Domenica
XXX del Tempo Ordinario – Anno B – 28 ottobre 2018
Rito Romano
Rito
Ambrosiano
At 8,26-39; Sal 65; 1Tm
2,1-5; Mc 16,14b-20
Prima Domenica dopo
Dedicazione del Duomo di Milano.
- Un salto nella luce.
Il
Vangelo è un dono, è sempre l’annuncio di un dono, è il dono di
poter vedere, di poter contemplare la passione di Cristo e di
esserne salvati. Il Vangelo
di questa domenica, che precede il racconto della passione, offre
alla nostra meditazione la guarigione di un cieco, che anche se ha un
nome: “Bartimeo”, rappresenta ciascuno di noi, che gridiamo a
Cristo. In questo mendicante cieco che grida a Gesù, possiamo
riconoscere la nostra incapacità di vedere, non tanto dal punto di
vista fisico, ma soprattutto da quello spirituale. Possiamo vedervi
la nostra incapacità di “vedere” Dio nella nostra vita, al punto
da sentirci spesso smarriti e nel buio spirituale.
Ma
se noi mendichiamo la guarigione, Cristo ascolta il nostro grido. Ci
guarisce e ci salva, e così possiamo seguirlo sulla strada della
luce che gli occhi del cuore miracolati possono vedere.
Con la vista e la luce
Bartimeo aveva ricevuto Cristo, “per conoscere a un tempo Dio e
l’uomo” (Clemente d'Alessandria, Esortazione ai pagani,
11) e gli è ovvio seguire Gesù “sulla strada” della passione,
morte e resurrezione a Gerusalemme.
Bartimeo rappresenta in questo
contesto la “creazione che soffre e geme per le doglie del parto”
(Rm 8) e che nel suo lamento produce un urlo di dolore che
sale a Dio perché l’ascolti. Il “conoscere a un tempo Dio e
l’uomo” di Clemente alessandrino sta così a ricordarci che è
proprio dell’uomo implorare la guarigione, la nascita dell'uomo
nuovo divinizzato dallo Spirito e dunque ritenere il pellegrinaggio
terreno necessario a questo fine, mentre è proprio di Dio, il più
prossimo di ogni nostro prossimo, ascoltare il gemito che gli
proviene dalla persona umana, che, anche se è la più perfetta delle
sue creature, ha bisogno della grazia per portare a compimento il suo
destino e camminare sulla strade della speranza” (Papa Francesco).
Il Vangelo di oggi è
preparato dalla prima lettura tratta dal libro della consolazione di
Geremia: sono pagine pervase da una speranza profonda. Dio annuncia
al profeta ciò che sembra impossibile al cuore umano: il popolo in
esilio potrà ritornare sui monti di Samaria. “Ecco li riconduco
dal paese del settentrione
e li raduno all'estremità della
terra;
fra di essi sono il cieco e lo zoppo,
la donna incinta e
la partoriente;
ritorneranno qui in gran folla” (Ger.
31,8). E’ Dio che agisce in prima persona, è Dio che guida, che
conduce. Per assicurare che è opera Sua, Dio specifica che in questo
popolo di salvati non spiccano i potenti e i nobili, ma piuttosto i
sofferenti, (i ciechi, gli storpi), i deboli e coloro che, nella loro
semplicità, racchiudono in sé il futuro del popolo: le donne
incinte e le partorienti.
Nel brano evangelico
poi ci propone l’esperienza del cieco Bartimeo, che quando “sente”
Gesù, gli grida “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” e,
essendo cieco, salta a tentoni verso Cristo e per gettarsi nella
luce, che ancora non ha, getta anche il poco che aveva: il mantello.
E passò dalla cecità alla vista, quella vista grandiosa che è la
fede nell’Uomo, il Figlio di Davide: in Gesù Cristo, Figlio di Dio
salvatore
Ecco allora che
possiamo guardare al vedente Bartimeo come modello di credente. Il
vangelo odierno di San Marco non vuole tanto raccontarci un miracolo,
quanto parlarci di un cammino di fede che nasce dall'ascolto e,
passando per il riconoscimento della propria infermità e
impossibilità di farcela da solo, chiede pietà. Ma c’è di più:
il neo-vedente risponde ad una chiamata lasciando d’impeto tutte le
sue sicurezze (il mantello), per incontrare il Signore e, poi,
seguirlo per le strade della carità missionaria. Travolto dalla
pietà che aveva implorato, colmo della carità di Dio che si era
fatto a lui prossimo, Bartimeo si mette al seguito di Cristo, che
l’ha guarito e salvato dalle tenebre fisiche e da quelle
spirituali.
