Domenica
XXVIII del Tempo Ordinario – Anno B – 14 ottobre 2018
Rito
Romano
Rito
Ambrosiano
Is
43,10-21; Sal 120; 1Cor 3,6-13; Mt 13,24-43
VII
Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore.
1) Seguire Cristo per rispondere al Suo amore.
1) Seguire Cristo per rispondere al Suo amore.
Il
tema principale del vangelo di oggi, secondo me, è seguire Gesù
dovunque Lui vada e qualunque cose Lui chieda. Alla richiesta di
felicità per sempre che l’uomo ricco gli rivolge, Cristo risponde
facendo una richiesta, o meglio proponendo una vocazione quella di
appartenere completamente a Dio donando tutte le sue ricchezze ai
poveri. L’uomo, alla risposta di Gesù, si rattrista e se ne va. Da
qui l'insegnamento di Gesù, le ricchezze distolgono l'uomo dal
desiderio di entrare in comunione con Dio. Ma con Dio, tutto è
possibile perché chi segue Cristo ha e avrà una nuova famiglia, più
grande e con più ricchezze. Questo fa riferimento alla vera
ricompensa, alla vita eterna in un tempo futuro, quella che il ricco
aveva chiesto a Gesù.
Il
Cristo continua ad invitarci a stare con Lui sempre, ma noi siamo
disposti ad accoglierlo nella nostra esistenza?
L'offrirsi
di Gesù, di Dio, come ‘primo e totalizzante amore', che deve
occupare tutta la vita, può essere respinto, rifiutato. Come è
possibile rifiutare l’offerta di essere amati e di amare,
soprattutto se viene da Dio?
Come
evitare di dire di no a questo amore esigente e rifiutare di seguire
l’Amore povero che rende ricchi e liberi? Vivendo i comandamenti,
andando oltre all’esecuzione letterale di essi ma vivendoli come
indicazioni di amore.
Al
giovane ricco del Vangelo di oggi, che risponde a Cristo di avere
sempre osservati i comandamenti, Gesù propone di andare oltre, e
render più radicale e profondo l’amore per Dio, mettendo questo
amore al primo posto tra i valori della vita, e gli suggerisce: “Va’,
vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo;
poi vieni e seguimi”.
L’esigenza
fondamentale della sequela è il primato di Dio, il resto è un di
più, si può possedere o non possedere, ma è necessario che il
cuore, non sia totalmente legato, assorbito nelle ricchezze, nei beni
temporali, ma desideri profondamente, quel “tesoro che è nei
cieli”. Il cuore dell'uomo, come Sant’Agostino insegna, è fatto
per Dio, e a Lui deve aspirare, pur “servendosi” delle realtà
temporali. Lasciamo quindi che il Signore penetri nei nostri cuori
con la spada della Sua parola, perché alla luce della Sua sapienza
possiamo valutare le cose terrene ed eterne, e diventare liberi e
poveri per il Suo regno.(cfr. Colletta della Messa di
oggi)
Gesù
invita questo giovane e i suoi, noi compresi, discepoli al viaggio
integrale per la sua sequela, con un rigore che non ha precedenti. In
un passo analogo a quello di San Marco, l’Evangelista Luca scrive:
“Mentre era in cammino, sulla strada, un tale gli disse: ‘Io ti
seguirò dovunque tu vada’. Gesù gli disse: ‘Le volpi hanno
tane, e gli uccelli del cielo hanno nidi; il Figlio dell’uomo non
ha dove posare il capo’... Un altro gli disse: ‘Ti seguirò,
Signore, ma prima permettimi di accomiatarmi dai miei di casa’. Gli
rispose Gesù: ‘Chiunque guarda indietro, mentre mette mano
all’aratro, è inadatto per il regno di Dio’” (Le. 9,
57-58...61-62).
Seguire
Cristo, infatti, comporta che si sia disposti a vivere qualcosa in
più rispetto al “non rubare”, “non uccidere”, ecc. Oltre a
non commettere il male dovremmo porci il problema su come realizzare
il bene e soprattutto come “essere” persone vere nell’amore.
Gesù
aveva già annunciato che per salvare la propria vita bisognava
essere disposti a perderla per amor Suo, cioè che per seguirLo
occorreva rinnegare se stessi e portare la propria croce (Mc
8,34-35).
2)
Seguire con gli occhi, seguire con i passi, seguire con il cuore.
