Rito
romano
XXVIII
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 13 ottobre 2019
2
Re 5, 14-17; 2Tm 2, 8-13, Lc 17, 11-19
La
fede in Cristo che guarisce e salva
Rito
ambrosiano
VII
Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
Is
66, 18b-23; Sal 67 (66), 2-5. 7-8; 1Cor 6, 9-11; Mt 13, 44-52
Ai
popoli è rivelata la salvezza
-
Nulla ci è dovuto.
In
continuità con quella di domenica scorsa, la Liturgia della Parola
di oggi ci propone il tema della fede, sottolineandone la dimensione
di gratuità e di gratitudine. Come già era emerso nella parabola
del “servo inutile”: non possiamo stabilire un rapporto di “dare
e avere” con Dio, al quale dobbiamo rendere omaggio nella misura in
cui Lui fa qualcosa di buono per noi.
Il
samaritano che torna da Cristo per ringraziarlo per la guarigione
dalla lebbra, va da Gesù con il cuore pieno di gratitudine per una
guarigione ricevuta gratuitamente. “Quest’uomo non si accontenta
di aver ottenuto la guarigione attraverso la propria fede, ma fa sì
che tale guarigione raggiunga la sua pienezza tornando indietro ad
esprimere la propria gratitudine per il dono ricevuto, riconoscendo
in Gesù il vero Sacerdote che, dopo averlo rialzato e salvato, può
metterlo in cammino e accoglierlo tra i suoi discepoli” (Papa
Francesco).
Non
basta essere guariti per essere salvati, occorre ritornare da Cristo
e guardarlo con occhi di fede, e ringraziarLo. La “fede”
autentica e adulta, infatti, si manifesta nella “gratitudine”, l’
“eucarestia” che fa del lebbroso e Gesù un’unica carne, capace
di donarsi senza riserve. Ad essa approda l’unico tra i
dieci che, dopo aver sperimentato l’amore di Gesù che lo ha
“guarito”. “Torna indietro”, si converte, e passa dalla
schiavitù alla libertà, dalla supplica alla “lode”. E’
l’incontro decisivo: non si vergogna di “prostrarsi” davanti a
Gesù mostrandosi nella sua povertà; riconosce in Lui non solo il
Maestro ma anche l’unico e autentico Sacerdote che, dopo averlo
“guarito”, può certificare la “salvezza” del suo cuore.
Solamente chi ha scoperto di essere stato un “samaritano”,
eretico, malato e lontano, può donarsi con “fede” a
Cristo, che lo ha amato sino a farsi per lui “straniero”
sulla Croce, per “alzarlo” nella sua risurrezione e farlo
“andare” in una vita nuova. E noi, siamo convertiti tornando da
Cristo?
Senza
la salvezza la salute non serve a niente, perché non dà una vita
che dura. Andiamo da Cristo eucaristicamente, consegnandoci a Lui
perché ci “salvi” e ci renda liberi per amare. Chiediamo al
Signore di guarire il corpo e l’anima, perché siamo non solo
guariti ma salvati e condotto alla alla “terra” della libertà e
della pace. Questa “terra” non è di questo mondo; tutto il
disegno divino eccede la storia, ma il Signore lo vuole costruire con
gli uomini, per gli uomini e negli uomini, a partire dal luogo e dal
tempo in cui loro vivono e che Lui stesso ha dato.
2)
Chi chiede con fede, ottiene.
Nei
brani presi dal 2 libro dei Re (prima lettura) e dal Vangelo di
questa Domenica è descritta la miracolosa guarigione di malati di
lebbra, una malattia che nell’Antico Testamento ed al tempo di Gesù
era considerata la più grave delle malattie tanto da rendere la
persona “impura1”
e da escluderla dai rapporti sociali. Il
lebbroso era uno scomunicato dalla vita e dall’umanità. La
legislazione
(cfr Lv 13-14)
riservava ai sacerdoti il compito di dichiarare la persona lebbrosa,
cioè impura; e spettava ugualmente al sacerdote constatarne la
guarigione e riammettere il malato risanato alla vita normale.
Ora
immagiamo di essere al posto dei discepoli accanto a Cristo e
guardiamo arrivare questi malati, che implorano: “Gesù,
Maestro, abbi pietà di noi” (Lc 17, 14).
Cosa
vediamo? Scorgiamo dei miseri spettri sofferenti, che tutti scansano,
separati da tutti, che fanno schifo a tutti, ed è grazia se se hanno
un po' di pane, una scodella per l’acqua, il tetto di una topaia
per nascondersi, e a fatica spiacciano le parole da labbra gonfie,
tumefatte.