Quali sono state (e lo
sono anche oggi) le condizioni perché questo miracolo di luce
accadesse? La preghiera (“Gesù, abbi pietà di me” – Mc
10, 47) e la fede (“Va, la tua fede ti ha salvato” – Mc
10, 52), tutte e due sono espressioni della libertà. La libertà del
cieco che “sente” la presenza del Salvatore e intuisce che vale
la pena di aderire alla Verità dell’amore di Cristo, che si ferma
quando sente il grido del cieco Bartimeo. La libertà di Gesù che
“libera” la sua commozione. Il grido di pietà urlato dal cieco
ferma Gesù che passa per strada e compie il miracolo implorato.
Mettiamo davanti agli
occhi del cuore la scena evangelica. Bartimeo, uomo povero e cieco, è
raggomitolato al lato della strada, vergognoso di mendicare per
vivere. E’ seduto, si è fermato come fa chi cede a causa delle
ondate della vita. Ma nel villaggio dove questo mendicante chiedeva
la carità, un bel giorno, improvvisamente, passa Gesù, che è la
carità fatta carne. Questo cieco sente il rumore della gente che
circonda il Messia, avverte una Presenza sanante e intuisce che può
riprendere il cammino della vita nella luce. Allora Bartimeo si
affretta (letteralmente fa un balzo) verso Gesù e Lo prega gridando:
“Abbi pietà di me!”(l’invocazione “Signore pietà” –“Kyrie
eleison” della Messa trova qui la sua origine). Alcuni lo sgridano
e gli dicono di stare calmo, ma lui grida di più, prega ancora più
forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.
Non chiede qualcosa di
materiale, chiede la pietà di Dio sulla sua vita. Anche noi
affrettiamoci verso Cristo e, come il cieco, ciascuno di noi implori:
“Abbi pietà di me, Figlio di Davide, e apri gli occhi della mia
anima, perché io veda la Luce del mondo che sei tu, o Dio mio (cfr.
Gv 8,12), e diventi anch’io figlio di quella luce divina
(cfr. Gv 12,36). O clemente, manda il Consolatore anche su di
me, affinché lui stesso mi insegni (cfr. Gv 14,26) ciò che
riguarda te e ciò che è tuo, o Dio dell’universo. Dimora anche in
me, come hai detto, perché io diventi a mia volta degno di dimorare
in te (cfr. Gv 15,4).”(Simeone il Nuovo Teologo - Etica
– nato nel 949 – morto nel 1022).
Corriamo da Gesù e
otterremo la vista del cuore e della mente. Avviciniamoci e dopo aver
ottenuto da Cristo la vista, saremo anche irradiati dallo splendore
della sua luce. Più ci avvicineremo al Messia, esponendoci più da
vicino allo splendore della sua luce, più magnificamente e
splendidamente si irradierà il suo fulgore, come rivela Dio stesso
per mezzo del profeta: Avvicinatevi a me e io mi avvicinerò a voi,
dice il Signore (Zac 1, 3); e dice ancora: Io sono un Dio
vicino e non un Dio lontano (Ger 23, 23).
Non è però che tutti
andiamo a Lui nella stessa maniera, ma ciascuno va a Lui secondo le
proprie capacità e possibilità (cfr. Mt 25, 15).
L’importante è
andare da Lui come ci è possibile. A Lui ciò basta per salvarci.
Facciamo nostra la preghiera del Salmo: “Rialzaci, fa’ splendere
il tuo volto e noi saremo salvi” (Sal 79,20).
L’importante è
essere lungo la strada dove passa Gesù Nazareno. E’ la via
dell’amore che porta a Gerusalemme, dove si consumerà la Pasqua di
passione e resurrezione, alla quale il Redentore va incontro per noi.
E’ la strada del suo ritorno alla Casa del Padre, del suo esodo che
è anche il nostro: l’unica via di riconciliazione che conduce al
Cielo, “Terra” di giustizia e di amore, di pace e di luce. Dio è
luce e creatore della luce. Noi esseri umani siamo figli della luce,
fatti per vedere la luce, che non vediamo perché accecati dal nostro
peccato e dalla nostra mancanza di fede. Se siamo realisti non ci
resta che mendicare e allora, il Signore Gesù, che mendica la nostra
fede e il nostro amore, ci guarisce e ci rende partecipi del Regno
dei Cieli, che “non è questione di cibo o di bevanda, ma è
giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in
queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Diamoci
dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole” (Rm
14, 17-19).
2) Una domanda
amorevole e una richiesta di compassione.
