Riflessioni
per tre feste:
1
novembre 2018, Solennità di tutti i
Santi, Ap 7,2-4.9-14; Salmo 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12
2
novembre 2018, Commemorazione dei
defunti,
Rito
Romano
Dt
6,2-6 - Sal 17(18) - Eb 7,23-28 - Mc 12,28b-34
Alla
fine della vita saremo giudicati sull'amore (San
Giovanni della Croce)
Rito
Ambrosiano
II
Domenica dopo la Dedicazione del Duomo
Is
56,3-7; Sal 23; Ef 2,11-22; Lc 14,1a.15-24
Il
Signore si rivela a chi lo ama.
A
- LA FESTA DI TUTTI I SANTI.
1)
La Ognissanti, festa della felicità.
Le
letture di questa festa ci aiutano a capire chi è veramente il
cristiano. Cristiano è colui che come Cristo vive le beatitudini da
Lui pronunciate nel gran discorso della montagna (Vangelo). Cristiano
è chi porta il sigillo di Dio sulla fronte e indossa la bianca veste
lavata nel sangue dell'Agnello (prima lettura). Cristiano è colui
che è stato fatto figlio di Dio e vive con l'ardente speranza
dell'incontro definitivo con il Padre (seconda lettura).
Penso
sia giusto leggere o ascoltare le Beatitudini come autoritratto di
Gesù e come indicazioni autorevoli per poter far parte di questo
ritratto di una Persona felice che porta la felice notizia che Dio è
presente tra noi e in noi.
“Beati...”
cioè “Felici”; è la nostra vocazione; una vocazione che,
sicuramente abbiamo visto realizzata in tante persone, che hanno
fatto parte della nostra vita, della nostra piccola storia personale,
o che sono ancora presenti in essa: persone che ci mostrano
concretamente la via da percorrere, persone che ci incoraggiano e ci
aiutano, con la loro testimonianza, a camminare sulla via di una
santità quotidiana, seria e generosa.
2)
Perché una festa di Ognissanti?
Per
celebrare Dio, facendo memoria di uomini veri, che hanno accolto Dio
pienamente nella loro vita. La festa di Ognissanti è un grandioso
invito all’autenticità, è una presa di coscienza del mistero
infinito della nostra vita: Dio è Amore, ci ama e siamo santi quando
siamo radicati e fondati in questo vero Amore per fare memoria che
“tutto è Grazia” e per rendere vera in ogni fedele la frase con
la quale Bernanos termina il suo libro “Diario di un Curato di
campagna”: “Ho una nostalgia
sola, quella di non essere santo”.
Purtroppo
oggi la parola “santo” sembra fuori moda, inadeguata all’oggi.
Suona come un’eco di un mondo passato, lontano. Spesso viene usata
in modo ironico, per dire che uno è un ingenuo. Si preferisce
l’espressione “buon uomo” per indicare che uno si dedica
generosamente al bene comune, e “galantuomo” per dire che una
persona è moralmente ineccepibile: un modello da imitare.
Per
i cristiani il “modello” da imitare è il Santo, che non è solo
un protettore a cui ricorrere in caso di bisogno. Un modello non solo
di vita buona spesa per gli altri, ma di risposta all’amore di Dio.
E’ un modello di uomo vero, autentico che aderisce a cristo e con
Cristo diventa pietra angolare per il mondo intero.
I
santi non sono una categoria particolare di uomini, separati dagli
altri da una grata e guardati da noi spettatori, che li osserviamo
dal basso e dal di fuori. Essi mostrano con la loro vita che il
programma dell’amore, che Gesù sviluppa nel Discorso della
Montagna in cui enuncia pure le Beatitudini, è di una semplicità e
chiarezza travolgente.
3)
Come diventare santi?
Rispondo
dando quattro suggerimenti.
Prima
di tutto, domandandolo umilmente e quotidianamente al Signore. In
secondo luogo, chiedendo al buon Dio la grazie di credere alle
Beatitudini e di praticarle. Terzo, facendo nostra la frase di Paul
Claudel nell’ “Annuncio a Maria” : “Santità
non è farsi lapidare in terra di Paganìa o baciare un lebbroso
sulla bocca, ma fare la volontà di Dio, con prontezza, si tratti di
restare al nostro posto, o di salire più alto”.
Infine “contemplare il volto dei
Santi e trovare conforto nei loro discorsi”,
e capiremo che “tutto è grazia”. E’ una chiamata a riscoprire
che noi siamo autentici, veri, che noi raggiungiamo il perfetto
compimento della nostra vocazione di uomini quando entriamo in un
dialogo d’amore in cui ci si “perde” in Dio, facendo la sua
volontà cioè realizzando il suo amore.
