Domenica
XXIX del Tempo Ordinario – Anno B – 21 ottobre 2018
Rito
Romano
Rito
Ambrosiano
Is
26,1-2.4.7-8; 54,12-14a; [Ap. 21,9a.c-27]; Sal 67; 1Cor 3,9-17; Gv
10,22-30
Dedicazione
del Duomo di Milano.
1)
Un Dio che serve.
Il
brano evangelico di questa domenica (Mc 10,35-45) sembra che ripeta
alcune parole che Cristo ha già detto in precedenza: “Chi vuole
essere grande si faccia servo di tutti” (cfr. Mc 9,35), che
però i discepoli continuano a non comprendere, come non capiscono
Cristo che annuncia la sua passione. La reazione degli Apostoli alla
terza predizione della Passione è peggiore delle precedenti.
Dopo
la prima ci fu una discussione tra Gesù e Pietro. Questi pensava
ancora secondo gli uomini e non secondo Dio e, quindi, voleva
convincere Cristo a non andare a morire.
Dopo
la seconda ci fu l’incomprensione di tutti gli apostoli, intenti a
litigare su chi fosse il più grande.
Dopo
la terza è come se Gesù non avesse detto nulla. Anzi, Giacomo e
Giovanni, che Lui prediligeva, invece di fare la sua volontà,
vogliono che Lui faccia la loro. In effetti, chiedono a Gesù:
“Vogliamo sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”
(cfr. Mc 10, 37), mentre gli altri si arrabbiano per questa
richiesta.
Reazione
non è certamente in linea con l’amore umile, predicato dal
Maestro. Gesù paziente raccoglie intorno a sé anche gli altri
apostoli e rivolgendosi sia ai due, che cercavano potere e onore, che
agli altri dieci, che erano irritati da questa richiesta forse perché
era stata fatta prima che loro potessero fare altrettanto, spiega che
l’Apostolo più grande è quello che serve.
Per
far meglio comprendere il suo pensiero ai discepoli, Gesù si serve
di due paragoni, uno negativo e uno positivo. Li invita a non
esercitare la loro autorità come fanno i principi del mondo (questo
è il paragone negativo), poi continua chiedendo loro di comportarsi
come Lui, che è «il Figlio dell'uomo (ecco il paragone positivo) il
quale non è venuto a farsi servire, ma a servire e dare la propria
vita in riscatto per le moltitudini».
Dunque
nel Regno di Dio è grande chi serve e il miglior servizio è quello
di dare la vita. Già il servire è un po’ morire, è la croce
quotidiana. Ma se si accetta questa croce ci uniamo al servizio che
Cristo offre a tutta l’umanità, manifestando l’amore gratuito e
misericordioso di Dio.
Se
il dare la vita è il modo più alto di servire, nella vita
quotidiana servire vuol dire almeno essere utili in modo gratuito,
senza calcolo, disinteressatamente. Servire significa organizzare la
propria intera esistenza in modo da prendersi a carico dell’altro
fino al completo dono di sé. Servire con autorità vuol dire
mettersi a disposizione della persona amata perché cresca (autorità
viene dal latino ‘augere’ che vuol dire far crescere). E’ un
servizio d’amore che opera “in riscatto” della moltitudine,
come fanno, in modo meraviglioso i missionari.
L'espressione
«in riscatto» non va intesa anzitutto come se significasse «per
saldare il debito», bensì come «solidale con» o «al posto di»:
cioè l'idea prevalente non è quella del debito, che deve
assolutamente essere pagato, costi quello che costi, bensì l'idea
della solidarietà che intercorre tra il Figlio dell'uomo e le
moltitudini (Gesù, in altre parole, è il Fratello maggiore, buono
–nulla impedisce di pensare con il Papa emerito Benedetto XVI che
ci sia un terzo figlio oltre ai due, di cui parla la parabola del
Padre Misericordioso- che si sente coinvolto e prende sulle proprie
spalle la situazione del fratello minore, prodigo). Il Figlio di Dio
e dell'uomo è venuto per vivere questa solidarietà, divenendo in
tal modo la trasparenza visibile, toccabile con mano, dell'amore di
Dio e della sua alleanza. E come mi diceva una volta un missionario:
“La più grande solidarietà, la più grande carità che noi
possiamo fare agli altri è di annunciare loro che Cristo è risorto”
e cambia la vita, perché l’amore di Cristo risorto non è
“qualcosa di individualistico, unicamente spirituale, riguarda
la carne, riguarda il mondo e deve trasformarlo” (Benedetto
XVI, 28 giugno 2007). Siamo quindi chiamati a “servire il Vangelo
nella solidarietà e nella comunione … Una vocazione che dobbiamo
compiere indossando il grembiule del servizio, come ha fatto Gesù
nell’Ultima Cena con suoi Apostoli (Papa Francesco, 16 novembre
2017.
