Rito
romano
XXVII
Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 6 ottobre 2019
Ab
1,2-3;2,2-4; Sal 94; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10
Fede
come granello di senape1
Rito
ambrosiano
VI
Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
1Re
17,6-16; Eb 13,1-8; Mt 10,40-42
La
missione degli apostoli prosegue quella di Gesù.
In
questa XXVII Domenica del Tempo Ordinario dell'anno liturgico, il
Vangelo ci propone di riflettere sul dono della fede. Che la sorgente
della fede stia in Dio e che Lui ce la doni è vero, ma è
altrettanto vero che al dono si risponde con la gratitudine, che “è
sempre un’arma potente” (Papa Francesco). Il nostro grazie non è
semplicemente un atto di cortesia, esso è una risposta personale di
totale disponibilità alla volontà di Dio.
Ma
perché pur avendo accolto questo dono ed avendovi dato un risposta
positiva, oggi gli Apostoli chiedono a Gesù: “Signore, aumenta la
nostra fede” (Lc 17, 5)? Sono le richieste radicali del
Redentore a far nascere nei suoi seguaci la domanda di un
“supplemento” di fede. Per esempio, il Messia esige che
dobbiamo concedere “un perdono senza misura” (Lc 17,3-4).
Di fronte a tale richiesta che Cristo pone come condizione per essere
suoi seguaci, gli Apostoli (e noi con loro) scopriamo la pochezza
della nostra fede, la nostra incapacità a capire la validità di un
simile discorso e soprattutto la nostra incapacità a tradurla in
vita concreta.
La
fede è un affidarsi totalmente a Dio, è l’accettare un progetto
calcolato sulle possibilità di Dio e non sulle nostre. Non si
misurano più le possibilità a partire da noi, ma a partire
dall'amore di Dio verso di noi.
A
questo siamo chiamati: a crescere nella fede, aprirci e accogliere
con libertà il dono di Dio.
Se
con insistenza chiediamo a Cristo di aumentare la fede, di aiutarci
a camminare fiduciosi con lui, Maestro, Fratello e Amico divino, la
fede ci apre a conoscere e ad accogliere la reale identità di Gesù,
la sua novità e unicità, la sua Parola, come forza e fonte di vita,
per vivere una relazione personale con Lui. Il conoscere della fede
cresce con il desiderio di trovare la strada, essa è un dono di Dio,
che si rivela a noi non come una entità astratta senza volto e senza
nome. La fede risponde a una Persona, che vuole entrare in un
rapporto di amore profondo con noi e coinvolgere tutta la nostra vita
Per questo, ogni giorno il nostro cuore deve vivere l'esperienza
della conversione, il desiderio di conoscere meglio, di trovare il
suo pane, ogni giorno deve vedere il nostro passare dall'uomo
ripiegato su stesso, all'uomo aperto all'azione di Dio, all'uomo
spirituale, che si lascia interpellare dalla Parola del Signore e
apre la propria vita al suo Amore. “La fede in Cristo ci salva
perché con lui la vita si apre radicalmente all’Amore che ci
precede e ci trasforma dall’interno, che agisce in noi e con noi”
(Papa Francesco, Lumen fidei, n. 20)
Alimentiamo
quindi ogni giorno la nostra fede, con l'ascolto profondo della
Parola di Dio, con la celebrazione dei sacramenti, con la preghiera
personale come grido verso di Lui e con la carità verso il prossimo,
perché la fede nella misura che è legata alla verità dell’amore,
non è estranea alla vita “materiale” e ai nostri legami e
affetti terreni. La luce della fede è una luce incarnata, che
procede dalla vita luminosa di Cristo (Cfr. Ibid., n. 34)
Infine
non dimentichiamo che la fede non ci è data per conservarla, ma per
comunicarla; non la si conserva e non cresce , se non si ha la
passione di comunicarla, di condividerla.
2)
Una questione di qualità non di quantità.