Lo
sguardo di Gesù si fissa sull’uomo ricco che gli chiede la
felicità di una vita che duri per sempre. Quante volte nei vangeli
incontriamo quello sguardo, è uno sguardo che cerca (Mc 5,32),
coinvolge (Mc 3,34), che si indigna (Mc 3,5), invoca (Mc 7,34),
rimprovera (Mc 8,33), osserva (Mc 11,11). Qui Marco ci regala il
senso profondo dello sguardo di Gesù che sembra non volersi staccare
da quell'uomo, uno sguardo colmo d’amore.
Questo
sguardo sta nel bel mezzo tra il dialogo e la proposta finale. Quel
dialogo inizia con una richiesta, quella di avere la
vita eterna e di sapere cosa fare mentre esprime i
limiti di una religiosità basata sull'osservanza. La proposta è
quella di lasciar perdere ogni cosa per seguire il Signore.
Ecco, nel mezzo Marco pone la profondità dello sguardo del Signore che fa da spartiacque tra la richiesta e la proposta, introduce una dimensione totalmente nuova tra il bisogno di fare e il diventare discepoli: la comunione.
Ecco, nel mezzo Marco pone la profondità dello sguardo del Signore che fa da spartiacque tra la richiesta e la proposta, introduce una dimensione totalmente nuova tra il bisogno di fare e il diventare discepoli: la comunione.
Uno
sguardo che ci porta su, mai ti lascia lì, eh?, mai. Mai ti abbassa,
mai ti umilia. Ti invita ad alzarti. Uno sguardo che ti porta a
crescere, ad andare avanti, che ti incoraggia, perché ti vuole bene.
Ti fa sentire che Lui ti vuole bene (Papa Francesco
21.09.2013).
L’uomo
ricco che andò da Cristo era sincero e si guadagnò uno sguardo
pieno d’amore da parte di Gesù, che con questo sguardo è come se
gli dicesse: “Una sola cosa ti manca, decisiva per te. Rinuncia a
possedere, investi nel tesoro del cielo, e il tuo cuore sarà libero
e potrà seguirmi”. Ma né lo sguardo né le parole di Gesù ebbero
effetto. Quest'uomo, rattristato, ha tuttavia preferito ritornare
alla sicurezza che gli procurava la propria ricchezza. Non ha potuto
o voluto capire che gli veniva offerto un bene incomparabilmente più
prezioso e duraturo di tutte le sue ricchezze: l’amore di Cristo
che comunica la pienezza di Dio (Ef 3,18-19). Alla proposta di
comunione che era implicita nella domanda di Cristo di seguirLo,
quest’uomo preferì la solitudine.
Eppure
Cristo lo aveva guardato con amore. Gesù guardò il ricco e quello
sguardo di Gesù fu come una carezza, come un bacio … bacio che il
maestro dava al discepolo al tempo di Gesù: come nel caso di Giuda
(cf. Mc 14,45 e par.). Potremmo interpretare questo sguardo
come fece San Beda, il Venerabile, commentando lo sguardo di Gesù
sul pubblicano Matteo (cf. Mt 9,9: “Gesù vide il
pubblicano, lo vide facendogli misericordia, e lo chiamò dicendogli:
‘Seguimi!’” (Omelie 21, CCL 122,150). Gesù non gli disse: “Va
tutto bene, ma se vuoi fare qualcosa di più, allora va’ e vendi i
tuoi beni…”, ma: “Ti manca una cosa, lascia tutto e seguimi me”
(cf. Mc 10,21). Ecco dove Gesù aveva portato il giovane con il suo
sguardo di amore misericordioso. Purtroppo, quest’uomo non credette
a questo sguardo e a queste parole, divenne triste e si tirò
indietro (cfr. Mc 10,22). Non credette a quello sguardo, non
credette a quell’amore e non fu capace di seguirlo con i passi del
cuore.
Questo
giovane ricco non ebbe il coraggio di abbracciare Cristo e la sua
proposta di vita evangelica, e il motivo è detto con chiarezza:
“Poiché aveva molti beni”. Il distacco dai beni, la povertà è
condizione indispensabile per la sequela. E lo è per tre ragioni:
- La fede in Dio che è Padre provvidente, che se ha cura degli uccellini e dei gigli dei campi, ha ancor più cura di ciascuno di noi.