Cosa
ascoltiamo? Sentiamo questi morti viventi che chiedono la salute, la
guarigione, il prodigio al Maestro, perché sanno che è potente in
parole ed opere. Lui è per loro l’ultima speranza, l’ancora a
cui appendere la loro disperazione. Come potrebbe Gesù scansarsi da
loro come fanno gli altri? Come può il Suo cuore non ascoltarli?
Come potrebbe il Salvatore non esaudirli con la sua amorosa
onnipotenza? E compie il miracolo.
Cosa
facciamo? Seguiamo l’esempio di san Francesco d’Assisi, come egli
lo riassume all’inizio del suo Testamento: “Il Signore dette a
me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando
ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e
il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia.
E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato
in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii
dal mondo” (Fonti Francescane, 110). In quei lebbrosi, che
Francesco incontrò quando era ancora “nei peccati” - come
lui dice - era presente Gesù; e quando Francesco si avvicinò a uno
di loro e, vincendo il proprio ribrezzo, lo abbracciò, Gesù lo
guarì dalla sua lebbra, cioè dal suo orgoglio, e lo convertì
all’amore di Dio.
Ecco
la vittoria di Cristo, che è la nostra guarigione profonda e la
nostra risurrezione a vita nuova, senza la lebbra del peccato che ci
è completamente perdonato.
Quindi,
un tale prodigio (la guarigione ed il perdono) rappresenta il segno
della rinnovata amicizia di Dio con la sua creatura più cara:
l’essere umano. Questo miracolo fa di noi non solo dei guariti ma
degli evangelizzatori: Gesù fa di noi degli annunci viventi.
3)
Un miracolo sotto condizione? L’obbedienza non basta, ci vuole
amore e riconoscenza.
A
differenza di altre guarigioni, Gesù, in questa circostanza, prima
ancora di aver sanato i dieci lebbrosi, ordina loro di andare dai
sacerdoti (la legge mosaica prescriveva di presentarsi al sacerdote
per la verifica di un’eventuale purificazione dalla lebbra), il che
testimonia come tutti e dieci, almeno inizialmente, dimostrarono una
profonda fiducia in Gesù (E mentre essi andavano, furono guariti
–Lc 17,15). Viene spontaneo chiedersi perché Gesù, al termine
del racconto, sembra che attribuisca la fede al solo Samaritano (“Uno
di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce;
e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma
Gesù osservò:“Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri
nove dove sono?” – Lc 17, 18)), l’unico che abbia
dimostrato un sentimento di gratitudine per il bene ricevuto. In
realtà, il suo (del Samaritano) ringraziamento non fu un semplice
gesto di cortesia, ma un autentico “atto di fede” nella potenza
salvifica di Dio, manifestata gratuitamente in Cristo Gesù nei
confronti di una persona malata e per di più straniera. Lui era
ritornato da Gesù per ringraziare e per “rendere gloria a Dio”.
Questi
nove lebbrosi si incontrarono con Cristo, ma videro in lui solo
un’opportunità per la guarigione del loro corpo, per poi
dimenticare tutto.
Invece
il lebbroso samaritano, l’estraneo dal popolo eletto, intuì in
Cristo il Volto buono del Mistero che lo aveva salvato e rese lode a
Dio, e accolse Cristo come l’avevano accolto Zaccaria, papà di
Giovanni il Precursore, la Madonna, la Vergine Madre del Figlio di
Dio indicato da Giovanni, Simeone, il vecchio dal cuore così giovane
che riconobbe Cristo in un bambino portato dal tempio da una povera
coppia, che aveva i soldi solo per due colombi per riscattare il
figlio, come prescriveva la legge biblica.
Il
lebbroso samaritano è ognuno di noi che accoglie Cristo e mette la
propria vita nella Sua vita. Quest’uomo purificato dalla lebbra
aveva capito che la salvezza è poi la relazione con lui, sorgente
della vita, non l’essere mondato dalla lebbra, quindi ritornò2
da Salvatore. La salvezza non è semplicemente l’essere mondati,
guariti. La salvezza è molto di più, non è la buona salute, perché
quella presto o tardi se ne va. La salvezza è un’altra cosa, è la
relazione con lui, tornare a lui, glorificare Dio a gran voce.
Iniziando
la nostra lode in ginocchio come fece questo lebbroso (che “vedendosi
guarito, tornò indietro lodando3
Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi4
per ringraziarlo5”
- Lc
17, 15), preghiamo i cantici di Zaccaria, Maria Vergine e Simeone.