Oltre
a proporci il tema della fede, la Parola di Dio di questa domenica
indica che l’annuncio missionario ha queste fondamentali
caratteristiche: la tenacia e l’umiltà. Infatti, molto chiaramente
Gesù indica ai suoi apostoli che il cammino, da percorrere per
essere missionari con lui e dietro i suoi passi, deve essere fatto
con una fede tenace e una umiltà che gratuitamente si mette a
servizio dell’annuncio della lieta ed amorosa verità evangelica:
il Regno di Dio è la Misericordia del Padre.
Davanti
alla richiesta di mettere le loro vite nelle mani del Redentore, per
servire il suo amore, i discepoli si sentono inadeguati e quindi
chiedono a Gesù: “Signore, aumenta la nostra fede” (Lc
17, 5).
Con
il paragone del granello di senape e del gelso che le tempeste non
possono sradicare dalla terra perché è tenacemente radicato, Gesù
vuole insegnare che di fede non ne occorre tanta come a volte si
pensa. Ne basta poca, purché vera. Ebbene, un briciolo di fede vera
può sradicare questa pianta, perché un po’ di fede è più forte
di tante radici.
Sviluppando
il paragone, possiamo dire che la fede è un radicarsi stabilmente in
Dio. E questo radicamento è questione di qualità non di quantità,
di autenticità non di sforzo. Questo affidamento autentico a Lui poi
si unisce all'accettazione di un progetto calcolato sulle possibilità
di Dio e non sulle nostre.
Dopo
l'insegnamento non sulla quantità ma sulla forza della fede
(ne basta un briciolo per sradicare un albero), ecco una parabola (Lc
17, 7-10) che non è certo priva, a prima vista, di risvolti
umanamente irritanti. Forse che Dio si comporta come certi padroni
incontentabili, che sempre chiedono e pretendono, e non danno un
attimo di pace ai loro servitori, che devono essere sempre e comunque
a disposizione del padrone?
No.
Con un modo di parlare un po’ paradossale ma chiaro Gesù insegna
che la forza del Vangelo risiede nel servizio fedele di coloro, che
hanno accettato l'amore di Dio, che si sono radicati nel Figlio e che
condividono il Verbo fatto carne nella potenza docile dello Spirito.
La fede permette un sapere autentico su Dio che coinvolge tutta la
persona umana: è un “sàpere”2,
cioè un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo
d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo. La fede si esprime
nel dono di sé per gli altri, nella fraternità che rende solidali,
capaci di amare, senza calcolo e senza pretese: umilmente. Nel
vangelo di oggi Gesù ci ridice:“Chi
di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà,
quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? Non
gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai
fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e
berrai tu»? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha
eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto
tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili3.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»”
(Lc
17, 7-10). Come si vede, Cristo è chiaro con i suoi apostoli (ed
oggi con noi), precisa chi è il signore e chi è
il
servo nell'opera da svolgere, quali sono i criteri da adottare
nell'eseguire il comando, quale ricompensa spetta a chi compie il suo
servizio. Ma non dimentichiamo che nell’ultima cena Gesù fece
l’esatto contrario dei padroni della terra. Lui, il Signore del
Cielo, invitò ed invita a tavola i servi che sono diventati suoi
amici, che stupiti si lasciano lavare i piedi da Lui, l’Amico e
Signore. Questo è l’amore stupefacente di Dio per noi.
3)
La fede è missionaria.
Ecco
il perché:
“La
fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci
svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo
poggiare per essere saldi e costruire la vita”(Papa Francesco,
Lett. Enc. Lumen Fidei, n. 4): un Amore che ci lava persino i
piedi e che ci chiede di portarlo nel mondo intero come missionari
della Carità.
La
fede è un affidarsi a Dio, alla sua parola, alla sua guida sulle
strade oscure e impervie dell'esistenza. Quindi come missionari della
Verità dobbiamo portarla a tutti gli uomini perché sappiano a chi
vale la pena affidarsi e chi dà senso alla vita.
