Domenica fra l’Ottava
di Natale:
La Santa Famiglia di
Gesù, Maria e Giuseppe - Anno B - 31 dicembre 2015
Rito
Romano
1Sam
1,20-22.24-28; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52
Rito
Ambrosiano
1Gv
1,1-10; Sal 96; Rm 10,8c-15; Gv 21,19c-24
III
giorno dell’ottava di Natale – San Giovanni Apostolo ed
Evangelista
1)
Da un Tempio all’altro.
A
pochissimi giorni dalla Solennità del Santo Natale, la liturgia di
oggi ci fa celebrare la Santa Famiglia di Nazareth. In questo modo
siamo invitate a contemplare e imitare la vita della famiglia
“terrena” di Gesù. Cosa vediamo? Il Vangelo di San Luca ci fa
mostra che in questa singolare famiglia non emerge solamente la
figura del Figlio di Dio, la Persona divina che assume totalmente
l'umanità delle Sue creature, il Dio con noi, il Principe della
Pace. L’evangelista pone in evidenza la Mamma di Gesù, Maria, e
Giuseppe, lo sposo di lei, collaboratore del disegno di salvezza per
gli uomini e “custode della Redenzione” (S. Giovanni Paolo II).
Come può una famiglia
così unica essere di modello per le nostre famiglie. E’ un nucleo
familiare solo apparentemente simile a tutti le altre, ma così
irripetibile che ci spinge a pensare che è inimitabile: un Figlio
che è Dio, una mamma che è la Vergine Immacolata, e un papà che è
il giusto per eccellenza,
E cosi Gesù, il Dio
fatto uomo, ci dà un esempio di figlio, all'interno della sua
famiglia, per diventare modello per tutte le famiglie di tutti i
tempi e di tutti i luoghi.
Gesù non ebbe fretta
nel presentarsi come Messia. In una piccola cittadina della periferia
dell’Impero romano, nel nascondimento di un semplice famiglia
questo Figlio visse una vita normale, ma crescendo in grazia e
spirito, fino al momento in cui giunse l’ora di iniziare la
missione che il Padre gli aveva affidato: una missione che lo porterà
alla morte e alla resurrezione, facendo di noi, da un popolo senza
domani ad un popolo chiamato a seguirlo nella santità e nella gioia
della pienezza della Vita, oggi e per sempre.
Guardando alla Santa
Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, credo che le nostre famiglie
siano spinte ad essere sempre di più “piccole chiese domestiche”,
dove Dio è presente e dove si impara a vivere, camminando alla Luce
del Vangelo, la Buona Novella, come sola guida sicura, in un mondo
che ha perso lo sguardo sulla Luce del Cielo e guarda solo alle luci
della Terra.
Ai genitori che lo
cercavano da tre giorni Gesù risponde che loro dovevano sapere che
il cammino della sua vita era quello di fare ciò che sta a cuore a
suo Padre,. Quindi era rimasto per tre giorni nel tempio di suo
Padre, occupandosi appunto delle cose del Padre suo (cfr Lc 2, 49).
Poi, siccome il Vangelo è da vivere nella quotidianità della vita,
ritorna con Maria e Giuseppe nella quotidianità di Nazareth. Scese
con i genitori a Nazareth e stava loro sottomesso. Lascia il Tempio
per il “tempio domestico”, dove tutto era organizzato per la Sua
presenza divina e dove la Sua umanità cresce in sapienza e grazia.
Il Redentore ha
lasciato i maestri della Legge che insegnavano nel Tempio di
Gerusalemme, per stare con Giuseppe e Maria che sono maestri di vita
in quella scuola speciale che è la loro casa a Nazareth. Il Figlio
di Dio impara da loro l’arte di essere uomo. Guarda la mamma Maria
che è teneramente forte, ma mai passiva. Guarda Giuseppe, il padre
legale di Gesù, verso il quale il padre putativo ebbe “per
speciale dono del Cielo, tutto quell'amore naturale, tutta
quell'affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre possa
conoscere” (frase di Papa Pio XII citata nella Redemptoris
Custos, n. 8).
2)
La Santa Famiglia come scuola e modello reale e non solo ideale della
famiglia.
Una
vita semplice, quella di Gesù, Maria e Giuseppe, che tanto
assomiglia alle nostre. Maria è la mamma, come le nostre mamme,
attenta e vigile, ma soprattutto, in quanto Immacolata e quindi tutta
di Dio, avrà educato il figlio al vero senso della vita, che è
compiere la missione che il Padre gli aveva affidato, inviandolo tra
di noi. Quindi la Casa di Nazareth non fu una scuola solamente per
Gesù, ma lo è anche per noi, come insegna il B. Papa Paolo VI: “La
casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la
vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad
osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così
profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di
Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza
accorgercene, ad imitare” (Omelia a Nazareth, 5 gennaio
1964).