- Un’esigenza di fraternità: come si può continuare a possedere tutto ciò che si ha, quando ci accorgi che attorno a te ci sono fratelli che mancano del necessario?
- E un'esigenza di libertà: legato a troppe cose (e non si tratta soltanto di soldi), che assorbono tutto il nostro tempo e la nostra attenzione, come possiamo trovare lo spazio e il gusto per le cose di Dio?
Queste
tre ragioni possono essere sintetizzate con una parola sola:
verginità, che Jacopone da Todi chiama: innamorata
povertà.
3)
Verginità: povertà di sé per la pienezza di Dio.
La
verginità è “povertà innamorata, che permette di possedere ogni
cosa in spirito di libertà” (Jacopone da Todi, O amor de
povertate), è la modalità di accogliere lo sguardo e l’amore
di Cristo su di sé, seguendoLo senza riserve, senza chiedere
garanzie o avere vie di fuga. Si lascia tutto anche la propria carne
per seguire Gesù, senza nostalgie e senza indecisioni, per il
cammino che è Lui. Il distacco richiesto è un guadagno, un affare,
non una perdita. E questo è profondamente vero anche a uno sguardo
semplicemente umano: nella sobrietà di quei beni, che il Vangelo
chiama ricchezze, si trova la possibilità di altri beni ben più
importanti ed umani, essenziali per l'uomo come l’aria che respira:
il tempo per Dio, la gioia della fraternità, la liberazione
dall’ansia del possesso, la libertà, la serenità.
Chi
mediante la verginità mette Dio al primo posto nella sua vita,
questi entra a far parte della Sua “famiglia”, dove trova
fratelli e sorelle da amare, padri e madri da venerare, case e campi
ove lavorare. Trova l’amore. La verginità non è negazione
dell’amore, è pienezza e totalità dell’amore. Per questo il
Rituale della Consacrazione delle Vergini fa pregare così: “Ferventi
nella carità, nulla antepongano al tuo amore» (Preghiera di
consacrazione delle vergini, in Pontificale Romano, riformato a
norma dei Decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da
Papa Paolo VI, Consacrazione delle Vergini, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano 1980, n. 38, p. 77).
Lettura
patristica
Clemente
di Alessandria
Quis
dives, 11-14
"Vendi
ciò che hai". Che significa? Non quello che alcuni
ammettono così a prima vista, che cioè il Signore ci comandi di far
getto dei beni posseduti e di rinunciare alle ricchezze; ci comanda
piuttosto di bandire dall’anima i pensieri usuali sulla ricchezza,
la passione morbosa verso di essa, le preoccupazioni, le spine
dell’esistenza che soffocano il seme della vita. Non è infatti
nulla di grande e di desiderabile l’essere privi di ricchezze ma
non per lo scopo di raggiungere la vita eterna: altrimenti i
miserabili che non hanno nulla, che son privi di ogni mezzo, che
mendicano ogni giorno il sostentamento, gli accattoni che giacciono
per le vie e che pur non conoscono Dio e la giustizia di Dio, solo
perché sono tanto poveri e non sanno procacciarsi da vivere e son
privi anche del minimo necessario, dovrebbero essere i più beati e
amati da Dio e i soli atti a possedere la vita. Non è una novità
rinunciare alle ricchezze ed elargirle ai poveri e ai mendici: molti
l’han fatto, prima che il Salvatore scendesse quaggiù: alcuni per
aver tempo di dedicarsi agli studi e alla sapienza morta, altri per
una fama vuota ed una gloria vana: gli Anassagora, i Democrito, i
Cratete.