La
fede è sapere che all'origine di tutto c'è un Padre, che ci ha
tratto dal nulla per amore. Non siamo venuti al mondo per sbaglio,
senza che nessuno ci abbia né previsti né voluti. Noi non siamo in
balìa di un caso gelido e cieco: siamo nelle mani di Uno che ci vuol
bene e non ci abbandona mai, “il quale vuole che tutti gli
uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”
(1 Tm 2,4). Lo scopo per cui Lui è venuto l’ha già definito
Cristo stesso: “Sono venuto affinché abbiano la vita eterna:
che conoscano Te, vero Dio, e Colui che hai mandato, Cristo Gesù”
(Gv 17,3-4).
La
fede è luce che fa vedere le cose con gli occhi di Cristo, giudicare
le idee e gli accadimenti alla luce del suo insegnamento, diventare
capaci di un nuovo modo d'amare gli altri, che è lo stesso modo
limpido e disinteressato con cui Lui li ama. La forza dell'annuncio
del Vangelo non risiede nell'elaborare nuove strategie d'impatto
mediatico nel nord del mondo o nel progettare interventi umanitari
nel sud della terra. La forza dell’evangelizzazione è nel nostro
essere missionari, che agiamo umilmente, con la consapevolezza di chi
si sa “servo inutile”, io tradurrei: servo che lavora
gratuitamente (cfr nota 3), ma che cosciente di essere come il
lievito nascosto nella farina o come il chicco di senape, che non
differisce da un granello di sabbia, pur avendo in sé un’energia
vitale così grande da dare origine a un albero, le cui fronde
diventano rifugio e conforto per i passerotti che fuggono dalla
tempesta della vita.
La
fede è rendersi conto che lo Spirito Santo, mandatoci dal Signore
risorto, agisce nei nostri cuori, ci aiuta a distinguere il bene dal
male, ci sprona a camminare sulla strada diritta, ci induce a
comportarci - in un mondo litigioso e duro - da uomini di
misericordia e di pace. Lo scopo della fede che ci è data è la
missione: e la missione non è per l’Aldilà, ma è per l’Aldiquà.
La
fede è la persuasione che ci è data la gioia di appartenere alla
Chiesa, Sposa e Corpo di Cristo, Famiglia dei figli di Dio e Luogo
certo, saldo e sicuro dell'incontro col Padre.
Non
c'è nulla di più decisivo per l'uomo, di più gratificante e di più
ragionevole della virtù teologale della fede. E non c'è nulla di
più prezioso da fare oggetto della nostra preghiera e della nostra
missione di evangelizzatori e evangelizzatrici.
A
questo riguardo le Vergini Consacrate sono chiamate in modo speciale
ad annunciare il Vangelo come l’Instruzione Ecclesiae
Sponsae Imago sull’Ordo Virginum al n 39 propone: “La
loro dedicazione alla Chiesa si manifesta nella « missione di
illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare »,
nella passione per l’annuncio del Vangelo, per l’edificazione
della comunità cristiana e per la sua testimonianza profetica di
comunione fraterna, di amicizia offerta a tutti, di prossimità
premurosa verso i bisogni spirituali e materiali degli uomini del
proprio tempo, di impegno nel perseguire il bene comune della società
… Attente a cogliere gli appelli che vengono dal contesto in cui
vivono e sollecite nel mettere a disposizione del Signore i doni da
Lui ricevuti, sono chiamate a dare il proprio contributo per
rinnovare la società secondo lo spirito del Vangelo, accettando
senza ingenuità o riduzionismi l’impegno della elaborazione
culturale della fede e assumendo come propria la predilezione della
Chiesa per i poveri, i sofferenti, gli emarginati”.
1Un
granello di senape è piccolo come una pulce, minuscolo, quasi
invisibile. Ma una volta seminato velocissimamente cresce, e
nell'arco di un anno quel piccolo seme può divenire un albero anche
di 3-4 m.
Il gelso, invece, è un albero secolare che può vivere
anche 600 anni, ha radici profonde, che si abbarbicano nella terra.