Bartimeo, come
ciascuno di noi, ha bisogno di essere voluto bene e ha la fortuna di
sentirsi fare da Gesù una domanda amorevole: Non “che vuoi fare?”
gli chiede Gesù, ma : “Cosa vuoi che io ti faccia?”. E una
domanda che nasce dal cuore di Cristo e manifesta la sua compassione.
Se un giorno
sentissimo queste stesse parole rivolte a noi, che cosa chiederemmo
al Signore? Personalmente io rivolgerei a Cristo la stessa domanda di
Bartimeo: “Signore, abbi pietà di me”, ma subito aggiungerei
questa seconda preghiera: “Vieni, Signore Gesù” e continuerei
così: “Vieni, Signore, nella tua immensa bontà, abita in me per
la fede e illumina la mia cecità. Rimani con me e difendi la mia
fragilità. Se tu sei con me chi mi potrà ingannare? Se tu sei con
me, che cosa non potrò in te che mi dai forza? Se tu sei per me, chi
sarà contro di me? Tu sei venuto al mondo, Gesù, per abitare in me,
con me e per me, per schierarti dalla mia parte, per essere il mio
Salvatore. Grazie, Signore Gesù.” (San Bernardo di Chiaravalle).
Immedesimiamoci in
Bartimeo e così potremo guardare gli occhi di Cristo che ci guarda
con amore e compassione. Se chiediamo al Signore di accrescere la
nostra fede, potremo guardare con gli occhi della fede ed essere
ricolmi dalla compassione di Cristo.
Non dimentichiamo,
però, che per vedere Dio occorrono cuore e occhi puri. Non si può
pretendere di vedere Dio se si è impuri. Ma come è possibile
purificarci? Invocando nel dolore il perdono e contemplando nella
confidenza la bontà misericordiosa del Signore. La nostra
purificazione, la nostra fiducia e la nostra giustizia stanno nella
fede che ci fa contemplare la grandezza del Signore buono1,
compassionevole e accogliente.
In effetti, il brano
del vangelo di oggi2,
prima di narrare il miracolo, racconta di Gesù che accoglie
il mendicante cieco. Come tutti, per
prima cosa quest’uomo
ha bisogno di essere accolto. Ma Cristo fa ancora di più lo
sorprende ricolmandolo di amore che sana occhi e cuore. Investe
quest’uomo di luce e con la luce delle fede. Bartimeo riconosce in
Gesù Cristo il Dio fatto uomo. Con questo miracolo l’amore
efficace di Dio invade la sua vita per sostenerlo istante per istante
con la Sua Presenza. Anche noi, con la vista guarita dal Redentore
stampiamo gli occhi su di Lui e chiediamogli la forza di appoggiarci
solamente su Lui, in nulla poggiando su noi stessi, “perché
presso nel Signore è la sorgente della vita. Nella sua luce vediamo
la luce” (cfr. Sal 36/35,
10).
In
questa luce non dobbiamo smettere di mendicare Cristo. Come il cieco,
lasciamo quel pezzo di strada dove si è seduti per mendicare la vita
e facciamoci, anche noi medicanti di Cristo e, quindi, discepoli
della Vita. Con il miracolo di poter vedere Bartimeo è
afferrato in una relazione nuova e sorprendente, che lo attrae e lo
seduce. Ora il non-più-cieco segue Cristo, con il cuore e gli occhi
rivolti a Lui, origine (alfa) e compimento (omega) di tutto:
famiglia, lavoro, amicizie. Ora egli sa a Chi mendicare; lo seguirà
in un cammino di fede e di illuminazione che durerà per tutta la
vita, per imparare ad andare “diritto davanti a sé”.
3)
La strada.
La strada del cieco è
la nostra strada, e Cristo ci passa sempre, fino alla fine: perché
Lui è venuto per il cieco, per ciascuno di noi e, finché ci sarà
un cieco, Lui sarà sulla strada. Lui è la Via e la fede permette al
cieco guarito, come a ciascuno di noi, di camminarvi sopra.
La fede è un cammino di illuminazione:
parte dall’umiltà di riconoscersi bisognosi di salvezza e giunge
all’incontro personale con Cristo, che chiama a seguirlo sulla via
dell’amore che coincide con la via delle Croce.