Il Vangelo di San Luca
ci racconta la vita quotidiana e santa di Giuseppe e Maria che nella
loro esitazione, nei loro interrogativi, nei loro atteggiamenti,
nella loro debolezza, lungi dalla perfezione e dall’ideale,
assomigliano a tanti genitori. Al tempo stesso sono il modello reale
e originario di famiglia, dove coesistono verginità, sponsalità e
genitorialità. Ora, agli sposi cristiani il Signore chiede che,
mediante la nostra unione, si realizzi il duplice fine del
matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita.
Non si possono disgiungere questi due significati o valori del
matrimonio, senza alterare la vita spirituale della coppia e
compromettere i beni del matrimonio e l'avvenire della famiglia. Agli
sposi cristiani è chiesto di vivere nella castità matrimoniale. A
questo riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna: “Gli
atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono
onorevoli e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono
la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono
vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” [cfr
Gaudium et spes, 49]” (n. 2362).
La verginità, però,
in senso proprio, appartiene ai consacrati e rimanda all’eternità.
Ma la verginità è pure costitutiva della famiglia originaria,
quindi esiste un indissociabile legame tra noi sposi cristiani ed i
consacrati per il Regno di Dio e questo legame è nella Santa
Famiglia di Nazareth.
Le vergini consacrate
nel mondo testimoniano che la verginità non è
non avere affetti, anche se implica il rinunciare a una famiglia
carnale, al rapporto fisico, per essere totalmente disponibili al
compito di fecondità spirituale, ma concreta, al quale il Signore le
ha chiamate. Cristo è al cuore del matrimonio cristiano e le vergini
consacrate testimoniano che se si da tutto a Cristo la vita è
davvero feconda. Come la Vergine Maria custodiscono nel loro
cuore un mistero più grande di loro, lo portano nel mondo.
Sant’Agostino
acutamente insegna l’importanza della maternità spirituale non in
contrasto con maternità carnale: “La Chiesa ricopia gli esempi
della madre del suo Sposo e del suo Signore, ed è, anche lei, madre
e vergine. Se infatti non fosse vergine, perché tanto preoccuparci
della sua integrità? E, se non fosse madre, di chi sarebbero figli
coloro ai quali rivolgiamo la parola? Maria mise al mondo fisicamente
il capo di questo corpo; la Chiesa genera spiritualmente le membra di
quel capo. Nell’una e nell’altra la verginità non ostacola la
fecondità; nell'una e nell'altra la fecondità non toglie la
verginità. La Chiesa è, tutt’intera, santa nel corpo e
nell'anima, ma non tutta intera è vergine nel corpo, anche se lo è
nell’anima. Di quale santità non dovrà dunque rifulgere in quelle
sue membra che conservano la verginità nel corpo e nell'anima? Un
giorno - racconta il Vangelo - la madre e i fratelli di Gesù (cioè
i suoi cugini) si fecero annunziare, ma rimasero fuori casa perché
la folla non permetteva loro di avvicinarsi [al Maestro]. Gesù uscì
in queste parole: Chi è mia madre? e chi sono i miei fratelli? E
stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: Ecco i miei
fratelli! Poiché, chiunque fa la volontà del Padre mio, questi è
mio fratello e madre e sorella” (La Santa Verginità, 2.2-3.3).
Le Vergini consacrate
mostrano che l’esempio di Maria, Vergine e Madre, è attuale e
praticabile anche oggi e sono chiamate a vivere una maternità di
Grazia.
Maria ha aperto la strada a tutte le donne che, al suo seguito,
accoglieranno la chiamata divina a dare tutto il loro cuore al
Signore nella verginità. Certo, non sono chiamate solo le donne alla
vita verginale; va ricordato che Cristo si è impegnato egli stesso
in questa via e vi ha impegnato anche i suoi apostoli.
Tuttavia, l’espressione
“sposarsi con Dio”, conviene di più alla donna. Le vergini
cristiane sono state considerate, fin dall'antichità, come spose di
Cristo. Si può dire che esse rappresentano, nella maniera più
appropriata e più completa, la qualità di sposa di Cristo che si
attribuisce alla chiesa. Nelle vergini consacrate si personifica
questa relazione di sposa con il Cristo.
Lettura
Patristica
Origene
In Luc., 19, 2-7
Dice
il Vangelo che «cresceva». Si era infatti "umiliato
assumendo la natura del servo"
(Ph
2,7),
e con la stessa potenza con la quale «si era umiliato» cresce. Era
apparso debole, perché aveva assunto un corpo debole, ed è proprio
per questo che nuovamente si fortifica. Il Figlio di Dio si era
umiliato e per questo è poi ricolmato di sapienza. «E la grazia di
Dio era su di lui». Egli aveva la grazia di Dio non quando raggiunse
l’adolescenza, non quando insegnava apertamente, ma anche quando
era ancora fanciullo; e come ogni cosa in lui era ammirabile, così
lo fu anche la sua fanciullezza, fino al punto da possedere la
pienezza della sapienza di Dio.