E' un albero molto difficile da sradicare, per questo è il simbolo
della solidità, della staticità, dell'inamovibilità
2Verbo
latino che vuol dire: gustare,
sentire il sapore,
poi in modo figurato avere
il gusto delle cose superiori ai sensi, quindi
essere saggio, per
cui da
sàpere derivano
anche queste due parole:
“sapore”,
“sapienza”.
3“Inutili”
è la traduzione letterale e tradizionale del termine greco
“acreios”, ma forse il significato è più da intendersi nel
senso di “semplici
servitori”
o “soltanto
dei poveri servi”.
La
sottolineatura qui è più sulla gratuità che sulla utilità: non
prendiamola “alla lettera”, ma leggiamo la parabola nel senso
spirituale. È difficile, infatti, pensare, sempre e in ogni caso,
che Dio abbia creato degli uomini “inutili”, ma ancor più se
questi dimostrano di aver mantenuto un comportamento giusto e
corretto.
In
ogni caso, una volta che abbiamo compiuto il nostro dovere e abbiamo
detto: “siamo servi inutili”, possiamo aggiungere: “tuttavia
abbiamo un amico che ci ama più di quanto noi possiamo immaginare”.
Per questo siamo sicuri nelle sue mani. Per questo la Santa M.
Teresa di Calcutta diceva di se stessa: “Non sono che una
piccola matita nelle mani di Dio”.
Lettura
Patristica
Dalle
« Omelie » di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om.
6 sulla preghiera fatta con fede; PG 64, 462-466)
La
preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una
comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne
sono rischiarati, così anche l'anima che è tesa verso Dio viene
illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però,
una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non
deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire
continuamente, notte e giorno.
Non
bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando
attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche
quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i
poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla
generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di
Dio, perché, insaporito dall'amore divino, come da sale, tutto
diventi cibo gustosissimo al Signore dell'universo. Possiamo godere
continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a
questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro
tempo.
La
preghiera è luce dell'anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra
Dio e l'uomo. L'anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo,
abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che
piangendo grida alla madre, l'anima cerca ardentemente il latte
divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni
superiori ad ogni essere visibile.
La
preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo
tempo rende felice l'anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo,
però, della preghiera autentica e non delle sole parole.
Essa
è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli
uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l'Apostolo dice:
Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede
per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il
Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da
valorizzare, è un cibo celeste che sazia l'anima; chi l'ha gustato
si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco
ardentissimo che infiamma la sua anima.
Abbellisci
la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della
preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della
giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina
di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la
fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in
alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così
prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in
splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in
tempio della sua presenza."
Tardi
ti ho amato ...
Stimolato
a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell'intimità
del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto
(cfr. Sal 29, 11). Entrai e vidi con l'occhio dell'anima mia,
qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio
stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una
luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni
uomo. Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più
forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa.
Era
un'altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non
stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l'olio che
galleggia sull'acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra,
ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo
sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la
verità conosce questa luce. O eterna verità e vera carità e cara
eternità!
Tu
sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai
sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da
solo non sarei mai stato in grado di vedere. Hai abbagliato la
debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me.
Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lontano come in una terra
straniera, dove mi parve di udire la tua voce dall'alto che diceva:
«Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai
me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato
in me».
Cercavo
il modo di procurarmi la forza sufficiente per godere di te, e non la
trovavo, finché non ebbi abbracciato il «Mediatore fra Dio e gli
uomini, l'Uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2, 5), «che è sopra ogni cosa,
Dio benedetto nei secoli» (Rm 9, 5). Egli mi chiamò e disse: «Io
sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6); e unì quel cibo, che
io non ero capace di prendere, al mio essere, poiché «il Verbo si
fece carne» (Gv 1, 14). Così la tua Sapienza, per mezzo della quale
hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da
bambini.
Tardi
ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato.
Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E
io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed
io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se
non fossero in te, neppure esisterebbero.
Mi
hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai
abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità.
Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l'ho respirato, e ora anelo
a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora
ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.
(dalle
Confessioni di Sant'Agostino Vescovo di Ippona)
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