La
modalità per eccellenza di seguire il Redentore su questa via è la
verginità consacrata. Con la consacrazione le vergini entrano con
passo deciso sulla via dell’amore, perché con l’offerta totale,
spirituale e fisica, di se stesse seguono Cristo sulla via della
Croce, che è strada del sacrificio. Consacrano a Cristo anche il
loro corpo per essere anime pure a sua piena disposizione. Grazie al
loro amore verginale e devoto adorano il Corpo di Cristo che sta
sull’altare o nel tabernacolo, “avendo cura delle sue membra che
sono i poveri” (San Gregorio
Magno). Queste spose di Cristo non
parlano dell’amore: amano, testimoniando che è possibile imitare
Cristo che ha dato la vita con un amore profondo, sofferente, dolce,
“tenero cioè attento alla totalità del nostro essere” (San
Giovanni Paolo II).
1 Cfr. Guglielmo di Saint-Thierry (circa 1085-1148), La Contemplazione di Dio, 1-2 ; SC 61.
2 “E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada” (Mc10, 46-52).
Lettura Patristica
San Gregorio Magno
(540-604)
Hom. in Ev., 2,
1-5.8
Il
nostro Redentore, prevedendo che gli animi dei suoi discepoli si
sarebbero turbati a causa della sua Passione, predisse loro con molto
anticipo sia lo strazio della Passione che la gloria della sua
Risurrezione, affinché, vedendolo morente, così come era stato
predetto, non avessero dubitato che sarebbe anche risorto. E siccome
i discepoli erano ancora carnali e del tutto incapaci di comprendere
le parole del mistero, il Signore operò un miracolo. Davanti ai loro
occhi, un cieco riacquistò la vista, perché coloro che non capivano
le parole dei misteri celesti per mezzo dei fatti celesti venissero
consolidati nella fede. Però, fratelli carissimi, i miracoli del
Signore e Salvatore nostro vanno considerati in modo tale da credere
che non soltanto accaddero realmente, ma vogliono altresì insegnarci
qualcosa con il loro simbolismo. I gesti di Gesù, invero, oltre a
provare la sua divina potenza, con il mistero insito in loro ci
istruiscono. Noi non sappiamo in verità chi fosse quel cieco, però
sappiamo cosa egli significa sul piano del mistero. Il cieco è
simbolo di tutto il genere umano, estromesso dal paradiso terrestre
nella persona del primo padre Adamo. Da allora, gli uomini non vedono
più lo splendore della luce superna, e patiscono le afflizioni della
loro condanna. E nondimeno, l’umanità è illuminata dalla presenza
del suo Salvatore, sì da poter vedere - almeno nel desiderio - il
gaudio della luce interiore, e dirigere così i passi delle buone
opere sulla via della vita.
Una
cosa è degna di nota a questo punto ed è il fatto che il cieco
riacquista la vista allorché Gesù si avvicina a Gerico. Gerico sta
per luna, e luna, secondo la Scrittura, indica le deficienze della
umana natura. Il motivo è forse da ricercare nel fatto che essa va
soggetta ogni mese a fenomeni di decrescenza, cosicché è stata
designata quale espressione della fragilità della nostra carne
mortale. Sta di fatto che mentre il nostro Autore si appressa a
Gerico, il cieco riacquista la vista. Il che vuol dire che allorché
il Signore assunse la debolezza della nostra natura, il genere umano
riacquistò la luce che aveva perduto. La risposta al gesto di Dio,
che incomincia a patire le umane debolezze, è il nuovo modo di
essere dell’uomo, elevato ad altezze divine. Ecco perché, a buon
diritto, il Vangelo dice che il cieco sedeva lungo la via a
mendicare. Gesù, infatti, che è la Verità, afferma: "Io
sono la via"
(Jn
14,6).
Chi
perciò ignora lo splendore dell’eterna luce è cieco; se, però,
già crede nel Redentore, egli siede lungo la via; se però, pur
credendo, trascura di pregare per ricevere l’eterna luce, è un
cieco che siede lungo la via, senza mendicare. Solo se avrà creduto
e avrà conosciuto la cecità del suo cuore, pregando per ricevere la
luce della verità, egli siede come cieco lungo la via e mendica.
Chiunque perciò riconosce le tenebre della propria cecità, chiunque
comprende cosa sia questa luce di eternità che gli fa difetto,
invochi con le midolla del cuore, invochi con tutte le espressioni
dell’anima, dicendo: "Gesù,
Figlio di David, abbi pietà di me".
Ma occorre anche ascoltare quanto segue al clamore del cieco: "Coloro
che gli camminavano innanzi lo rimproveravano affinché tacesse"
(Lc
18,38-39).