Il
Benedictus6
(che si recita alle Lodi del mattino) è il cantico dell’attesa,
della rinnovata accoglienza di Dio e accogliere Dio è per l’uomo
un impegno e un programma. Nel Magnificat7
(che si recita a Vespro) è il cantico del rendimento di grazie per
il compimento del mistero di Cristo: l’aver accolto Dio fa
prorompere nell’inno di grazie. Nel Nunc
dimittis8
(che è pregato a Compieta) è anch’esso un cantico di
ringraziamento per il dono ricevuto, con cui nel scendere della sera
il fedele fiduciosamente si abbandona tra le braccia di Dio: l’uomo
si scioglie in un atto di puro abbandono a Dio.
La
nostra preghiera inizia facendo nostra la preghiera dei lebbrosi, si
perfezioni assumendo l’atteggiamento del lebbroso samaritano
guarito e grato, infine diventi “lavoro” facendo uso, se
possibile, della Liturgia delle Ore. Il libro che contiene questa
liturgia è chiamato anche Breviario e è giusto considerarlo un
lavoro non solo dei monaci e delle monache e dei preti. Esso è un
lavoro che santifica il Cristiano e la Chiesa e rende gloria a Dio. A
questo “lavoro” di lode e di intercessione sono particolarmente
chiamate le Vergini consacrate: “Ricevi il libro della preghiera
della Chiesa. Non smettere mai di lodare il tuo Dio né di
intercedere per la salvezza del mondo” (Rituale della
Consacrazione delle Vergini n. 27). Queste donne lavorano nel mondo
non solo per guadagnare di che vivere, ma lavorano per il mondo
soprattutto con la preghiera di intercessione. Ci sono di esempio
anche perché “lavorano” con la preghiera, testimoniando che la
preghiera è lavoro, il più efficace, perché ci ottiene l’energia
per compiere il bene.
Il
lavoro è preghiera, partecipazione all’opera di Cristo che redime
il mondo, obbedienza alla parola di Dio che questo mondo ha creato e
salva.
La
preghiera è lavoro, non fuga dal mondo e dalla fatica della vita, ma
opera a servizio del mondo intero, perché Dio, unico Signore della
storia, voglia trasformarlo nel suo Regno, come Gesù ha promesso e
ci ha insegnato a chiedere.
1Puro,
impuro sono per noi nozioni morali. Nella Bibbia, come in tutte le
altre religioni, sono invece nozioni assai vicine a quelle di tabù
o di sacro. Si è "impuri" quando si entra a contatto con
una potenza misteriosa, che può essere buona o cattiva. Bisogna
allora praticare un rito che “purifica”, per sfuggire al
contagio di tale potenza. Certe malattie, per esempio, possono
rendere l'uomo impuro perché si pensa che, in tal modo, egli sia
sotto l'influenza di demoni. Al contrario, il contatto con Dio può
rendere “impuro”. Così appena qualche tempo fa, si poteva
leggere persino nei libri liturgici cattolici questa rubrica: "Dopo
la comunione, il sacerdote “purifica il calice” (con un lino
chiamato “purificatoio”). Questo calice era, insomma, diventato
"impuro" (in senso morale) per aver contenuto il sangue di
Cristo? No! Era divenuto “sacro”, perché era entrato
nell'ambito divino e la sua “purificazione” era un rito di
“desacralizzazione” che permetteva di farne, di nuovo, un certo
uso profano. La donna che ha avuto un rapporto sessuale deve
anch'essa “purificarsi”. Ci si può domandare se non si tratti,
anche qui, di un rito di “desacralizzazione”: poiché è entrata
in contatto con Dio, sorgente di vita, donando la vita, o comunque
entrando nella sfera sessuale ad essa legata, deve passare
attraverso un rito per poter riprendere di nuovo la sua esistenza
profana. La questione del puro e dell'impuro è molto complessa e
assai discussa tra gli specialisti.
Le
semplificazioni rischiano sempre di falsare la realtà. Tuttavia
possiamo ritenere almeno due punti: 1- le nozioni di puro e impuro
non hanno spesso alcun carattere morale, ma sono piuttosto
imparentate alle nozioni di tabù e di sacro; 2- tuttavia, talvolta,
queste stesse parole, assumono un senso morale; la confusione tra
questi due sensi (purificazione cultuale e purificazione morale) è
senza dubbio in parte responsabile del discredito gettato sulla
sessualità: là dove la Bibbia parlava di impurità in senso
“sacro” o cultuale, noi abbiamo spesso interpretato impurità in
senso “morale”. (cfr E. Charpentier, Per leggere l’Antico
Testamento, Roma 1981).
