di tutto il popolo d’Israele, che in
questo incontro finalmente trova il suo compimento.
E’
chiamata pure Festa delle luci
(cfr Lc
2,30-32) ed ebbe origine nell’Oriente Cristiano. Nel secolo VI si
estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere
più penitenziale e in Gallia con la solenne benedizione e
processione delle candele popolarmente nota come la ‘candelora’.
Questo rito della benedizione delle candele, di cui si ha
testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone:
“I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te
davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti” (Id.).
La
festività odierna era, fino alla riforma del calendario liturgico,
chiamata festa della Purificazione della SS. Vergine Maria,
in ricordo del momento della storia della santa Famiglia, narrato al
capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in osservanza della
Legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la
nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito
legale della sua purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha
restituito alla celebrazione il titolo di “Presentazione del
Signore”, che aveva in origine.
2
Simeone vuol dire “Dio ha ascoltato”, cioè la sua attesa viene
compiuta.
3
Anna vuol dire “grazia di Dio”, Fanuele vuol dire “volto di
Dio”, Aser vuol dire “felicità, fortuna”.
Lettura
Patristica
San
Sofronio, vescovo
Discorso
3, sull’«Hypapante» 6, 7
PG
87, 3, 3291-3293
“Noi
tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero
dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore
di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si
rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei
ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando
e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della
luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre
lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la
quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio
e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a
coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal
suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi e
tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che é la vera luce.
La
luce venne nel mondo (cfr. Gv 1, 9) e, dissipate le tenebre che lo
avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto
(cfr. Lc 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per
questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e
correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la
luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri.
Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del
mistero odierno.
La
luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv
1, 9) é venuta. Tutti dunque, o fratelli, siamone illuminati, tutti
brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si
ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e
illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col
vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di
ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e
dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio,
infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di
noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo
liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone,
veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.
Anche
noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme,
divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, é la salvezza di
Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per
aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia
dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa
presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile
dimenticarcene”.(Disc. 3, sull’«Hypapante»
6, 7; PG 87, 3, 3291-3293).