Cosa
mai significano quei tali che precedono Gesù che viene, se non le
turbe dei desideri carnali e il tumulto dei vizi che, prima che Gesù
arrivi al nostro cuore, con le loro suggestioni dissipano la nostra
mente e confondono le voci del cuore in preghiera? Spesso, quando
intendiamo far ritorno a Dio dopo il peccato, e ci sforziamo di
pregare per la remissione di quelle colpe che abbiamo commesso, si
presentano alla vista i fantasmi dei nostri peccati e accecano
l’occhio dell’anima, turbano lo spirito e soffocano la voce della
nostra orazione. Si spiega così il fatto che coloro che precedevano
Gesù imponevano al cieco di tacere; infatti, prima che Gesù arrivi
al nostro cuore, i peccati commessi si impadroniscono del nostro
pensiero invadendolo con le loro immagini e turbandoci nella nostra
preghiera.
Prestiamo
attenzione ora a quel che fece allora quel cieco che anelava ad
essere illuminato. Continua il Vangelo: "Ma
il cieco con più forza gridava: Figlio di David, abbi pietà di me!"
(Lc
18,39).
Vedete? Quello stesso che la turba rimproverava perché tacesse,
grida con lena centuplicata, a significare che tanto più molesto
risulta il tumulto dei pensieri carnali, tanto più dobbiamo
perseverare nella preghiera. Sì, la folla ci impone di non gridare,
perché i fantasmi dei nostri peccati spesso ci molestano anche nel
corso della preghiera. Ma è assolutamente necessario che la voce del
nostro cuore tanto più vigorosamente insista quanto più duramente
si sente redarguita. In tal modo, non sarà difficile aver ragione
del tumulto dei pensieri perversi e, con la sua assidua importunità,
la nostra preghiera perverrà alle orecchie pietose di Dio.
Ritengo
che ognuno potrà trovare in se stesso la testimonianza di quanto
vado dicendo. Quando ritraiamo l’anima dal mondo per orientarla a
Dio, quando ci votiamo all’orazione, succede che molte cose, fatte
per l’innanzi con piacere, ci diventino pesanti, moleste e
importune nella preghiera. Allora, sì e no riusciamo a scacciare il
pensiero di tali cose, allontanandole dagli occhi del cuore, pur
usando la mano del santo desiderio. Sì e no riusciamo a vincere
certi molesti fantasmi, pur levando gemiti di penitenza.
Però,
allorché insistiamo con vigore nella preghiera, fermiamo nella
nostra anima Gesù che passa. Per questo viene aggiunto: "Gesù
si fermò e ordinò che il cieco gli fosse condotto dinnanzi"
(Lc
18,40).
Ecco, colui che prima passava, ora sta. È così, perché fintanto
che sopportiamo le turbe dei fantasmi, sentiamo quasi che Gesù
passa. Quando invece insistiamo con forza nell’orazione, Gesù si
ferma per ridarci la luce. Infatti, se Dio si ferma nel cuore, la
luce smarrita è riacquistata...
Ma
ormai è tempo di ascoltare cosa fu fatto al cieco che domandava la
vista, o anche cosa fece egli stesso. Dice ancora il Vangelo: "Subito
recuperò la vista e si mise a seguire Gesù"
(Lc
18,43).
Vede e segue chi opera il bene che ha conosciuto; vede, ma non segue
chi del pari conosce il bene, epperò disdegna di farlo. Se pertanto,
fratelli carissimi, conosciamo già la cecità del nostro
peregrinare; se, con la fede nel mistero del nostro Redentore, già
stiamo seduti lungo la via; se, con la quotidiana orazione, già
domandiamo la luce del nostro Autore; se, inoltre, dopo la cecità,
per il dono della luce che penetra nell’intelletto siamo
illuminati, sforziamoci di seguire con le opere quel Gesù che
conosciamo con l’intelligenza. Osserviamo dove il Signore si dirige
e, con l’imitazione, seguiamone le orme. Infatti, segue Gesù solo
chi lo imita...
E
siccome noi scadiamo dall’interiore gaudio verso il piacere delle
cose sensibili, egli volle mostrarci con quale sofferenza si debba
ritornare a quel gaudio. Che cosa non dovrà patire l’uomo per il
proprio vantaggio, se Dio stesso ha tanto patito per gli uomini? Chi
dunque ha già creduto in Cristo, ma va ancora dietro ai guadagni
dell’avarizia, monta in superbia per la propria dignità, arde
nelle fiamme dell’invidia, si sporca nel fango della libidine, o
desidera le prosperità mondane, disdegna di seguire quel Gesù nel
quale ha creduto. Uno al quale la sua Guida ha mostrato la via
dell’asprezza, percorre una strada diversa, perciò se ricerca
gioie effimere e piaceri.
Nessun commento:
Posta un commento