Cos’è
dunque la novità, da lui annunciata come qualcosa proprio di Dio,
che solo vivifica e che non salvò gli antichi? Cos’è la rarità,
cos’è la «nuova creazione», che il Figlio di Dio proclama e
insegna? Non qualcosa di manifesto o che altri han già fatto egli ci
prescrive, ma qualcosa d’altro, più grande, più divino e più
perfetto, che da quella vien simboleggiato: liberare l’anima e la
sua intima disposizione dalle passioni, e rescindere ed estirpare
dalla radice ciò che è estraneo alla ragione. È questa la scienza
propria dell’uomo di fede, è questo l’insegnamento degno del
Salvatore. Quegli antichi disprezzarono le cose esteriori,
rinunciarono ai loro beni e li distribuirono, ma son convinto che
alimentarono così le passioni dell’anima. Crebbero nella superbia,
nella millanteria, nella vanagloria, e nel disprezzo degli altri
uomini, come se avessero compiuto qualcosa di sovrumano. E come
potrebbe il Salvatore comandare a coloro che vivranno in eterno ciò
che è di danno e di rovina per la vita che egli promette? Inoltre è
possibile anche questo: che uno deponga il peso dei propri possessi e
tuttavia porti radicata e vivida in sé la brama e l’anelito alle
ricchezze, ed è possibile anche che uno ne abbia perso l’uso, ma
per la privazione e il desiderio di ciò che ha sperperato sia
tormentato da una duplice sofferenza: la mancanza del necessario e il
pentimento di ciò che ha fatto. È impossibile, è impensabile,
infatti, che chi manca del necessario per la vita, non abbia l’animo
tutto agitato e continuamente stimolato dalla continua ricerca di una
situazione migliore: in che modo e dove se la possa procurare.
Ma
quanto meglio è il contrario: che uno possegga il necessario, e così
non debba soffrire lui e abbia da elargire agli altri ciò che
conviene. Che possibilità ci sarebbe di beneficare il prossimo, se
tutti non possedessero nulla? E come si potrebbe negare che questa
dottrina non sia in netto contrasto con molti altri ottimi
insegnamenti del Signore? "Fatevi
degli amici con il mammona di iniquità, affinché quando giungerete
alla fine, vi accolgano nelle tende eterne"
(Lc
16,9).
"Preparatevi
tesori in cielo, dove né la ruggine, né la tignola distruggono, né
i ladri scavano"
(Mt
6,20).
E come si potrebbe dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli
assetati, vestire gli ignudi e accogliere i pellegrini - e a quelli
che non fan ciò vien minacciato il fuoco e le tenebre esteriori -,
se prima non si possedesse tutto questo? Anzi, egli stesso comanda di
accoglierlo come ospite a Zaccheo e a Matteo, che pur erano ricchi e
pubblicani; e non comanda loro di rinunciare alle ricchezze, ma, dopo
aver suggerito il retto uso e vietato quello ingiusto, soggiunge:
"Oggi
si è compiuta la salvezza per questa casa, perché anch’egli è
figlio di Abramo"
(Lc
19,9).
Loda dunque l’uso delle ricchezze, imponendo però di comunicarle
agli altri: dar da bere a chi ha sete, dar del pane a chi ha fame,
accogliere lo straniero e vestire l’ignudo. Ora, nessuno può
compiere questi uffici senza le ricchezze; eppure il Signore ci
comanda di rinunciarvi. Che altro fa dunque se non imporre di dare e
non dare, di nutrire e non nutrire, di accogliere e non accogliere,
di comunicare agli altri e non comunicare? Ma ciò è assolutamente
contraddittorio.
Non
si hanno perciò da rigettare le ricchezze che devono servire a
vantaggio del prossimo; sono possessi perché la loro caratteristica
è di essere possedute e son dette beni perché servono al bene, e
sono state preparate da Dio per i bisogni degli uomini. Esse dunque
sono presenti, sono a portata, come materia, come strumento per
servire ad un buon uso a chi bene le conosce. Se ne usi con
intelligenza, lo strumento è intelligente; ma se manchi di
intelligenza, partecipa alla tua mancanza di intelligenza, pur non
avendone colpa. Un tale strumento, dunque sono le ricchezze. Ne puoi
usare con giustizia: ti sono ministre di giustizia. Qualcuno ne usa
ingiustamente? Scopriamo che sono ministre di ingiustizia. La loro
natura è di servire, non di comandare. Non dobbiamo dunque
rimproverare loro di non avere in sé né il bene né il male e di
essere fuori causa; bensì dobbiamo rimproverare chi può usarne o
bene o male come gli pare, cioè la mente e il giudizio umano, che è
libero in sé e padrone di usare delle cose a lui concesse. Nessuno
cerchi dunque di distruggere la ricchezza, ma le passioni dell’anima,
che non permettono l’uso migliore dei beni, non lasciano che l’uomo
sia veramente virtuoso e capace di usare rettamente della ricchezza.
L’ordine dunque di rinunciare ai nostri beni e di vendere ciò che
si possiede lo si deve intendere in questo modo: è stato impartito
contro le passioni dell’animo.
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