Con
pazienza, Gesù insegna che per essere grandi con Lui e come Lui
occorre esercitare l’autorità come fa Lui: servendo.
“Anche
il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma
per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc
10,45).
Questa
frase è il punto di forza dell'intero insegnamento di Cristo. E’
una frase che va molto al di là del semplice esercizio
dell’autorità fatto con pazienza, dolcezza e umiltà. E così la
commenta l’autore dell’Imitazione
di Cristo:
“Se
vuoi regnare con Gesù, porta con Lui la croce. Solo i servi della
croce trovano la via della beatitudine e della vera luce” (cfr.
Cap. 56)
Per
partecipare alla sua grandezza, Gesù non ci chiede solo di fare come
Lui, ma di essere come Lui: servi. “Ognuno può essere
grande, perché ognuno può servire. Non è necessario avere una
laurea per servire. Non è necessario concordare soggetto e verbo per
servire. E' necessario solamente un cuore pieno di grazia” (Martin
Luther King), rigenerato dall’amore di Cristo in Croce.
2)
L’autorità è di chi ama e l’esercita con il servizio1.
L’autorità
nel Cristianesimo è concepita e vissuta come esercizio dell’amore,
perché per Cristo chi Lo ama, questi è colui che può e deve
guidare gli altri suoi amici, facendosi loro servitore.
E’
questo l’insegnamento che viene dal testo di San Marco che
stiamo
esaminando oggi. Ai discepoli che chiedono a Gesù di condividere la
Sua grandezza, Lui risponde insegnando che la grandezza sta nel
servizio e che il servizio è un cammino di croce cioè di dono di
sé perché l’amico viva. Non è bello soffrire, ma è doveroso,
bello e gioioso “servire” anche se ha come prezzo la rinuncia
di sè. “Vi
è più gioia nel dare che nel ricevere” (At
20,35).Insegnamento,
questo, che viene anche da un non cristiano come il poeta indiano
Tagore: “Sognavo
che la vita fosse gioia. Mi sono svegliato. La vita era servizio. Ho
servito e nel servizio ho trovato la gioia”.
E la
Beata M. Teresa di Calcutta ha completato dicendo: “Dove
c’è Dio, lì vi è amore. E dove c’è amore, vi è sempre
servizio. Il frutto dell’amore è il servizio e il frutto del
servizio è la pace”.
La
vera grandezza, che è quella di Dio, è quella di essere servo
dell’amore, perché servire è, nel Nuovo Testamento, la
traduzione concreta di amare. Amare vuol dire servire l’altro.
Come l’egoismo vuol dire servirsi dell’altro.
Nella
mentalità dominante l’autorità è concepita e praticata
come potere, quasi sinonimo di dominazione e, in questo senso, essa è
il contrario del servizio. Ma teniamo presente che anche se Gesù ha
goduto di profonda autorità e ha agito con autorità2:
eppure Gesù è stato anche colui che il Nuovo Testamento ha
presentato soprattutto ricorrendo all’inno del servo sofferente (Is
52,13-53,12), come uno che ha dato la sua vita per gli altri,
esprimendo al massimo grado la verità che non c'è miglior amico di
colui che dona la sua vita per gli altri. “Ecco il mio servo che io
sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio” (Is 42,1) E’
Dio che parla e presenta il “suo” servo; è Lui che lo ha
“scelto”, è Lui che lo sostiene.
Ogni
elezione nella Scrittura è sempre in vista di una missione per
affrontare la quale c’è bisogno della grazia. Dio dice che il suo
servo è “cosa buona” e che ha posto in lui il suo Spirito.
“Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il
Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre
ha pronunziato il mio nome.”(Is 49,2) Ha reso la mia bocca
come spada affilata, mi ha nascosto all'ombra della sua mano, mi ha
reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. (Ibid.)
In
sintesi per noi il servo è un uomo, scelto tra gli uomini; non è
migliore degli altri né più capace; è Dio che gli va incontro, che
lo purifica e lo rende capace di dirgli di sì; la chiamata ad essere
santo si concretizza nella missione agli altri, quale inviato di Dio;
questa missione consiste soprattutto nell'annunziare la Parola, nel
prestare la voce a Dio, nell’essere suo testimone. Secondo il
Vangelo, l’autorità è, quindi, una qualifica che Dio dà per un
servizio. Se volessimo esprimerci con una pagina del Vangelo di San
Giovanni, potremmo rifarci alla lavanda dei piedi, la sera
dell'ultima cena nel Cenacolo.