"Andavano
dunque i suoi genitori, secondo la consuetudine, a Gerusalemme per
celebrare il giorno della Pasqua. Gesù aveva dodici anni"
(Lc
2,41-42).
Osserva con attenzione che, prima di aver compiuto i dodici anni, era
ricolmato della sapienza di Dio e degli altri doni di cui si parla
nel Vangelo. Quando ebbe dunque compiuto - come abbiamo detto - i
dodici anni, e furono celebrati, secondo il costume, i giorni della
solennità, e quando i parenti erano sulla via del ritorno, "il
fanciullo rimase a Gerusalemme senza che i suoi genitori se ne
accorgessero"
(Lc
2,43).
Comprendi che qui c’è qualcosa di sublime che varca i limiti della
natura umana. Infatti non «rimase» semplicemente mentre i suoi
genitori non sapevano dove fosse; ma, allo stesso modo in cui nel
Vangelo di Giovanni (cf. Jn
8,59
Jn
10,39)
è detto che allorquando i Giudei lo insidiavano egli sfuggì di
mezzo a loro senza farsi vedere, così credo che ora il fanciullo sia
rimasto a Gerusalemme, mentre i suoi genitori non sapevano dove fosse
rimasto. E non dobbiamo stupirci di sentir chiamare genitori coloro
che avevano meritato il titolo di madre e padre, l’una per averlo
partorito, e l’altro per la devozione paterna.
Continua:
«Noi ti cercavamo addolorati». Non credo che essi si siano
addolorati perché credevano che il fanciullo si fosse perduto o
fosse morto. Non poteva accadere che Maria, la quale sapeva di averlo
concepito dallo Spirito Santo, che era stata testimone delle parole
dell’angelo, della premura dei pastori e della profezia di Simeone,
nutrisse il timore di aver perduto il fanciullo che si era smarrito.
Si deve assolutamente scartare un simile timore dalla mente di
Giuseppe al quale l’angelo aveva ordinato di prendere il fanciullo
e di andare in Egitto, di Giuseppe che aveva sentito le parole: "Non
temere di prendere Maria in sposa, perché colui che è nato da lei è
frutto dello Spirito Santo"
(Mt
1,20):
non poteva temere di aver perduto il fanciullo, che sapeva essere
Dio. Il dolore e la sofferenza dei genitori ci suggeriscono un senso
diverso da quello che può intendere il lettore comune.
Così
come tu, se qualche volta leggi la Scrittura, ne cerchi il
significato con dolore e tormento, non perché pensi che la Scrittura
abbia sbagliato, oppure che essa contenga qualcosa di falso, ma
perché essa ha in sé una verità spirituale e tu non sei capace di
scoprire questa verità; ebbene è proprio in questo modo che essi
cercavano Gesù, temendo che egli si fosse allontanato da loro, che
li avesse abbandonati e fosse andato altrove, e che -questa
soprattutto è la mia opinione - fosse tornato in cielo per
discenderne di nuovo un’altra volta quando gli fosse piaciuto.
«Addolorati»,
dunque, cercavano il Figlio di Dio. E cercandolo, non lo trovarono
«tra i parenti». La famiglia umana non poteva infatti contenere il
Figlio di Dio. Non lo trovarono tra i conoscenti, perché la potenza
divina sorpassa qualsiasi conoscenza e scienza umana. Dove lo trovano
dunque? «Nel tempio»; lì si trova infatti il Figlio di Dio. Quando
anche tu cercherai il Figlio di Dio, cercalo dapprima nel tempio,
affrettati ad andare nel tempio, ed ivi troverai il Cristo, Verbo e
Sapienza, cioè Figlio di Dio.
Siccome
era ancora piccolo, è trovato «in mezzo ai dottori» mentre li
santificava e li ammaestrava. Siccome, ripeto, era piccolo, egli sta
«in mezzo» a loro, non insegnando, ma interrogando, e fa così
perché noi, considerando la sua età, apprendiamo che ai fanciulli
conviene - anche se sono sapienti ed eruditi - ascoltare i maestri
piuttosto che voler insegnare loro, evitando cioè di mettersi in
mostra con vana ostentazione. Interrogava i maestri - io dico - non
per imparare qualche cosa, ma per istruirli interrogandoli. Dalla
stessa sorgente della dottrina derivano infatti sia l’interrogare
che il rispondere sapientemente; è caratteristica della stessa
scienza sapere che cosa chiedere e che cosa rispondere. Era
necessario che dapprima il Salvatore c’insegnasse come porre sagge
domande, e poi come rispondere alle questioni secondo la sapienza e
la Parola di Dio.
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