Per
una chiara, aggiornata e sintetica presentazione dell’argomento si
consiglia di leggere “purezza-impurità” nel Dizionario
critico di Teologia (Roma 2006 – [Paris 2007 3ème
édition]) pubblicato sotto la direzione di Jean-Yves Lacoste.
2Nel
testo greco c’è epistrèfo che vuol dire voltarsi verso qualcuno
non solo verso qualcosa, convertirsi.
3Nel
testo latino c’è “magnificans”= “magnificando”, nel testo
greco c’è doxàzon = “glorificando”.
4Letteralmente
dal greco si dovrebbe tradurre così:
“cadde
sul volto ai suoi piedi”.
5Nel
testo greco c’è eucharistèo che vuol dire ringraziare, fare
eucaristia. E’ nell’eucaristia che noi viviamo la fede e
l’incontro con Lui che ci ha amati e salvati.
6Cantico
di Zaccaria - Lc
1, 68-79
:“Benedetto
il Signore Dio d'Israele, perché ha visitato e redento il suo
popolo,
e ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa
di Davide, suo servo,
come aveva promesso
per bocca dei suoi
santi profeti d'un tempo:
salvezza dai nostri nemici,
e dalle
mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia
ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,
del
giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, liberati
dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e
giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
E tu,
bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo
perché andrai
innanzi al Signore a preparargli le strade,
per dare al suo
popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi
peccati,
grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, per
cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge,
per
rischiarare quelli che stanno nelle tenebre
e nell'ombra della
morte
e dirigere i nostri passi sulla via della pace”.
7Cantico
della Beata Vergine -
Lc 1, 46-55: “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito
esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà
della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno
beata.
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e Santo è il
suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia si
stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo
braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha
rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha
ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani
vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua
misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo
e alla sua discendenza, per sempre”.
8CANTICO
di SIMEONE -
Lc
2,29-32:
“Ora
lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua
parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare
le genti e gloria del tuo popolo Israele”
Lettura
spirituale
Incontro
di San Francesco d’Assisi con il lebbroso,
raccontato
da Tommaso da Celano
in
Vita prima di San Francesco d'Assisi, nn. 348-349
“Poi,
come vero amante dell’umiltà perfetta, il Santo Francesco si reca
tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per
amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe
virulente, come egli stesso dice nel suo Testamento: 'Quando era
ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il
Signore mi condusse tra loro e con essi usai misericordia'. La vista
dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così
insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i
loro ricoveri, si turava il naso con le mani. Ma ecco quanto avvenne:
nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù
dell'Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva
ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece
violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento
decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del
Redentore ottenne piena vittoria.
Quand'era
ancora nel mondo e viveva vita mondana, egli si occupava dei poveri,
li soccorreva generosamente nella loro indigenza e aveva affetto di
compassione per tutti gli afflitti. Una volta, che aveva respinto
malamente, contro la sua abitudine, poiché era molto cortese, un
povero che gli aveva chiesto l'elemosina, pentitosi subito, ritenne
vergognosa villania non esaudire le preghiere fatte in nome di un Re
così grande. Prese allora la risoluzione di non negar mai ad alcuno,
per quanto era in suo potere, qualunque cosa gli fosse domandata in
nome di Dio. E fu fedele a questo proposito, fino a donare tutto se
stesso, mettendo in pratica anche prima di predicarlo il consiglio
evangelico: Dà a chi ti domanda qualcosa e non voltar le spalle a
chi ti chiede un prestito (Mt 5,42).”
Preghiera
Padre
di tutti gli uomini,
per
te nulla è troppo piccolo.
Nessun
cuore per te è troppo duro
perché
tu non l’ami.
Tu
hai voluto aver bisogno di tutti e come,
noi
uomini, non potremo aver bisogno degli altri?
Insegnami
a scoprire le meraviglie
di
ogni uomo e donna.
La
bellezza, la bontà, lo splendore, la luce
anche
nel viso più triste e tormentato è la tua luce.
Fammi
scoprire che non c’è persona
che
non abbia nulla da dirmi o insegnarmi.
Fammi
capire da quanti umili lavori
in
tanti luoghi dipende la mia vita quotidiana.
Ciascuno
dipende da tutti
perché
l’umanità sia completa
e
il corpo di Gesù tuo Figlio sia intero.
Attendo
questa pienezza con lo sguardo
rivolto
a tutti coloro che ancora verranno.
Benedici
tutti, o Padre,
e
permettimi di benedirli con te.
Amen.
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