Santa
Teresa del Bambin Gesù (morta a 24 anni) ha mostrato che essere
santi, non è il risultato di uno sforzo dell’uomo, ma un dono di
Dio da condividere. Questa Santa Suora di Lisieux è universalmente
conosciuta come la Santa che ha insegnato al mondo la "Piccola
via dell’infanzia spirituale" e ha parlato spesso della
necessità di "farsi piccoli davanti a Dio" e di aver
trovato "una via tutta dritta, molto breve, una piccola via
tutta nuova" per andare in cielo.
B)
LA COMMEMORAZIONE DI TUTTI I MORTI
1)
Ricordare i nostri morti anche come maestri.
La
santità non è una anormalità, essa è la norma La santità non è
una connotazione morale, ma il frutto della grazia di Dio nella
persona umana e nella Chiesa. Ma
se i santi sono modelli e maestri di
vita cristiani, non va dimenticato che anche i morti lo sono. Che
senso avrebbe andare al cimitero per visitare le tombe dei nostri
defunti, se non credessimo nella Risurrezione e se non coltivassimo
la fede nella risurrezione nostra e dei nostri cari, che ci hanno
preceduto nella vita e nella fede?
Don
Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo, non grande paese della mia
diocesi di Cremona, diceva che il cimitero può essere «la prima
chiesa del villaggio, cioè una scuola, una casa di giustizia e una
casa di riparazione. Se anche tacessero le campane sul campanile, se
la chiesa domani non fosse più e il prete non potesse più parlare,
finché rimarrà il cimitero in un paese, Dio avrà il suo profeta e
la religione i suoi preti. Perché i morti sono i profeti e gli
angeli di Dio, i quali gridano a noi: fratelli la vita non è qui, ma
lassù».
Rechiamoci
dunque al Cimitero non per commemorare i defunti come ombre, ma come
persone che trovandosi al cospetto di Dio ci possono fare capire la
sua parola d’amore, di Padre che tutti accoglie.
2)
La preghiera santifica.
E
preghiamo per i nostri morti. Anche
S. Agostino sottolinea la grande importanza delle preghiere per i
defunti dicendo: "Una lacrima
per i defunti evapora, un fiore sulla tomba appassisce, una
preghiera, invece, arriva fino al cuore dell’Altissimo".
E stiamo sereni perché “non si
pèrdono mai coloro che amiamo, perché possiamo amarli in Colui che
non si può perdere”
(Sant'Agostino).
Ricordiamo
i defunto soprattutto con la Santa Messa, perché i morti sono
santificati come i vivi dai doni dell’altare. A questo riguardo
Nicola Cabasilas scrisse “Questo
divino e sacro rito della Messa risulta doppiamente santificante. In
primo luogo per l’intercessione. Infatti i doni offerti, per il
solo fatto di essere offerti, santificano coloro che li offrono e
coloro per i quali sono offerti e rendono misericordioso Dio nei loro
riguardi. In secondo luogo santificano per mezzo della Comunione,
poiché sono un vero cibo ed una vera bevanda, secondo la parola del
Signore.
Di queste due
maniere la prima è comune ai vivi ed ai morti, poiché il sacrificio
si offre per entrambe le categorie. Il secondo modo vale per i soli
vivi, poiché i morti non possono né mangiare né bere. Che dunque?
Per questa ragione i defunti non beneficeranno di questa
santificazione e sono meno avvantaggiati dei vivi? Per nulla. Poiché
il Cristo si comunica a loro nel modo che egli sa”
(Da “Spiegazione della Divina
Liturgia”, cap. XLII).
C)
XXXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno – 4 novembre 2012.
1)
Il comando dell’Amore illumina il cuore e la mente.
La
liturgia del 1° e del 2 novembre ci insegnano che se crediamo
all’Amore eterno di Dio, possiamo comprendere che Cielo e Terra
sono aperti uno sull’altro. Il Vangelo di oggi ci insegna che
Cristo ci comanda un amore aperto verso il cielo e verso la terra, un
amore che si fa luce ai nostri passi.
All'interrogativo
dello scriba «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». (Mc
12,28), Gesù risponde citando due testi che ricorrono nella
meditazione di Israele: un passo del Deuteronomio («Amerai il
Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua forza»), e
un passo del Levitico («Amerai il tuo prossimo come te stesso»). I
doveri dell'uomo sono certamente molti, ma Gesù invita l'uomo a non
smarrirsi nel labirinto dei precetti: l'essenza della volontà di Dio
è semplice e chiara: amare Dio e gli uomini.
È
giusto che la legge si occupi dei molti e svariati casi della vita, a
patto però che non perda di vista quel centro, che dà vita e
slancio a tutta l'impalcatura. Questo centro è l'amore.
Gesù
risponde allo scriba che il primo dei comandamenti non è uno solo,
ma due, però strettamente congiunti, come due facce della stessa
realtà. È nella capacità di mantenere uniti i due amori - l'amore
a Dio e l'amore al prossimo - la misura della vera fede e della
genialità cristiana.