L’episodio
della lavanda dei piedi ci rimanda al vangelo di Marco, dove Gesù è
preoccupato di non assimilarsi ai grandi della terra: non vuole
essere servito, ma servire. Donando la sua vita vuol dimostrare che
sa portare sino alle estreme conseguenze la verità in cui crede e la
missione che il Padre gli ha affidato. Non solo ma ci vuole far
capire che la vita cristiana è vita nella gioia, perché servire
Dio, il prossimo, e la Chiesa, dà gioia. “Chi dà agli altri lo
faccia con semplicità, chi aiuta i poveri lo faccia con gioia!”
(Rm 12, 7-8).
3)
L’autorevole servizio delle vergini consacrate3.
Riflettendo
su come le vergini consacrate sono grandi e su come esercitino
l’autorità dell’amore servizievole, ho pensato che oggi sia
importante sottolineare quanto segue. Le vergini consacrate nel mondo
dedicano la loro vita e tutte le loro forze di amore a Dio e al suo
Regno. Loro testimoniano che ogni vocazione è accoglienza della
carità di Dio e risposta a Lui nel servizio degli altri. Esse
ricordano la sorgente teologale dell’amore soprattutto attraverso
la verginità che richiama quella verginità del cuore e degli
affetti che nasce e si alimenta dell’intima e feconda comunione con
il Signore.
Questa
donne seguono in modo particolare l’esempio della Madonna. Maria
Vergine ha risposto "Si" alla proposta di “essere per
l’altro”. Non solo ha capito la portata e la grandezza della
chiamata di Dio ma nelle sue parole:” Eccomi sono la serva del
Signore” ha interpretato in modo esemplare il vero atteggiamento al
servizio chiesto da Dio. Un servizio operoso, silenzioso, che sotto
la croce si è fatto cooperante della volontà del Padre, e forse mai
come in quel momento sono ancora risuonate nel suo cuore quelle
parole: “Eccomi sono la serva del mio Signore”.
Chi
ama serve tutti e va in cerca, come Cristo, particolarmente degli
esclusi, dei diseredati, dei peccatori, e con la vita casta
proclamano che Dio li guarda, li ama, li salva.
La
loro importanza non è misurata da ciò che essi producono, in
termini di efficienza, ma dallo spirito e dallo stile che li anima e
dalla comunione ecclesiale che vivono.
La
loro è una vocazione al servizio, che mostra mediante la
consacrazione e la vita che ne deriva che si può passare da un “io”
possessivo ad un “io oblativo.
Queste
donne mostrano come si fa ad amare il prossimo come se stessi. Basta
amare Gesù, perché chi ama davvero vuol bene anche a coloro che
l’Amato ama.
Questo
insegna pure il Rito della Consacrazione delle vergini. Grazie a
questo Rito la Chiesa celebra la decisione di una donna di donare a
Cristo Sposo la propria verginità e, invocando su di lei il dono
dello Spirito, la dedica per sempre al servizio cultuale del Signore
e a un servizio di amore in favore della comunità ecclesiale e del
mondo.
La
consacrazione è una risposta alla chiamata di Dio Padre “sorgente
purissima da cui scaturisce il dono della integrità verginale”.
Per mezzo di Cristo Lui chiama le vergini “per un disegno d’amore
[…] per unirle più intimamente a sé e metterle al servizio
della Chiesa e dell’umanità” (Rito della Consacrazione delle
Vergini, n. 29 – Omelia). Per questo la Chiesa invoca su di
loro tutte le virtù, grazie e carismi di cui hanno bisogno per
vivere la loro vocazione, pregando cosi: “Concedi, o Padre, per il
dono del tuo Spirito, che siano prudenti nella modestia, sagge nella
bontà, austere nella dolcezza, caste nella libertà. Ferventi nella
carità, nulla antepongano al tuo amore; vivano con lode senza
desiderare la lode.” (Ibid, n 38 – Dalla preghiera di
consacrazione).
1 Si pensi all’episodio in cui dopo la risurrezione, sulla riva del lago di Tiberiade Gesù Cristo chiede a Pietro: “Mi ami tu?”. “Sì”. “Pasci le mie pecore”.
2 E’ proprio Marco che ci riferisce come Gesù sin dall'inizio insegnava con autorità (1,27).
3 L’Ordo Virginum è una forma di vita consacrata; nel Codice di Diritto Canonico è inserita col can. 604 nella parte III “Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica” (Liber II: “De Populo Dei”): “A queste diverse forme di vita consacrata si aggiunge l’ordine delle vergini le quali, emettendo il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, dal Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico approvato e, unite in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio, si dedicano al servizio della Chiesa”.