C'è
chi per amare Dio si estranea dagli uomini, e c'è chi per lottare a
fianco degli uomini dimentica Dio.
A
quale Dio ci riferiamo, se diciamo di amarLo e trascuriamo il
prossimo, non avendo cura dei nostri fratelli e sorelle in umanità?
Non certo al Dio di Gesù Cristo. E se diciamo di amare il prossimo e
di essere al suo servizio, ma poi rifiutiamo di amare l'unico
Signore, allora – ci insegna la Bibbia - cadiamo facilmente in
potere degli idoli.
Senza
dire - e questo è, in un certo senso, ancora più grave - che
proprio mentre vogliamo aiutare l'uomo ad essere più uomo, rischiamo
di allontanarlo dal suo bisogno più profondo, dalla sua ricerca più
essenziale che è - appunto - la ricerca di Dio.
L'evangelista
Marco riporta alcune parole che invece Matteo e Luca tralasciano:
«Ascolta, Israele, il Signore Dio nostro è l'unico Signore». Dio è
l'unico Signore, Lui solo è da adorare. Il prossimo è da amare, ma
non da adorare. La dedizione al prossimo non esaurisce la sete di
amore dell'uomo. È l'apertura a Dio che conduce a compimento
l'apertura al prossimo. È Dio infatti il punto a cui il nostro
essere tende, del quale abbiamo un'insopprimibile nostalgia, come il
seme tende con tutto se stesso a uscire dalla terra. E’ questo
l’insegnamento che ci viene anche dal Vangelo proposto oggi dalla
liturgia ambrosiana, il cui tema principale è che “Dio si rivela a
chi lo ama”.
In
conclusione.
A
questo punto sorge spontanea la domanda come acquisire per noi e
accrescere in noi la carità di Dio?
Per
rispondere mi servo di San Tommaso d’Aquino, il quale insegna che
a)
per acquisire la carità, dono di Dio occorre:
- l’ascolto diligente della Parola di Dio,
- il costante pensiero di cose buone,
b)
per accrescere in noi la carità è necessario:
- il distacco dalle cose terrene (che implica almeno la separazione del cuore dei beni materiali),
- ferma pazienza nelle avversità.
Queste
3 feste celebrano la Carità, che santifica, che vivifica, che
illumina il cammino nostro da qui all’eternità.
Queste
tre feste ci richiamano la dimensione escatologica della Chiesa,
dimensione che è particolarmente vissuta nell’Ordo Virginum, di
cui il Beato Giovanni Paolo II ha detto: “È motivo di gioia e di
speranza vedere che torna oggi a fiorire l'antico
Ordine delle vergini, testimoniato
nelle comunità cristiane fin dai tempi apostolici. Consacrate dal
Vescovo diocesano, esse acquisiscono un particolare vincolo con la
Chiesa, al cui servizio si dedicano, pur restando nel mondo. Da sole
o associate, esse costituiscono una
speciale immagine escatologica della Sposa celeste e della vita
futura, quando finalmente la Chiesa
vivrà in pienezza l'amore per Cristo Sposo.” (Esortazione Ap.
Post-Sinodale, Vita consacrata,
n. 7, 25 marzo 1996).
Le
Vergine consacrate hanno una spiritualità escatologica, perché la
loro vita tende alla visione di Dio e loro sono chiamate a vivere e
testimoniare in modo particolare un’esistenza che deve sempre
essere ordinata alla realtà ultima e definitiva, cioè escatologica.
Sintetico
commento etimologico
Come
lo evidenzia G. Kittel nel Grande Lessico del Nuovo Testamento, III,
995-1000, la parola eschatos (ultimo), nelle sue differenti forme
(aggettivo, sostantivo, avverbio) è varie volte usata nel Nuovo
Testamento per indicare la definitività della salvezza in Cristo,
nella tensione “presente-futuro”.
Il
termine “escatologia” ha differenti sfumature, che lasciano
intravedere l’insieme dei significati che la parola ha: dal
significato classico di escatologia come discorso sulle realtà
ultime a quello di discorso sul futuro della storia aperta all’uomo
da Dio., a quella dell’escatologia come definitività alla
riflessione teologica sulla Speranza.
Nella
“ultime cose” – Novissima, i Novissimi: morte, giudizio,
inferno, paradiso – si ha la conclusione della vita dell’uomo
nuovo, salvato da Cristo, e la sua ragione d’essere.
Meditiamo
su questo brano della preghiera della Consacrazione delle Vergini:
« Tu
vuoi non solo renderle alla loro innocenza originaria ma anche
condurle fino all’esperienza dei beni del mondo a venire. E già da
ora tu le chiami a permanere alla tua presenza come gli angeli
davanti al tuo volto»