Lettura
Patristica
Sant’Ambrogio
da Milano
De
fide, 5, 56s., 60-65, 77-84
Quanto
è paziente e clemente il Signore; che alta sapienza e benevola
carità! Volendo, infatti, far vedere che Giacomo e Giovanni non
avevano chiesto una cosetta da niente, ma una cosa tale che non
l’avrebbero potuta ottenere, fece ricorso alla prerogativa della
benevolenza del Padre; e non temé una derogazione al suo diritto, al
diritto di "colui
che non credette di fare un torto dichiarandosi uguale a Dio"
(Ph
2,6).
Amando però i suoi discepoli - "li
amò sino alla fine"
(Jn
13,1)
- non volle dar loro l’impressione che negasse loro quanto
chiedevano. Santo e buono il Signore, che preferisce dissimulare il
suo diritto, piuttosto che detrarre qualche cosa alla sua
benevolenza: "La
carità",
infatti, "è
paziente è benigna, non vuol sopraffare, non si gonfia, non reclama
diritti"
(1Co
13,4).
Perché
finalmente vi rendiate conto che l’espressione "non
è cosa mia darlo"
vuole suggerire indulgenza più che mancanza di autorità, osservate
che, in Marco (Mc
10,40),
dove non si parla della madre, non si fa alcuna menzione del Padre,
ma è detto soltanto: "Non
è cosa mia darlo a voi, ma a coloro per i quali è stato preparato".
In Matteo, invece, dove è la madre che prega, vien detto: "Per
i quali è stato preparato dal Padre mio"
(Mt
20,23);
e l’aggiunta "Padre
mio"
è fatta perché l’amore materno richiedeva una maggiore
indulgenza.
Ammettiamo
che fosse stato possibile per degli uomini ottenere ciò che si
chiedeva, che cosa significa quel: "Non
è cosa mia darvi di star seduti alla mia destra o alla mia sinistra"
(Mt
20,23)?
Che vuol dire cosa "mia"?
Più sopra disse: «Il mio
calice lo berrete», poi dice: «Non è cosa "mia"».
Il "mio"
unito a calice, ci fa luce per capire che cosa vuol dire qui cosa
"mia".
Pregato
da una donna, come uomo, di far sedere i suoi figli alla sua destra e
alla sua sinistra; dal momento ch’ella s’era rivolta a lui, come
a un uomo, anche il Signore, solo come uomo, accennando alla sua
passione, risponde: "Potete bere il calice, che io berrò?"
Perciò,
poiché parlava secondo la carne della passione del suo corpo, volle
dimostrare che ci lasciava un esempio di una passione da soffrire
nella carne. "Non
è cosa mia"
va inteso come l’altra espressione: "La
mia dottrina non è mia"
(Jn
7,16),
non è mia secondo la carne, perché le cose divine non sono oggetto
del parlare della carne.
Rivelò
tuttavia subito la sua indulgenza verso i suoi amati discepoli,
chiedendo: «Ma il mio calice lo berrete?». Così, non potendo dar
loro ciò che chiedevano, fece un’altra proposta, per poter dir
loro un sì, prima di un no; perché capissero ch’era mancata più
a loro l’equità nella richiesta fatta, che non la generosità
nella risposta del Signore.
"Il
mio calice, sì, lo berrete", cioè affronterete la passione
della mia carne, perché potete imitare ciò che deriva in me dalla
natura umana; vi ho dato la vittoria della passione, l’eredità
della croce; "ma non è cosa mia il darvi di star seduti alla
mia destra o alla mia sinistra". Non dice semplicemente:
"Non è cosa mia dare", ma "darvi",
cioè dare a voi. E questo dovrebbe significare che non si tratta di
mancanza di potere in lui, ma di merito nelle creature.
Si
può anche intendere così: "Non è cosa mia", di me
che venni a insegnar l’umiltà, di me che venni non per essere
servito, ma per servire; di me, che seguo la giustizia, non
favoritismi.
Poi
appellandosi al Padre aggiunse: "Per
i quali è stato preparato",
per dire che il Padre non guarda le raccomandazioni, ma i meriti,
perché Dio non fa preferenze di persone (Ac
10,34).
Perciò l’Apostolo dice: "Coloro
che sapeva lui e che predestinò"
(Rm
8,29);
prima li conobbe e poi li predestinò, vide i meriti e predestinò il
premio...
A
ragione, dunque, è ripresa la donna che chiese delle cose
impossibili, e domandò che fossero ridotte a speciale privilegio
quelle cose che il Signore voleva dare non solo a due apostoli, ma a
tutti i suoi discepoli, e non a titolo di una particolare
raccomandazione, ma per sua volontaria generosità, come sta scritto:
"Voi
dodici siederete sopra troni, per giudicare le dodici tribù
d’Israele"
(Mt
19,28).
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